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Autore: ElenoraBumBum    12/06/2023    0 recensioni
Completamente esasperato da tutto, sospiro: «Prima o poi me ne andrò da qui». Ne sono certo, mi lascerò questa vita assurda alle spalle e troverò qualcosa di meglio. Una casa migliore, un lavoro migliore, magari pure qualcuno con cui condividere la mia nuova vita. Qualcuno che scelga di stare con me, non che venga obbligato. Qualcuno che io possa veramente considerare famiglia.
«E perché?»
«Ma come perché? Dammi un solo buon motivo per restare». E ce l’avrei pure, ce l’ho davanti e occupa tutto il mio campo visivo visto che è gigante quanto il massiccio del Monte Bianco, ma ogni giorno che passa diventa sempre più difficile gestirlo e a volte la spina va staccata. Anche se non sembra, ce l’ho ancora un po’ di amor proprio.
Neanche mi avesse letto nel pensiero, sorride e sussurra: «Dalle altre parti non ci sono io».
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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12 – Clown e Fanboy

Trattengo uno sbuffo, perché non ne posso più.
«Se mi puoi dare anche una coca cola…» strilla la signora di fronte a me. «Sai, per la bambina…» aggiunge, indicando con gli occhi quella piccola seguace di Satana che si porta appresso.
«Nessun problema» rispondo, battendo sulla cassa e forzando i muscoli facciali a fare l’ennesimo sorriso mentre le passo lo scontrino. Nella prossima vita mi voglio svegliare minatore, nessun rapporto col pubblico.
«Per Renatino!» mi dice Eli, di sfuggita, piazzandomi in mano un piatto col cinghiale in umido. Abbasso lo sguardo, osservo con estrema compassione quel che rimane di quella povera bestia e faccio un flebile sospiro di commiato, prima di sgusciare davanti al bancone e raggiungere Renatino che sta avendo il time of his life stasera. Non si è alzato una volta, si è fatto servire e riverire, ha trangugiato tutto quello che gli veniva messo davanti e ha vinto una di quelle tv piccole da mettere in cucina nella mezza bisca clandestina che ha organizzato al suo tavolo.
«Oh, grazie, Gianni!» esclama non appena mi nota, agguanta il piatto e si avventa su una generosa forchettata appena presa. 
«Figurati» rispondo, il sorriso ormai fossilizzato.
Faccio per voltarmi e tornarmene al sicuro dietro la mia cassa, ma lui interrompe la mia fuga bofonchiando a bocca piena: «Menomale che ci siete voi giovani!». Sbarro gli occhi e obbligo il mio cervello a cancellare la scena del vecchietto panzone che si pulisce il baffo con uno sventurato tovagliolo di carta. «Se non le portate avanti voi le tradizioni…!» continua, tirandomi una bella manata unta sulla spalla. L’unica cosa di cui sono grato per stasera: la maglietta che indosso mi è stata fornita dalla pro loco e verrà incenerita nell’esatto momento in cui questa tortura troverà la sua naturale conclusione.
«Eh, già…» mi limito a soffiare.
«Sai, quando avevo la tua età avevo due passioni: le donne e le sagre. Me le facevo tutte!» esclama, fierissimo, scoppiando a ridere subito dopo. Aiuto, uccidetemi, adesso. «Eh, ma adesso non si fa più come una volta!»
«Direi…» provo a dire.
«Ormai siete tutti… liquidi». Oh, porco cazzo. Ritento una fuga, che fallisce miseramente col suo braccio attorno alle mie spalle e la sua manaccia ancora sulla mia maglia. Per favore, fammi andare via. «Ma fate bene, fate bene…! L’importante è divertirsi, dico bene?» domanda, allegro e probabilmente un po’ brillo. Non mi dà nemmeno il tempo di rispondere, che fa da solo: «Bravo, bravo, Gianni, dai, ti lascio che c’hai da fare!». 
Mi dileguo alla velocità del suono, tirando un sospiro di sollievo e asciugandomi la fronte da quello che spero sia il mio sudore e non quello di qualcun altro. Appena ritorno alla cassa, allungo un braccio verso la cucina e quasi immediatamente mi ritrovo la mano occupata da un bicchiere di vino rosso, a sto punto doveroso. Noto che di fianco al vassoio delle monete ce ne sono già tre vuoti, di bicchieri, ma faccio spallucce. Credo di essermeli meritati, no?
