Film > Salvate il soldato Ryan
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Autore: Abby_da_Edoras    21/06/2023    5 recensioni
È buffo scrivere in un fandom in cui praticamente nessuno ha mai scritto o letto, ma io questa storia me la porto dietro da più di vent'anni, da quando vidi il film la prima volta, e anche a distanza di tanto tempo, per quanto assurda e impossibile sia, ci credo e ci sogno, tanto che adesso posso finalmente anche metterla in ordine e pubblicarla (e finire alla neurodeliri definitivamente!). Dunque, io sono quella che nelle ff salva tutti i personaggi e si inventa le ships più improbabili, no? Ed ero così anche vent'anni e più fa, per cui ecco a voi la mia follia: il soldato tedesco che Miller decide di liberare (e che qui ha un nome e una storia) non è un ingrato, bensì lo ritroveremo a Ramelle e arriverà in tempo per salvare Mellish! Quindi Miller e i suoi decideranno di prenderlo sotto la loro protezione e... e lui pian piano inizierà a provare qualcosa proprio per Mellish, il soldatino che ha salvato.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori del film Salvate il soldato Ryan.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 11: Hello heartache

 

You were perfect I was unpredictable
It was more than worth it
But not too sensible

Young and foolish seemed to be the way
I was stupid to think that I could stay…

Goodbye my friend hello heartache
It's not the end it's not the same
Wish it didn't have to be this way but
You will always mean the world to me, love
Goodbye my friend hello heartache

Do you know? Do you get?
It’s just goodbye, it’s not the end…

 (“Hello heartache” – Avril Lavigne)

 

Mellish stava correndo per le stanze di una casa sconosciuta, enorme e piena di corridoi lunghissimi e labirintici; scappava affannosamente sentendo che qualcuno era dietro di lui, sempre più vicino, qualcuno che lo inseguiva per fargli del male, per ucciderlo in modo orribile trafiggendogli nuovamente il cuore con dolorosa lentezza. Il ragazzo cercava di allontanarsi il più possibile, chiamava i suoi compagni perché lo aiutassero, ma i suoi compagni non c’erano e lui non capiva neanche dove si trovasse. Gli inseguitori, invece, erano ormai alle sue spalle, sentiva il forte rumore dei loro passi, il loro fiato sul collo, le mani che stavano per afferrarlo e…

Con uno sforzo terribile, Mellish riuscì a strapparsi da quel sogno spaventoso, gemendo, ansimando e singhiozzando con gli occhi sbarrati e perduti nel buio, il cuore che pareva scoppiargli nel petto. Era anche intontito dai sedativi presi per dormire e quindi faceva fatica a ritrovare un minimo di lucidità e a comprendere che era stato solo un incubo, che lui era al sicuro nella stanza che divideva con Saltzmann e Upham, che non correva nessun vero pericolo. L’agitazione e i gemiti del ragazzo svegliarono il tedesco che capì subito cosa stava accadendo e strinse Mellish forte a sé.

“Calma, Stan, va bene, è incubo, tu bene, io sono con te, nessuno fa male a te, ci sono io” gli sussurrò accarezzandolo e baciandolo con dolcezza, tenendolo stretto tra le braccia finché non sentì che il suo corpo smetteva pian piano di tremare. Lo baciò teneramente, poi sempre più a lungo e languidamente sentendo che Mellish ricambiava il bacio e si aggrappava a lui, chissà se perché davvero lo desiderava o perché aveva bisogno, in quel momento di terrore, di trovare calore umano e dolcezza, proprio com’era avvenuto nella stanza in cui Saltzmann lo aveva salvato, mesi prima a Ramelle. L’uomo rammentò il terrore, la disperazione che aveva visto allora negli occhi di quel povero ragazzo, ma anche la tenerezza che aveva subito provato per lui, e allora continuò a baciarlo profondamente, mentre le sue mani scorrevano lungo la sua schiena, i suoi fianchi, le sue gambe e poi perse quel poco di autocontrollo che gli rimaneva e scivolò lentissimamente dentro il suo corpo. Allora i gemiti e gli ansiti di Mellish non furono più di terrore e angoscia bensì di piacere, mentre tutto si faceva confuso in lui, non sapeva più nulla e non c’era più nulla se non Saltzmann che lo faceva sentire bene e sicuro e caldo. Niente importava più, non esistevano più la paura, il dolore e i brutti ricordi, il giovane americano si chiedeva se sarebbe andato a fuoco o se il mondo sarebbe esploso ma non gli interessava, bastava che ci fossero lui e Josef. I corpi danzarono insieme quella dolce danza d’amore mentre tutto il resto precipitava vorticando nell’oblio e la polvere di stelle parve illuminare la stanza e le loro anime e fu una luce accecante, l’estasi e l’eternità.

