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Autore: douce hope    14/06/2023    1 recensioni
Quando sei Cupido è facile credere che l'amore possa nascere tra chiunque.
Di certo ne è convinta Amanda, il cui diletto è aiutare i suoi compagni di scuola a conquistare il cuore della persona amata.
Ma quando al suo cospetto si presente Michele, taciturno, altezzoso e imperturbabile, Amanda capirà che le frecce nel suo arco non sono sempre così facili da scoccare, soprattutto se il bersaglio è la ragazza più bella della scuola.
Tra amici problematici, figuracce continue e sentimenti irrazionali, Amanda comprenderà che l'amore non è semplice come credeva e che quando Cupido scocca la sua freccia, non hai più via di scampo.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Se pensavo che per quella giornata i miei occhi non si sarebbero posati su opere più belle della Venere e La Primavera di Botticelli, è solo perché non avevo ancora visto il David di Michelangelo.

Dopo la visita agli Uffizi e un veloce pranzo a sacco siamo andati dritti alla Galleria dell'Accademia, altro famoso museo di Firenze dove sono esposte numerose scultore di Michelangelo, e appunto anche il David.

Tante volte l'avevo visto in televisione o sui libri di storia dell'arte, ma quelle immagini non rendono giustizia alla sua imponenza e magnificenza.

Sono rimasta davvero senza parole.

Dopo la visita durata più di un'ora il cielo è ancora molto grigio e nuvoloso, e ogni tanto una goccia di pioggia cade sulle nostre teste.

Siamo tutti radunati accanto ai nostri professori, che dopo aver fatto l'appello per assicurarsi che siamo ancora tutti vivi e soprattutto presenti, ci si rivolgono con un leggero sorriso.

«Bene ragazzi, dato che è il primo giorno e il tempo non è a nostro favore abbiamo pensato di lasciarvi il pomeriggio libero» annuncia il Prof Parisi, che a mio parere si è semplicemente stancato dopo ore passate in piedi.

Beh, come biasimarlo.

Accanto a lui la Professoressa Colombo pulisce i suoi  occhiali pieni di schizzi d'acqua sulle lenti , ma ciò non le impedisce di scrutarci sempre con quell'espressione severa.

«Stasera ceneremo in hotel, quindi vi raccomando di non rientrare troppo tardi e di rispettare gli orari della cena. Avete un paio d'ore di libertà e confido che le sfruttiate con la giusta responsabilità» continua il Prof Parisi con la sua voce pacata.

Non l'ho mai sentito alzare la voce, nemmeno quando visibilmente infastidito dai nostri comportamenti. Parla sempre con calma e tranquillità , potrebbe anche leggere un annuncio pubblicitario e spacciarlo per una favola se volesse.

Al suo fianco invece la Professoressa Colombo rappresenta il suo completo opposto, non è infatti una sorpresa quando ci si rivolge con tono fermo.

«Se vi comportate male ovviamente lo verremo a sapere e ci saranno delle conseguenze, quindi vi consiglio di pensarci bene prima di agire in maniera sconsiderata» 

Guarda tutti noi ma il suo sguardo si posa per qualche secondo in più su Alessandro e ne sono certa dato che si trova proprio al mio fianco.

Sento infatti il mio amico emettere un piccolo sbuffo stizzito, ma è abbastanza intelligente da non farsi notare.

«Bene, divertitevi!» conclude il Prof Parisi battendo le mani.

Subito i miei compagni si dividono nei classici gruppetti, altri invece si allontano velocemente già consapevoli di dove andare.

Guardo il cielo ancora plumbeo e pieno di promesse poco allettanti e per un attimo sono tentata di tornare in hotel, ma sono finalmente a Firenze e non posso di certo perdere tempo a non fare nulla nella mia stanza quando sono qui.

Mi volto verso Alessandro con un piccolo sorriso e nel frattempo cerco Laura tra la folla nella speranza che non si sia già allontanata.

Non abbiamo più parlato da ieri sera e questa situazione comincia a starmi un pò stretta. Capisco che possa sentirsi a disagio ma non ho intenzione di trattare questo argomento finché non sarà lei a volerlo.

«Tu cosa fai ora?» chiedo ad Alessandro impegnato a smanettare al cellulare.

«Credo che tornerò in albergo» risponde dopo qualche secondo.

In un attimo ha tutta la mia attenzione.

