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Autore: New Moon Black    18/06/2023    0 recensioni
[Tratto dal testo]
† † † † †
"«Cercherò di fermare il sangue.»
Prima che potesse dire o fare qualcosa,
Hotarune Sato rimase con il fiato sospeso alla vista della lingua che leccava via,
placidamente, il rivolo di plasma che le sporcava la pelle.
Sussultò.
A peggiorare la situazione fu percepire il respiro caldo su di sè,
le labbra che le pizzicavano quasi fastidiosamente le nocche e gli occhi di lui che la scrutavano,
attenti, ad ogni sua mossa.
Mai si era sentita così esposta e in soggezione di fronte al suo sguardo indagatore.
Si sentiva nuda di fronte a Mitsuya.
Sul serio, cosa stra cazzo stava succedendo?"
† † † † †
Storia molto (poco) fluff incentrata su Takashi Mitsuya,
che nel giorno del suo compleanno gli viene in mente un episodio "buffo"
capitato al laboratorio di cucito... e non era da solo.
Sebbene sia un AU, un'alternative universe, presenta anche alcuni spoiler del manga...
so, per il resto, buona lettura!
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Takashi Mitsuya
Note: AU, Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Bonker, but all the best people are.'
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★Numero parole: 7463.
★Characters: Takashi Mitsuya, Nuovo Personaggio.
★Rating: arancione.
★Genere: romantico, erotico, comico.
★N.B: Kashi si ricorda di un episodio curioso capitato un paio di giorni fa,
nel laboratorio di cucito,
 dove c'era anche Rune come testimone.
Al giorno del suo compleanno,
si rende conto di quanto sia fortunato ad averla incontrata e
di come ha reso la sua vita: incasinata ma bella.

★Avvertenze: AU, missing moments, lemon e lievi accenni all'Arco Finale.





-🐉 Lilac Dragon 💜 -


 


Diede un'occhiata al rammendo che aveva fatto qualche mezz'ora prima e vedendola di controluce,
grazie alla lampada a neon, notò con orgoglio di non aver trovato nessun difetto dai fili intrecciati;
e per un ulteriore conferma,
il tessuto elasticizzato della tuta di jeans aveva amalgamato perfettamente il ricamo.
Nessun errore nè con la macchina da cucire, nè con la rifinitura invisibile.
Sorrise soddisfatto.
Aveva fatto un lavoro pulito e preciso, proprio come piaceva a lui.
Prese il cellulare e, tempo di una breve ricerca nella rubrica,
se lo portò all'orecchio mentre con la mano libera ripose elegantemente la tuta in una busta di carta rosa.

«Pronto, Draken?
Sì, ho appena finito l'aggiusto.
Vuoi che te lo porto in negozio?» domandò egli
mentre smontava lo spinotto del pedale dalla macchina e la prolunga,
portandosi dietro sia la custodia protettiva di polistirolo e lo scatolo di cartone
«Ah, va bene allora, ti aspetto qui.
A dopo, Bro.»

Chiuse la chiamata in un battito di ciglia e prima di riporlo nella tasca dei pantaloni,
fissò distrattamente l'orario dal display.

12 Giugno 2008, ore 18:05.

Spalancò leggermente gli occhi, sorpreso,
e gli sfuggì di mano lo scatolone udendo impercettibilmente il tonfo leggero del cartone sul pavimento.

Accidenti, si era proprio dimenticato che oggi compiva gli anni.

Riflettendoci con attenzione, mancavano solo due anni per raggiungere, secondo l'anagrafe, la maggiore età...
al solo pensiero che presto sarebbe diventato un vero uomo, 
gli vennero i brividi dietro la schiena.

«Sarò maggiorenne tra due anni... come vola il tempo.»

Scosse piano la testa e facendo ondeggiare leggermente le lunghe ciocche lilla,
un sorriso divertito gli animò il volto chiaro e delineato.
Riprese in mano lo scatolone e, in meno di pochi minuti,
smontò la macchina e riporla nel suo cosiddetto "armadio delle meraviglie",
ove erano presenti anche una taglia e cuci, riviste di moda di ogni tipo,
raccoglitori di cartamodelli dalle taglie più disparate,
cotoni di varie grandezze e un numero considerevole di stoffe da far invidia a un'industria tessile.
Spazzò via, con scopa e paletta, tutti i residui di tessuti inutilizzabili e fili di cotone volanti,
per poi buttarli nella spazzatura.
Quando fu sul punto di riporre i suoi attrezzi da lavoro nella borsa,
compreso il suo immancabile metro da sarto - che se lo portava sempre a mo' di scialle -
Takashi Mitsuya scorse un bagliore argentato sul tavolo da lavoro.
Tra le dita aveva una piccola coppa di metallo a forma di cono,
con la punta piatta, e sebbene avesse un design molto semplice e minimalista,
aveva delle piccolissime incisioni sui bordi argentei.
Come se fossero dei minuscoli graffiti dati dall'ago appena spuntato,
o semplicemente dalle lame smussate delle forbici per i cotoni.
Percepì sulla pelle l'aria fresca del tardo pomeriggio,
proprio come una carezza gentile che gli regalava sempre sua madre quando era bambino,
e vedendo di sfuggita l'anta della finestra - oscillare appena grazie agli sbuffi di vento -
il ragazzo rimase per un paio di minuti ad ammirare il panorama.
Le iridi lilla catturarono attentamente le sfumature rossicce
che coloravano il cielo da un tenue arancio mandarino,
le nuvole dapprima bianche ed immacolate, ora avevano un colorito più caldo,
un giallo pastello con molti giochi di luci ed ombre
ed ebbe l'impressione di vedere un petalo di qualche fiore librarsi nell'aria.
Non n'era molto sicuro di cosa avesse visto,
ma dal colore giallognolo sembrava tanto quello di un girasole.

Il suo preferito.

Inconsciamente, sorrise con fare sghembo e un impercettibile rossore gli colorò le gote.
Strinse forte il piccolo ditale che aveva tra le mani e gli venne in mente un episodio
capitato al liceo alcune settimane fa al club di cucito, quando c'era lei.

 

{Alcune settimane prima}
 

Aveva salutato da poco tutti i membri del club e stava finendo di sbastire un vestito
che aveva ultimato nel primo pomeriggio.
Era composto da una casacca nera lunga fino al bacino,
con il collo alla coreana, le maniche corte a kimono e una notevole trasparenza dalla vita in giù,
seguito poi da una gonna a godet alta fin sopra il ginocchio;
poco lontano dalla macchina da cucire, vi erano piegati dei "prototipi"
di quello che sembravano leggings ed erano del medesimo colore del completo.
Il dettaglio più importante era che, la maggior parte di essi,
avevano dei disegni broccati - molto dettagliati - che ricordavano tanto le ortensie in piena fase di fioritura.
Era elegante.
Sofisticato.
Ma anche tanto audace.
Il tema che avevano scelto era la "Geisha Haute-Couture" e ognuno di loro,
incluso il sottoscritto, avevano lavorato duramente per la scelta del modello,
la realizzazione e lo sviluppo del completo, fino ad arrivare ai tocchi finali.
Per un'unico scopo: poter esporre i propri lavori al Festival scolastico
e avere la possibilità di essere notati, da non uno,
ma bensì vari pezzi grossi nel mondo dell'alta moda, entro il diploma.