Dopo, Saltzmann continuò a stringere tra le braccia Mellish accarezzandogli i capelli, baciandogli dolcemente la fronte e le guance. Da un lato era felice perché quella era stata la volta in cui il ragazzo gli si era donato in modo più completo, in cui era stato davvero tutto suo (probabilmente perché era ancora stordito dai sonniferi e dall’incubo) e tutto era stato molto più bello; dall’altro lato, però, si rendeva conto che Mellish era straziato da ciò che non voleva ricordare e non sapeva come aiutarlo.

“Stan” gli sussurrò teneramente, “non stare bene così, tu non potere andare avanti. Io so che è brutto, ma tu dover ricordare, affrontare cose che fanno male a te. Forse parlare con Wade…”

“Ora non ci voglio pensare” tagliò corto il giovane americano. “Sono stanco, voglio dormire, ora penso che non avrò più incubi.”

“Io proteggo te, Stan” promise ancora Saltzmann. Lo guardò riaddormentarsi abbandonato a lui, sul suo petto e nel cerchio sicuro e caldo delle sue braccia, e pensò che doveva solo stargli vicino e incoraggiarlo, prima o poi il suo Stan sarebbe riuscito ad affrontare le sue abissali paure perché non avrebbe dovuto farlo da solo, ci sarebbe sempre stato lui al suo fianco. Lo amava così tanto…

La mattina dopo Upham si svegliò alla sua solita ora, si preparò per andare a lavorare con gli altri traduttori e disegnatori di mappe ma, prima, si avvicinò al letto dove Mellish ancora era profondamente addormentato, tra le braccia di Saltzmann che invece si era svegliato e guardava il caporale come se volesse parlargli.

“Stanotte ho sentito piangere Mellish” disse sottovoce Upham a Saltzmann in tedesco, “ha avuto un altro dei suoi incubi, non è vero?”

L’uomo strinse con più dolcezza a sé il ragazzo addormentato.

“Sì, purtroppo. Gli succede sempre più spesso ormai” rispose con uno sguardo triste e preoccupato.

“Ma… so che prende dei calmanti che gli ha prescritto Wade” obiettò Upham. “Non dovrebbero aiutarlo a stare meglio e dormire senza brutti sogni?”

“I calmanti non servono, io… io so qual è il problema, ma Stan non vuole neanche sentirne parlare. Lui non vuole ricordare quello che è veramente successo in quella stanza a Ramelle, quando io l’ho salvato, ma l’ombra di quel ricordo resta nella sua mente e gli fa avere gli incubi” spiegò Saltzmann.

Upham abbassò lo sguardo, mortificato.

“Mi dispiace così tanto” mormorò, guardando Mellish che in quel momento appariva ancora più giovane e indifeso. “Se non mi fossi lasciato prendere dal panico, se lo avessi raggiunto, non so, magari avrei distratto quel soldato delle SS e lui non avrebbe fatto del male a Mellish. Poi saresti arrivato tu e ci avresti salvati entrambi. Ma io sono stato un vigliacco e…”

“Non dire così, Upham. Non tutti siamo degli eroi e, comunque, in realtà restando fermo sulle scale tu hai salvato Mellish, perché io ti ho visto là e ho capito che c’era qualcosa che non andava, che eri in pericolo. Se fossi salito, non avrei potuto vederti e non avrei mai saputo che tu e Stan potevate morire. Non farti una colpa di questo.”