Mi prendo due secondi per sorseggiare il mio nettare degli Dei e faccio scorrere lo sguardo per tutta questa platea di gente. Sono venuti pure mamma e papà, chissà che perverso piacere avranno provato a farsi servire dalla propria prole. Poi assottiglio gli occhi e punto tutta la mia attenzione all’entrata, perché non riesco quasi a crederci. E, invece, eccoli lì. L’unica gioia della serata. La testa riccia di Francesco sta ridendo con Aurora, dietro di loro, con una faccia da omicida che sta premeditando un delitto, Lorenzo si strascina svogliatamente. E al suo fianco passeggia contenta Rebecca con un sorriso talmente bianco da essere accecante. Grazie mille, allineamento astrale, grazie ancora per aver reso possibile questo miracolo. Imbastisco il migliore dei sorrisi sarcastici e faccio “ciao, ciao” con la mano verso le mie persone –momentaneamente– preferite. Prima vengo notato da Fra e Auri, che subito cambiano la loro rotta nella mia direzione, ma solo quando il mio sguardo incrocia quello di Lori il mio sorriso si allarga ulteriormente. Mi scocca un’occhiataccia e rotea gli occhi al cielo e il mio godimento non fa che aumentare.
«Ciao!» esclama Auri, appena mi arrivano di fronte.
«Buonasera…!» rispondo, contento, poi mi rivolgo direttamente alla nuova arrivata. «Noi non ci conosciamo, piacere, Gianluca» mi presento raggiante, tendendo una mano verso di lei. 
Lei mi sorride di rimando e fa per dire qualcosa, ma il suo cavaliere sbuffa e la precede, brontolando: «Non toccarlo, che ti contagia. Bisogna stare lontani dagli animali selvatici»
«Dai, non essere antipatico!» ribatte lei, al che lui incassa ritrae ancora di più il collo. «Rebecca, piacere mio» mi dice, cordiale, stringendomi la mano. 
«Dov’è Eli?» chiede Fra.
«Eh, quest’anno l’hanno piazzata in cucina, se provo a chiamarla mi stacca la testa»
«Ah, vabbè, allora niente»
«Massì, tra un’oretta ci cacciano che la situa si stabilizza e rimangono gli altri, poi vi raggiungiamo» lo rassicuro, con un gesto della mano.
«Noi andiamo a cercare un posto, vuoi venire con noi? Così Lori prende da bere» propone Auri a Rebecca. Lei accetta di buon grado, allontanandosi con gli altri due e lasciando me e Lori soli. Appena mi assicuro che siano abbastanza lontani, scoppio a ridere perché mi sono trattenuto fin troppo.
«Cazzo ridi…» borbotta lui. Provo a smettere, ma è ancora presto, devo sfogarmi un altro po’. «Brutta faccia da culo, piantala. Fra e Auri ci hanno incastrato»
«Oh, Lori, davvero, non potevi farmi regalo più grande…» esalo, sventolandomi le mani sotto gli occhi per asciugarli. 
«Ammazzati»
«Potrei anche farlo, guarda»
«Eh, allora mettiti all’opera, testa di merda» continua, arrabbiato, prima che un colpo di tosse alle sue spalle lo faccia voltare.
«Volevo ordinare…» accenna Enzo, al che mi ricompongo un secondo e recupero un minimo di serietà.
«Certo, certo, dimmi tutto» rispondo, pronto con una nuova comanda. 
«Sì, dammi la grigliata mista… anzi fanne due, con quattro porzioni di patate… e fai pure due litri di rosso che quello scende bene» elenca, guardando il menù. Batto lo scontrino, lui mi allunga un paio di banconote e rifiuta il resto annuendo con la testa, l’espressione di chi si sente magnanimo. Vabbè, almeno due spicci di mancia. Lo ringrazio, infilandomi i soldi in tasca, gli passo lo scontrino e lo saluto.
«Apperò, il vecchio ci dà giù, eh» commenta Lori quando Enzo si volatilizza verso il punto di ritiro. 
