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Autore: CatherineC94    16/06/2023    2 recensioni
«Raccontami qualcosa di te, non essere timido» lo incita Sibilla.
«Non sopporto chi parla troppo, non sopporto chi mi rivolge la parola, non sopporto chi respira» replica secco.
l#Siberforth
l "Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum Ferisce la penna"
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Sibilla Cooman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
- Questa storia fa parte della serie '#Aberforth'
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Roba da far rizzare i peli
(soprattutto quelli dove non batte il sole)
 
 
 
«Non stai poi così male».
Aberforth grugnisce, lo specchio rimanda un’immagine che odia fin dal profondo. Dannato suo fratello il burattinaio, dannata tutta Hogwarts, dannato ballo del Torneo Tre Maghi. Dannata sia ogni cosa che lo disturba dalle sue cattive azioni quotidiane che adora compiere con elegante disinvoltura.
«Muoviti e non maciullare i mei bolidi» rimbrotta lui in direzione di Madama McClan.
Lei sorride maliziosa, il ricordo di quelle libidinose parti dove solitamente non batte il sole sono sempre piacevoli momenti trascorsi.
«Non potrei mai» risponde accorata e lui sorride perfido.
Poco dopo si dirige malfermo verso il suo Pub; solitamente la gente ama dire che quello è più un antro, una sorta di caverna per disadattati invece lui ripete con acidità crescente che chi non si trova bene è soltanto perché non riesce a vivere senza le ipocrisie che si indossano ogni giorno in quel mondo di fannulloni bugiardi.
Milly la capra lo sta attendendo al di fuori; spesso adora fare la guardia, felice del fatto che la gente adori affogare beatamente nelle illusioni farlocche delle prime impressioni; dopo un primo istante di felicità davanti ad una dolcissima capretta il terrore plana senza scampo quando l’animaletto morde le loro chiappe con  solerzia e tanta volontà.
A quel pensiero Aberforth è orgoglioso; poter far scappare la gente senza un motivo apparente è un suo sogno secondo solo a quello di rinchiudere suo fratello ad Azkaban e gettare la chiave.
«Bellezza» la chiama.
La capra risponde di rimando facendo due giri intorno alla porta; Aberforth entra rassegnato e con fare sicuro si avvicina al camino.
«Tieni d’occhio tu» le dice diretto.
Milly batte gli zoccoli.
«Lo studio di quel lestofante di mio fratello» urla scomparendo divorato dalle fiamme verdi.
 
 
Quando se lo ritrova davanti non è sorpreso, anzi un nervo inizia già a saltare perché nota il sorrisetto beffardo che indossa nelle occasioni importanti.
«Come sapevi del “Lestofante”?» gli chiede asciutto per soddisfare una sorta di curiosità malsana.
«Oh, l’hai borbottato l’altro giorno quando mi hai cacciato dal Pub per la cinquantaduesima volta» dice Albus amabilmente giulivo come quando muore qualcuno per adempiere a qualche suo strambo progetto troppo complicato da capire.
Aberforth grugnisce rudemente.
«Bel colpo di genio questo torneo, bravo! Di tutte le porcherie che architetti questa le supera tutte!» esclama seccato Abeforth che ha aspettato l’occasione giusta per esprimere il disappunto che in realtà prova davanti ad una futura caterva di cadaveri sacrificabili che ha previsto fin dall’inizio.
«Stringere legami è importante» risponde il fratello dirigendosi fuori dallo studio.
«Giusto, per i tuoi scopi servono pedine adatte» lo provoca Aberforth.
«Dovresti toglierti la cenere, sai ai balli dovresti essere presentabile» risponde etereo come una bambinetta.
Aberforth impreca ancora scendendo giù verso la Sala Grande con  lo stomaco in subbuglio; l’ultima volta che ha partecipato ad un ballo ha trasfigurato l’ignobile donna[1] in una capra e i ricordi solitamente preferisce sotterrarli.
«Perché hai voluto che venissi in questo schifo?» sputa gelido quando vede tutta la sala addobbata da far venire i conati di vomito.
«C’è qualcosa che non mi torna» sussurra Albus serio.
Gli occhi di Aberforth si focalizzano su tutti gli invitati, ed ecco Karkaroff che si gratta il pizzetto con aria arcigna e Piton che scappa da una parte all’altra provando ad evitarlo.
Abeforth stringe gli occhi quando vede Moody che non lo degna di uno sguardo.
Da un po’ di tempo, il suo amico lo evita. Non si presenta più al Pub, dove solitamente si lamenta delle donne, del governo e dell’ordine costituito. 
Aberforth non lo ammette ma quella inconsueta assenza lo sta divorando dentro, anche perché lo strambo di Moody sembra essere l’unico povero inetto che sguazza nella stessa poltiglia esistenziale che solitamente  lui tracanna quotidianamente. Dopo un momento di sbaraglio però l’ha aggiunto alla collezione di fallimenti che costella la sua stupida esistenza, senza battere ciglio, senza lamentarsi. Subito dopo si ritrova da qualche parte con una vecchia bottiglia polverosa che scola senza ritegno e per qualche momento il dolore si anestetizza.
Quindi si muove furtivo alla ricerca di qualche cosa da tracannare e la trova.
Una piccola donna con i capelli simili ad un cespuglio, gli occhi che sembrano quelli di un moscone incorniciati da un vetro spesso dieci centimetri.
La tizia è tutta rossa in viso, un sorriso perso e qualche rimpianto malcelato come  quelli che ti segnano ma che non vuoi far vedere o far  percepire.
«Finalmente» gracchia maligno Aberforth  avvicinandosi e notando dello Sherry clandestino sotto il  tavolo.
 
