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Autore: MaryFangirl    13/06/2023    0 recensioni
Camilo è un barista part time al Café Madrigal, un piccolo locale che ha perso quasi tutto, tranne i suoi più leali clienti, a causa di uno Starbucks aperto vicino.
Un giorno arriva Bruno, un uomo misterioso che diventa un nuovo cliente abituale.
(Coffee Shop Au – Bruno/Camilo – NO incest)
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Bruno Madrigal, Camilo Madrigal
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Passano due giorni, e Camilo non ha dimenticato l’uomo strano vestito di verde. Immagina che non tornerà, il che non è sconvolgente – il 99% delle persone che passano per il Café Madrigal non ritornano mai, dopotutto.
 
Si presenta invece il terzo giorno, con lo stesso cappotto largo e un’aria giusto un pizzico meno a disagio.
 
“Bentornato” lo accoglie Camilo sorridendo, tentando di non apparire sorpreso, “cosa posso prepararti oggi?”
 
“Salve” replica l’uomo, che sorride di rimando; è un’azione piccola, nervosa, e dura un baleno. “Un caffè, per favore”
 
Camilo annuisce. “Nero?”
 
“S-sì, grazie”
 
Questa volta, dopo aver pagato, l’uomo si prende un attimo per guardarsi intorno invece di dirigersi alla prima sedia. Dopo qualche titubanza, si dirige verso la poltroncina verde felpata accanto alla finestra e si accomoda, muovendosi con cautela nonostante i bellissimi garofani che invitano ad avvicinarsi al tavolo e la gradevole luce del sole che filtra dal vetro.
 
Dai, mettiti comodo, sembra suggerire il locale. Sei il benvenuto qui.
 
Il tessuto verde lime dei cuscini si abbina piacevolmente alla tonalità più scura del suo cappotto, e la morbidezza della stoffa sembra addolcire i lineamenti del suo viso.
 
Sta bene lì, pensa Camilo, più a suo agio rispetto alla sedia di legno scelta l’ultima volta.
 
Ancora non è esattamente rilassato, però. Le sue dita si muovono nervosamente dalla tracolla della borsa per battere tre volte sulla superficie del tavolo, rapidamente e deliberatamente: toc, toc, toc. Poi si porta la mano alla tempia e colpisce la testa di lato, altre tre volte in rapida successione.
 
I colpi sembrano abituali, come se li facesse spesso, osserva Camilo lievemente preoccupato. Sono abbastanza sonori da poter far male.
 
L’uomo lascia il caffè a raffreddare un po’ questa volta, sorseggiandolo piano invece di inalarlo direttamente. Dopo aver pulito il bancone e alcuni piatti, Camilo alza lo sguardo e lo trova assorto nella lettura. L’espressione concentrata e aggrottata sul volto dell’uomo conferma la sua ipotesi del professore universitario trasandato, e sorride internamente. È bello vedere qualcuno che legge al Café Madrigal. È una cosa che non vede da quando Starbucks ha iniziato a risucchiare tutti i clienti. I fedeli abituali che continuano a venire leggono poco, ad eccezione di Mirabel che a volte porta qualche libro di testo per studiare in attesa che lui finisca il suo turno.
 
Con la scusa di chiedere all’uomo se desidera altro caffè, Camilo si dirige al suo tavolo e sbircia da sopra la sua spalla. Si aspetta un vecchio volume rilegato in pelle, di storia o filosofia, qualcosa di intellettuale.
 
Invece coglie una rivista sorprendentemente sgargiante. La pagina patinata è piena di foto in primo piano di volti truccati drammaticamente, uomini e donne che posano con costumi appariscenti. In carattere cubitale e in grassetto, il titolo dell’articolo sembra urlare al lettore: LE 10 STAR DELLE TELENOVELE DA TENERE D’OCCHIO.
 
La mente di Camilo vacilla mentre torna al bancone. Beh, quello non se l’aspettava. Forse non è un professore universitario, dopotutto?
 
Molto più tardi nel pomeriggio l’uomo si congeda dopo un’unica tazza di caffè, e Camilo si rende conto di aver dimenticato di offrirgliene ancora.
 
La rivista atrocemente colorata continua a perseguitarlo: la vede ogni volta che chiude gli occhi, sgargiante e pacchiana e completamente in contrasto con la sua prima impressione del nuovo cliente. Forse è un fatto occasionale, pensa. Forse al tizio piace leggere riviste del genere per spegnere il cervello.
 
