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Autore: Europa91    16/06/2023    1 recensioni
Otto anni dopo l’incidente di Suribachi, Verlaine viene informato della morte di Rimbaud.
“Arthur era morto. Il partner che lo aveva salvato dal laboratorio del Fauno e la persona che aveva tradito. (…)
Lo avrebbe salvato, avrebbe trovato un modo per riaverlo nella sua vita.”

Qualche stagione prima di Dazai e Odasaku, c’era stato qualcun altro che aveva provato a cambiare il corso del destino.
[Spin off di “In Order to Save You”]
[Contiene Spoiler della Novel Stormbringer]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Arthur Rimbaud, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Paul Verlaine
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People Exist To Save Themselves'
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VII Stagione - Impossible






 

 

«Mes deux sous de raison sont finis»*


Une Saison en Enfer – Impossible








 

Wonderland



 

Arthur Rimbaud gli aveva insegnato molto, ma era stato solo grazie al piccolo Charlie se Verlaine aveva appreso per la prima volta cosa volesse dire avere una famiglia.

Dopo quel bacio, il rapporto tra le due spie aveva iniziato gradualmente a cambiare.

Il primo passo, fu iniziare a dormire insieme.

In passato, era già capitato che dovessero condividere un giaciglio, soprattutto durante qualche missione, ma adesso vi era una consapevolezza diversa.

Dopo aver lasciato Parigi con delle nuove identità, i tre avevano trovato rifugio in un piccolo paese di campagna vicino a Beauvais. Rimbaud aveva scelto per loro un’abitazione semplice, per non dare troppo nell’occhio. Una villetta con un giardino, cucina, soggiorno, due bagni e due camere da letto, in una delle quali spiccava un bellissimo letto matrimoniale. Arthur ricordava di essere rimasto per una manciata di minuti ad osservare l’oggetto incriminato, temendo da un momento all’altro una reazione da parte del compagno. Contro ogni previsione, Verlaine non aveva detto nulla, limitandosi a sistemare i propri vestiti nell’armadio come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Dopo quel primo bacio ne erano seguiti altri, ma era sempre stato Rimbaud a prendere l’iniziativa.

Verlaine sembrava completamente assorbito dalla cura del bambino e il moro non voleva turbarlo con le proprie paranoie. Desiderava solo ricevere una qualche conferma da parte sua. A volte il compagno riusciva ad essere davvero impenetrabile. Arthur si rendeva perfettamente conto della situazione delicata nella quale si trovavano. Erano in fuga, avendo rubato al Governo un’arma potentissima, non era il caso di sommare altri problemi a quelli già esistenti.

Tuttavia non poteva fare a meno di interrogarsi sul comportamento di Paul. Avrebbe potuto rifiutarlo ma non lo aveva fatto. Si ripromise di affrontare quel discorso con lui una volta che la tempesta fosse passata.

L’ex spia sospettava che i Poètes non si sarebbero arresi ma non era pentito della propria scelta. Aveva preso quella decisione per il proprio partner ma anche per Charlie. Dopo quanto accaduto a Baudelaire, Rimbaud si era impegnato per diventare una spia perfetta, ma ancora una volta non era stato in grado di abbandonare i propri sentimenti.

Le emozioni non consentono di agire lucidamente per questo un agente segreto deve imparare a controllarle.

Quante regole avevano condizionato la sua vita.

Ritornò con la mente a Suribachi, quel giorno avrebbe davvero avuto il coraggio di combattere contro Verlaine? Non voleva scoprirlo anche se una parte di lui conosceva già la risposta. A volte il biondo lo faceva davvero arrabbiare e non dubitava che in situazioni estreme entrambi avrebbero finito con il perdere il controllo. Osservò il piccolo Charles vagare curioso per la nuova abitazione e ringraziò ogni divinità esistente per aver preso una simile decisione.

Scoprì con il tempo come crescere un bambino non fosse facile come se lo era immaginato, soprattutto se si trattava di un ex esperimento governativo.

Rimbaud poteva vantare una discreta dose di esperienza grazie a Paul, ma Charlie era un altro paio di maniche. Sin dalla prima notte nella nuova casa, vennero svegliati dal suono delle sue urla.

«Incubi o forse farei meglio a dire ricordi dolorosi» fu il solo commento di Verlaine dopo essere tornato dalla stanza del bambino.

Quando il proprio partner era accorso al capezzale del piccolo, Arthur non lo aveva fermato. Rimbaud sapeva come Paul fosse l’unico in grado di calmare Charlie quando aveva delle crisi. Quei due si capivano anche senza bisogno di parlare. Se inizialmente era stato geloso di quel legame ora ne era felice. Verlaine aveva finalmente trovato qualcuno in grado di capirlo. Non aveva mai desiderato altro per il proprio compagno.

Quando questi episodi si fecero più frequenti fu Arthur a proporre di far dormire Charlie nel loro letto.

«È una soluzione momentanea. Fino quando gli incubi non cesseranno. Ha bisogno di te Paul. Io me ne starò nell’altra stanza» Verlaine lo aveva osservato poco convinto, per poi annuire.

Adorava prendersi cura di Charlie ma allo stesso tempo sentiva che si stava allontanando da Arthur. Capitava di rado che rimanessero soli, così presi dal piccolo e dal costruirsi una nuova vita lontano dalla minaccia dei Poètes.

Una sera, dopo aver messo a letto il bambino, Verlaine raggiunse il proprio compagno in soggiorno. Rimbaud aveva l’aria stanca e una pesante coperta sulle spalle.