Era la sua occasione per raggiungere il suo obbiettivo,
ovvero di diventare un fashion designer,
e l'avrebbe colta al volo senza che avesse dei ripensamenti.

Aveva appena finito di pulire la gonna e, stendendolo sul tavolo,
notò alcune pieghe dall'altezza del bacino.
La prima cosa che gli venne in mente fu quella di stirarla con il ferro dal rovescio
e poi riporla nella busta viola, insieme agli altri pezzi del completo.
Era sul punto di avvicinarsi alla tavola da stiro, ma rimase fermo lì dov'era,
al suo posto, perché aveva una strana sensazione.
C'era qualcosa che non andava nell'aria e per qualche ragione ignota,
si sentiva osservato.
Si guardò intorno, con fare guardingo,
ma non aveva notato niente di strano o fuori dall'ordinario nella sala del club.
A parte lui e i neo maturandi che ripassavano gli esami di fine anno
- e spesso la sessione durava per tutto il pomeriggio,
se non di più - non c'era un'anima viva nell'Istituto.
Era certo di essere solo e non aveva dubbi a riguardo,
eppure, sentiva che qualcuno lo stesse guardando da lontano.
In silenzio.
Ripose la gonna sul tavolo e tenne l'orecchio teso per sentire qualsiasi rumore molesto.
Per una buona mezz'ora non vide e non sentì nulla di anomalo,
finché non captò alle orecchie una flebile voce femminile.
A giudicare dal tono e dal controllo del suo respiro,
sembrava che stesse in stato di apnea apparente,
ma non riuscendo a trattenere l'ossigeno ai polmoni, sentiva il gorgoglio di una risata soffocata.
Era una voce allegra, soave e tanto bella.
Subito dopo sentì un leggero battito di dita provenire dalla porta scorrevole,
che scalpitava con rumori secchi e ben udibili.
Una persona normale penserebbe sia solo qualcuno che tamburellava con le mani i muri,
le porte o le finestre per noia o per imitare le ripercussioni della batteria,
ma Takashi sapeva benissimo cosa significasse quel "toc toc".
Solo una persona gli aveva insegnato tutti i segreti di quei messaggi criptici,
codici ad intermittenza, un sistema che trasmetteva non solo suoni, ma anche lettere,
segni di punteggiatura e numeri.
Sorrise, con un guizzo divertito tra le iridi color lavanda.

Ciao, Fiorellino.
Disturbo, per caso?

In un battito di ciglia, una ragazza entrò nel suo campo visivo.
Alta all'incirca un metro e sessantatre, abbastanza minuta,
aveva la divisa estiva del liceo, la solita camicetta bianca a maniche corte
- il fiocco al colletto mancava all'appello - una busta bianca e rossa che teneva stretta a sè,
la gonna a pieghe blu navy che le arrivava poco più sopra del ginocchio
e le piccole pantofoline bianche e rosse che davano sempre in dotazione la scuola.
Quando riconobbe le sue iridi scure e sottili,
il suo viso niveo di porcellana e quella cascata di riccioli mori,
ora cresciuti e raccolti in una morbida treccia,
il suo sorriso s'ampliò esposizionalmente, da un orecchio e un altro.
Tanta era l'euforia che stava provando il giovine da fargli rischiare,
permanentemente, una paralisi facciale.
Hotarune Sato, per gli amici più fidati Rune,
neo maturanda e membro onorario del club di cucito dal primo anno.
Ex Senpai del suo migliore amico Draken
- nonché fratello non di sangue - ai tempi delle medie di Shibuya.
La sua Musa ispiratrice, nonché collega ed arcirivale.
E, cosa più importante, la sua preziosa ed amata partner.
Rispose subito al suo messaggio cifrato,
sempre accompagnato dal suo radioso sorriso.

Non disturbi mai, Milady.

Non tutti ne erano a conoscenza, nemmeno i suoi vecchi compagni della gang
- complice la sua natura pacata e riservata nel rivelare apertamente la sua vita sentimentale -
ma il lavanda e la moretta si frequentavano da un po' di tempo ormai,
quasi dall'inizio della primavera; e avevano concordato entrambi di mantenere segreta la loro relazione.
Al sicuro, dai pettegolezzi e dalle malelingue,
per evitare episodi spiacevoli.
Agli occhi di tutti, Kashi e Rune si comportavano come se fossero amici di vecchia data,
si prendevano in giro a vicenda usando nomignoli stupidi
e non perdevano mai l'occasione di dirsi battute squallide o ambigue.
Tuttavia, nel privato, si concedevano a pratiche più piacevoli,
cose che farebbero una qualsiasi coppia di fidanzati,
come scriversi i messaggi del buongiorno e della buonanotte
- seguita magari da una o più emoji - darsi lunghi e caldi abbracci perché bisognosi di conforto,
o semplicemente per ricevere più contatto fisico.
Lasciarsi delle carezze lente e gentili, quasi soporifere,
sui volti, alle spalle o se non addirittura alla schiena.
Scambiarsi a vicenda baci dolci, a fior di labbra,
trasmettandodi tanto affetto e calore da far scaldare i loro cuori.
Entrambi erano felici di questo legame che si era creato dopo due anni,
sentivano che dovevano vivere il momento con più leggerezza,
ed erano consapevoli che nessuno dei due stesse correndo troppo per,
come si vuol dire, bruciare le tappe.
Certo, all'inizio, per la ragazza non è stato facile affrontare quel passo importante,
ovvero la realizzazione dei propri sentimenti nei confronti di qualcuno
che le donasse una seconda occasione, un'altra possibilità di poter nuovamente amare.
Dopo quel brutto incidente capitato al porto di Yokohama,
ove Rune dovette dire addio al suo ex fidanzato - il suo primo amore sul letto di morte -
era fermamente convinta che, con quel lutto, l'avrebbe distrutta definitivamente.
Non era andata troppo lontana dalla verità:
dopo il funerale, era caduta in depressione,
mangiava a giorni alterni e aveva smesso di parlare davanti agli altri
- se non in maniera brusca e schietta e molti avevano paura di lei e della sua lingua tagliente -
e fino a non molto tempo fa, la sua mente le aveva giocato un brutto tiro mancino,
autoconvincendosi che non sarebbe mai stata capace di andare avanti.
Bloccata in un lungo e soffocante loop, senza che riuscisse a trovare un via d'uscita,
camminando in un circolo vizioso fatto di sofferenza ed apatia allo stato puro.
Più si rifugiava nei suoi bellissimi ma effimeri ricordi del passato,
più era difficile per lei vivere nel presente.
E per un certo periodo di tempo, quando Hotarune era ancora provata e sofferente,
aveva inconsapevolmente ferito il cuore di Takashi,
che invano aveva provato a starle accanto nei momenti bui e,
mai una volta, l'aveva lasciata sola in balia dei suoi demoni interiori.