 
 
Alla fine della settimana, Camilo è stato completamente smentito. L’uomo con il cappotto verde è tornato tutti i giorni, e ogni volta, immancabilmente, ha tirato fuori dalla sua borsa una nuova rivista luccicante. Non sembra nemmeno un modo insensato per passare il tempo, perché non le legge come la maggior parte delle persone legge le riviste, sfogliando pigramente le pagine, lievemente divertite. No, si concentra, chinandosi sulle pagine, come si aggrappasse a ogni parola. Camilo quasi si aspetta che si metta a prendere appunti.
 
Non lo disturba, anche se rende più difficile capire esattamente che tipo di persona sia il suo cliente. Mentre l’uomo divora colonne di pettegolezzi sulle star delle telenovele, è fin troppo assorto per comportarsi in modo impacciato.
 
A volte, invece di una rivista, tira fuori un grande album da disegno rilegato a spirale, del tipo con le pagine strappabili, e inizia a disegnare. Le ore trascorrono in relativo silenzio, disturbato solo dal suono della matita che graffia sulla carta e dalla visita molto occasionale di un cliente.
 
Camilo pensa agli altri clienti con una certa trepidazione, invece che con solita eccitazione. Da quello che ha notato del nuovo cliente, non è sicuro di come reagirebbe alla presenza di altre persone nel locale.
 
Quando Mirabel giunge un pomeriggio, Camilo si prepara: si aspetta quasi che l’uomo in verde le lanci un’occhiata e si precipiti fuori dalla porta.
 
Invece, con sua sorpresa, e grande sollievo, si irrigidisce leggermente e abbassa la testa, fissando risoluto il suo quaderno.
 
Con sollievo ancora maggiore per Camilo, non ha ulteriori reazioni quando, meno di un’ora dopo, e senza apparente ragione, tutti gli altri clienti abituali decidono di passare in rapida successione. Cavoli, forse Mirabel è davvero il loro portafortuna.
 
“Ah, è come se vi foste messi d’accordo” scherza Camilo, preparando l’espresso di Pepa dopo aver consegnato a Luisa e Mariano i loro frappé. “Non vedo essere umano per giorni, e all’improvviso siete qui tutti insieme”
 
“Oh, in ufficio la situazione era folle! A malapena riuscivo a bere un sorso d’acqua, figuriamoci un caffè” sospira Pepa, “ma oggi Antonio doveva gustarsi le tue millefoglie”
 
“Luisa, Luisa, posso fare un giro sulla tua schiena?” cinguetta il bambino, guardando Luisa con soggezione mista ad adorazione. È nel locale da tre minuti e in qualche modo è riuscito a sporcarsi tutto di cioccolato.
 
Luisa ride e lo afferra da sotto le braccia, sollevandolo come una bambola di pezza. “Vola, piccolo!”
 
“Per me un cappuccino alla vaniglia, per favore” chiede Isabela con il solito tono raffinato, mentre Pepa si gira per rimproverare suo figlio. (“Non disturbare Luisa, tesoro, è appena tornata dalla palestra, sarà stanca” – “Non preoccuparti, Pepa, è leggero come una piuma!”)
 
“Certo, mia signora, cappuccino con la migliore schiuma della città in arrivo” Camilo fa schioccare la lingua. Isabela alza gli occhi al cielo ma non commenta; sa che è vero e i suoi follower su Instagram lo ringrazieranno.
 
Mentre prepara tutti gli ordini, lancia uno sguardo furtivo all’uomo con il cappotto verde. Sta ancora disegnando, senza prestare attenzione alle chiacchiere, sembra concentrato e insolitamente...calmo.
 
Oh, pensa Camilo, quasi trionfante. -Qualcuno inizia a sentirsi a proprio agio, qui-.
 
“Posso versarti dell’altro caffè?” gli chiede, quando tutti se ne sono andati e il locale è tornato alla consueta quiete.
 
L’uomo annuisce. “Oh, sì, grazie. Ehm, potrei avere anche un’arepa?” aggiunge subito dopo una breve riflessione.
 
“Certo, la porto subito” risponde Camilo, tornando al bancone. Gli viene in mente che è la prima volta che l’uomo ha ordinato da mangiare, nonostante abbia trascorso molto tempo qui ultimamente. Non sembra che mangi molto.
 
Camilo esamina attentamente ogni arepa e si assicura di scegliere quella più spessa e soffice.
 