«Bah, tutto quel colesterolo gli farà venire un infarto» borbotto, a bassa voce, scrollando le spalle. «Comunque, non sembra male, Rebecca.» gli dico, con un sorriso. Lo prendo spesso per il culo, la maggior parte delle volte se lo merita anche, ma so anche essere in grado di sostenere gli amici. «Se ti piace, tienitela stretta». Sospira e distoglie lo sguardo. Ovviamente, figuriamoci se è in grado di processare una quantità tale di sentimenti. 
«Grazie» sussurra, incassando per bene la testa tra le spalle. Lo lascio in pace, questa sarà una serata difficile per lui, non c’è bisogno di aumentare il carico emotivo. «E tu il tuo principe azzurro dove l’hai mollato?»
«Che principe azzurro?» chiedo, parecchio confuso.
«Ma come, pezzo di cretino? Jacopo, no?» risponde, come se mi avesse rivelato che l’acqua calda è effettivamente calda. Faccio una smorfia. Era da almeno un quarto d’ora che non ci pensavo ed eccolo che torna a occupare tutto il mio cervello, bestione che non è altro. 
«È da Quinto» mugugno. Se la starà spassando a mangiare roba degna di nota e a bere vino di un certo spessore, in attesa che la serata prenda una piega ben più positiva di una buona cena. Bastardo fortunato. E voleva anche che io credessi a quell’assurdità di lui omosessuale. Ma per piacere.
«E conclude secondo te?» continua Lori. Infierisce pure, l’infame. 
«Ovvio che conclude, ma l’hai visto?» ribatto, roteando gli occhi al cielo. Che serata di merda. 
«E che ne so, Gian, non è territorio di mia competenza.» mi risponde, facendo spallucce. «E comunque, se vuoi davvero convincermi che Jacopo non ti piace, fare sta scenata di gelosia da frocio isterico non porta acqua al tuo mulino»
«Non dovevi cambiare per Rebecca?» domando, un po’ offeso. Più dal fatto che ha parzialmente ragione, che dall’insulto. Non dovrebbe importarmene, dovrei al massimo essere felice per lui, che si trovi qualcuna, che occupi il suo tempo, che sia riuscito a sfuggire a questa violazione dei diritti umani. E invece, no. Invece vorrei che fosse qui a stracciarsi i coglioni, a mangiare il capriolo con ancora il proiettile nella carne e a sorbirsi tutte le domande di questa orda di vecchietti impiccioni. Vorrei che fosse qui con me. 
«A volte fa bene rispolverare le vecchie abitudini»
«Ordina da bere e vattene, prima che ti becchi un cazzotto» brontolo. Tutto il supporto che potevo dargli se l’è giocato. Ridacchia, ordina e cerca pure di scroccarmi i quattro bicchieri che sta prendendo. Quando se ne va, scolo quel che rimane del vino di prima. Perché almeno mentre lavoro, vorrei evitare di pensare a Jacopo. 
~
Che serata infernale. Che serata di merda. Voglio andare a casa e far finta che tutto questo non sia mai successo. Ho una fame che non ci vedo più, visto che le cose più vicine a un vegetale che la cucina abbia visto erano le patate fritte direttamente nello strutto, ho una corporatura troppo minuta e lo stomaco troppo vuoto per smaltire correttamente tutto il vino che ho bevuto, sono entrato in contatto con troppa gente e la maggior parte potrebbe benissimo finire nell’iperspazio che sarei solo contento, sono sudato marcio dalla testa ai piedi, la maglietta grondante di sudore, unto e altre schifezze varie –tra cui la cinquina rossa di Renatino– ed è tutta la sera che sto sound system di Cristo sta sparando a tutto volume i classici italiani e le mie orecchie ne hanno avuto abbastanza. In cima a tutta questa bella montagna di sterco fumante, il fatto che abbia passato tutta la cazzo di sera a pensare a quel coglione gigante non ha per niente aiutato. Insomma, sono devastato. Fisicamente, mentalmente, in qualunque modo. Voglio solo andare a dormire e resettare il tutto.
