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Autore: fiore di pesco    08/06/2023    3 recensioni
Vi propongo degli estratti dei miei pensieri più intimi, celata da un anonimato che dura da oltre un decennio.
Non è un testo delicato, non sono una persona eccessivamente sensibile e quindi potreste incappare in black humor, turpiloquio e considerazioni talvolta ciniche che potrebbero turbare i lettori più emotivi. Non voglio far finta che questo mi dolga, non sono mai stata ipocrita.
Potrete trovare capitoli composti da una vicenda che mi è successa di recente, altre molto lontane nel tempo, pensieri, aforismi, quello che mi va.
Alcune di queste riflessioni sono state scritte in bozze sul mio diario anni fa e non so perchè stasera abbia sentito l'esigenza di condividerle con qualcuno. Forse per strappare una risata o una imprecazione, ma sempre meglio della noia.
Questa "storia" è una raccolta disomogenea e non segue una trama, ogni capitolo è a sè e quindi non pubblicherò con scadenze, seguirà l'ispirazione.
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come ho anticipato nell'introduzione, questa storia potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno, quindi se avete una cattiva opinione del fumo fate un favore a voi stessi e non leggete questo capitolo. Io non voglio essere un esempio da seguire, quindi non vi farò la filippica su quanto sia sbagliato fumare e che non dovreste mai cominciare, dovreste già saperlo.

Ho cominciato a fumare ben prima dell'età consentita dalla legge.
Non essendo mai stata una fan delle norme morali e del buon costume, non mi è mai interessato cosa le persone pensassero di me e della disapprovazione dei benpensanti.
Sinceramente, adoravo la sensazione del fumo di sigaretta.
Fumavo mediamente un pacchetto di Marlboro rosse al giorno, quando ancora costavano 4 euro e 60-80 centesimi al pacchetto.

Per me c'era una netta distinzione tra le sigarette fumate per necessità, quelle fumate in compagnia e quelle che reputavo necessarie per una buona riflessione.
Le prime le fumavo per dipendenza, magari dopo ore e ore passate a studiare o lavorare, durante le quali non avevo potuto fumare. Appena mi liberavo era d'obbligo una sigaretta.
Poi c'erano le sigarette che fumavo quando mi trovavo in compagnia delle mie amiche o di una nuova fiamma. In quel caso mi aiutavano a divertirmi, ad alleviare la tensione e comunque era una gestualità che mi piaceva molto, la ritenevo elegante.
Infine, quando ero di cattivo umore, avevo appena subito una delusione o non riuscivo a dormire o ero semplicemente triste, mi mettevo in disparte, laddove nessuno potesse disturbarmi. Lì, nel silenzio della sera o della notte solitaria, mi sistemavo di norma davanti al camino, in mezzo al giardino o nel bosco e mi guardavo intorno. Apprezzavo la pace di poter assaporare un momento intimo. Tiravo fuori il mio accendino da collezione, il mio preferito, con cui accendevo la Marlboro di turno.
Era la sigaretta più lenta della giornata, era un rito. La usavo per fare il punto della situazione, una scusa per prendere una pausa dal mondo senza cellulari, computer o tecnologia intorno a me.
Nella pace della notte era tutto buio e io potevo vedere solo il rosso del tabacco che bruciava e la luce della luna e delle stelle.
Nessuno poteva giudicarmi o farmi stare male in quei momenti.
Potevo godere di ciò specialmente in estate, durante l'inverno facevo la stessa cosa, ma appoggiata alla finestra o sotto ad un ombrello a causa della neve e del maltempo.

Chiamavo quel momento "la sigaretta catartica". Il che è ridicolo dato che la sigaretta effettivamente ha l'effetto direttamente opposto alla catarsi. Non ti purifica, casomai di insozza ancora di più.

In questo modo allentavo la pressione e le aspettative che gli altri riponevano in me e prendevo fiato da questo mondo malsano.
Tutto ciò è stato possibile nel periodo in cui ho potuto assaporare la vita solitaria, senza famigliari o compagni, dopo i diciannove anni.