Adesso, però, sembrava solo un lontano ricordo.

«Hai già finito la sessione di studio con gli altri maturandi?»

«Sì, ci abbiamo messo giusto un'oretta a dire la verità...
E tu? A cosa stai lavorando?»

«Al progetto per il Festival... mi mancano solo due o tre rifiniture.»

«Posso guardarti mentre lavori?»

«Attenta solo a non rimanere accecata da me eh~»

La guardò di sottecchi mentre si sistemava accanto a lui,
con un piccolo ghigno ammiccante, e sebbene non l'avesse sentita proferire parola,
aveva letto il suo labiale seguito poi da uno sbuffo divertito.

Scemo.

Subito dopo, è calato il silenzio in quelle quattro mura.
Solamente il rumore impercettibile del ditale che si scontrava,
di tanto in tanto, con la cruna dell'ago e il fruscio delle dita di Takashi sulla stoffa nera.
Le iridi corvine osservavano curiosi ogni suo movimento,
come le sue dita accarezzavano gentilmente il tessuto liscio e setoso della gonna
e il modo in cui impugnava con sicurezza l'ago tra i polpastrelli.
Poi salì lentamente sul suo profilo,
a come il suo pomo d'Adamo gli facesse risaltare i suoi lineamenti maschili,
quasi marmorei, le labbra sottili e morbide, il naso ben delineato,
le ciglia leggermente chiare - argentee se lo si guardava da una prospettiva -
e i suoi occhi lilla, belli e penetranti da mozzare il fiato.
Per non parlare dei capelli, che hanno avuto una notevole ricrescita,
e adesso quelle ciocche violette gli solleticavano la fronte e le spalle.
Arrossì quasi vistosamente e ringraziò gli Dei che fosse così concentrato sul suo lavoro.
Sebbene si vergognasse ad ammettere apertamente i suoi pensieri più intimi,
era da più di un mese che sognasse di fare attività "acrobatiche" con il sottoscritto,
consapevole che le avrebbe giovato molto non solo il fisico, ma anche l'umore.
Ogni volta che sognava lui, Takashi, succedeva che mentre la sovrastava,
nudo come madre natura l'aveva fatto,
prima di fare qualsiasi altra cosa la guardava dritto negli occhi,
come alla ricerca di un suo consenso;
oltre ad essere annebbiati dal piacere più travolgente, erano anche pieni di amore, dolcezza e premura.

Lo erano così tanto da mandarla, letteralmente, a quel paese.

Se fosse per lei, starebbe ore e ore a guardare incantata
come il ragazzo si prodigasse a un nuovo progetto o semplicemente
scarabocchiando qualcosa nel suo album da disegno.
Ma dato che ieri notte ha faticato molto a dormire - impegnata a non urlare
istericamente sia per non svegliare i suoi genitori che la sua pelosetta -
fantasticando per l'ennesima volta a fare sesso con il lavanda,
ogni volta che lo vedeva di sfuggita tra i corridoi del liceo,
per la mora era sempre un dramma mantenere la calma e il sangue freddo.
Ovviamente, lui era completamente ignaro dei suoi cosiddetti "impulsi"
e più passava il tempo, maggiore era la difficoltà a rimanere impassibile alla sua presenza.
Forse Kashi non se ne rendeva conto,
ma quando erano vicini - MOLTO vicini, scattava sempre una scintilla,
un'innesco, poco più sotto nella pancia e non aveva la vaga idea di quanto, la povera Rune,
facesse fatica a rimanere lucida, con i nervi saldi, al suo fianco.

A cercare di non perdere, letteralmente, la dignità.

Sospirò piano, con un broncio sconsolato a fior di labbra,
e dopo un paio di minuti si ritrovò anche lei a rammendare
con una mano il lembo di una felpa scura e, a furia di velocizzare il processo,
cercò invano di non pungersi spesso con l'ago.
Per una buona mezz'ora - se non qualcosa di più - ci fu un silenzio di tomba,
e approfittando che non la stesse guardando,
ebbe modo di fare lunghi respiri profondi, calmare i bollenti spiriti e ritrovare la pace interiore,
che era nascosta nella zona più remota della sua mente.
Non distrarti, pensò a se stessa, cerca di non guardarlo negli occhi.
Si morse distrattamente il labbro.

Era più facile a dirsi, che a farsi.

Dopo un buon quarto d'ora passato a pulire le cuciture della gonna,
Mitsuya si fermò per sgranchire meglio le braccia e la schiena e alzandosi dalla sedia,
piegò con cura tutti i pezzi del completo nero broccato d'ortensia e riporlo in una busta viola.
Nel fare ciò, vide di sfuggita la sua ragazza applicare delle cuciture decorative ai polsini,
usando un colore sgargiante e dalle sfumature calde.
Senza fare rumore, si avvicinò piano alla mora e appoggiandosi
sul bordo del tavolo, la osservò incuriosito.
Sapeva che fosse brava, forse anche troppo,
eppure non l'aveva mai vista così concentrata e focalizzata su quel piccolo dettaglio.
Rispetto a lui, Hotarune non indossava il ditale e sebbene svolgesse il lavoro
più velocemente senza mai sbagliare un colpo
- con una precisione da fare invidia persino a un cecchino -
erano molte le occasioni che si ferisse le dita con l'ago doppio.
A furia di lavorarci senza, si era procurata varie cicatrici ai polpastrelli,
per la maggiore erano strisce bianche e sottili ad adornarle la pelle rosea.
Inclinò le sopracciglia, leggermente accigliato.

«Dovresti indossare il ditale se hai a che fare con tessuti più antipatici.» rispose lui mentre osservava,
con attenzione, come le sue dita si muovevano con destrezza tra ago e filo,
peccato che aveva iniziato a pungersi il dito medio per quattro volte di fila
«Se continui così, finirai per bucarti.»

Le labbra della moretta si arcuarono in una smorfia
così buffa che fece ridere di gusto al suo interlocutore,
con tanto di gesti plateali.

«Tranquillo, Fiorellino.
Sono più tosta e coriacea di quanto tu possa immaginare.»

«Ho i miei dubbi a riguardo, sai?»

«Che uomo di poca fede.»