«Dorme?» domandò, alzando il viso da una pila di documenti che reggeva tra le mani;

«Si, spero che almeno per un paio d’ore non si svegli. Cosa stai facendo?» chiese avvicinandosi curioso;

«Ho accettato un nuovo incarico come sicario. Stavo studiando le informazioni sul caso»

«Tu? Un sicario?» non fece nulla per mascherare la propria sorpresa;

«Abbiamo bisogno di soldi e ho un discreto talento nell'uccidere. So come muovermi nell’ombra, inoltre posso vantare una serie di contatti sparsi per l’Europa, quindi perché no?» Verlaine sbatté le palpebre;

«Ho solo pensato che sarebbe un lavoro più adatto ad un mostro come me» Rimbaud alzò gli occhi al cielo, era da tempo che il biondo non se ne usciva con quel discorso;

«Te lo ripeterò un milione di volte se necessario. Tu sei umano. Charlie è umano» non gli diede tempo di replicare che con un movimento fulmineo lo tirò a sé per baciarlo. Verlaine lo assecondò come sempre, allungando le mani dietro la sua schiena, desiderando maggior contatto.

Si staccarono qualche istante dopo.

«Non ti bacerei in questo modo se pensassi che tu fossi un mostro» Paul lo fissò sorpreso;

«Allora perché lo fai?»

«Perché voglio farlo. A te sta bene?» sapeva che poteva sembrare un discorso da adolescenti in piena crisi ormonale, ma aveva bisogno di ricevere una qualche conferma da parte del proprio compagno;

«A volte mi chiedo perché tu non l’abbia fatto prima» Rimbaud scoppiò a ridere sollevato;

«Potresti prendere l’iniziativa anche tu» non aveva terminato la frase che il biondo si era chinato per far collidere nuovamente le loro labbra.

Vennero interrotti solo dalle grida di Charlie. Si guardarono negli occhi.

«Va da lui» concesse Rimbaud. Il biondo annuì dirigendosi come un fulmine verso la camera dove riposava.

Arthur non era geloso del bambino, anzi adorava vedere il proprio partner occuparsi di lui, ma c’erano delle volte in cui non sopportava di doverlo condividere con qualcuno. Era un pensiero egoistico oltre che infantile ma Paul era sempre stato in un certo senso suo. Scosse la testa ridendo tra sé per l’assurdità dei suoi stessi pensieri.

Una volta cessate le urla, decise di raggiungere la camera da letto. Trovò il proprio compagno intento a cullare Charlie. Verlaine teneva il bambino stretto tra le braccia, esattamente come il giorno in cui erano fuggiti da quel laboratorio di ricerca. Osservava quella creatura come se fosse la cosa più preziosa al mondo.

«Si è addormentato?» domandò con un filo di voce;

«Quasi. Continuava a ripetere il nome di un certo professor N o dottor N, non ricordo»

Rimbaud prese posto accanto a loro, appoggiando il mento sulla spalla del compagno.

«Tu cosa ricordi del tuo passato col Fauno?» in tanti anni che si conoscevano, non avevano mai sfiorato quell’argomento. Paul abbozzò un sorriso stanco; sistemando meglio il bambino sotto le coperte.

«Quasi nulla. Ero sotto il suo controllo. Avevo la mente costantemente annebbiata. La prima cosa che ricordo con chiarezza è stato il suono della tua voce» si baciarono di nuovo. Fu un contatto breve ma molto più intimo del precedente.

«Vi proteggerò» promise Rimbaud, facendo intrecciare le loro mani.

«Devo ricordarti che so badare a me stesso? E poi non vedo l’ora di vedere l’Abilità di questo ragazzino, qualcosa mi dice che sarà simile alla mia» entrambi si voltarono verso il piccolo ormai addormentato;

«Lo hanno creato prendendo te come modello, quindi credo sia probabile che anche le vostre Abilità si somiglino»

Arthur fece per andarsene ma il biondo lo fermò afferrandolo per la manica della camicia;

«Ora cosa c’è?»

«Resta qui questa notte»

«Non credo ci sia abbastanza spazio» gli fece notare, alzando lievemente un sopracciglio indicando il letto.

«Se lascio Charlie riposare su questo lato, l’altro resta a noi» spiegò spostando leggermente il bambino.

«Staremo stretti»

«Posso sempre abbracciarti» Rimbaud scoppiò improvvisamente a ridere lasciando il compagno confuso;

«Non capisco se tu sia serio o ci stai provando con me» ammise

«Entrambe?»

Quella notte finirono con il dormire abbracciati accanto a Charlie. La scena si ripeté per una settimana poi il bambino annunciò orgogliosamente ai genitori di poter dormire da solo.


 

***


 

Erano trascorsi un paio d’anni dall’incidente di Suribachi e dal loro tradimento. Charles frequentava regolarmente la scuola, si era fatto degli amici e nessuno aveva mai sospettato della sua vera natura. Arthur si era illuso di aver toccato la felicità. Era accaduta la stessa cosa tanto tempo prima, in quella stagione parigina che aveva condiviso con Baudelaire. Era fin troppo bello perché potesse durare. Eppure in qualche modo ci aveva sperato.

«Ho visto Stendhal» furono le prime parole di Rimbaud una volta rincasato. Si era chiuso la porta alle spalle e aveva abbandonato il pesante cappotto. Verlaine, in soggiorno lo aveva fissato a lungo, confuso;

«Chi?»

«Il capo della sezione interrogatori della squadra speciale antiterrorismo» spiegò mesto

«Dovrei conoscerlo?»

«È l’uomo che ha arrestato Charles» finalmente il biondo parve capire.

«Baudelaire» sibilò tra i denti, non facendo nulla per celare il fastidio che provava al solo pronunciare quel nome. Arthur annuì, abbassando il capo.

«Beh cosa pensi ci faccia un pezzo grosso come lui nel nostro piccolo paesino di campagna?»

«Non ne ho idea Paul, ma so che Stendhal è pericoloso. Molto»

«Basterà mantenere un basso profilo, come sempre»

«Se dovesse incontrare Charlie...»

«Non credo che uno stupido Poète conosca l’aspetto di Arahabaki. Charlie è al sicuro»

«Non sono mai stati tanto vicini a noi Paul» gli fece notare,

Verlaine corse ad abbracciare il compagno, la vista di quell'uomo lo aveva terrorizzato, ma forse era più la prospettiva di perdere il bambino. Non aveva mai visto Rimbaud in quello stato. Sembrava davvero preoccupato.