Upham si sentì lievemente sollevato: in effetti non l’aveva mai pensata sotto questo punto di vista e le parole di Saltzmann lo rincuorarono. Ciò non toglieva, comunque, che Mellish aveva subito un’esperienza atroce che lo aveva traumatizzato e che continuava a lacerarlo dentro.

“Grazie, Josef, sei gentile a dirmi questo, spero che sia vero, è difficile per me convivere con quello che non sono riuscito a fare quel giorno. Sai, penso che dovresti accompagnare Mellish da Wade, è un dottore e forse potrà aiutarlo, soprattutto visto che i sedativi non servono più a molto.”

“Era quello che volevo fare, ma Mellish si rifiuta… Però adesso basta, dopo stanotte non posso più lasciare che si distrugga da solo. Upham, sarebbe un problema se oggi non facessimo lezione?” domandò l’uomo.

“No, certo che no, abbiamo tanto tempo ancora per studiare e oggi è più importante che tu accompagni Mellish da Wade, anche se lui non vuole, è necessario che parli con un medico, non può continuare così” approvò il caporale. “Allora ci vediamo alla mensa più tardi, spero che Wade possa aiutarlo.”

Trascorse ancora più di un’ora prima che Mellish si svegliasse e Saltzmann restò a guardarlo dormire, tenendolo stretto a sé e accarezzandogli dolcemente i capelli. Era preoccupato per ciò che doveva dirgli riguardo alla visita da Wade, e allo stesso tempo era angosciato perché sapeva che il povero ragazzo si stava autodistruggendo e che quella situazione doveva risolversi il prima possibile.

“Buongiorno, Stan” gli disse, baciandolo con tenerezza quando lo vide sveglio. “Questa mattina io non andare a lezione da Upham, io portare te a parlare con tuo dottore Wade.”

“Cosa? E perché? Ti ho già detto che non voglio più parlare di quella storia!” reagì il giovane.

“Stanotte tu avere altro incubo, tuoi calmanti non fare più bene a te, tu dire questo a Wade” spiegò Saltzmann mentre sia lui che Mellish si alzavano dal letto e iniziavano a prepararsi.

“Credo che sia stato solo un caso, era da tempo che non avevo incubi” replicò Mellish, come se niente fosse. “Comunque sia, se dovessi vedere che i sedativi non mi fanno più effetto, posso sempre aumentare un po’ la dose…”

Il ragazzo si spaventò quasi quando, a quelle parole, Saltzmann lo afferrò per i polsi e lo obbligò a guardarlo in faccia: in genere l’uomo aveva un’espressione amichevole, cordiale, anche buffa, ma quando diventava così freddo faceva paura, sembrava un altro.

“Tu non dire questo neanche come scherzo!” gli intimò. “Già penso che è sbagliato che tu usare farmaci, ma questi farmaci sono pericolosi, vuoi uccidere te? Questo vuoi?”

“Io… io… no, certo, ma…” Mellish era rimasto così sbalordito e confuso da non trovare neanche le parole per rispondere. E una parte di lui sapeva benissimo che Josef aveva ragione…

“E allora noi andare da Wade e tu dire a lui di tuoi incubi, che sedativi fare meno effetto e lui dire a te cosa fare” tagliò corto il tedesco.

Non volendo, Saltzmann aveva trovato il modo per convincere Mellish a parlare con Wade! Il giovane americano aveva detto una sciocchezza con eccessiva leggerezza, lui si era preoccupato e gli si era rivolto più bruscamente di quanto avrebbe voluto, ma in questo modo Mellish non aveva potuto rifiutare di andare dal dottore. Così, circa mezz’ora dopo, i due si ritrovarono in infermeria a chiedere di parlare con l’ufficiale medico.