«Raccontami qualcosa di te, non essere timido» lo incita Sibilla.
Aberforth alza gli occhi al cielo, la mano che picchietta nevrotica sul tavolo e gli attributi che a causa della noia hanno acquisito ormai la stazza di due pluffe.
«Non sopporto chi parla troppo, non sopporto chi mi rivolge la parola, non sopporto chi respira» replica secco.
Sibilla muove le mani febbrile.
«Urano, sì. Senza alcun dubbio, il suo influsso. Ti capisco sai? Da quando avverto quelle vibrazioni non riesco a parlare ad anima viva!» ammette seriosa.
Aberforth si chiede se faccia sul serio.
«Cosa non ti è chiaro? Non voglio parlare con te, non voglio ascoltarti. Ma chi sei poi?» sbraita lui che non ha mai incontrato un essere umano così fastidioso.
La donna sorride piena di un’aura mistica che gli fa venire voglia di imprecare.
«Mio caro, sono la veggente Sibilla Cooman».
«PUAH» esclama lui scocciato.
 
 
Due ore dopo ancora è seduta davanti a quel moscone con gli occhi a fanale.
Non sa nemmeno il perché in effetti; il deretano ha preso la forma delle vecchie sedie del castello che quel tirchio convinto di suo fratello non ha mai comprato nuove.
Si sono scolati due bottiglie ciascuno e i loro volti arrossati la dicono lunga; ripensandoci bene Aberforth crede che quella donna possa essere più di ciò che mostra e lo ha capito quando ha impiegato un buon quarto d’ora per illustrargli le sue tecniche di cattura dei topi di montagna.
«Sono grandi così, vedi?» sputa lui con l’occhio destro mezzo chiuso.
«Ohhhh, sì. Li sto focalizzando con il mio occhio interiore. Sì! Eccoli, hanno le zampe?» mormora funerea.
Aberforth risponde con veemenza: «E che zampe! Sembrano dei cinghiali in calore. Hanno preso l’infima abitudine di mordere ogni cosa che incontrano, quei raccapriccianti esseri».
Sibilla annuisce estasiata. In realtà non sta capendo nulla, il cervello è annebbiato ma quel tipo sembra strampalato quanto lei e siccome in periodo di guerra e di carestia ogni buco è riparo pende dalle sue labbra.
Abeforth invece al di là della dettagliata descrizione dei topi che rosicchiano il suo Pub e forse anche quel briciolo di dignità rimasto riesce ad intravedere un mare di possibilità lascive che solitamente  afferra ovunque senza dare molte spiegazioni.
«I topi si mangiano?» gli chiede di punto in bianco quando decide di sprofondare in quella conversazione tutta intera.
Aberforth stringe gli occhi sorpreso e infervorato.
«Certo! Modestamente io so preparare il miglior stufato di topo di Hogsmeade anche se quegli inutili esseri ogni volta che lo preparo mi fracassano le pluffe con discorsi che non ti spiego…».
Sibilla che probabilmente ha scambiato i topi con qualche selvaggina commestibile oppure davvero non ha compreso un emerito tubo allunga la piccola mano verso quella rude e sbilenca di lui.
«Parlamente, te ne prego. Avverto delle vibrazioni positive» sussurra mistica.
«Quello è il mio intestino, sciocca. Oggi ho divorato del rognone» dice lui con ovvietà.
«Squisiti, mmh» ciarla lei con gli occhi lucidi.
«Lo sai che i topi divorano i mosconi come te?» ribatte lui che la sta già immaginando cera fra le sue mani voluttuose.
Sibilla afferra un mazzo di carte, le braccia esili che tintinnano a causa delle chincaglierie che indossa.
«Fante, Torre, Imperatore. Dopo che avremo finito, voglio il tuo stufato» è la sua risposta roca.
«Ho le trappole già pronte, sotto il letto» le dice, ma con la sua testa è già altrove.
 
 
 
«Vedi? Il mio invito sembra aver dato dei frutti, come dire…inaspettati» dice Albus sornione.
«Come il solito vuoi sempre essere l’eroe della situazione» lo accusa Aberforth che il giorno dopo se lo ritrova seduto come un gufo sul trespolo al Pub.
«Eppure sembra che tu abbia gradito» aggiunge malizioso.
«Stanne pur certo, saccente ficcanaso» ribatte che sta per schiantarlo.
Albus sembra riflettere per un attimo e poco dopo piega la testa di un lato sussurrando: «Certo, però la capra ha esagerato un bel po’».
Aberforth sorride fiero.
«Ha fiutato le panzane che racconta» spiega affettuoso  come al solito quando si parla di Milly.
«Mordere le caviglie è da maleducati» precisa Albus con il suo solito sguardo indagatore.
Aberforth si gratta malamente le terga, il kilt svolazza in giro e rapidamente afferra qualcosa per inumidirsi la bocca.
«Ha tentato di leggerle i Tarocchi, lei non tollera certe cose. Che ne dici di un po’ di stufato, stanotte tra un salto e un altro sono riuscito a reperire l’ingrediente introvabile» chiede gentile come un folletto della Gringotts che afferra un paiolo d’oro.
«Non vorrai mica avvelenarmi» risponde Albus pacato.
Aberforth afferra la vecchia casseruola entusiasta.
«Ci conto, ma se non ci riesco c’è pur sempre Azkaban».
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note.
Che dire, il ritorno dei Siberforth.
[1] Per chi segue lo sciagurato di Aberforth mi riferisco al capitolo che fa parte della mia raccolta sul Torneo Tre Maghi indetto sul gruppo Facebook L’angolo di Madama Rosmerta (ora che ci siete fateci un salto, non ve ne pentirete).
   
 
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