«Devono solo provare a portarcelo via» dichiarò sprezzante,

«Spero sia solo una coincidenza» sospirò il moro nascondendo il volto in quell’abbraccio.

«Sarà sicuramente così. Probabilmente è solo una sosta per qualche missione. In caso contrario ricordati che ora mi chiamano Re degli Assassini» suo malgrado Arthur si trovò a sorridere.

Era stato addestrato fin dalla più tenera età ad essere un agente perfetto. Per Rimbaud era normale di fronte ad una situazione critica, valutare ogni possibile scenario, anche se l’esperienza gli suggeriva come la maggior parte delle volte fosse sempre il peggiore a verificarsi. Cercò di incrociare lo sguardo di Verlaine. Vide la sua determinazione.

Preferì illudersi che sarebbe andato tutto bene.


 

***


 

Henry Stendhal si accese l’ennesima sigaretta della giornata. Secondo le proprie fonti, i traditori Verlaine e Rimbaud erano stati avvistati in quella zona. Erano ormai un paio d’anni che inseguiva le tracce dei due Trascendentali, anche se dubitava di poterli scovare in uno sperduto paesino di campagna.

C’era stato un tempo in cui Arthur Rimbaud era stato uno dei loro uomini migliori. Ricordava di averlo incontrato da bambino, appena arruolato tra le fila dei Poètes e poi adolescente, quando per la prima volta aveva disobbedito alle regole, sfidando la loro autorità. Non aveva idea di che tipo di uomo fosse diventato, anche se una parte di lui non era rimasta sorpresa nell'apprendere di quel tradimento.

Su Verlaine conosceva solo le informazioni di pubblico dominio, ovvero che era un essere artificiale creato in laboratorio e che Rimbaud sembrava essere il solo in grado di controllarlo, avendo decifrato una qualche poesia.

In quel momento il cerca persone nella tasca dei suoi pantaloni si mise a vibrare. Raggiunse la prima cabina telefonica e compose un numero che ormai conosceva a memoria. Solo una persona aveva il vizio di disturbarlo a qualsiasi ora del giorno e della notte incurante del fatto che stesse o meno lavorando.

«Allora, l’hai trovato?» nemmeno il tempo di rispondere che la voce squillante di Baudelaire gli perforò i timpani.

«Sono arrivato solo ieri sera, Charles»

«Pensi che questa volta possa essere una pista attendibile?»

«Non ne ho idea. Mi limiterò come sempre a seguire la procedura, anche se dubito che il tuo amico possa trovarsi in un luogo simile»

«Ti avrei accompagnato volentieri» Stendhal alzò gli occhi al cielo prima di levarsi la sigaretta ormai spenta dalle labbra;

«Ne abbiamo già parlato Charles. Sei troppo coinvolto»

«Conosco bene i miei ordini»

«Allora sai anche perché non ti è stato affidato questo caso»

«Lo ucciderai?» domandò il più giovane in un sussurro;

«Farò ciò che devo»

Riagganciò il telefono, passandosi una mano sul volto. Nonostante fossero passati anni Charles Baudelaire era ancora innamorato del proprio amico d’infanzia e ora a lui era toccato il compito di guidare la squadra incaricata di ritrovarlo. Stendhal imprecò sottovoce ripensando al proprio sottoposto.

In quei casi il loro statuto parlava chiaro: i traditori andavano soppressi per il bene dell’Organizzazione.

Una volta catturato, Arthur Rimbaud sarebbe stato giustiziato con l’accusa di tradimento. Mentre i due soggetti insieme a lui sarebbero stati presi in custodia dalla propria unità. In caso di pericolo, aveva ottenuto il permesso di sopprimere Verlaine, ma non doveva assolutamente toccare il bambino.

Era in momenti come quelli, che Henry Stendhal iniziava a porsi delle domande sul proprio lavoro.

Rimbaud era arrivato a tradire la propria nazione per quel ragazzino, Arahabaki, un essere artificiale simile a Black, creato partendo dagli appunti del Fauno. O forse lo aveva fatto per amore del proprio compagno.

Stendhal aveva conosciuto Arthur Rimbaud solo tramite i racconti di Baudelaire, ma non gli era stato difficile immaginare il perché dietro quel tradimento. Già una volta quel ragazzo aveva sfidato l’autorità dei Poètes, cedendo ai propri sentimenti.

Era in una posizione difficile ma avrebbe svolto il proprio lavoro, come sempre.

Uscendo dalla cabina telefonica, finì con l’imbattersi in un gruppo di ragazzini all’uscita da scuola. Avevano circa dieci anni, la stessa età del soggetto Arahabaki.

«Non correre, Charlie» nel sentire quel nome, la spia si bloccò di colpo. Scosse la testa, sorridendo tra sé. Charles era un nome piuttosto comune, anche se la sua mente non tardò nel proporgli l’immagine del proprio sottoposto. Stendhal aveva accettato quell'incarico anche per Baudelaire. Doveva catturare Rimbaud e liberare Charles dal ricordo di quel primo, sfortunato amore.

Si limitò ad osservare i bambini e ascoltare i loro discorsi; mantenendosi a debita distanza.

«Oggi il compito di matematica è stato orribile»

«Meno male che avevamo un’ora di educazione fisica»

«Oggi ci vediamo a casa di Louise per i compiti di francese? La grammatica è così difficile»

«Io non posso, mio fratello vuole che torni subito a casa»

«Andiamo Charlie» Stendhal si fece più attento;

«L’ho promesso a mio fratello, ci vediamo domani a scuola ragazzi» e detto questo il piccolo Charles, abbandonò il gruppo.