L’infermeria che era stata allestita nell’hotel era molto meglio attrezzata degli ospedali da campo, inoltre c’erano molte ragazze francesi che si erano offerte volontarie per fare da infermiere ai soldati feriti e anche qualche medico dei paesi limitrofi dava il suo tempo per loro, così il lavoro di Wade era facilitato e lui aveva più tempo libero. Poté dunque condurre Mellish e Saltzmann in una piccola stanza che lui aveva organizzato come suo studio personale affinché potessero parlare liberamente.

A dirla tutta, Wade si augurava di poter parlare con Mellish già dopo aver saputo da Josef che il ragazzo rifiutava di ricordare l’entità della ferita subita dal soldato SS, quella negazione lo preoccupava e sperava di poter convincere l’amico a superare quelle paure… ma Mellish iniziò subito parlando di un’altra cosa, seppur collegata.

“Wade, Saltzmann ha voluto che venissi qui da te oggi perché… beh, perché i sedativi che mi avevi prescritto sembrano non farmi più effetto e io volevo chiederti se potevi darmi qualcosa di più forte.”

Non era quello che voleva Saltzmann e neanche Wade, che scosse il capo, deluso e pensieroso.

“Mellish, ti avevo già detto tempo fa che quei sedativi erano già troppo e che avresti dovuto smettere di prenderli il prima possibile” rispose. “Ora non posso certo darti qualcosa di ancora più pesante, rischi di rovinarti la salute per sempre e hai solo ventun anni!”

“Lo so, ma hai sentito anche tu le voci che girano, no? Probabilmente torneremo a casa entro poche settimane e allora io andrò da un dottore, uno psichiatra magari, e pian piano smetterò di prendere farmaci. Mi servono solo per qualche periodo ancora, Wade, ti prego, ti ho già promesso che, una volta a casa, smetterò” lo supplicò il giovane.

“Mellish, ho parlato con Saltzmann e credo di sapere perché credi di aver bisogno di sedativi più pesanti” dichiarò l’ufficiale medico. “Io non sapevo che tu negassi di essere stato ferito profondamente dal soldato SS, credevo che…”

“No, senti, non sono qui per parlare di questo!” esclamò Mellish bruscamente, interrompendo l’amico. “Io non voglio parlare di quel giorno, è una cosa lontana, non c’entra niente, ti ho solo chiesto se puoi prescrivermi dei sedativi più forti oppure delle dosi più alte di questi, se non puoi fare questo allora farò da me!”

“Sei completamente impazzito, Mellish? Vuoi forse ucciderti? Io non ho nessuna intenzione di assecondare questa tua pazzia e anzi, come dottore, mi sento chiamato in causa. No, no, non pensare di andartene adesso perché non ti piace quello che ti dico, ora te ne stai qui e mi ascolti, ci siamo capiti?” Wade non si arrabbiava mai, ma quando perdeva la pazienza sapeva farsi rispettare, nonostante l’aspetto e il fisico fragile. Afferrò Mellish per le spalle e lo costrinse a restare seduto e ascoltarlo, mentre Josef lo guardava ammirato e pensava che aveva fatto proprio bene a portarlo là.

“Quando Upham ti accompagnò da me perché ti medicassi, a Ramelle, la ferita era profonda e solo per un miracolo non aveva danneggiato arterie o organi interni, sarebbero bastati solo pochi millimetri e ti avrebbe ferito il cuore” continuò poi il medico. “Io ti ho ripulito e medicato la lacerazione e poi ti ho ricucito e tu non hai fatto un lamento, sembravi completamente sotto shock e forse è per questo che adesso non lo ricordi, ma da quello che dice Saltzmann ci sono dei momenti che ricorderesti e a cui rifiuti di pensare.”

“Io non… non ricordo niente, ti sbagli” insisté Mellish, ma con meno foga di prima, a quanto pareva la figura di Wade comunque lo metteva in soggezione.