Rise nuovamente al suo ennesimo broncio infantile,
che ai suoi occhi era ancora più carina del normale,
e si scansò un paio di volte quando la sottoscritta impugnò l'ago a mo' di spada
e provò a punzecchiarlo.
Le confessò che in parte si è sentita responsabile
nella sua mancanza di negligenza - ovvero non aver preso l'abitudine
di cucire insieme al ditale - e quando aveva avuto il primo approccio
con quel piccolo cono di metallo, non riusciva a muoversi fluidamente,
senza che non le scivolasse di mano.
A detta sua, aveva sviluppato un brutto vizio ed era fin troppo consapevole che,
per una stilista, è fondamentale tenere ben stretto il ditale.
Borbottò qualche imprecazione mentre mostrava al ragazzo l'oggetto in questione.
Come se lo era scivolato sul dito medio,
i suoi movimenti erano più impacciati e facendogli poi una breve dimostrazione
su come quel piccolo accessorio la mettesse in difficoltà nella sua routine quotidiana,
o ripose di malagrazia nella sua borsa degli attrezzi.

«E poi... te l'ho detto, no?
I miei migliori lavori sono proprio quelli senza d-»

Non ebbe il tempo di finire la frase che la punta dell'ago le si conficcò,
di prepotenza, sulla pelle e, prima che se ne rendesse conto,
cominciò a sanguinare copiosamente su tutta la mano.
Istintivamente, ella si allontanò subito dal tavolo,
alzandosi immediatamente dalla sedia, ma a causa di quel movimento brusco,
l'oggetto appuntito cadde a terra portandosi dietro non solo la borsa degli attrezzi,
ma anche quelle piccole gocce di sangue, sporcando le mattonelle del laboratorio.
Con il pensiero di cercare qualcosa che tamponasse in fretta la ferita,
fece qualche passo per allontanarsi; tuttavia,
percepì la mano di Takashi che le aveva preso gentilmente il polso.

«Rune, non muoverti.»

Le iridi nere saettarono frenetiche tra lui e la sua mano insanguinata
e quando si scontrò con i suoi occhi chiari e limpidi,
cogliendo un particolare luccichio alle pupille, obbedì seduta stante.
Notò solo più tardi che si fosse avvicinato ulteriormente a lei
ed era così confusa e spaesata da non capire cosa stesse succedendo.
Lo chiamò piano, con un sussurro talmente impercettibile da pensare che,
forse, non l'avesse sentita.
Ma dovette ricredersi quando, lentamente,
la sua mano le sfiorava con delicatezza la pelle portandola man mano davanti a sè.
A quel contatto, le si mozzò il respiro per qualche minuto e il suo cervello,
ogni tanto, non le mandava vari segnali.

«Ti fa male?»

«E-Ecco... pizzica un po' ma non fa malissimo.
A-Almeno credo... F-forse.»

Le guance della ragazza si colorarono di rosso e come se non fosse abbastanza,
il cuore le stava martellando tremendamente nel petto.
Era vicino.
Troppo vicino.
Voleva parlargli, dirgli qualcosa,
anche una stronzata grande quanto le insegne pubblicitarie nel centro di Shibuya,
eppure dalle sue labbra non uscì nessun suono indistinto,
nemmeno una parola di senso compiuto.
Solo dei gorgoglii confusi.
Mentre la ragazza trovava un modo a non perdere letteralmente 
la testa per la troppa vicinanza con il suo compagno,
il lavanda aveva un'aria decisamente apprensiva, come se fosse nervoso di qualcosa.
Con la coda nell'occhio, studiò attentamente la ferita al dito medio:
si era procurata un bel buco alla cute e man mano,
tutte quelle gocce scarlatte scendevano indisturbate lungo le nocche,
il dorso della mano e, lentamente, anche al palmo.
Socchiuse gli occhi in due fessure.
Odiava vederla in quelle condizioni e, molte volte,
non era mai presente quando le capitavano questi "incidenti di percorso".
Ma non stavolta.

«Cercherò di fermare il sangue.»

Prima che potesse dire o fare qualcosa,
Hotarune Sato rimase con il fiato sospeso alla vista della lingua che leccava via,
placidamente, il rivolo di plasma che le sporcava la pelle.
Sussultò.
A peggiorare la situazione fu percepire il respiro caldo su di sè,
le labbra che le pizzicavano quasi fastidiosamente le nocche
e gli occhi di lui che la scrutavano, attenti, ad ogni sua mossa.
Mai si era sentita così esposta e in soggezione di fronte al suo sguardo indagatore.
Si sentiva nuda di fronte a Mitsuya.

Sul serio, cosa stra cazzo stava succedendo?

Attraversò con la lingua tutto il dorso, gli angoli del palmo e le nocche,
fino ad arrivare alle dita incallite,
con una lentezza tanto asfissiante quanto sorprendentemente piacevole.
Se avesse continuato a rimanere in apnea,
molto probabilmente ella sarebbe crollata a terra per mancanza di ossigeno,
ma dopo un po' riprese a respirare; all'inizio è stato difficile perché,
per un breve istante, aveva completamente dimenticato come si facesse.
Il cuore non la smetteva di dolerle al petto, era paonazza su tutto il viso e,
come ciliegina sulla torta, aveva percepito delle fitte fastidiose nella pancia.
Spalancò le iridi nere.

Sbaglio, o l'aveva visto con un ghigno stampato in faccia?

Il suo volto era pericolosamente vicino al polpastrello ferito,
ebbe i brividi quando il respiro caldo le accarezzava la pelle
e il profumo dolce e soporifero della lavanda le stava dando la testa, oltre ad invaderle le narici.
Si lasciò sfuggire un gemito a fior di labbra.
Presa dall'ansia, si morse subito il labbro, cercando invano di rimanere in silenzio.
L'aveva forse sentita?
Non lo sapeva, ma si augurò che non abbia notato quel piccolo dettaglio,
perché era parecchio imbarazzante.
Poi, in un battito di ciglia, lo vide sfiorare prima con le labbra il dito ferito e,
successivamente, percepì la sua lingua che si muoveva sinuosa su di essa,
succhiandone piano la superficie.

A tale visione, perse uno o due battiti.

Gemette più forte di prima e quando se ne rese conto,
con la mano libera si coprì subito la bocca, più rossa come non mai.
E quando pensò che niente potesse andare peggio,
giurò di percepire sulle sue gambe i suoi stessi umori scorrerle, di prepotenza,
sulla pelle chiara.

«Tutto bene, Nanetta?
Sembra che tu abbia preso una bella botta di calore.»

Aveva quel maledetto ghigno stampato sul volto,
il labbro inferiore lievemente sporco di sangue, il suo sangue,
le iridi lilla che la scrutavano attenti,
sempre accompagnato da quel fottuto guizzo a renderegli lo sguardo più intenso.
Sensuale.
Magnetico.
Era fin troppo sexy e mai si sarebbe aspettata di vedere una tale metamorfosi da parte sua.
Le pupille si restrinsero in due fessure,
respirò più lentamente ed era tanto così da non bestemmiare tutti gli Dei.
Mise la mano giù, aggrappandosi con tutte le sue forze alla sua spalla
e quando prese un lungo respiro profondo, lo fulminò con lo sguardo,
abbastanza adirata.

Te la faccio vedere io la botta di calore, stronzo.