Mentre porta l’ordine, osserva non tanto accidentalmente l’album da disegno e intravede quello che sembra un topo che si pulisce i baffi con uno spazzolino da denti. “Carino il topo”
 
L’uomo sussulta e rivolge a Camilo un sorriso tremulo. “G-grazie” esita per un secondo, poi aggiunge: “è un ratto, in realtà”
 
“Ah, scusa...non riesco mai a distinguerli”
 
“N-non è semplice. Per lo più riguarda le dimensioni: i ratti tendono a essere più grandi dei topi. Ma sono anche molto intelligenti. Gli si può insegnare qualsiasi trucco e adorano essere coccolati”
 
“Hai dei ratti domestici?” chiede Camilo. Non è particolarmente curioso dei ratti in sé, ma l’uomo non ha mai parlato tanto e vuole saperne di più. Gli piace sapere cosa appassiona le persone: se si tratta di ratti, così sia.
 
L’uomo si ritrae un po’ alla domanda, gli occhi tornano a terra come temesse il giudizio di Camilo. “Oh, non più. Ne avevo quando ero bambino” sorride, nervoso e imbarazzato. “Scusa. So che la maggior parte delle persone li trova un po’ disgustosi”
 
Camilo osserva i bozzetti sulla pagina. Sono tutti ratti: mentre ballano con il tutù, suonano strumenti musicali, dondolano su un trapezio, scrutano misteriose sfere di cristallo.
 
“Sembra che si stiano divertendo” dice, “mi piacciono”
 
L’uomo gli sorride sinceramente, il viso si illumina facendolo apparire di anni più giovane. “G-grazie! Di nuovo”
 
 
 
Camilo ha iniziato a tenere un registro mentale delle cose che sa sull’uomo con il cappotto verde. In principio senza neanche accorgersene. Ok, sì, forse è un po’ inquietante. Ma non è un’abitudine. Non ha mai passato così tanto tempo con un cliente (con nessuno, in realtà) e ne sa ancora molto poco. Quello che sa si conta sulle dita di una mano.
 
Uno. L’uomo sembra sempre moderatamente ansioso.
 
Due. Continua comunque a venire, per qualche ragione.
 
Tre. È un fan delle telenovele.
 
Quattro. Adora i ratti.
 
Non riempiono nemmeno una mano, e non sembra abbastanza per una persona che Camilo sta vedendo ogni giorno. Quindi, con il passare della settimana, si impegna a osservare con discrezione l’uomo e a raccogliere quante più informazioni possibili. Fa parte del suo lavoro conoscere i clienti in modo da offrire loro il migliore dei servizi, e non è affatto strambo, decide Camilo.
 
Nota che l’uomo si siede sempre sulla poltrona verde accanto alla finestra. Appena si siede, immancabilmente, le sue dita fanno la stessa strana piccola danza: toc toc toc sul tavolo, toc toc toc sulla testa. Deve essere importante per lui, perché sembra sempre intensamente concentrato mentre lo fa – e, allo stesso tempo, mortificato, guardandosi intorno subito dopo per controllare se qualcuno lo ha visto (e in quei casi, Camilo fa in modo di apparire occupato).
 
Comincia a sembrare un po’ più rilassato solo dopo aver passato del tempo a disegnare o leggere le sue riviste. Anche se rilassato non è ancora il termine giusto: rimane teso, ma in modo diverso, perso nel suo piccolo mondo per notare cosa gli succede intorno.
 
Probabilmente per questo è così indifferente agli altri clienti, pensa Camilo, anche quando è difficile ignorarli, come quando Luisa e Mariano sfondano le porte dopo una sessione di sollevamento pesi in palestra, pronti a consumare arepas per il loro giorno libero settimanale. O quando Pepa entra drammaticamente sui suoi tacchi a spallino e tailleur pantalone firmato, parlando a mitraglietta su un cliente o su un altro, mentre Camilo gioca con il figlio (forse ha sorriso una o due volte per il piccolo Antonio).
 
Camilo è grato che gli altri, a loro volta, sembrino rispettare il suo bozzolo. Lo salutano con un sorriso e un veloce ‘Ciao’, che lui ricambia frettolosamente ma con la massima cortesia, nessuno si fa in quattro per intavolare una conversazione con lui. Luisa e Mariano condividono le loro imprese in palestra con Camilo prima di andarsene, Pepa di solito entra ed esce come un turbine, correndo a casa dal marito dopo una frenetica giornata in ufficio. Isabela tende a rimanere più a lungo, ma di solito è troppo impegnata a fare selfie con il suo cappuccino per mettersi a parlare.
 
Anche Mirabel, da animale sociale qual è, mantiene una discreta distanza. A volte lancia un’occhiata all’uomo prima di rivolgere a Camilo uno sguardo consapevole, come se sapesse qualcosa che lui non sa. Camilo non è sicuro che di apprezzare quello sguardo.
 