«Ah, che bello che lavorate assieme» dice Rebecca a me ed Eli. Lei sembra una persona normale, stranamente Lori ha avuto un minimo di buon gusto. Non le do l’attenzione che vorrei, troppo impegnato a reggermi una guancia con una mano e a guardare la chat di Jacopo sperando che risponda all’ultimo messaggio che gli ho mandato. Che ridicola ragazzina del cazzo. Ma posso mai fare così? Tra l’altro ho la piena consapevolezza che probabilmente starà scopando con la sua collega e io sarò proprio l’ultimo dei suoi pensieri in questo momento. Anzi, non ci sarò proprio nei suoi pensieri. La cosa mi distrugge, ho lo stomaco talmente inacidito che tra un po’ l’ulcera sarà d’obbligo. Giuro, sono sul punto di richiedere l’eutanasia.
«Gian stasera è in un altro posto…» accenna Lori, ridacchiando. «Nelle mutande della sua cotta». Sospiro, non ci credo. 
«Come, scusa!?» sbotta Fra ad occhi sbarrati.
«Massì, Fra, Jacopo, non lo vedi tutto sbrilluccicoso per lui?» gli risponde Lori, al posto mio. Questa frase non ha senso. Vabbè, faccia tutto lui comunque, io non ce la faccio.
«Ma sei una merda! Lo vai a dire a Lorenzo e non a me!?» mi aggredisce Eli, dandomi anche un pugno sulla spalla. 
«Io non ho detto proprio niente, è quello che si fa i viaggi mentali…» brontolo, massaggiando il punto colpito. 
«Seh, vabbè, Gian, continua a mentire a te stesso» mi liquida Lori, scuotendo la testa. 
«Minchia, lo sapevo. Lo sto dicendo da quando vi siete conosciuti, ti ho beccato subito. Quante ne so…» esala Eli, vittoriosa. «Auri, che ti avevo detto? Questo ci sta sotto peggio di un gatto investito»
«Wow, Gian, pensavo sarebbe passata un’altra era geologica prima di vederti di nuovo interessato a qualcuno…» asserisce Fra, decisamente incredulo.
«Raga, non è niente di serio…» provo a dire, in modo che l’argomento si sposti su qualunque altra che cosa non siano i miei fallimenti sentimentali.
«Ma vaffanculo…» ulula Lori.
«Cazzo di clown» mi dice Auri, guardandomi dritto negli occhi. 
«Solo un clown? Non hai capito, sto stupido è l’intero circo»
«Popi popi» aggiunge Eli. Roteo gli occhi al cielo e riappoggio la guancia sulla mano, sospirando nuovamente.
«E lui?» mi chiede Rebecca, che almeno non è una scimmia urlatrice come gli altri commensali a questo tavolo.
«Vabbè, lui è figo, niente da dire su questo» si intromette Eli, con un pollice in su di apprezzamento, mentre Auri passa il telefono a Rebecca, probabilmente per mostrarle una foto. La guardo scrutare attentamente lo schermo, poi penso che l’approvazione di una ragazza mezza sconosciuta non cambi la situazione tremenda in cui mi sono cacciato. 
«Tanto chi mi si incula» mormoro, scoraggiato. In tutti i sensi, ma evito di dirlo. Prendo un altro sorso di vino, tanto la serata è andata in vacca così. Stanco, depresso e anche un po’ sbronzo. 
«Ma lo sa che ti piace?»
«Ma figurati, manco morto che mi dichiaro, piuttosto mi impicco…» borbotto. «Tanto è etero, mo’ si mette a trombare con la sua collega e io rimango triste e solo come un cane come al solito, che gran novità…» continuo. C’è un momento di silenzio generale. Ci fosse stato Jaco, avrebbe sdrammatizzato con una battuta da asilo, oppure si sarebbe accollato come al solito. Quasi mi viene da piangere. Evito di mostrare le mie vulnerabilità in questo contesto totalmente sbagliato dando fondo al bicchiere e deglutendo il magone mischiato col rosso.
Incredibilmente, dopo un primo stupore, tutti provano a dire qualcosa di confortante. Persino Lori, che solitamente è il primo a buttarla in caciara, riesce a rimanere un minimo serio e questo è il segnale definitivo che ho toccato il fondo. Nonostante questo pantano di emozioni negative, però, tutto il vino in circolo mi fa sorgere un mezzo sorriso. Almeno ci stanno provando e non è che ci stiano proprio riuscendo, ma perlomeno non mi stanno prendendo in giro come fanno di solito. A volte li sottovaluto.