Nel 2013 mi fidanzai e presto andammo a convivere per questioni prevalentemente finanziarie. Anche lui era un fumatore, quindi per il primo anno insieme casa nostra sembrava un posacenere. La cosa mi faceva incazzare non poco data la mia fissazione per la pulizia e l'ordine. Fatto sta che assentarsi quella mezzora/ora quasi tutte le sere per fumarsi le sigarette in giardino era divenuto problematico.
Era bello perché nessuno sapeva cosa facessi in quei momenti, finché nessuno richiedeva la mia compagnia. Non potevo di certo lasciare solo il mio fidanzato ogni sera per una sigaretta e qualche elucubrazione del cazzo. Inoltre mi sentii improvvisamente in imbarazzo quando una sera lui mi chiese cosa andassi a fare in giardino "per davvero". Era una cosa effettivamente difficile da comprendere "la mia ragazza la sera esce di notte senza cellulare nei boschi, con uno zippo e un pacchetto di sigarette e torna dopo più di un'ora mentre io la aspetto a casa come un coglione".
Io di norma passeggiavo e poi mi fumavo una sigaretta prima di tornare, così razionalizzai e gli spiegai la situazione. Mi chiese se poteva venire anche lui, ma rifiutai perché la sigaretta catartica era tale solo se fumata in solitudine. La sua espressione mi fece capire quanto fosse egoistica la mia richiesta. È vero, a volte avevo bisogno del mio momento di solitudine, ed è una necessità umana più che condivisibile, ma dopo un intero giorno a non vedersi per lavoro, commissioni eccetera, le 2-3 ore che avevamo la sera per mangiare e stare in compagnia le volevo usare per fumare nei boschi?
Inoltre quei momenti di riflessione giungevano spontanei, liberi e fluenti. Non erano cose organizzate o scandite da tempi precisi, oltre al fatto che spesso erano momenti in cui riflettevo su cose negative, quindi con l'arrivo di un ragazzo che mi rendeva felice e una vita più tranquilla, quel bisogno divenne sempre meno frequente.
In questo modo piano piano persi quell'abitudine e le sigarette alla fine divennero una cosa piuttosto fastidiosa...

La casa puzzava anche se non fumavamo più al suo interno. Purtroppo la semplice presenza di noi fumatori al suo interno la faceva puzzare di fumo. Eravamo individui fortemente accaniti e di conseguenza mi resi conto che i nostri vestiti puzzavano di fumo. Le nostre mani puzzavano insostenibilmente di fumo. I miei capelli puzzavano di sto cazzo di fumo. Li lavavo quasi tutti i giorni, anche se erano lunghi, perché cominciavo ad odiare quell'odore e ad ogni movimento lo avvertivo di nuovo.
Al mattino mi sentivo la bocca come un posacenere anche se mi ero lavata i denti prima di dormire. Il cuscino puzzava di fumo, le lenzuola anche. Stava diventando per me un'ossessione e motivo di angoscia, e ciò era destabilizzante per me dato che prima la consideravo una fonte di catarsi.

Le persone che venivano a trovarmi in casa dicevano che non sentivano la puzza di fumo di cui parlavo, il mio fidanzato diceva di non sentirla, ma io probabilmente ero troppo fissata per crederci.
L'idea che poi dovessi per forza fumare per stare bene, mi rendeva ansiosa.
Insieme decidemmo di smettere di fumare, usando però un surrogato per i primi tempi in modo di non affrontare una traumatica interruzione improvvisa. Usammo quindi la sigaretta elettronica per perdere il contatto con il fumo e dopo qualche mese potei dire di esserne davvero uscita, scalando la nicotina a poco a poco.

In realtà, per quanto fossi d'accordo con lui, l'idea di smettere non era nata da me. La aveva proposta lui, un giorno di luglio, mentre tornava da lavoro. Io lo appoggiai perchè riflettendoci, era la cosa migliore e in due sarebbe stato più semplice perchè ci saremmo sostenuti a vicenda.
Tuttavia per anni ho ripensato a quei momenti sotto le stelle, alla sigaretta catartica, rendendomi conto che un po' mi mancava quella sensazione atavica di passeggiare nella natura con il fuoco di un accendino come unica fonte di luce. Era qualcosa di speciale che con la sigaretta elettronica non si poteva riprodurre.