Nonostante ciò, è contento che i suoi clienti abituali comprendano tacitamente il bisogno di spazio del nuovo arrivato. Camilo spera che si senta tranquillo lì, non solo perché non possono permettersi di perdere altri clienti, ma perché è ciò che il Café Madrigal dovrebbe essere: uno spazio sicuro per tutti.
 
Per questo è inorridito quando, andando a dare altro caffè all’uomo alla fine di un pomeriggio impegnativo ma piacevole, lo trova curvo sul tavolo e sul punto di svenire.
 
“Ehi, va tutto bene?” chiede preoccupato. Ovviamente no, ma l’uomo annuisce furiosamente.
 
“Sì, sto bene” balbetta, prima di fermarsi a riprendere fiato. “Mi dispiace...non è niente di grave, a volte mi succede...”
 
Le dita armeggiano goffamente nella borsa, tirando fuori un tubetto di pillole bianche; apre il tappo, ne versa una in mano e la inghiotte. “Mi dispiace”
 
“Va tutto bene” risponde Camilo, cercando di non lasciar trasparire la crescente preoccupazione. Sa riconoscere i segni di un attacco di panico, anche se non sa nulla dell’uomo. Da quello che può supporre, è lecito ritenere che l’ultima cosa che vuole sia più attenzione.
 
Ma il pensiero di fingere di non accorgersi di niente mentre l’uomo fatica visibilmente a respirare risulta sbagliato, Camilo non ci riesce.
 
Gli piace aiutare le persone, servire loro da mangiare e da bere, ridere delle loro battute, dire loro ciò che hanno bisogno di sentire. È lui che lascia Isabela a bocca aperta, ammirata dai disegni meravigliosamente intricati sul cappuccino, che rallegra Pepa con qualche dolcetto dopo una lunga giornata di lavoro, che dà a Luisa e Mariano la giusta carica per acquisire maggiore forza. In questo momento, vuole aiutare l’uomo che ha di fronte a sentirsi di nuovo bene.
 
“Va tutto bene” ripete.
 
L’uomo chiude gli occhi, gonfiando le guance e rilasciando un respiro tremulo. “Cavoli, Dolores rimarrà delusa” dice, massaggiandosi la fronte, “ero sicuro di potercela fare senza di lei”
 
-Sua moglie?- si domanda Camilo, osservandogli le mani. Nessun anello.
 
“Posso lasciarti un po’ di privacy, se vuoi” offre. “Non posso andarmene perché il mio turno non è finito, ma posso spostarmi in un angolo e mettermi le cuffie, se devi chiamare la tua ragazza. Puoi fingere che io non ci sia”
 
“Dolores è la mia terapista” sbotta l’uomo, le parole escono come un torrente, “ha detto che posso chiamarla se ne ho bisogno, ma se lo facessi ogni volta che mi innervosisco, dovrei cambiare piano tariffario. E non voglio rovinare il suo equilibrio tra lavoro e vita privata, è giovane e ha già tanto da fare. E ora ho preso uno Xanax invece di resistere, e questo significherà fare dei passi indietro quando stavo facendo progressi, e dovrò trovare un altro locale in cui nascondermi prima che inevitabilmente mi ridicolizzi anche lì...”
 
Prima che Camilo possa elaborare il suo fulmineo discorso, l’uomo soffoca con il proprio respiro e riprende a iperventilare.
 
“Come ti chiami?” chiede mentre si siede di fronte a lui, colto dal bisogno di fare qualcosa.
 
L’uomo stringe maggiormente gli occhi. “Bruno” espira tremante, appena udibile.
 
“Bruno” ripete Camilo, per assicurarsi di aver sentito bene. “Okay. Ascoltami, Bruno, non c’è nessuno qui in questo momento. Non ti sei ridicolizzato. Non ti ho visto fare niente di ridicolo. Non importa se devi prendere uno Xanax o chiamare la tua terapeuta o un amico o altri. Sono qui solo per preparare il caffè e pulire i tavoli. Fidati, non stai disturbando nessuno”
 
Camilo mantiene gli occhi su Bruno per essere sicuro che lo ascolti, parlando lentamente, in modo che ogni parola abbia il tempo di essere assorbita e ancorarlo al momento presente. Sembra funzionare – o forse lo Xanax inizia a fare effetto – perché il suo respiro si uniforma lentamente, passando da ansiti rapidi a respiri leggeri ma regolari.
 
“...davvero non ti disturba?” chiede poi timidamente, non incontrando lo sguardo di Camilo.
 