Dopo questo momento di totale depressione, riesco a spostare l’argomento su altro e di nuovo rimango solo coi miei pensieri. Beh, “solo” per modo di dire. Non ci posso credere. Ma veramente sono rimasto così sotto a Jacopo? Abbasso lo sguardo verso lo schermo del cellulare. Niente risposta, l’ultimo accesso due ore fa. Sospiro e mi mordicchio la guancia. E ora che faccio? Escludendo Vincenzo, non mi era mai essenzialmente capitato. E con Vincenzo è stato più semplice: siamo finiti su due galassie differenti, quindi dopo esserci rimasto di merda per i primi tempi, me ne sono fatto una ragione, ci ho messo una pietra sopra e sono andato avanti. Come potrei liberarmi di Jaco? Non sono nemmeno sicuro di esserne in grado. Già lui è una piovra di per sé, io non sono il tipo da fanculizzare le persone e, poi, mi piace. Aldilà del senso romantico della parola, mi piace stare con lui, passarci del tempo, cazzeggiare a casa sua. È una brava persona e privarmene solo perché mi son preso sta mezza sbandata sarebbe piuttosto stupido.
Sono ancora preso dalle mie paturne mentali quando alla mia destra sento un poderoso “gasp” e il gomito di Lori mi si pianta nel fianco, facendomi sobbalzare dalla sorpresa. Mi volto verso di lui di scatto, pronto a staccargli il braccio, ma lo vedo con gli occhi sbarrati farmi un cenno con la testa verso un punto della sala; seguo la direzione del suo sguardo e la mia mascella cede. Sbatto le palpebre un paio di volte per essere sicuro che l’alcol non mi faccia avere delle allucinazioni e chiudo la bocca, giusto perché la faccia da pesce non mi rende giustizia. Camminando verso di noi, Jacopo sorride tranquillo, per una volta mi ha ascoltato e non è andato nel ristorante più bello e costoso della zona vestito di merda, mettendosi una camicia bianca che ha pure infilato nei pantaloni neri, la cintura e le scarpe in pelle sempre nera, una mano è impegnata a tenere una busta di plastica, mentre l’altra rimane in tasca fino a che non mi vede e allora la alza per farmi un cenno veloce. Ma che cavolo ci fa qui?
«Ciao» mi dice, pacato, appena arriva esattamente alle spalle di Eli seduta di fronte a me.
«Hey» rispondo, piuttosto confuso, cercando di ignorare le cinque paia di occhi inquieti che ci stanno fissando. Complimenti per la discrezione, raga, non sforzatevi così tanto. 
«So che sono arrivato tardissimo, ho finito dieci minuti fa… e non ti ho neanche più risposto, mi è morto il telefono, scusami tanto…» spiega, con un’espressione colpevole. «Ti ho portato la cena, però!» esclama, poi, alzando la busta di plastica che teneva in mano.
«Come?» non riesco a fare a meno di chiedere, sbigottito. Sicuro sono svenuto e questo è un sogno alcolico.
«Sì, avevo visto il menù di stasera e so che molto probabilmente non avresti mangiato niente, ti ho preso una cosa» risponde, porgendomi la borsa. La prendo col cuore pronto a collassare, il cervello già morto. Lo sento salutare gli altri, mentre io continuo a fissare le vaschette di cartone brandizzate Quinto senza riuscire a partorire nemmeno un pensiero. «Arrivo subito, vado un secondo a prendere da bere» mi avverte. A queste parole, i miei neuroni –aiutati anche dal calcio allo stinco che mi tira Eli– rilasciano una scarica elettrica che un po’ mi sveglia e cerco di mettermi in piedi quasi ribaltandomi giù dalla panca.
«No, no…» mormoro, facendo il giro del tavolo e quasi cappottandomi quando arrivo di fronte a lui.
«Tutto ok?» chiede, con un’espressione divertita, tenendomi per un braccio. «Sembri ubriaco…»
«Lo sono» confermo. «Te ne prendo io, che vuoi? Vino va bene?»