«Cosa? Perché?»

Alessandro non è proprio il tipo che resta chiuso in una stanza, soprattutto quando c'è la possibilità di andarsi a divertire.

«Ieri sera ho dormito pochissimo e sto morendo di sonno» si giustifica.

Effettivamente le occhiaie che contornano i suoi occhi azzurri suggeriscono che stia dicendo la verità, ma non credo che sia l'unica ragione.

«Non è che vuoi evitare Laura?» domando comprensiva.

In riposta ottengo una piccola risatina.

«Credo che anche Laura abbia voglia di fare qualcosa in queste ore che non includa me, non c'è bisogno di andare in hotel per evitarla»

Tutti i torti non ha, ma l'immagine di lui solo in una stanza mi rattrista lo stesso.

Lui nota la mia espressione perché mi fa un sorriso e una piccola carezza sul viso per rassicurarmi.

«Amy, stai tranquilla davvero. In questi giorni ci aspettano tante cose da fare e vorrei non crollare di sonno per godermele»

Annuisco leggermente non sapendo cosa dire.

Mi rivolge un altro piccolo cenno e poi mi da le spalle per tornarsene in hotel.

Sbuffo scocciata e mi guardo intorno sperando almeno di scorgere Laura da qualche parte. Vittoria essendo in un altro gruppo non è qui con noi, quindi al momento sono completamente sola.

Sto ancora scrutando la folla come un cecchino quando sento un tocco sulla spalla che mi fa saltare per lo spavento.

Mi volto trovando Michele proprio davanti a me e più vicino di quanto non sia mai stato.

I suoi occhi non sono mai stati così verdi. 

Oddio, sembro la perfetta protagonista scema di una fanfiction che sbava per un paio di bulbi oculari.

Mentre mi trovo a deglutire manco avessi ingurgitato un peperoncino intero e stessi per soffocare, Michele si allontana velocemente facendo una passo indietro.

Mi rendo conto che la nostra vicinanza non deve essere durata più di cinque secondi che a me sono sembrati cinque minuti. La devo seriamente smettere di reagire così ogni volta che Michele è nei paraggi.

Ci manca solo che mi prenda una cotta per lui. Poi chi glielo dice ad Alessandro che aveva ragione?

«Scusami non volevo spaventarti»

«Tranquillo, non mi hai spaventata»

Infatti sei saltata in aria perché ti stavi divertendo.

Ma quanto puoi essere deficiente Amanda?

Anche lui deve aver pensato che la mia sia bugia perché vedo gli angoli delle sue labbra contratti, come se si stesse sforzando di non sorridere.

Più che Cupido dovrei prendere in considerazione l'idea di diventare lo zimbello di questa scuola.

Di certo sarebbe meno stressante.

Il silenzio cade fra noi e cerco qualcosa di intelligente da dire.

«Ehm, dunque...brutta giornata eh?»

Se potessi mi allontanerei solo per andare a sbattere la testa contro al muro.

Michele però sembra solo più divertito di prima.

«Già, speriamo che domani esca il sole» 

Il silenzio ritorna ad essere presente.

Se potessi, mi scaverei una fossa solo per scappare via come un topolino rincorso da un gatto.

«Ti va se andiamo da qualche parte?» mi chiede all'improvviso.

Sembra abbia quasi sputato fuori queste parole di getto, come se avesse costretto se stesso a pronunciarle prima di ripensarci.

Mi blocco, sbigottita.

La verità è che temevo una domanda del genere.

Non ho dimenticato la sua richiesta agli Uffizi di parlare, e non mi sento pronta ad affrontare una conversazione sul bacio tra lui e Rebecca.

In realtà non mi sento nemmeno pronta a capire perché non mi sento pronta. So solo che quel bacio avrà delle ripercussioni sul nostro rapporto. Siamo amici da pochissimo e non sono ancora così certa che Michele continui ad avere a che fare con me solo per lei. 

Come sempre, è complicato. Non posso certo dirgli che non voglio stare con lui e una parte di me nemmeno lo vuole. Devo ammettere che non mi dispiace l'idea di andare in giro per Firenze con lui.

Abbiamo già passeggiato insieme un pomeriggio, e si sono rilevate ore divertenti. 

Michele è divertente, e anche gentile. Ed è un bravo amico.

E sta aspettando una tua risposta Amanda.