“Mellish, non mentire a te stesso, così ti fai solo del male e non risolvi niente, anzi. I sedativi che ora non ti aiutano non possono bastare, perché i ricordi che hai rimosso ti tormentano. Dici di voler andare da uno psichiatra quando torneremo a casa, ma cosa pensi che ti farà per farti guarire? Se è bravo, come spero, e non un ciarlatano, ti porterà a ricordare proprio quello che non vuoi e a sfogarti, a parlare di tutto quello che ti strazia, perché è così e solo così che potrai guarire.”

“Allora non guarirò mai e dovrò prendere per sempre dei calmanti, perché io non ricordo niente, che mi chiudano pure in un manicomio!” sbottò il giovane.

“Non dire sciocchezze, adesso!” reagì inaspettatamente Wade. “Tu non ti rendi neanche conto di quanto sei stato fortunato e, dicendo queste idiozie, manchi di rispetto a tanti giovani soldati che non lo sono stati. Cosa pensi che veda io tutti i giorni e tutte le notti qui in infermeria? Arrivano soldati in condizioni disperate, potrei dire che i più fortunati sono quelli che muoiono, perché altri sopravvivono ma io devo… devo amputare loro un braccio, o una gamba, alcuni addirittura le perdono entrambe, e la notte non fanno che urlare, sia per il dolore che per il ricordo continuo dei momenti in cui sono stati feriti e dei compagni che sono morti accanto a loro. Tu sei stato salvato, ora stai bene e vuoi distruggerti da solo perché hai paura di un ricordo? Dovresti vergognarti, lo sai?”

Gli occhi di Mellish si riempirono di lacrime e Saltzmann, accanto a lui, avrebbe voluto abbracciarlo e consolarlo, ma si rendeva conto che Wade stava dicendo le cose giuste, che doveva scuotere il ragazzo in qualche modo come lui non aveva avuto il coraggio di fare.

“E io posso capirti bene anche perché ci sono passato personalmente” riprese Wade. “Quando sono stato ferito durante l’attacco alla postazione della mitragliatrice ho riportato delle ferite gravi, non avevano colpito gli organi interni o sarei morto, ma erano profonde e io perdevo molto sangue. È stato faticoso riuscire a restare lucido per dare a voi le istruzioni per medicarmi e ricucirmi e, nel frattempo, continuavo a pensare che non volevo morire, che volevo tornare a casa, che avevo paura. Sì, pensavo proprio questo, ero terrorizzato all’idea di non farcela, a voi sembravo coraggioso ma dentro di me piangevo e ripetevo Non voglio morire, non voglio morire…” *

Un silenzio teso accolse le parole dell’ufficiale medico e anche lui sembrava tuttora turbato nel raccontare quei momenti, ma si sforzava, esattamente come avrebbe dovuto fare Mellish.

“E non passa come per magia, sai? Ancora adesso, a volte, mi sveglio la notte gridando che non voglio morire, perché sogno di essere ancora là a dissanguarmi, però non prendo sedativi, aspetto di calmarmi e poi mi riaddormento. So che ci dovrò convivere per tutta la vita e lo accetto, perché comunque sono vivo e sto bene” disse Wade, guardando l’amico fisso negli occhi.

“Io… io non lo sapevo, mi dispiace tanto, Wade, ma… ma come fai? Come ci riesci? Cosa ti dà la forza di combattere quella paura, di andare avanti nonostante tutto?” mormorò Mellish, straziato per se stesso e per ciò che aveva scoperto a proposito del suo amico dottore.

“La consapevolezza che sono stato fortunato e che devo usare questa mia fortuna per curare chi sta peggio di me” rispose tranquillamente Wade, che adesso appariva più sereno. Forse aveva fatto bene anche a lui parlare delle sue paure con qualcuno che poteva capirle e condividerle…

“Ma io non sono come te, io… io non ho motivazioni come le tue, io… non sto aiutando nessuno, anzi, penso che sarei dovuto morire io invece di Caparzo, che non riuscirò mai a riambientarmi a casa, che non troverò mai una mia strada e… e che tanto vale che prenda i sedativi e che vada al diavolo” esclamò Mellish. “Io non so cosa dovrò fare della mia vita e mi sembra che non ne valga la pena!”