La spia si prese qualche istante per osservarlo. Era un bambino normale, ma a prima vista anche Black sembrava umano. Aveva visto quel mostro in un paio di fotografie e aveva compreso l’origine dei timori di Baudelaire. Black era un essere esteticamente bellissimo e perfetto. Del piccolo Charlie aveva scorto solo i capelli rossi. Non lo aveva visto in volto ma dubitava potesse somigliare in qualche modo a Verlaine. Si domandò come potesse fare per verificare la propria ipotesi, limitandosi a seguirlo da lontano.

Era davvero caduto in basso se era finito con il pedinare un ragazzino. Quante probabilità aveva di incontrare i due Trascendentali in un paesino di campagna? Fece ancora qualche metro arrivando poco distante da un’anonima villetta. Charles doveva essere arrivato a casa.

Stendhal stentò a credere ai propri occhi quando vide la figura di Rimbaud aprire la porta per andare incontro al bambino, trascinandolo in casa sotto la supervisione di Black.

Li aveva trovati.


 

***


 

«Oggi sarei dovuto andare a casa di Louise a fare i compiti» si lamentò Charlie non appena mise piede nell’abitazione. Le due spie si scambiarono un’occhiata;

«Charles» provò Arthur, prima di essere interrotto dalla loro piccola furia rossa;

«Continui a ripetermi che sono un bambino come tutti gli altri, ma quando provo a fare le stesse cose che fanno i miei compagni improvvisamente non posso»

«Siamo in pericolo» le parole di Verlaine fecero calare il silenzio nella stanza;

«Cosa vuol dire?»

«Dannazione Paul, lo stai spaventando»

«Sai che non era mia intenzione, volevo solo fargli comprendere la situazione nella quale ci troviamo. Charlie, i Poètes sono arrivati in paese. Per questo dobbiamo fare attenzione e tenere un basso profilo»

Il bambino fissò entrambi confuso;

«Non parlare con gli estranei e se si avvicina qualcuno di sospetto scappa. E non attivare la tua Abilità per nessun motivo» proseguì Verlaine

«Dovremo trasferirci?» chiese il bambino dopo qualche minuto, cercando di trovare delle conferme sui volti dei genitori.

«Andrà tutto bene Charlie. Non ti accadrà niente di male» esordì Rimbaud abbassandosi quel tanto che bastava per essere al suo livello.

«Ho degli amici qui non voglio andarmene» Verlaine gli accarezzò la testa;

«Non ce ne andremo, se servirà farò fuori tutti i Poètes che si presenteranno alla nostra porta» Charles finalmente sorrise;

«Paul non dire queste cose. Qui nessuno ammazzerà nessuno»

«Posso andare a fare i compiti?» entrambe le spie sorrisero;

«Certo ma non ti muovere dalla tua stanza»

Verlaine soffocò una risata;

«Sembri davvero un papà»

«Così stai implicitamente affermando che tu sei sua madre»

Non era servita una battuta per alleggerire la tensione e lo sapevano entrambi.

«Cosa pensi di fare? Trasferirsi non sembra una cattiva opzione» sottolineò il biondo;

«Charlie si è fatto degli amici. Non possiamo strapparlo dalla sua quotidianità in questo modo. Non è giusto o salutare»

«Lo facciamo per il suo bene. Meglio saperlo triste che cavia da laboratorio»

«Perché devi sempre essere così tragico»

«Detto da quello che, cito testualmente: la mia vita e la mia morte non sarebbero mai state tramandate alle generazioni successive

«Ricordami Paul, perché ti ho fatto leggere quel taccuino?» domandò leggermente irritato;

«Stavo arrivando al pezzo migliore, quello della fredda lapide senza nome. Era solo per ricordarti chi è il più melodrammatico tra noi. Quanto tempo abbiamo?»

«Non mi stupirei di trovare Stendhal già fuori dalla nostra porta»

«È così bravo?»

«Sta nella sezione interrogatori per via della sua Abilità, è molto pericoloso, non devi sottovalutarlo»

«Che tipo di Abilità possiede?»

«Una di controllo mentale»


 

***


 

Parigi

- Sezione interrogatori squadra speciale antiterrorismo -


 

Charles Baudelaire aveva appena concluso l’ennesima telefonata con il proprio superiore. Il cielo sopra la capitale si era fatto improvvisamente nuvoloso, e pensò che sarebbe stata davvero una scocciatura se si fosse messo a piovere. Nemmeno fissare fuori dalla finestra però sarebbe servito a distrarlo dai propri pensieri.

Henri aveva trovato Paul.

Dopo due anni finalmente aveva delle notizie. Quando Baudelaire era stato informato di quanto accaduto in Giappone non voleva né poteva crederci. Rimbaud aveva disertato, abbandonando quella che per quasi vent’anni era stata la sua vita. Aveva scelto di tradire il proprio Paese, fuggendo insieme al proprio partner e sottraendo un’altra importante arma di distruzione di massa. Solo in un secondo momento, Stendhal gli aveva comunicato quale fosse la vera natura del progetto Arahabaki, mostrandogli dei documenti top secret.

«Impossibile. Secondo queste informazioni Paul avrebbe rapito un bambino?» Henry si era acceso l’ennesima sigaretta dopo avergli rivolto un’occhiata stanca ma abbastanza eloquente;

«Il Progetto Arahabaki è proprio questo. Un’equipe di scienziati francesi e giapponesi guidati da un fantomatico dottor N sono riusciti ad impossessarsi di appunti appartenuti al Fauno. Puoi considerare quel ragazzino come una sorta di secondo Black. In fondo quei due condividono una parte dello stesso codice»

«Ora Paul ha due mostri a cui badare» sibilò tra i denti non riuscendo ancora a credere alle proprie orecchie e soffocando la propria irritazione.