«Certo, dove ti va di andare?» rispondo alla fine.

Michele mi scruta un attimo, poi mi fa un piccolo sorriso che non comprendo.

«Ti ricordi quando siamo andati a Villa Borghese?» 

La sua domanda mi confonde, ma mi ritrovo ad annuire ricordando quel pomeriggio come se fosse ieri.

«Mi hai portato nel posto in cui ti piace fermarti a pensare» continua.

La confidenza che gli ho fatto quel giorno su quella panchina mi fa sorridere in risposta.

Ripensandoci è proprio quel giorno che abbiamo deciso di diventare amici.

«Vero» confermo.

«Vorrei ricambiare il gesto»

Per un attimo non capisco cosa significa, ma quando realizzo quello che sta dicendo mi ritrovo a sgranare gli occhi per la sorpresa.

Michele, così taciturno e riservato, vuole portarmi nel suo posto speciale?

Il sorriso che illumina il mio viso lo fa ridere in risposta, forse perché sa che apprezzo il fatto che si stia aprendo con me.

Quando è iniziata questa storia gli ho chiesto di fidarsi di me e mano a mano mi sta dimostrando che ci sta provando. E forse anche riuscendo.

«Davvero?» chiedo ancora incredula.

In risposta si allontana da me e mi fa cenno di seguirlo.

«Spero tu abbia indossato scarpe comode, ci sarà da camminare».

 

***
 

Michele non mi porta immediatamente nel suo posto speciale.

Come prima tappa ci dirigiamo All'Antico Vinaio, una paninoteca famosissima a Firenze dove infatti troviamo una folla sconcertante.

«Ma non hai pranzato?» gli chiedo sperando di evitare la fila chilometrica che mi si presenta davanti.

Seriamente, c'era meno fila per entrare agli Uffizi.

«Certo, ma questa è una tappa obbligatoria»

Il sorriso non abbandona il suo viso, e la cosa mi destabilizza non poco.

Non lo vedo così felice da...mai.

Continua a guardarsi intorno con aria meravigliata, come se non conoscesse questa città a memoria, come se non ci avesse vissuto per quasi tutta la sua vita.

È evidente quanto ami Firenze.

E lo capisco.

«Sei sicuro che vuoi perdere tempo per un panino?» gli chiedo ancora sperando di convincerlo.

La sua attenzione è tutta per me ora.

«Primo, non mangeremo un panino ma una schiacciata»

Automaticamente alzo gli occhi al cielo. Tendo a dimenticare quanto sia puntiglioso.

«Secondo» continua umettandosi le labbra e mandando in cortocircuito il mio sistema ormonale per cinque secondi, «la fila è più scorrevole di quel che pensi»

«E terzo?»

«Fidati di me»

E dopo questa non ho nulla da aggiungere, anche perché temo di rispondere nella mia solita sciocca maniera.

Decido di fidarmi di lui e dopo un quarto d'ora capisco che si trattava di una fiducia ben riposta.

Quello che sto mangiando è decisamente il nettare degli Dei.

«Potrei mangiare questi panini per il resto della mia vita!» gemo mentre addento un altro boccone come se non mangiassi da tre giorni.

Miss Eleganza proprio.

«Schiacciate» puntualizza nuovamente Michele, ma si vede che è divertito.

«Come ti pare!» lo ignoro totalmente.

Quasi quasi me ne prendo un'altra.

Nell'atto di perdizione che solo il cibo può dare è solo il suono di uno scatto che mi fa alzare la testa verso Michele.

Ha la fotocamera davanti al viso e quando vede la mia espressione trattiene a stento una risata.

Io invece mi paralizzo come se avessi incontrato lo sguardo di Medusa.

Ingoio il boccone con un sonoro sforzo.

«Mica mi hai scattato una foto?» domando impaurita.

«Credo proprio di sì» risponde con un sorrisetto oserei dire perculante.

Oddio, non oso immaginare come sono venuta.

Probabilmente come il bambino super goloso della Fabbrica di Cioccolato intento a mangiarsi l'ennesima barretta di Willy Wonka.

«Fammela vedere!» mi altero immediatamente.

Non ci ho minimamente pensato, ma è da ben cinque minuti che Michele mi osserva e più che guardare una ragazza, avrà pensato di star ammirando un orso appena uscito dal letargo.

Che figura di merda.