Con un forte slancio alle gambe riuscì a salire a cavalcioni su di lui,
arpionandogli il bacino con tutta la forza che aveva in corpo.
Ringraziò mentalmente gli insegnamenti della Sensei Aizawa
e del duro addestramento da judoka ad averle donato forza, elasticità ed equilibrio.
Vide impercettibilmente un movimento alle iridi lilla
e comprese solo in quel frangente che fosse il segnale ad agire.
A sganciare la bomba.
Lo sfidò a mantenere il contatto visivo e per un tempo indeterminato,
continuò a stringergli il colletto della camicia con le mani chiuse a pugno.

«SAI CHE COSA TI DICO?
FANCULO LA DIGNITÀ!»

Come una furia, s'impossessò di prepotenza della sua bocca,
scambiandosi un bacio violento, quasi vorace.
Per un breve momento percepì al tatto il sapore ferroso del sangue,
ma scomparve quasi subito quando venne sostituito da un profumo più dolce ed intenso,
come il miele d'acacia, e ne fu così dipendente da volerne ancora, ancora ed ancora.
E volendogli rendere la vita più difficile,
gli morse un paio di volte il labbro inferiore ad ogni schiocco di lingua,
stringendosi più forte a lui, ondeggiando di proposito contro il cavallo dei pantaloni.
Con questo, gli fece capire che se non avrebbe preso subito posizione,
lo avrebbe torturato fino all'esasperazione.

Ovviamente, la risposta non tardò ad arrivare.

Egli ricambiò con la stessa irruenza ed audacia
aprendo la bocca e incrociando le lingue in una danza frenetica,
caotica, si scambiarono a vicenda non solo saliva e umori, ma anche vari messaggi in codice.

Mentre lui sogghignava divertito un :"Non ti facevo così intraprendente, Nanetta.";
lei lo rispondeva a tono, quasi sprezzante,
qualcosa come:"Me la mangio quella fottuta lingua che ti ritrovi."

Le sue mani erano immediatamente attorno a quei fianchi stretti,
così maledettamente delineati, ed ebbe il forte impulso di farle strappare via la divisa estiva,
tanta era la foga che provava in quel frangente.
Sorrise beffardo a sentire i suoi sospiri languidi su quei boccioli
così delicati e gonfi che aveva tra le labbra,
e scendendo man mano fino alla clavicola e una porzione di pelle,
fece lo stesso trattamento.
Ma di rimando percepì le dita di Rune che passavano dietro il suo collo,
proprio alla nuca, stringendo più forte le sue ciocche violette.
A piccoli passi, egli arrivò fino al tavolo facendola sedere sulla superficie liscia,
aveva percepito la pelle d'oca sotto il suo tocco, ma non ci badò più di tanto.
Era troppo occupato ad ascoltare la sua voce che,
di tanto in tanto, gemeva il suo nome con tono sottomesso e le guance che scottavano.
Così delicata.
Desiderabile.

Imprecò mentalmente per quanti pensieri osceni
stesse facendo con quelle labbra piene e rosee.

Mugolarono all'unisono quando azzerarono completamente le distanze,
sfiorandosi accidentalmente le loro intimità con una leggera spinta di bacino,
e si scambiarono una irrefrenabile scia di saliva, baci e morsi,
quasi come dei lupi affamati in cerca di carne fresca.
In quel momento, entrambi capirono che volevano di più,
superare i propri limiti, anche se questo significherebbe
prendere il rischio di avere rapporti sessuali in un luogo pubblico.
Avevano paura, molta, ma il sentimento che provavano era talmente forte
che misero da parte tutto, anche il buon senso.
Mai si erano spinti così tanto per avere più contatto fisico,
complice la paura di lei a superare la soglia del "bacio alla francese",
se non addirittura l'apprensione di lui all'idea di non essere "abbastanza".

Eppure, entrambi scoprirono con sorpresa che ne avevano tremendamente bisogno.

I polpastrelli della ragazza sbottonavano con bramosia la camicia,
scoprendo quel corpo greco e scultereo, e passando le mani dietro le scapole,
giurò di sentire il battito accelerato del suo cuore.
Le mani di Mitsuya vagavano velocemente tutto il suo corpo,
a detta sua troppo bello e perfetto, prima con le labbra
si occupò di lambirle meglio una porzione di pelle,
poco sopra il reggiseno di pizzo arancione - perdendo il conto
di quanti succhiotti le lasciò su quel davanzale - poi passò tra le caviglie,
le gambe e l'interno coscia, facendole alzare man mano la gonna.
Quando con le dita arrivò molto vicino allo strato di pizzo della sua biancheria intima,
sempre arancione, egli si mise ad accarezzarne lentamente la superficie.
Pian piano si ritrovò a sfiorare i glutei e con entrambe le mani, li strinse.
Era così piacevole ed eccitante sentire da vicino i suoi sospiri,
sulla propria pelle, tanto da percepire la propria erezione dargli fastidio nei pantaloni,
per metà aperti, lasciando intravedere l'elastico dei boxer.
Si fermarono per necessità di ossigeno, rimanendo fermi ed immobili come statue,
e prima che se ne rendessero conto, si ritrovarono a perdersi l'una negli occhi dell'altro.
Erano ancora uniti in quell'abbraccio insolito ma rassicurante,
le fronti combaciate amorevolmente, i nasi che si sfioravano con dolcezza
e le ciocche chiare di lui che solleticavano delicatamente sia le guance rosse e le ciglia scure di lei.
Lilla contro nero.
Lo Yin e lo Yang.
Un oceano profondo ed oscuro contro un fascio di luce etereo.
Il tempo si è fermato per un po' per tutti e due,
ancora annodati in quell'insolito groviglio di muscoli e stoffa.
Mitsuya si risvegliò dal suo stato di trance dopo un paio di minuti,
quando ormai il sole stava per calare e la luce in quella sala era sempre meno;
ad occhio e croce, sembravano quasi le sette un quarto, se non un qualcosina di più.

Ma al momento, era troppo occupato a prestare attenzione alla sua compagna che al resto.

La treccia era spettinata, alcuni riccioli scuri uscivano fuori allo scoperto,
il viso che si stava riprendendo man mano dal suo colorito normale,
le lenti a contatto che delineavano la forma dei suoi occhi corvini
 il sorriso morbido e genuino a dipingerle la pelle rosea e vellutata.
Le baciò con tenerezza sulla fronte,
soffiandole piano i ciuffi più ribelli che le pizzicavano le ciglia.
Alcune di esse erano andate a finire all'altezza del seno, con fare placido.

«Tu mi farai diventare pazzo, sappilo.»

Guardò con curiosità i lineamenti del suo corpo semi nudo,
il colore della sua pelle chiara in contrasto con la camicia bianca sbottonata,
mostrando i muscoli tonici in stato di riposo,
il suo orecchino di metallo nero con la croce bianca e quel piccolo succhiotto lungo l'incavo del collo.
Più lo guardava dritto negli occhi,
più Rune si sentiva felice e serena stando al suo fianco.
Le sembrò di toccare il cielo con un dito.
Delicatamente posò una mano sulla sua guancia,
lasciandogli tante carezze gentili e confortanti,
e come lo vide che si lasciava cullare dal suo calore, dalle sue attenzioni,
non potè fare a meno di pensare quanto fosse carino ed adorabile.
Quando fu abbastanza vicino al suo viso, gli sfiorò dolcemente le labbra.
Un piccolo e casto bacio che sapeva di affetto, di fiducia e di rispetto.

