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Autore: Cladzky    12/06/2023    1 recensioni
Leggendo l'Eneide l'autore si addormenta e finisce in un terribile oltretomba scritto in terzine ma anti-Dantesco, dove non sono i morti a essere puniti, ma i suoi peccati letterari. Il buon Virgilio, come al solito, recupera la sua funzione di guida in questo inferno laico, traghettandolo da un'anima furiosa all'altra, pronta a randellarlo. Un'opera per ridere, ma anche di riflessione interiore e soprattutto di insulti, piena di personaggi storici.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CANTO XVI - Ove l’autore è buttato nella struttura correttiva

 

Quanto caddi io non saprei ben dire

Forse per sorpresa o verace fondezza

Un'or credetti star per l'aire

 

Che quasi a ciò mi feci avvezza.

Infin toccai un morbido fienile

Che mi stranii sì tanta dolcezza

 

Ignar che tanto usarmi gentile

Era sol a tenermi le carni per poscia.

"Chi qui abbiamo, o alma da vile?"

 

Chiesesi voce ch'io vidi le coscia

E poi a trarmi il resto il seguiro

Con fattezze di chi lo spirto fa moscia.

 

Femmina l'era, ma di sì un cupo giro

Credetti fosse de Malebranca canaglia:

Rosso vestito gambe lascia a tiro

 

E li occhi lanciavan empie avvisaglia.

"Insomma, chi ci mandò Gennadio?"

Ripete e inveisce con una tenaglia.

 

"De Parma io son, de giovenile stadio"

Tutto il cridai per non farmi colpire

"E giongo seco rifiuto d'Arcadio

 

Poiché dicono che le di vostre ire

Più savio possan farmi l'indomani."

"Allor tu s'alza" riprese e le pire

 

Seguimmo per mesti e orrendi vani

Che sonavan di pianti e stridor di denti.

"Qui tu'l vedrai chi ha più giocondi piani

 

Misurati a chi dole in eterni tormenti."

Giugnemmo a un loco ch'era una sede

De lezion quali si vedrebbero solenti

 

A Pisa che alla sua Sapienza vede

Passar Fibonacci e in ambigua successione

Il Carducci e'l ministro Bonafede.

 

Ma qui io veggo in banchi da pregione

Discoli legati ognuno a un tavolino

Come a Colorno fu de l'insani magione

 

Seguendo lezione di un tal d’Aquino.

Doctrina non potest esse nisi de ente

Andava il dottor declamando in latino

 

E quella folla attorno tutta il sente

Sistemata in alti concentrici spalti.

“Tommaso, teco porto uno studente

 

Ch’è rimandato qui dai piani alti.”

Così richiama la madama in rosso

Quel compare cui devotion risalti.

 

“Teresa, giust’oggi avem promosso

Un altro di chi non furno praticanti.

Asseggiolalo, ch’è il posto è smosso.”

 

Asseggiolato fui fra i riluttanti

A rimbombar l’orecchi de sua filosofia

Portante a modelli gli svariati santi.

 

Alla mia sinistra stava chi paria

Chi già troppo lì era rimaso

Ed io il chiesi “Ma tu, chi sia?”

 

E quei “Giacché ponesti il caso

La mia alma albeggiò in Stoccarda

E sul Danubio vidi l’ultimo occaso.

 

Katherina, genitrice, m’ebbe ben parda

Sicché potei defenderla a Leonberga

Contro l’ingenui de turpa bastarda

 

Che strega dettola perché tenea la verga

D’Esculapio in erbe ed ogne foglia.

Studiai li cieli e ciò chi vi alberga

 

Perché de dio volli indagar la soglia;

Discepol fui de Tycho a Praga

Che disfidò d'Aristotelica la voglia

 

Se esser può fissa stel che vaga.

E io lui sfidai ne lo mio momento

Se Aristarco fu un savio o una piaga

 

Proponendo un nostro opposto orientamento

Con Elio al centro e a noi lo sclero

Ch’attorno roti p’eterno movimento:

 

Al fin io sono Johanni Keplero.”

 
   
 
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