“No. Nemmeno un po’”
 
Bruno chiude le mani a pugno prima di rilasciarli, espirando dalla bocca. Camilo non dice niente, osservando una vena spuntare sul suo avambraccio mentre il muscolo si contrae e si rilassa. Forse dovrebbe tornare a pulire i menu, ma non c’è fretta e ha la vaga sensazione che Bruno abbia ancora bisogno di lui.
 
Quindi aspetta, rendendo consapevolmente il suo respiro più regolare, nel caso possa essergli di aiuto, come fosse il metronomo che riporterà in carreggiata il battito cardiaco frenetico di Bruno.
 
Quando riapre gli occhi, sembrano calmi ma stanchi. Deglutisce con difficoltà e Camilo riesce ad avvertire quanto sia secca la sua bocca. “Posso portarti dell’acqua?”
 
Bruno annuisce, tremante. “Sarebbe bello, sì”
 
Camilo gli porta un bicchiere e l’intera brocca. Non c’è nessun altro, ad ogni modo.
 
Dopo aver bevuto qualche sorso, Bruno gli lancia uno sguardo sia grato che imbarazzato. “Grazie” dice con un debole sorriso, “mi dispiace che tu abbia dovuto vedermi così. Un sacco di dramma per niente”
 
Camilo ricambia il sorriso. “Beh, ci vuole ben altro per spaventarmi. Il dramma è il mio pane quotidiano, dopotutto”
 
“Sei un attore?” chiede l’uomo, rianimandosi leggermente.
 
“È un termine generoso. Cerco di diventarlo”
 
“Si capisce” mormora Bruno, prima di aggiungere subito, “non che tu sia drammatico o falso o altro! Solo che, sai...sei sicuro di te. Te la cavi bene con le persone” si corregge, raddrizzando le spalle come per dimostrare la fiducia di Camilo, “sembra che tu piaccia molto a tutti quelli che vengono qui”
 
È la verità, quindi Camilo non si disturba a negare. È contento, però, di sapere che Bruno se n’è accorto. Fa del suo meglio per rendere felici le persone e ne è orgoglioso.
 
“Sono davvero fantastici. I clienti, intendo. Certo non ne abbiamo molti da quando Starbucks ha aperto dall’altro lato della strada”
 
“Meglio avere tre abituali che trenta nuovi clienti ogni giorno, giusto?” ridacchia Bruno.
 
Alza le spalle come a dire, ‘Cosa vuoi farci?’, apparendo più rilassato rispetto a cinque minuti fa. La conversazione sembra stia funzionando per distrarlo. In parte per via di questo, Camilo decide di proseguire, con un cipiglio fintamente offeso.
 
“Beh, non sono tre” ribatte. “Ce ne sono almeno sei. Allora, Luisa e Mariano, i due più robusti, non puoi non averli notati” precisa, e Bruno annuisce, “Isabela, con tutti i selfie che fa con le nostre composizioni floreali; ha circa un milione di follower su Instagram, pazzesco. Poi ci sono Pepa e suo figlio, li avrai visti, lui è un bambino stupendo. E naturalmente c’è Mirabel”
 
“La ragazza con i capelli corti e gli occhiali” sorride Bruno, “siete una bella coppia”
 
Camilo sbatte le palpebre. “Grazie. In realtà siamo cugini”
 
Prova divertimento all’espressione totalmente mortificata di Bruno per un paio di secondi prima di avere pietà di lui.
 
“Sto scherzando, non siamo cugini, non di sangue comunque. Le nostre madri erano migliori amiche, quindi siamo praticamente cresciuti insieme” spiega, “è come una sorella per me”
 
Bruno emette un gemito e gli lancia uno sguardo leggermente minaccioso, come se volesse arrabbiarsi con lui senza riuscirci. “Hai ragione” ammette, “sono sei clienti abituali: Luisa, Mariano, Isabela, Pepa, Antonio e Mirabel”
 
Qualcosa nel modo in cui pronuncia i nomi – con attenzione, contando ciascuno sulle dita, come li stesse incidendo nella memoria – provoca a Camilo una sensazione di calore.
 
Sorride, correggendolo: “Sette, contando te. Benvenuto in famiglia, Bruno” poiché si rende conto di quanto possa sembrare scoraggiante per uno dalla travolgente ansia sociale, aggiunge rapidamente: “Oh, io sono Camilo”
 
“Camilo” ripete Bruno. “Piacere di conoscerti. Sono Bruno. Ma lo sapevi già”
 
“Sì” Camilo sorride di nuovo, “lo sapevo”.
 
  
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