«Se il risultato sarà questo... allora sarà un piacere darti fastidio.» gongolò piano lei
in una risata allegra mentre se lo trascinava pian piano sul tavolo,
fino a sovrastarlo definitivamente.

«Signorina Sato, dovreste stare attenta a quello che dite...
State giocando con il fuoco.»

«Oppure, potresti usare quel fuoco per far scatenare il drago ch'è in te.»

Di tutta risposta, il lavanda la guardò stupito interrompendo,
momentaneamente, quella serie di carezze delicate
sulle gambe facendole venire i brividi di piacere.

«Stai scherzando?»

«In realtà... speravo davvero che mi baciassi quelle labbra~»

Ci mise un po' di tempo a capire cosa intendesse dire con quelle parole,
complice quel piacevole tepore ad offuscargli i sensi.
Ma non appena prese pienamente coscienza della sua mente
- facendo letteralmente "2+2" - un sorriso divertito gli delineò le labbra.
Rune, d'altro canto, fece del suo meglio
a non ridere sguaiatamente alla sua faccia da pesce lesso.
Egli mimò un'imprecazione colorita e quando la prese nuovamente in braccio,
le sfiorò volutamente le sue grazie da sotto la gonna,
portandoli all'ennessima sessione di baci umidi e caldi.

«Hai appena svegliato il drago che dorme nel giro di un minuto...
Ne hai di fegato.»

«Grazie, faccio del mio meglio a punzecchiarti in quel senso.»

Si allontanarono dalla sala di cucito in una più piccola ed appartata,
premurandosi ovviamente di portare le chiavi per chiudere la porta;
oltre per non essere disturbati,
ma erano alte le probabilità che nelle prossime ore avrebbero fatto rumore.

Anzi, troppo rumore.

La stanzina in questione era un vecchio deposito di stoffe estive
e qualche scatolo di oggettistica per arricchire i propri capi d'abbigliamento;
nessuno ci andava lì dentro se non il sottoscritto e da quando l'ha scovato
ai primi giorni di visita al club, era riuscito a trasportare un materasso morbido,
singolo, trasformandola in una stanza di riposo nei momenti in cui lavorava da solo
e aveva bisogno di riposare; oppure, per rintanarsi e staccare la spina dalle attività scolastiche.
I due si buttarono quasi di peso sopra le lenzuola di cotone
e mentre cresceva il desiderio spasmodico di unirsi a vicenda,
a diventare una cosa sola, lanciarono via man mano tutti i vestiti.

«Tu e quella benedetta lingua ammaliatrice ve la farò pagare cara.»

«Ha parlato quello che ha iniziato la partita di Scopa e non ha saputo accettare la sconfitta.»

«Disse la povera sventurata che, non appena si è lasciata sedurre dal suo amato drago,
non ci vede più dalla voglia di scopare.»

«Takashi!»

«Sì, tra poco lo urlerai... in tutti i sensi~»
 

{Presente}
 

Quando calò la notte, le temperature si abbassarono gradualmente
e sebbene non era previsto l'arrivo di un temporale,
poteva sentire nell'aria l'odore di umidità.
Almeno non fa caldo, pensò Takashi,
e non dovrò nemmeno preoccuparmi che entrino le zanzare.
Aveva salutato da poco Draken, che aveva finito in anticipo il lavoro e,
oltre ad avergli dato gli auguri di buon compleanno,
avevano passato l'intero pomeriggio a chiacchierare con una tazza di tea verde;
parlando di come stavano andando le loro vite e, di tanto in tanto,
perdersi nei ricordi del passato, quando erano un gruppo di delinquenti scalmanati.
Ammise che, una buona parte, aveva sentito la mancanza dei giorni andati,
quando insieme al suo Bro e il resto dei ragazzi, diedero vita alla Tokyo Manji Gang.
La sua nostalgica e cara Toman.
Ammise a se stesso di aver provato la nostalgia dei bei vecchi tempi,
quando si prese l'impegno di creare le divise della loro gang,
essere il Capitano di una divisione,
di avere avuto un bravo braccio destro - ovvero Hakkai Shiba - che
pur rimando fedele ai propri principi,
spesso lo aveva messo in difficoltà per questioni più delicate.
Ma la cosa più importante, secondo Mitsuya,
era che all'epoca tutto era più semplice.
Quando pensava al passato, spesso si focalizzava sui momenti felici della prima infanzia,
come ad esempio quando sua madre lo accudiva amorevolmente
o di quando si fosse emozionato alla notizia che, presto,
avrebbe avuto delle sorelle con cui giocare.
Crescendo poi aveva collezionato altri ricordi,
che si rivelarono importanti quanto preziosi, e lui man mano li aveva custoditi tutti.

Nessuno escluso.

La prima volta che costruì con i vari pezzi di ricambio la sua Impulse e,
fresco di patentino, sfrecciò per tutto il quartiere di Shibuya.
La prima volta che giocò con le piccole Mana e Luna ad acchiapparello,
divertendosi come un matto.
La prima volta che conobbe Draken e realizzò di aver trovato,
in lui, il fratello che non aveva mai avuto.
La prima volta che si scontrò accidentalmente con Hotarune nell'emporio dei tessuti,
senza presentarsi ufficialmente, e sviluppare un interesse genuino nei suoi confronti.
La prima volta che capì di essersi innamorato di lei quando,
dopo il diploma alle scuole medie, gli confessò di voler intraprendere
la professione di stilista - e provare ad inseguire quel sogno che aveva nel cassetto -
perché in lui aveva trovato la forza,
il coraggio e la speranza di voler rivoluzionare il mondo.
Da quel momento in poi, Takashi aveva giurato di proteggere
quei bellissimi momenti nel profondo del suo cuore e che,
mai e poi mai, li avrebbe dimenticati.
Per nessuna ragione al mondo.

Perchè per la prima volta, in tutta la sua vita,
comprese l'importanza di custodire gelosamente quei ricordi,
che valevano più dell'oro.