«Magari dopo»

Ma da quando è diventato così impertinente?

«Michele!» lo sgrido.

Vorrei continuare a sembrare arrabbiata ma la verità è che se mi immagino quella foto mi viene solo da ridere.

Forse è davvero meglio che non la veda.

«Mi vuoi ricattare per caso?» gli chiedo scherzosamente.

Michele abbassa la fotocamera e mi rivolge un'occhiata divertita ma anche seria.

«Assolutamente no, credo solo che le foto più belle siano quelle spontanee»

«Certo, se si è fotogenici» contesto.

Sbuffa dopo la mia replica.

«Sei libera di scattarmi foto imbarazzanti se vuoi, così saremo pari»

«Non sarebbe la stessa cosa»

«E perché?» si perplime.

Perché tu sei bello come un Dio e verresti bene anche vestito da sacco dell'immondizia.

Mi schiarisco la voce cercando una riposta veloce da dargli.

«Perché non mi sembri il tipo che si imbarazza per una foto. Anzi secondo me non te ne può fregar meno dell'opinione degli altri»

In fondo è la verità.

Michele mi è sempre sembrato una persona imperturbabile e sicura di sé, una di quelle che non da peso a pettegolezzi o voci di corridoio.

Una persona che non da adito a chi cerca di fare polemica e a cui non importa cosa si dica sul suo conto.

Proprio il mio contrario.

Il suo sguardo allegro  diventa però improvvisamente duro e distante dopo le mie parole.

Volge lo sguardo altrove come se non volesse che lo guardassi, osserva le persone intorno a noi come se le vedesse la prima volta e dopo qualche secondo punta di nuovo i suoi occhi nei miei.

«Mi importa invece» risponde soltanto.

Il tono fermo, la voce quasi atona.

Per un attimo penso di averlo offeso dunque apro la bocca per scusarmi ma lui cambia subito argomento.

«Sarà meglio muoversi o non riusciremo ad arrivare dove volevo portarti»

Ancora una volta lo seguo senza dire una parola più confusa che mai.

 

***

Camminiamo per  più di un'ora e le parole tra noi non sono tante ma per la prima volta nella mia vita il silenzio non mi pesa.

Michele mi mostra tantissime cose, mi racconta piccole curiosità che non possono trovarsi in una guida turistica ma solo in persone che conoscono questa città come le proprie tasche. Ad esempio mi fa notare come nel nostro cammino ci imbattiamo spesso in piccole finestrelle nei muri dei palazzi chiamate buchette dove in antichità veniva venduto il vino ai passanti.

Mi dice che è una vecchia usanza di Firenze realizzata per  favorire il mercato del vino , che alcune di queste finestre sono di nuovo in utilizzo ed è possibile chiedere un bicchiere di vino per pochi euro.

Tutto ciò che vedo mi affascina, è incredibile quanto la realtà superi addirittura le aspettative che avevo su questa città.

Qui c'è semplicemente una magia che non si può spiegare, e con Michele vicino che si comporta da perfetto Cicerone non potrei chiedere nulla di meglio.

Il mio entusiasmo però viene smorzato quando una goccia fredda mi bagna il naso.

Alzo lo sguardo verso il cielo e altre gocce mi colpiscono gli occhi sempre più assiduamente.

Sta decisamente piovendo.

«Michele forse dovremmo tornare in hotel» suggerisco facendogli notare che tra poco diventeremo dei pulcini bagnati.

Tornare all'albergo è l'ultima cosa che vorrei fare, ma il buon senso mi suggerisce anche di evitare di prendere un raffreddore.

«No» risponde senza esitazioni.

Torno a guardarlo sorpresa. Non pensavo potesse essere così categorico ma anche i suoi occhi mi dicono che è irremovibile.

«Michele sta iniziando a piovere» provo a farlo ragionare.

Altre gocce sempre più forti cominciano a bagnarmi i capelli e i vestiti ma provo a ignorarle.

«Siamo quasi arrivati, non possiamo tornare ora»

«Ma...»

Provo a contestare ancora una volta ma fa una cosa che mi zittisce e mi fa salire un brivido lungo la schiena. E non è per il freddo della pioggia che perpetra dagli abiti.

Mi prende la mano.

Se non fossi così sbalordita probabilmente arrossirei.

In realtà non mi da neanche il tempo di realizzare il calore della sua pelle perché fa la seconda cosa che mi lascia di stucco.