C’era stato un tempo, in cui aveva immaginato di poter fuggire insieme all’amico d’infanzia. Scappare dai Poètes, rifarsi una vita. Era stata l’ennesima fantasia partorita dalla sua mente infantile, dopo quell’unica notte di passione che avevano condiviso. Poi la realtà aveva letteralmente bussato alla sua porta, obbligandolo a pagare il prezzo del proprio peccato. Baudelaire era diventato una spia solo per proteggere l’amico. Aveva abbracciato quel mondo per potersi in qualche modo avvicinare a lui, nella speranza, un giorno, di riportarlo indietro. Aveva finto la propria morte solo per questo. Non si era mai arreso alla speranza di costruire un futuro insieme. Un’utopia che si faceva di anno in anno sempre più irrealizzabile ma alla quale non era stato capace di rinunciare.

Charles credeva di conoscere Arthur Rimbaud, evidentemente si sbagliava. L’uomo che ricordava non avrebbe mai tradito il proprio Paese. La colpa di tutto non poteva essere che di Black. Quell’essere doveva avergli fatto il lavaggio del cervello, e i fatti di Suribachi lo dimostravano.

Aprì un cassetto della propria scrivania rivelando il dossier su quell'essere artificiale. Prese una delle fotografie tra le mani. Ritraeva quel mostro a Parigi, insieme al suo Paul. Lo odiava. Odiava ogni cosa di quell'essere, dal viso perfetto, al potere che poteva scatenare. E allo stesso tempo lo invidiava, perché non aveva faticato ad ottenere ogni cosa. Black aveva l’amore di Paul. Un sentimento al quale lui era stato obbligato a rinunciare.

Se Stendhal aveva realmente trovato i due traditori l’epilogo di quella storia era già stato scritto. Richiuse il cassetto, alzandosi di scatto per afferrare il proprio cappotto.

Doveva raggiungerli.

 

***


Le Rouge et le Noir, era questo il nome della sua Abilità. Da quando Henry Stendhal era stato messo a capo della sezione interrogatori, si potevano contare sulla punta delle dita il numero di volte in cui era dovuto ricorrere al proprio potere.

«Possiedi un’Abilità di controllo mentale. Sono abilità rare ma estremamente potenti» era stata la prima, sommaria spiegazione che aveva ricevuto una volta entrato a far parte dell’intelligence. Stendhal aveva scelto di abbracciare quel mondo oscuro, nella speranza che il proprio potere potesse essere usato a fin di bene. Aveva ferito troppe persone care per colpa di una capacità che non aveva mai chiesto di possedere.

«Perché finisco sempre col far soffrire la gente?» era questa la domanda alla quale aveva da sempre cercato di dare una risposta.

«È il destino delle persone come noi» ricordava di aver fissato il proprio superiore con stupore ed ammirazione;

«Ricorda Henry, dobbiamo utilizzare queste Abilità per aiutare» aveva concluso l’uomo prima di offrirgli una sigaretta. Henry lo aveva osservato a lungo indeciso se accettare o meno;

«Credete davvero che un giorno il mio potere potrà in qualche modo fare la differenza?» domandò allungando una mano.

«Certamente»


 

Qualche stagione dopo


 

«Posso sapere il significato di quel nome?» Henry aveva alzato lo sguardo dalla pila di documenti che occupava la propria scrivania, solo per poter osservare il giovane sottoposto negli occhi.

«Charles» lo aveva ammonito, prima di alzare le braccia per massaggiarsi entrambe le tempie;

«L’altro giorno mi hai detto che les Fleurs du Mal è un nome stupido, quindi ora ti chiedo, da dove viene le Rouge et le Noir?» Stendhal recuperò ed accese l’ennesima sigaretta. Sapeva per esperienza che quando quel ragazzino iniziava con le domande poteva continuare ad infastidirlo per ore. Tanto valeva soddisfare subito quella richiesta così da poter tornare al lavoro.

«È stata una scelta simbolica» ammise. Era la prima volta che si trovava a doverlo spiegare a qualcuno. D’altro canto, nessuno gli aveva mai domandato una cosa simile. Osservò il viso di Baudelaire e la curiosità di quello sguardo ancora fisso su di lui.

«Ti sembrerà una cosa banale, ma rosso è un richiamo non solo al sangue ma anche alla passione» l’espressione sul viso di Charles si fece ancora più confusa;

«Mentre il nero rappresenta semplicemente la disperazione, la morte» concluse.

«Credi davvero che mi accontenti una spiegazione simile? Non hai detto nulla» Stendhal sorrise abbassando il capo.

«Avrei potuto raccontarti di come a sedici anni attivai per sbaglio questa mia Abilità e di come la mia fidanzatina di allora si uccise. Si chiamava Mathilde e aveva due occhi blu davvero simili ai tuoi» Baudelaire rimase in silenzio.

«Era una banale discussione, non ne ricordo nemmeno l’argomento. So solo che ad un tratto la sua mente era sotto il mio controllo. Gli dissi parole orribili e di come non sopportassi il suo viso. Trovarono il suo cadavere due giorni dopo. Se chiudo gli occhi, riesco ancora vedere le sue vesti imbrattate di sangue, come posso sentire le urla di sua madre mentre maledice il mio nome. Per questo ho scelto quei colori, come monito. Da quel momento, giurai a me stesso che avrei utilizzato questo potere per aiutare il prossimo»

«I Poètes vennero anche per te. Come per Paul» concluse Baudelaire

«Devo a loro, anzi a Victor, la mia vita. Mi sarei ucciso se non lo avessi incontrato. Mi diede uno scopo, una ragione per continuare a esistere nonostante il peso della colpa che mi opprimeva il petto.»

«Henri mi dispiace, io non...»

«Non potevi saperlo»


 

Era da diverso tempo che Stendhal non ripensava al proprio passato, al giorno in cui aveva deciso di seguire i Poètes e dedicare la propria vita ad un qualcosa di più grande. Erano passati quasi vent’anni da allora e finalmente aveva compreso le parole che quel giorno, Victor Hugo gli aveva rivolto. Grazie alla propria Abilità, avrebbe catturato quei traditori e recuperato Arahabaki. Non aveva bisogno di attendere l’arrivo di una squadra di supporto, doveva agire subito e sfruttare l’effetto sorpresa.