«Ma figurati, vado io, tu sarai stanchissimo, tra un po’ manco stai in piedi…» ribatte.
«Non c’è problema, sul serio» lo interrompo, ridandogli la borsa. Quando mi incammino verso la cucina lui fa per seguirmi, al che lo guardo interrogativo. «Siediti…»
«Ti accompagno» risponde, appoggiandomi una mano sulla spalla. Stringo le labbra, mi impongo di non farmi domande e riprendo il mio percorso verso la cucina.
«Rosso o bianco?»
«Bianco, se riesci» dice, rimanendo appena fuori dal tendone quando io mi avventuro per prendergli questo bicchiere di vino. E anche una forchetta per me. 
Mi perdo un secondo perché mi suona il telefono, lo prendo, rispondo e sento un’adirata Elisa gridarmi: «Prova a tornare qui e ti ammazzo!»
«Eh?»
«No, vabbè, questo è rincoglionito…» brontola. «Andate fuori, non tornare qui in mezzo a noi, ma sei scemo!? State da soli!»
«Ah… ok…» esalo, non proprio convintissimo. Mi insulta di nuovo e mi sbatte il telefono in faccia, io prendo un respiro profondo, cerco di racimolare qualche punto di QI perso e torno da Jaco che mi aspetta con uno sguardo curioso. «Ti va se prendiamo una boccata d’aria?» provo a domandare, dandogli il bicchiere. Annuisce, con un sorrisone e mi segue mentre mi faccio strada per uscire da qui. 
L’aria fresca della sera mi dà una botta d’ossigeno e mi incammino verso i tavoli da picnic dei giardinetti comunali, mi siedo direttamente sul tavolo e appoggio i piedi sulla panca, perdendomi a osservarlo mentre mi passa il cibo e si accomoda di fianco a me. È vestito proprio bene stasera e sarà l’alcol o non so, ma riesco pure ad apprezzare il tocco tamarro della collanina d’oro che si è messo. E ridacchio ripensando a come sono conciato io. Il ricco e il povero, veramente.
«Lì dentro ci sono la quiche alle zucchine… un cannolo siciliano salato e le verdure al forno con… non ricordo cosa» mi spiega, grattandosi la testa.
«Va benissimo, grazie mille» rispondo, aprendo un cartone a caso. «Dimmi poi quanto ti devo…»
«Nulla, non ti preoccupare» ribatte, con un sorriso, mentre addento un pezzo di quiche. Temporeggio due secondi perché per le mie povere sinapsi queste tre informazioni sono il colpo di grazia finale. Cibo, sorriso e generosità, potrei morire adesso.
«Non mi freghi, so quanto costa la roba da Quinto, hai speso un’esagerazione»
«Gian, lascia stare, te le ho portate io queste cose, non me le hai mica chieste tu…» borbotta. 
«Grazie» sussurro.
«Non c’è problema» dice, poi si passa una mano nei capelli e piega la gamba per prendere la busta di tabacco dalla tasca. So che molto probabilmente la risposta che riceverò non mi piacerà, ma la curiosità è troppa, quindi rivolgo lo sguardo a un punto indefinito e mi faccio coraggio.
«Com’è andata?» 
«Bene, dai, ho preso un risotto veramente ottimo»
«E con la tua collega?»
«Ah, boh, niente, è simpatica, ma non è super sveglia. Possiamo essere amici, ma ovviamente non sono interessato a nient’altro» asserisce, scrollando le spalle e accendendo la sigaretta. Ah. Ok, non me l’aspettavo. Sospiro, con un macigno in meno sullo stomaco. Stupido ritardato geloso che non sono altro. Ormai mi sto rassegnando. L’unica cosa utile che hanno saputo fare quei fenomeni: aprirmi gli occhi.
«Poverina, però, avete avuto un appuntamento in un posto top e tu la smolli la prima volta che uscite»
«Che ci posso fare? Almeno sono stato subito onesto. E ti giuro che sono stato il più carino possibile». Non lo metto in dubbio, non sarebbe in grado di ferire nessuno, è troppo buono. «Poi mi sembrava di averti già detto che le donne non mi interessano e che mi piacciono i ragazzi, come potevi pensare che potesse piacermi…?»