Inizia a correre. 

E mi trascina con sé

«Michele!» urlo sorpresa.

Ma lui non si ferma e io non smetto di seguirlo.

Corriamo salendo dei gradini addentrandoci in una salita che in altre circostanze mi avrebbe tolto l'aria dai polmoni e mi avrebbe fatto fermare dopo cinque passi.

Ma con la mano ancora stretta a quella di Michele non sento la fatica ma solo l'adrenalina.

La pioggia cade fitta, i miei capelli sono completamente zuppi e anche lui è completamente stravolto. Mi rendo conto che questa è anche la prima volta che lo vedo totalmente in disordine e mi piace tantissimo.

Corriamo per altri due minuti poi lui si ferma di botto e per poco non gli cado addosso.

«Siamo arrivati» dice sereno senza il minimo cenno d'affanno.

Io invece sembro una ottantenne prossima al collasso.

Prendo fiato e non posso evitare di guardarlo sbalordita. 

I suoi capelli completamente bagnati risaltano ancora di più i suoi occhi che a loro volta mi scrutano. Probabilmente sembro davvero un pulcino bagnato.

Forse dovrei sentirmi a disagio sotto il suo esame ma non ci riesco perché sono troppo impegnata a fissarlo.

I capelli che gli ricoprono la fronte, gli occhi seri, le spalle larghe che risaltano ancora di più con la maglia zuppa. La sua mano ancora stretta alla mia.

La sua bocca.

Non posso evitare di far cadere il mio sguardo sulle sue labbra. Non mi sono mai soffermata a guardarle prima d'ora, forse perché non volevo ammettere che anche queste sono bellissime come tutto ciò che lo riguarda.

Pero sì, lo sono. 

Non troppo carnose, ma ben delineate.

Ma è proprio mentre fisso la sua bocca che mi viene in mente che non è passato nemmeno un giorno da quando ha baciato Rebecca. È successo solo ieri sera.

Con questo pensiero mi scosto da lui e separo le nostre mani.

«Allora? Questo posto?» mi schiarisco la voce a disagio.

Michele resta in silenzio per qualche secondo poi scuote la testa come se si fosse incantato e si fosse appena risvegliato.

Distoglie lo sguardo e mi fa nuovamente cenno di seguirlo.

Dopo pochi passo entriamo in quella che mi sembra una sottospecie di parco, ma è decisamente  troppo piccolo per essere definito tale.

Superiamo un arco fiorito e mi guardo intorno notando che in realtà tutto questo spazio è pieno di alberi, piante e fiori. 

Specialmente rose.

Attraversiamo piccoli spazi d'erba circondati da panchine, e ci avviciniamo a una ringhiera che mi rendo conto altro non è che un belvedere sulla città di Firenze.

Da qui riesco a scorgere perfettamente la Cupola di Brunelleschi.

«Wow» è l'unica cosa che riesco a dire.

Alleggia tra noi una pace assoluta, anche perché siamo completamente soli.

Michele si avvicina e mi affianca davanti la ringhiera.

Anche da qui continuo a vedere fiori di tutti i colori.

«Benvenuta nel Giardino delle rose» sorride leggermente.

« È bellissimo! Sembra di essere...» sono senza parole.

«In una foresta incantata?» mi suggerisce.

Proprio come davanti al mio orologio a Villa Borghese.

Mi volto a guardarlo rilasciando un piccolo sospiro.

«Sì» ammetto.

«Capisci perché volevo portarti qui?» mi chiede pacato.

«Credo di sì»

Resta in silenzio ponderando bene cosa dirmi.

«Quando mi hai portato a vedere il tuo orologio ho provato la stessa sensazione che provavo ogni volta che venivo qui. Non ho realizzato quanto mi mancasse questo posto fino a quel momento» mi confessa.

Questa ammissione accende in me il fuoco della conoscenza. Voglio sapere tutto quello che non so su di lui.

«Anche tu venivi qui a pensare?» gli chiedo curiosa.

Si sta aprendo con me e non voglio davvero farmi sfuggire l'opportunità che mi sta dando.

«Anche. Da piccolo mi ci portavano sempre i miei genitori e ne conservo sempre un bel ricordo»

Sorrido immaginandomi un piccolo Michele che si guarda attorno con occhi curiosi ma seri come ora. Non riesco proprio a vedercelo come un bambino esuberante.