Una finestra, al piano superiore era leggermente aperta.

Era la sua occasione.

Le Rouge et le Noir


 

***


 

Successe tutto in una frazione di secondo. Erano ancora in soggiorno quando si accorsero del pericolo. Arthur riuscì ad attivare la propria Abilità inglobando se stesso e il partner. I due Trascendentali di scambiarono una rapida occhiata per poi mormorare quasi all’uniscono: «Charlie»

«Vado io» aggiunse Verlaine raggiungendo per primo il piano superiore. Era preoccupato per il bambino. Se mai gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe perdonato. La scena che si trovò davanti fu surreale.

Charlie se ne stava in piedi al centro della propria stanza, e teneva per mano un uomo. Non appena si accorse della sua presenza gli sorrise allungando un braccio indicandolo,

«Ecco, lui è Paul»

«Che diavolo significa? Charles vieni immediatamente qui. Quell’uomo è pericoloso» il bambino assunse un’espressione perplessa, voltandosi quel tanto che bastava per osservare il proprio assalitore.

«Non capisco» ammise

«Va tutto bene, piccolo Charles. Tuo padre è solo un po' confuso» rispose Stendhal sfidando il biondo con lo sguardo.

«È un piacere fare la tua conoscenza Black o forse dovrei chiamarti Paul?»

«Presumo che tu sia Stendhal» tagliò corto Verlaine preparandosi ad attaccarlo.

«Sei intelligente ma non abbastanza se pensi di potermi affrontare da solo»

«Herny allontanati subito da mio figlio» a parlare questa volta era stato Arthur. Che in pochi passi aveva raggiunto il fianco del compagno.

«Rimbaud è sempre un piacere. Quanti anni sono trascorsi dal nostro ultimo incontro? Non sei invecchiato di un giorno»

«Mi hai già portato via qualcuno d’importante, non ti permetterò di farlo di nuovo. Charlie vieni subito qui» ma il bambino non si mosse.

«È davvero un ragazzino sveglio, ma ormai è sotto al mio controllo. Vi conviene arrendervi. Non costringetemi ad usarlo contro di voi»

«Che Abilità possiede questo bastardo?» chiese Verlaine;

«Non conosco i dettagli, ma una di controllo mentale»

«Non posso attaccarlo vero?»

«Potresti far del male a Charlie»

«Merde»

«Dovreste arrendervi. Non ci sono altre alternative»

«Usare un bambino come ostaggio. Non credevo che l’intelligence potesse cadere tanto in basso» fu la sprezzante risposta di Rimbaud.

«Sappiamo entrambi come questo non sia realmente un bambino, ma un’arma esattamente come il tuo compagno» lo sguardo di Verlaine si oscurò per una frazione di secondo. Agì così velocemente che Arthur non riuscì a fermarlo.

«Bastardo. Rimangiati quello che hai detto»

Paul si era gettato sul Poète attivando il proprio potere. Stendhal però aveva risposto utilizzando Charlie come scudo.

«Sei un vigliacco» mormorò Rimbaud cercando lo sguardo di quell’uomo che già una volta lo aveva privato di una persona importante. Paul intanto si era visto costretto ad interrompere l’attacco, per non ferire il bambino.

«Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro. Arrendetevi e nessuno si farà male»

«E una volta che lo avremo fatto?»

«Mi assicurerò che l’esecuzione di Rimbaud sia rapida e indolore, mentre i soggetti Arahabaki e Black verranno presi in custodia dal Governo, come previsto dai piani iniziali»

«Se ora mi consegno loro saranno salvi?» chiese il moro. Verlaine lo fissò sconvolto;

«Che stai dicendo Arthur? Non puoi farlo. Non puoi neanche pensarlo»

«Una spia non deve avere legami o provare sentimenti. Non ho mai rispettato questo giuramento. Ho tradito la mia patria per te e per Charlie. Vi ho messo io in questa situazione. Stendhal sta usando nostro figlio come scudo, controlla la sua mente. Devo proteggervi e questo è l’unico modo»

Il ragionamento di Rimbaud aveva senso, eppure Verlaine non riusciva ad accettarlo. Era una situazione di stallo simile a quella che avevano affrontato nel laboratorio di Suribachi. Se erano arrivati a quel punto però, era solo colpa sua. Era stato Paul a calcare la mano ed obbligare il proprio partner a tradire i Poètes. Era stato lui a desiderare di crescere Charles in campagna, risparmiandogli il dolore sulle sue vere origini e sulla propria natura di anima artificiale. L’unica colpa di Rimbaud era stata quella di assecondarlo in quella sciocca fantasia. Sapevano entrambi che quell’utopia non sarebbe potuta durare, ma ci avevano sperato.

Verlaine non poteva accettare un finale simile. Non sarebbe mai tornato ad essere una cavia da laboratorio e non avrebbe permesso che Charlie subisse la stessa sorte. Il suo corpo agì da solo, prima che la propria mente potesse anche solo formulare un qualche pensiero coerente. Si gettò su Stendhal cogliendolo totalmente di sorpresa, facendolo cadere a terra.

Con il venire meno del contatto visivo, anche il controllo mentale sul piccolo Charles sembrò svanire. Verlaine decise di approfittarne, scatenando il proprio potere.

Arthur intanto era corso dal figlio, afferrandolo prima che potesse toccare il suolo. Era svenuto ma sembrava stare bene. Tirò un sospiro di sollievo prima di venire travolto dall’onda d’urto scatenata dal proprio compagno. Utilizzò Illuminations per riparare se stesso e Charlie.

Fu allora che la vide. La lama di un coltello che Stendhal aveva recuperato dalla fondina del proprio stivale. Ovviamente il Poète conosceva l’unico punto debole della Bêtes, il veleno. Sarebbe bastato un graffio o poco più per rendere Paul inoffensivo. Controllò un’ultima volta Charles prima di gettarsi anche lui nella mischia. Non c’era tempo per pensare, doveva semplicemente agire per salvare la persona per lui più importante.