Si premurò di abbassare le persiane sia alle finestre, sparse nel laboratorio,
che nel piccolo balcone - per evitare che l'acqua entrasse dentro le mura - ma rimase
le ante socchiuse a pochi centimetri, per far passare uno spiffero d'aria fresca.
L'estate era dietro le porte e, di certo,
non poteva passare la notte chiuso lì dentro,
con il rischio di sudare o avere un calo di pressione.
Doveva ringraziare Pah-chin e Peh-yan se aveva trovato questa modesta abitazione,
trasformandola nella sua umile dimora.
Da un lato c'era il laboratorio, il suo cosiddetto "studio",
mentre dall'altro era composto da un piccolo monolocale con la cucina,
il bagno e la lavanderia funzionanti,
un salotto di pochi metri quadri vicino alla porta d'ingresso
e una camera da letto semplice e pratica.
Aveva avvisato sua madre che avrebbe passato la notte lì,
approfittando di prendersi del tempo per se stesso;
l'aveva rassicurata dicendole che non appena avesse trovato del tempo libero
tra lavoro e sessione di studio, l'avrebbe chiamata per dirgli "sto bene".
Un po' gli dispiaceva lasciare Mana e Luna,
complice la loro particolare routine abitudinaria,
ma era consapevole che con lei al loro fianco, erano in ottime mani.
Amava le sue sorelline più di qualsiasi altra cosa al mondo,
ma certe volte sentiva il bisogno di trovare la sua libertà, indipendenza e pace interiore.
Erano passati giusto un paio di minuti le nove di sera e
tecnicamente doveva preparare la cena,
ma l'idea di dover accendere il piccolo fornello e rischiare di sciogliersi dal caldo afoso,
lo aveva fatto desistere, scartandolo a priori.
Il frigorifero era per metà vuoto e - fatta ad eccezione per la quantità considerevole di frutta -
non aveva molti ingredienti per cucinare un piatto completo.
L'unica opzione rimasta era quello di trovare il primo conbini disponibile,
prendere velocemente gli alimenti strettamente necessari - come il curry
o il nikujaga - e preparare un piatto veloce e abbastanza buono da leccarsi i baffi.
A pensarci, non era affatto una cattiva idea.

«Meglio che vada, prima che si scateni un temporale.»

Cercò vicino la stanza una semplice borsa a tracolla e ci buttò dentro i soldi,
i documenti e un ombrellino tascabile e quando attraversò il piccolo salotto,
arrivò fino all'uscio per prendere una giacca impermeabile.
Era sul punto di mettersi le scarpe quando, in quel preciso momento,
sentì dei forti rumori provenire fuori dalla porta.
Alzò un sopracciglio, perplesso.
Chi poteva mai essere a quest'ora?
Poggiò sopra all'appendiabiti la giacca e la borsa in un unico posto
e mettendo di lato i suoi scarponi da pioggia,
arrivò dritto dritto alla porta d'ingresso, con l'orecchio teso.

«Chi è?»

Udì impercettibilmente la voce di Rune,
la sua ragazza, notando quanto il tono fosse abbastanza flebile e tremante,
come se avesse preso un brutto raffreddore.
Ebbe la conferma solo quando sentì di sfuggita un imprecazione in latino,
seguita poi da vari mormorii sconnessi.

Era lei, non c'era ombra di dubbio.

Tempo di un battito di ciglia e lui aprì immediatamente la porta.
Era pronto ad accoglierla con il sorriso sulle labbra, tuttavia,
quello che vide lo lasciò a dir poco esterrefatto.
Era fradicia dalla testa ai piedi e sebbene
aveva avuto il cappuccio del giubbotto alzato fin sopra i capelli - coprendo
anche una parte del suo volto - notò di sfuggita varie gocce d'acqua bagnarle il volto roseo,
i ciuffi e vari strati di condensa sulle lenti grandi e tonde.

A volte si dimenticava, fin troppo spesso,
che Hotarune portasse gli occhiali da vista per via di vari problemi tecnici.

A riportarlo dalla realtà, con i piedi piantati per terra, fu una sua risata mal trattenuta.

«Ero a metà strada dal take away e avevo pensato di venirti a trovare,
ma ha iniziato subito a piovere e...» rimase con la frase in sospeso,
troppo occupata a sbottonarsi il giaccone che aveva indosso, di quasi due taglie più grande,
ma di tanto in tanto squittiva debolmente quando percepiva,
fin sotto la pelle, l'acqua attaccarle fastidiosamente ai vestiti
«Insomma, ho corso come una matta.»

«Fammi indovinare: nella foga,
ti sei dimenticata di portarti un ombrello, non è così?»

«Mea culpa, avrei dovuto prevederlo...
Però sono riuscita a mettere in salvo questo!»

Le iridi lilla catturarono subito la presenza di una grossa borsa termica rossa,
una di quelle che si usa quasi sempre in viaggio per andare al mare nei periodi più caldi
oppure, quando c'era di mezzo la bella stagione, per dei picnic rustici in montagna.
Quando gliela porse, gli raccomandò di metterla in cucina,
in un posto lontano dalle fonti di calore e di non rovesciarla per nessun motivo.
Lui ubbedì, nonostante fosse curioso del suo contenuto.

«Cosa c'è lì dentro?»

Prima di entrare dentro, si sfilò via le scarpe e il giaccone inzuppati
e con una botta di bacino, chiuse la porta con un lieve tonfo di sottofondo.
Con la mano libera si tolse gli occhiali non sopportando più le gocce liquide
che le scivolavano davanti alla sua visuale, ma dovette assottigliare le palpebre per mettere a fuoco
la figura slanciata del suo ragazzo.
Sorrise con fare sghembo.

«La nostra cena, che domande... e ho portato anche i dolcetti!» esclamò Hotarune
poco lontana dalla lavanderia, stendendo sia le scarpe che la giacca
e portandosi con sè la cesta della biancheria
«Pensavi davvero di passare il compleanno tutto da solo?»

«Come fai a saperlo?»

«Un uccellino mi ha p-»

Non fece in tempo a finire la frase che la mora starnutì per tre volte di fila,
chinandosi in avanti stringendo forte la cesta bianca.
Facendo ciò, gli occhiali che aveva precedentemente in mano
caddero dentro all'oggetto di plastica e non notò subito
il cipiglio contrariato del lavanda sul suo volto.
In meno di pochi minuti, il ragazzo aveva preparato tutto l'occorrente:
abiti puliti, asciugamani e dei teli,
e dato che conosceva bene l'attitudine della moretta riguardo il dormire,
sistemò meglio il letto e le lenzuola, picchiettando leggermente il cuscino morbido.
Ovviamente, prima di spedirla "gentilmente" al bagno,
le aveva fatto una ramanzina su quanto sia stata imprudente nell'avventurarsi di sera,
sotto un temporale, e doveva ritenersi fortunata se
dopo quel bagno non le costasse un febbrone da cavallo.
Ma subito dopo le diede un bacio sulla fronte,
una carezza piacevole ed affettuosa sulla pelle,
e con quel gesto le fece capire che sarebbe andato tutto bene,
non dovendo preoccuparsi più di nulla.

Con quel bacio, le disse:"Tranquilla, adesso mi prenderò cura di te."