«Sai è qui che si sono incontrati la prima volta, i miei genitori intendo» mi racconta.

«Davvero? Che posto romantico!» esclamo con la luce negli occhi.

«Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Sei troppo romantica per poterlo disprezzare» mi prende in giro.

«E tu che ne sai che sono romantica?» gli chiedo un po' per gioco e un pò seriamente.

Lui invece mi scruta. 

«Sei Cupido, no?» è la sua semplice affermazione che in realtà dice tutto.

«Touchè» 

Ridiamo insieme e ritorniamo a guardare il panorama.

Io però sento delle parole premere sempre di più per uscire.

«Grazie per averi mostrato questo posto Michele» dico con sincerità.

Non c'è bisogno che dica che questo gesto va aldilà della semplice voglia di farmi da guida o di raccontarmi di un momento romantico. Ha voluto mostrarmi una parte di sé, ha voluto dirmi che se ho pazienza piano piano sa aprirsi come gli ho chiesto. Ed è risaputo che io abbia poca pazienza ma in questo caso non mi pesa aspettare. 

Lui fa un piccolo movimento con la testa ed è tutto quello che serve per capire che ci siamo intesi.

«Sei stanca?» mi domanda dopo qualche minuto.

«Non troppo. Perché?»

«Perché se continuiamo a salire arriviamo a Piazzale Michelangelo, e credimi li c'è una vista che non vuoi perderti» 

In risposta sorrido e per la prima volta sono io anticiparlo mentre lui mi segue.




 

***

 

Devo ammettere che una delle cose che meno apprezzo di Michele è che ha sempre ragione.

Anche adesso che sbuchiamo su Piazzale Michelangelo non riesco a non pensare quanto sia fastidioso il suo non sbagliare mai.

Se nel Giardino delle Rose eravamo completamente soli, qui la situazione è decisamente diversa. Sono letteralmente circondata dai turisti che nemmeno la pioggia (che fortunatamente ha smesso di cadere) ha potuto fermare. Ma non posso dar loro torto.

Michele ha detto che la vista mi sarebbe piaciuta.

Piacere non rende minimamente l'idea.

Se nel Giardino delle Rose riuscivo a vedere solo parte del Duomo di Firenze qui riesco a vedere tutta Firenze. Ed è uno spettacolo che non può che riempirti il cuore di meraviglia.

Ancora con gli occhi persi nella città del Rinascimento Michele mi conduce su degli scalini dove centinaia di turisti sono seduti ad ammirare il panorama.

«La vuoi una foto?»

Ha appena sollevato la macchina fotografica appesa al collo e me la punta contro mettendomi in imbarazzo.

«Giuro che non è per ricattarti» scherza.

Rido, ma comunque l'imbarazzo non va via.
Farmi fare una foto da lui in queste condizioni non è proprio il mio concetto di ideale.

La pioggia ha smesso di colpirci e finalmente sta uscendo il sole prossimo al tramonto, ma sono ancora tutta zuppa dalla testa ai piedi.

Non oso immaginare in che condizione versi il mio mascara.

«Non mi sembra il caso» gli dico infatti.

«Perché no?» abbassa la macchinetta per guardarmi.

Vorrei non essere sotto il suo sguardo proprio ora.

«Perché sono in condizioni pietose e non mi va»

«Non ti ho detto che le foto migliori sono quelle spontanee e che rispecchiano la realtà?» ci riprova.

Ho appena capito un'altra cosa che non sopporto di lui. È testardo.

«Sì, ma non mi va lo stesso» è la mia risposta definitiva.

Pare preso in contropiede e non riesce a dirmi nient'altro.

Che poi, perché ci tiene tanto a farmi queste foto? Le facesse al panorama!

«E se i soggetti spontanei nella foto fossero due invece che uno?» mi chiede all'improvviso.

«In che senso?» 

«Facciamoci una foto insieme»

Cosa? 

«Sei serio?» 

«Cosa c'è di strano?» non capisce.

"Tutto!" vorrei urlare.

Ma in realtà non c'è proprio niente di strano. Gli amici si fanno foto in continuazione da pubblicare su Instagram. Ogni giorno i miei compagni di classe si fanno un selfie. 
Una volta mi sono persino fatta una foto con uno sconosciuto in discoteca.