Riuscì ad arrivare in tempo, frapponendosi tra quella lama e Verlaine.

«Arthur» bastò la sola vista del proprio partner ferito per riportare il biondo alla realtà. Rimbaud lo aveva protetto, per l’ennesima volta.

Stendhal osservò immobile la scena, con il braccio ancora fermo a mezz’aria.

«Dannazione Arthur» Verlaine lo prese tra le braccia. Il moro era sempre più pallido mentre il sangue continuava a sgorgare dalla ferita sul suo petto.

«Ora ti porterò in ospedale e lì troveranno un modo per curarti» non aveva mai provato una simile disperazione. Era un sentimento nuovo che gli impediva di ragionare con lucidità.

«Stai bene?» furono le uniche parole che uscirono dalle labbra di Rimbaud.

«Si, sto bene» rispose sull’orlo delle lacrime, mentre cercava di fermare tutto il sangue che stava imbrattando le vesti di entrambi.

«Meno male» il moro abbozzò ad un sorriso

«Arthur perché lo hai fatto?»

«Lo sai benissimo» Verlaine stava piangendo, completamente sconvolto dalla situazione. Continuava a cullare il proprio partner, ad accarezzargli i capelli, scostandoli da quel viso che si faceva di minuto in minuto sempre più pallido.

«Paul, perdonami»

«Perché ti stai scusando? È tutta colpa mia. Mi dispiace Arthur, mi dispiace»

«Proteggi Charles»

«Perché stai sorridendo? Perché Rimbaud?» dentro di sé conosceva già la risposta. Semplicemente non voleva capire.

Arthur Rimbaud, l’uomo che lo aveva salvato dal Fauno e gli aveva donato la libertà di vivere, anzi glielo aveva insegnato. L’uomo che lo aveva reso una spia e aveva affrontato numerose missioni con lui. L’uomo che timidamente gli aveva regalato un cappello per regalo di compleanno. L’uomo con cui aveva provato a crescere un bambino e che per lui era arrivato a tradire il proprio Paese.

«Perché hai sorriso?» domandò a quello che ormai non era che il cadavere dell’uomo che più di ogni altro aveva amato. Arthur aveva ragione, dentro di sé conosceva la risposta a quella domanda ma avrebbe tanto voluto udirla dalle sue labbra. Adagiò il corpo del compagno sul pavimento prima di tornare a rivolgere la propria attenzione a Stendhal. Il Poète se ne stava in silenzio, conscio delle proprie colpe. Non avrebbe mai voluto uccidere Rimbaud ma quel idiota si era messo in mezzo volendo proteggere quella bestia che ora lo fissava con tutto l’odio di cui disponeva.

«Non doveva andare in questo modo. Vi avevo avvisato» ruggì preparandosi al peggio

«Taci. Mi avete etichettato come mostro e non nego di esserlo, ma anche voi Poètes non siete degli esseri umani. Usare un bambino come scudo, uccidere a sangue freddo»

Charlie scelse quel momento per aprire gli occhi;

«Cosa succede papà?» aveva domandato innocentemente cercando il suo sguardo. Bastò un istante perché notasse il sangue che macchiava i suoi vestiti e il suo viso.

«Perché papà Arthur è a terra?»

Verlaine non sapeva come rispondere. Era totalmente impreparato ad affrontare una situazione simile. La sua mente ancora rifiutava di accettare la scomparsa di Rimbaud.

«Tuo padre è morto. L’ho ucciso io» a parlare era stato Stendhal.

«Non è vero» Charlie si mise ad urlare e piangere finendo con lo scatenare la propria Abilità. Era la prima volta in cui Paul assisteva alla manifestazione completa di Arahabaki. Era un mostro di straordinaria bellezza così simile a lui, anche nel dolore. Fiamme nere avevano iniziato ad avvolgere il corpo del bambino. Fu allora che decise di allungare un braccio per tramortirlo.

Aveva fatto una promessa ad Arthur. Si sarebbe occupato di Charles, lo avrebbe protetto.

«Perdonami ma almeno tu devi sopravvivere» disse cercando di calmare i battiti impazziti del proprio cuore.

Erano anni che non liberava il proprio potere. Il mostro dentro di lui però bramava di uscire, per vendicare la morte dell’uomo che per primo aveva creduto nella sua umanità. Osservò un’ultima volta il corpo di Rimbaud e poi quello di Charlie svenuto poco distante. Lo stava facendo per loro;

I tuoi odi, i tuoi torpori fissi, i tuoi mancamenti,

E le brutalità un tempo sofferte,

Tu ci rendi tutto, o Notte, ma senza cattiveria,

Come un eccesso di sangue versato ogni mese.*


 

Verlaine venne completamente inghiottito dall’oscurità.


Quando qualche ora dopo Charles Baudelaire raggiunse l’abitazione non trovò quasi nulla. Non c’era traccia di Black ma nemmeno di Stendhal o di Rimbaud.

«Tu chi sei?» a parlare era stato un bambino. Baudelaire lo osservò confuso per interminabili minuti. Aveva i vestiti strappati ed era sporco di polvere e sangue ma non sembrava essere ferito, se non per qualche lieve escoriazione superficiale.

«Sai cosa è successo qui?» il piccolo scosse la testa.

«Quando mi sono svegliato non c’era nessuno» il Poète annuì.

«Come ti chiami?»

«Charles» Baudelaire sorrise;

«Che coincidenza, anche io» disse allungandogli una mano

«Dove sono i miei genitori?» insistette il piccolo prima di decidersi ad afferrarla

«Non lo so. Qual è l’ultima cosa che ricordi?»