«Tu la devi piantare con sta storia» brontolo. Sono troppo stanco e scombussolato per pensare anche a questa pagliacciata. 
Ridacchia e mi mette una mano sulla testa. «E a te com’è andata la serata?» domanda, dandomi una carezza sui capelli.
«Oh, guarda…» inizio. «Una merda. Sono cotto, sudato, unto, faccio schifo, odio tutti e se non fosse per te e le cose che mi hai portato, starei morendo di fame e, come hai notato, sono anche piuttosto ubriaco dato che ho passato tutta la sera a bere.»
«Un successone, quindi…» mi provoca, con un sorrisetto di scherno, poi mi passa il braccio attorno alle spalle e sfrega la mano sul mio bicipite. 
«Non prendi sul serio le mie parole. Faccio cagare e la maglietta pure peggio, non mi toccherei fossi in te»
«Che esagerato che sei, non fai cagare, dai» mi rimbrotta, stringendomi ancora di più. 
«Hai la camicia più bella del tuo armadio, non rovinarla così»
«Non rompere, Gian, che mi importa della camicia? Voglio solo abbracciarti. Tu piuttosto dovresti ringraziarmi per il supporto morale»
«Non ne ho bisogno» brontolo.
«Hai passato una pessima serata, certo che ne hai bisogno». Sbuffo e continuo ad abbuffarmi, perché, tra tutte le cose su cui potrei concentrarmi, decido di farlo sul cibo che mi sembra l’alternativa più sicura.
Appena ripulisco anche l’ultimo piatto, tiro un sospiro di soddisfazione e mi do una pacca sullo stomaco. 
«Va meglio?» mi chiede, guardandomi comprensivo. Annuisco, contento, mentre sento salire il sonno. 
«Madonna, sono distrutto» mugugno, chiudendo gli occhi per un secondo. 
«Purtroppo non ho un cuscino dietro»
«Peccato…» rispondo. Quasi d’istinto e senza alcun ragionamento logico, inclino la testa e appoggio la guancia sulla sua spalla, sentendo il tessuto liscio della camicia contro il viso, il suo profumo nelle narici e il suo pollice iniziare ad accarezzarmi il braccio. 
«Sono comodo?» mi chiede, poi, ridacchiando.
«Meglio di niente» rantolo. «Se ti do fastidio mi levo, eh»
«Stai, stai…» ribatte, facendo una mezza culata verso di me. Rimango immobile per un po’, rimuginando meglio sul fatto che non è stata la migliore delle idee appiccicarmi a lui visto che mi prenderò una cartellata in faccia di proporzioni epiche, però ormai son qui e più passa il tempo, più sembrerà stupido togliersi.
Una delle cento canzoni di Vasco Rossi che ho sentito stasera giunge al termine e, dopo due secondi di dissolvenza, sento partire “Come mai” di Max Pezzali.
«Uh, bella questa!» esclama Jaco, elettrizzato.
«No, dai, Jaco, non gli 883»
«Non mi toccare Max Pezzali, guai a te» ribatte, mettendosi poi a cantare.
«Non ho parole» commento, scuotendo la testa. In tutta risposta, lui inizia a ciondolare a destra e a sinistra seguendo il ritmo della canzone, senza sbagliare una sola parola del testo. Madonna, che fanboy.
La canta tutta, continuando a dondolarci, mentre io rido tutto il tempo, perché mi fa sbragare. Non ci credo che mi sto innamorando di un cretino del genere. 
«Sei veramente ridicolo» borbotto a una certa. 
Non mi risponde, ma si volta verso di me, mi prende le guance tra le mani e porta il viso a un soffio dal mio, facendomi prendere un colpo, tra l’altro. E guardandomi dritto negli occhi, strilla l’ultimo ritornello: «Dimmi come mai, ma chi sarai per fare questo a me? Notti intere ad aspettarti, ad aspettare te… Dimmi come mai, ma chi sarai per farmi stare qui? Qui seduto in una stanza, pregando per un sì…». Quando durante la parte strumentale mi scuote la testa avanti e indietro, io rido ancora. Chi se lo sarebbe mai aspettato che mi sarei rispecchiato così tanto in una canzone di Max Pezzali.
   
 
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