Quindi perché mi stupisco di una cosa così stupida?

Forse perché per Michele la fotografia ha un significato.
Ma è un pensiero talmente profondo e astratto che nemmeno la mia psiche poteva arrivarci.

Forse, la verità è che farci una foto insieme in questo punto mi sembra una cosa da coppia.

Ce ne sono decine al nostro fianco intente a mettersi in posa. 

E se le persone pensassero che siamo fidanzati?!

«Amanda!»

Michele richiama la mia attenzione distraendomi dalle mie paturnie. 

Devo smetterla di farmi tutti questi problemi.

«Scusa» abbozzo un sorriso ma ne esce più una smorfia, «Non c'è nulla di strano, ma non sei obbligato a fartene una con me» continuo.

Un po' sorride, un po' mi guarda con rimprovero.

«Parli come se fare una foto insieme fosse un sacrificio»

Ok, dopo questa era impossibile non arrossire.

E lui lo nota perché ride della mia reazione.

Ma quanto ha riso oggi? È completamente diverso da come sono abituato a vederlo a scuola.
Adesso capisco perché lui e Alessandro vanno così d'accordo.

«Siamo amici Amanda, come puoi pensare che non mi piacerebbe fare una foto con te? E voglio un ricordo di questa giornata, quindi adesso vado da quel tizio per chiedergliene una e tu non ti lamenterai»

È tornato il suo lato categorico.

Mi ritrovo soltanto ad annuire.

Michele comincia ad allontanarsi ma prima di raggiungere la persona prescelta a scattarci questa foto aggiunge, «E comunque, sentiti libera di arrossire quando vuoi con me»

E questo mi fa arrossire ancora di più ma anche ridere in memoria di questa battuta.

Dopo un paio di minuti Michele torna affiancato da un uomo altissimo e biondissimo con addosso dei semplici calzoncini corti e una maglietta a mezza manica. 

Non capirò mai la temperatura corporea degli stranieri.

Michele gli passa la fotocamera e gli da le dovute istruzioni poi si posiziona al mio fianco.

Cerco di darmi una sistemata alla frangetta stravolta e mi passo le dita sotto agli occhi per togliere il nero del mascara.

Spero solo di non sembrare un pagliaccio, anche perché Michele mi fa sfigurare anche se sembra uscito da una lavatrice.

Il castano mi si avvicina e mi cinge la vita con un braccio.

Istantaneamente mi irrigidisco come se mi fossi appena tuffata al mare e non fossi pronta allo shock termico.

«Are you ready?» ci incalza il signore.

Ready un cazzo! 
Se mi scatta una foto ora sembrerò un cane abbagliato dai fari.

Mi impongo di calmarmi e di non pensare che la mano di Michele sia poggiata sopra il mio fianco e che dunque non abbia minimamente problemi a percepire la ciccia che lo ricoprire.

Raddrizzo la schiena e mi stampo un sorriso, ma sembro solo Hide the pain Arold, il signore anziano re indiscusso dei meme che circolano ovunque.

«Closer» ci istruisce ancora lo straniero.

Fai questa foto e finiamola!

Michele fa come gli ha detto e si avvicina di più.

Ora la nostre spalle si toccano e la sua stretta sul mio fianco è più forte.

Oddio tra poco esplodo per autocombustione.

«Rilassati Amanda, è solo una foto!» mi rabbona Michele.

Se prima pensava che fossi normale, probabilmente ora non lo pensa più.

Provo a fare come mi suggerisce e visualizzo la giornata che abbiamo appena passato insieme.

Istantaneamente sorrido ed è in quel momento che sento il click della macchinetta.

Dopo aver ringraziato il signore Michele si siede sugli scalini che fanno da supporto alla vista meravigliosa che abbiamo davanti agli occhi e io lo imito sedendomi accanto a lui.

«Come è venuta?» chiedo provando a sbirciare lo schermo.

Lui lo allontana con mio sommo disappunto.

«Non puoi vederla» 

«Perché no?» 

«Perché non volevi nemmeno farla, quindi non ne hai il diritto» 

«Cosa sei? L'avvocato della fotografia?»

«Solo un giudice molto severo» scherza con me.

In risposta mi limito ad alzare gli occhi al cielo.

Ho capito che è inutile insistere con lui.