In totale non fumai per oltre 7 anni. Durante quel tempo stetti con lo stesso ragazzo, sempre colui che mi aveva convinta a dare un taglio alle sigarette, alla mia vita di autodistruzione e ai miei eccessi. Descritto così potrebbe sembrare che io stessi davvero con un bravo ragazzo, un pezzo di pane che ci teneva a me e alla mia salute.
No, credetemi, era un coglione e niente di ciò che mi spinse a fare era per farmi stare meglio. Ma questa è un'altra storia.

Poi, un bel giorno, in seguito ad un burnout e ad un esaurimento nervoso nel giugno del 2021, mi resi conto che non mi interessava un cazzo di niente e di nessuno e che anzi, a fare una vita ligia al dovere nel rispetto dei desideri altrui, mi aveva solo reso frustrata, ipercritica e intollerante.
In seguito all'ennesima rottura di coglioni da parte di un partner che chiaramente non mi amava, ma che aveva paura di perdere un buon partito, un ottimo appoggio finanziario e tanti comfort, lo mandai a zappare in Burundi e ricordo bene la sensazione di quando, restituendogli l'anello mentre se ne stava spaparanzato sul divano a giocare a scoppiare le bolle con lo smartphone (sì, questo coglione non si è nemmeno alzato mentre gli dicevo che volevo porre fine alla storia e annullare le nozze), mi diressi verso la porta d'ingresso del mio appartamento e una volta fuori, sentii fortissima l'esigenza di fumare una sigaretta.
C'è da considerare che sicuramente una dipendenza psicologica da nicotina sia la causa scientifica di questo bisogno. Tuttavia non fu semplicemente questo.
Penso che a livello istintivo in quella circostanza io stessi ricercando me stessa, la vera me stessa, sepolta sotto a sessanta ore di lavoro settimanale, tre settimane di ferie all'anno, la vita salutare fatta di piatti genuini e palestra (l'ameba aveva dedicato una stanza del mio appartamento appositamente alla palestra), la gestione di due ditte, due immobili, una famiglia e sticazzi in colonna. E per assurdo, la prima immagine autentica di me stessa che mi venne in mente fu proprio me, sulla pista ciclabile che taglia il bosco di fronte alla mia casa, col volto alzato verso il cielo e una sigaretta in mano.
Non volevo tornare ad una vita di eccessi, ma presa da quello stordimento emotivo, andai a casa di una mia amica e le chiesi se potessi scroccarle una sigaretta. Per quattro minuti, sentii di essere tornata in me.

Non ho mai ripreso a fumare un pacchetto di sigarette al giorno, non ne sento minimamente l'esigenza. Attualmente ne brucio un massimo di quattro al giorno e almeno una di esse deve essere la mia catarsi. Semmai dovessi sentire l'assenza di questa sensazione, penso che smetterò perchè non vedo altri lati positivi nel fumo (oltre al fatto che mi aiutano con la colite ulcerosa, ma anche questa è un'altra storia).
Così la sera mi ritrovo da sola in terrazza con le gambe sul tavolino a fissare le fasi della luna e dopo qualche minuto arriva il mio nuovo compagno. Mi si avvicina lentamente come farebbe un'antilope con un leone e si ferma di fianco a me. Non dice niente, anche se ogni tanto mi fa girare le palle perchè mi prende la sigaretta e fa due tiri (il taccagno non vuole comprarsele e le Marlboro rosse sono troppo forti per lui, allora mi scrocca tre tiri a sigaretta).

Nonostante a volte vorrei buttarlo giù dalla terrazza, non mi irrita come il mio vecchio compagno. Rispetta i miei momenti di silenzio e forse è per questo che respira ancora.
È strano che dopo tutto questo parlare di fumo, non ne abbia voglia. Forse è la dimostrazione che non è la nicotina in sè ad attrarmi, quanto quel momento di introspezione che adesso ho sfogato con la scrittura.
Grazie per aver letto fino a qui.
  
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