«Il Poète malvagio aveva ferito Arthur. Paul piangeva. Poi si è fatto tutto buio»

Baudelaire si mise in ginocchio nascondendo il volto tra le mani. La sola idea di aver perso per sempre Rimbaud gli era inconcepibile. Aveva già sperimentato quel tipo di dolore, non era pronto a riviverlo. Il bambino prese posto accanto a lui.

«Sono rimasto solo?» domandò con una punta d’incertezza.

Baudelaire si trovò di fronte ad un bivio. Quel ragazzino era senza ombra di dubbio Arahabaki. Sapeva ciò che doveva fare, consegnarlo al proprio Governo. In quel momento ripensò ad Arthur, al bambino che era stato e che i Poètes avevano trasformato. Tornò ad osservare il piccolo Charlie. Rimbaud aveva desiderato un futuro diverso per quella creatura. Era stato per lui (e per Black) che era arrivato a tradire il proprio Paese.

Fece la propria scelta.

«Non sei solo. Ci sono io»


***

 

Realtà originale



Quando Baudelaire aprì gli occhi si accorse di stare piangendo. Carroll accanto a lui non si era mosso, in attesa di ricevere un qualche ordine. Il francese si prese qualche istante per osservare l’ambiente circostante, facendo mente locale su dove si trovasse. Lui e Verlaine avevano liberato un prigioniero dal carcere di Meursault. Lo stesso uomo che si trovava a pochi metri da lui e con la sua Abilità aveva permesso a entrambi di rivedere Rimbaud.

«Dove si trova Black?» si affrettò a domandare, notando come il biondo non fosse più sul divano dove ricordava di averlo lasciato. Grazie ai Fiori del male, Baudelaire si era addentrato dentro la psiche di quel mostro, rimanendo suo malgrado intrappolato in quel sogno. Era la prima volta che utilizzava la propria Abilità così a lungo. Non credeva nemmeno che potesse essere usata in quel modo.

«Si è svegliato circa un’ora fa. Non so nemmeno come abbia fatto...» mormorò l’inglese a metà tra il colpito ed il preoccupato.

«Ha utilizzato la sua Abilità, scatenando quella belva dentro di lui. Lo shock deve essere bastato per riportarlo indietro» concluse Baudelaire afferrando il proprio cappotto.

Verlaine era uscito dall’abitazione. Quando la spia lo raggiunse se ne stava in piedi intento ad osservare l’orizzonte. L’espressione su quel volto dai lineamenti perfetti era indecifrabile.

«È stato come ti aspettavi?» domandò Charles provando ad avvicinarsi. Paul voltò lentamente il capo, abbozzando un sorriso.

«Dimmelo tu. Sei entrato nella mia mente. Hai visto cosa è successo»

Seguirono altri secondi di silenzio.

«Se Paul anzi se Arthur quel giorno ti avesse seguito...»

«Non ti conviene finire quella frase. Rimbaud è morto comunque, anche in questo mondo ideale

«Per un po' siete stati felici»

«Secondo te quella era vera felicità?»

«Hai avuto ciò che io ho sempre sognato, dovresti essere grato anche solo per questo» confessò trattenendosi dall’impulso di prenderlo a pugni.

Verlaine gli regalò un’espressione confusa.

«L’amore di Arthur. L’hai sempre avuto e non te ne sei neppure reso conto» spiegò acido Baudelaire.

«Non è quello che pensi»

«Ha tradito i Poètes per te, e non parlo solo di quella realtà»

«Il mio rapporto con Rimbaud è più complicato di ciò che immagini»

«Puoi negare quanto vuoi ma stavate crescendo quel ragazzino insieme. Ho visto come ti guardava, sai, c’è stata una stagione della sua vita in cui quello sguardo era riservato a me. Questo come ti fa sentire?»

«Ho voglia di ucciderti, nel modo più doloroso possibile, ma so di non poterlo ancora fare»

«Cosa ti trattiene?»

«Rimbaud»

«Non riesco a comprenderti»

«Nessuno può farlo. In fondo a questo mondo esiste solo un individuo simile al sottoscritto»

«Stai parlando di Arahabaki?»

«Nakahara Chuuya»

«Non ti capisco, davvero»

«Ho intenzione di utilizzare di nuovo l’Abilità di Carroll» Baudelaire era completamente senza parole. Era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di sentire.

«Perché?»

«Non sono tenuto a darti una spiegazione»

«Tuttavia desidererei ascoltarla. Ho visto quanto successo. Arthur è morto tra le tue braccia»

«Tu al mio posto cosa faresti?» Baudelaire gli rivolse un’occhiata confusa prima di rispondere;

«Io ho accettato la sua morte»

Preferisco vedere il mio Paul morto piuttosto che felice insieme a te.

«Non sai davvero mentire. Il che non è il massimo per una spia»

Charles imprecò sottovoce. Quell’arroganza e superiorità non facevano altro che ricordagli l’amico scomparso.

«Eppure sono entrato nella tua mente» gli fece notare divertito.

«L’Abilità del tuo amico...» iniziò Verlaine, come colto da un’illuminazione;

«Il mio amico, ti riferisci forse a Stendhal?»

«Anche la sua Abilità prevede il controllo mentale giusto?»

«Cosa vuoi sapere? Non ti svelerò il suo funzionamento. Ricordati che siamo nemici»

«Questo Stendhal sa che mi stai aiutando?» Charles distolse lo sguardo, ma bastò questo per far comprendere a Verlaine di aver fatto centro,

«Io me ne torno in casa»

«Charles»

«Si?»

«Se hai accettato la morte di Arthur perché mi stai aiutando? Cosa ci guadagni da tutta questa storia?»

Quando abbasserai la guardia ti catturerò ed otterrò una pagina del Libro. Carroll e Rimbaud erano solo esche. Riscriverò la realtà.

Sorrise.

«Ogni cosa a tempo debito mon ami»











 


 

*I miei due grammi di ragione sono terminati


*Poesia “Le suore di carità” di A. Rimbaud. Nella Novel Stormbringer sono i versi per risvegliare l’Abilità di Verlaine.

 

 

  
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