Intorno a noi i turisti formano un grande via vai ma non mi dispiace questa folla che ci circonda. 
Il sole sta iniziando a tramontare tingendo d'arancio la città che ci è davanti ed è veramente tutto così bello che non ci sono parole.

Noto anche un ragazzo intento a smanettare con una chitarra ed è solo dopo pochi momenti che una nota melodia comincia ad alleggiare nell'aria.

«Oddio no» mi deprimo subito.

Le persone, attirate dalla musica, si voltano verso il ragazzo e gli si avvicinano curiose.

Lui sistema il microfono e comincia a cantare.

Every breath you take
And every move you make
Every bond you break
Every step you take
I'll be watching you

«Che c'è?» mi domanda Michele udendomi.

«Odio questa canzone!» mi lamento.

Lui aggrotta le sopracciglia e si sistema i ciuffi che gli ricadono sugli occhi.

«Odi una delle canzoni più romantiche e famose che sia mai stata scritta?» si stupisce.

Io invece quasi mi arrabbio.

«Questa è la canzone meno romantica della storia!» mi difendo.

«Ed io che pensavo fossi tu quella romantica» continua a punzecchiarmi.

«Lo sono! Ma nei limiti della decenza. Questa canzone parla di un maniaco che si è fissato con la sua ex e praticamente la stalkera!» mi altero.

Michele invece sembra proprio rallegrato.

«Ma se dice anche qualcosa tipo "Ci apparteniamo"» continua.

«Appunto, è inquietante!» non mollo l'osso.

Incredibile che le persone ballino questa canzone ai loro matrimoni.

«Sono davvero sconvolto. Non ti facevo così cinica» insiste, ma si vede che vuole solo farmi ridere.

«Non sono cinica, sono romantica per le cose giuste»

«E quali sarebbero?»

Ci penso un attimo.

«L'incontro dei tuoi genitori ad esempio» 

Si blocca, stupito.

«Non sai nemmeno come è andata» mi fa notare

Alzo le spalle indecisa su come rispondere.

Penso ancora a quel giardino così romantico e grazioso.

«Sento che è stato un colpo di fulmine o qualcosa del genere»

Michele resta in silenzio. I suoi occhi celano una storia che vorrei leggere dalla prima all'ultima pagina.

«È così?» chiedo in un sussurro.

Ci guardiamo e percepisco il suo tentennamento.

«Sì» ammette però alla fine. 

«E tu ci credi? Al colpo di fulmine?» domando dopo qualche attimo.

«Dovrei dirti di sì a questo punto. Ma non lo so» ammette, «E tu?»

«In realtà no» 

È una cosa a cui ho pensato spesso. Mi è impossibile pensare che ci si possa innamorare di qualcuno che nemmeno si conosce.

Michele ride della mia schiettezza.

«Però! Sei più cinica di quanto pensassi»

«Forse» convengo, «Però il mio lato romantico mi impedisce di pensare che ci si possa innamorare così. La parte più bella di una storia d'amore è la conoscenza degli amanti, cosa che manca totalmente nel concetto di colpo di fulmine»

Michele mi ascolta attento e annuisce capendo il mio punto di vista.

«Però...» continuo e mi blocco.

«Però?» mi esorta.

È incredibile quanto sia facile conversare con lui. Quando parli con Michele lui ti presta tutta la sua attenzione, e questo non è da tutti.

«Non credo nel colpo di fulmine» ripeto, «Però credo che alcune persone si riconoscano. Credo che ci possano essere casi in cui guardi una persona e vedi in lei qualcosa che ti spinge a volerla conoscere a tutti i costi, senza un motivo preciso. Non è amore, ma un rivedere in quella persona qualcosa che a te manca o che al contrario ti rispecchia»

Mi zittisco.

Come sempre le parole sono scivolate come un fiume in piena e non ho saputo fermarle.

Michele al mio fianco non dice nulla, ma mi guarda con uno sguardo che non gli ho mai visto addosso.
E che non riesco minimamente a decifrare.

«Pensi sia una cosa stupida?» smorzo il disagio con una piccola risata poco convincente.

Michele mi fissa con un'intensità sconvolgente. È come se mi stesse guardando ma allo stesso tempo stesse guardando aldilà di me.

«Credo sia molto più romantico di un colpo di fulmine» sussurra.

E io sorrido e basta.

Insieme torniamo a guardare il panorama dinanzi a noi.

   
 
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