D'altronde, quando si trattava di lei, Takashi Mitsuya aveva il cuore tenero,
anzi di panna, e ogni volta che vedeva il suo bel sorriso farsi più morbido e gentile,
il suo cervello andava letterlamente a fanculo.
Non c'era una singola cosa che non amasse in Rune:
la sua personalità esuberante, allegra e creativa,
ma anche la sua saggezza, maturità e prontezza di spirito.
La sua spiccata intelligenza e il suo formidabile sesto senso - contrapposta
alla forza e tenacia che aveva in corpo grazie alle arti marziali - che la rendevano
inarrestabile ed imprevedibile.
Oltre il suo aspetto interiore, fatto d'introversione, dolcezza e goffaggine,
c'era quello esteriore che sì, faceva il suo lavoro, ma a volte non si rendeva conto
di quanto fosse carismatica ed affascinante nella sua semplicità.
Ogni volta che si perdeva nei suoi occhi corvini, dal lieve taglio a mandorla,
aveva quel luccichio particolare ad animarle il volto vellutato,
la pelle rosea e le labbra piene; persino quelle adorabili fossette ai lati del mento.
Era più grande di lui di un solo anno,
eppure Hotarune sembrava una ragazzina.
Aveva sempre avuto quell'aria sbarazzina, curiosa e tanto energica.
Ripensando per un istante a quell'episodio capitato al club qualche settimana fa,
in cui la giovine lo aveva provocato con parole molto ambigue,
ma abbastanza esplicite da dedicargli una proposta indecente,
una linea curva si formò sulle sue labbra.
Ogni volta che rivedeva in loop il corpo nudo e sensuale della ragazza,
che si erano uniti in quel legame stretto ed intimo, gli mancava letteralmente il respiro.
Stava ritornando quel formicolio che sentiva nel basso ventre
e percendo su di sè quei sensi di impazienza ed aspettativa, più di una volta,
gli era capitato di avere dei momenti particolari in cui non solo cercava
continuamente il contatto fisico, più precisamente il suo,
voleva stringerla forte tra le sue braccia e coccolarla fino allo sfinimento.
Percepire sulle sue dita il suo calore e sentire il suo profumo di pulito misto a girasole.
In quel momento, la mente di Takashi pensava solo ed esclusivamente a una sola cosa.

Voleva fare l'amore con lei.

Si ritrovò in bagno, a un passo più vicino verso la vasca, e vedendo di sfuggita Rune,
la sua partner, la guardava meravigliato come le gocce di acqua calda
e il fumo di condensa le accarezzavano la pelle e i capelli scuri,
raccolti appena da un chignon morbido.
Lei lo notò, sorpresa, ed inclinò appena la testa.

«Kashi? Ti senti bene?»

Aveva varie bollicine su quasi tutto il corpo,
ma non pote' fare a meno di notare le linee curve e tonde dei suoi seni, la vita stretta,
il bacino leggermente più ampio e le gambe, forti ed atletiche.
Era semplicemente incantevole.
Splendida.
Bellissima.
Era troppo persino per lui.
Preso da una inaspettata scarica di adrenalina,
mista ad euforia, fu dietro di lei e togliendosi tutti i vestiti di dosso,
entrò dentro la vasca.
Con lo spostamento dell'acqua bollente
e la presenza del corpo prestante del suo ragazzo sulla sua schiena,
Hotarune si ritrovò faccia a faccia con il sottoscritto,
con il rossore alle gote e alle orecchie.
Aveva un sorriso sardonico stampato in faccia,
come se avesse in mente di architettare un piano folle, quasi malandrino.

«C-che fai qui!?
Guarda che la cena si farà fredda!»

«Dato che è il mio compleanno... vorrei avere il dessert tutto per me.»
 

 





 

Note dell'autore:

Sono consapevole che ho sforato di quasi una settimana questo regalo di compleanno,
ma ci tenevo moltissimo a scrivere qualcosa riguardo a Mitsuya aka il mio Dio,
visto che c'è stato il suo compleanno!

Si può dire che l'attesa ne sia valsa la pena, sì?
Rinnovo i miei auguri a questo grande uomo che mi ha cambiato letteralmente la vita
(confermando quanto sono sotton* per lui) e... nulla, che dire se non questo.

TANTI AUGURI DI BUON COMPLEANNO MIO AMATO DRAGONE LILLA
AKA BEST BOI DELLA SERIE!

🎂🎉🎂🎉🎂🎉🎂🎉

Stavo pianificando una sua storia già da vari mesi,
in occasione del suo compleanno, avevo pure il piano perfetto per la sua trascrizione,
ma complice il lavoro e i vari cazzi e mazzi(?) sono partit* troppo tardi lol

Giuro che doveva uscire in tempi brevi e,
ovviamente, con un testo più leggero.

Ma come si dice, no?
PLUS ULTRA 👀💥
Che bello essere incoerenti(?)
Orsù, credo che qualcuno si sarà chiesto in sala su chi sia la new entry, giusto?
Ebbene, Rune aka la mia nanetta preferita, è la protagonista della mia prima long,
a tema Tokyo Revengers, a cui sto lavorando duramente
(il nome in questione è "Aperiam In Proxima") e spero, in futuro,
che avrete l'onore di conoscerla, fare amicizia con lei e, ovviamente,
per chi è un Mitsuya Stan aka like me, sclerare come solo noi sappiamo fare:

M A L E 👉🏻😎👉🏻
Sono sicur* di avergli reso giustizia in questa one-shot e,
se non fosse abbastanza, giuro solennemente che, questo,
sarà l'inizio di una lunga serie 
ehheheheh
Ad ogni modo, è stato un bell'esercizio sovrapporre passato e presente
(c'ho provato ad essere quanto più accurat* possibile) e parlare del "detto-non detto"
tra Kashi e Rune... forse non lo comprenderete ora,
ma fidatevi che, prima di arrivare a loro due,
questi ragazzi ne hanno passate davvero tante prima di rendersi conto che,
forse, funzionino insieme: non solo come amici e colleghi.

Fun fact dell'ultimo minuto: inizialmente,
la storia doveva essere incentrata solo su roba molto soft e fluff,
tanto da far venire il diabete, tuttavia grazie all'intervento di 
FedericaAmleto0 che mi ha aiutat*
in un passaggio importante nella storia, è uscito fuori una mezza lemon,
molto umoristica ed introspettiva.

E quindi niente, se volete fare i ringraziamenti,
una buona parte è merito suo lmao

Se leggerai questo messaggio, grazie di tutto Bro 💖👀

Auguratemi buona fortuna per la buona riuscita dei vari progetti riguardo Tokyo Revengers,
perchè c'è tanto di quel materiale dietro da plottare e produrre che,
fidatevi, non avete la più pallida idea!

Che dire, grazie Wakui Sensei per aver partorito nella tua penna Mitsuya e averlo reso,
semplicemente, "lui".

Spero che vi sia piaciuto questo mio regalo per Kashi...
e nulla, grazie per la vostra 
attenzione!
Non esitate a lasciarmi qualche recensione/messaggio/commento carino nel feedback,
o magari qualche critica costruttiva,
mi farebbe un sacco piacere fare con voi qualche chiacchierata.

Distinti saluti,
Artemìs.

 

   
 
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