Non si accorse neanche che lo sguardo di Josef si era fatto improvvisamente triste e deluso, ma lo vide Wade.

“Certo che ne vale la pena, Mellish” gli disse l’ufficiale medico, pazientemente e con una tenerezza quasi paterna, anche se aveva solo pochi anni più di lui. “Anche a me dispiace tanto per Caparzo, ma quando salvo un soldato, quando guarisco qualcuno, io penso sempre che l’ho fatto in sua memoria e che lui sarebbe felice di vedere altri soldati guariti… anche se allora non sono potuto andare a soccorrerlo. ** E tu puoi fare lo stesso: puoi venire ad aiutarmi, se vuoi, farmi da infermiere e renderti utile in memoria del nostro amico. Vedrai che questo ti farà stare meglio ogni volta che un soldato guarirà anche grazie al tuo aiuto. E comunque tu non sei solo… Saltzmann ti ha portato qui perché tiene molto a te, si preoccupa, ti vuole un mondo di bene e vuole andare in America con te. Mi sembra che tu ne abbia parecchie di ragioni per andare avanti, non credi?”

Mellish era confuso e imbarazzato e non rispose, allora fu Wade a concludere la conversazione.

“Bene, per adesso possiamo accordarci così: ti lascerò prendere i sedativi più leggeri che ti avevo già prescritto, ma Saltzmann controllerà che tu non ne abusi, e poi pian piano tu inizierai a parlare di quello che hai provato, di quello che ricordi di Ramelle, come ho fatto io con voi. E adesso devo andare, i pazienti mi aspettano. Mi raccomando, Mellish…”

“Va bene. Grazie, Wade. E… magari verrò davvero ad aiutarti, qualche giorno” disse il giovane, salutando l’amico.

Mentre Wade tornava in infermeria, Saltzmann e Mellish uscirono dall’hotel. Il tempo era freddo e grigio, ma il giovane americano si sentiva meglio, come se avesse un piccolo sole di speranza dentro di sé. Però c’era ancora una cosa…

“Senti, io… io devo ringraziare anche te per avermi costretto a parlare con Wade, non volevo ma mi ha fatto bene e… e mi dispiace di aver detto che non ho motivi per vivere, io… lo so che non è così, ero fuori di me…” il ragazzo era impacciato, a disagio, non riusciva a dire quello che sentiva. Ma Saltzmann aveva imparato a capirlo oltre le parole.

“Non preoccupare, io so. Io sempre con te, io aiuto te a stare bene, io ti amo, Stan” gli disse piano, stringendolo a sé. Approfittando del nascondiglio naturale che fornivano gli alberi, baciò Mellish e lo avvolse nel suo abbraccio; sentì il calore della sua bocca morbida, il tepore del suo corpo tra le braccia, i respiri che si confondevano e lo baciò a lungo, lentamente, godendo il suo sapore e la sua tenerezza ritrovata, perdendosi in lui. Gli accarezzò i capelli scompigliati, gli coprì la fronte, le guance e il viso di piccoli baci e poi riprese a baciarlo sulle labbra tiepide e dischiuse.

E in quel momento anche Mellish parve capire di avere molto, davvero molto, per cui vivere!

Fine capitolo undicesimo

 

* Nella mia versione Wade, appunto, si salva, ma nel film è veramente spaventato e continua a ripetere Non voglio morire fino alla fine… è molto triste e a me piace pensare che, invece, abbia superato quel brutto momento e che stia bene e sia tornato ai suoi compiti.

** Wade sarebbe voluto andare a soccorrere l’amico, ma il sergente Horvath lo trattiene perché sarebbe stato sulla linea di tiro del cecchino tedesco che aveva colpito Caparzo e quindi sarebbe rimasto ucciso anche lui.

 

 

   
 
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