Film > Salvate il soldato Ryan
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Autore: Abby_da_Edoras    06/06/2023    6 recensioni
È buffo scrivere in un fandom in cui praticamente nessuno ha mai scritto o letto, ma io questa storia me la porto dietro da più di vent'anni, da quando vidi il film la prima volta, e anche a distanza di tanto tempo, per quanto assurda e impossibile sia, ci credo e ci sogno, tanto che adesso posso finalmente anche metterla in ordine e pubblicarla (e finire alla neurodeliri definitivamente!). Dunque, io sono quella che nelle ff salva tutti i personaggi e si inventa le ships più improbabili, no? Ed ero così anche vent'anni e più fa, per cui ecco a voi la mia follia: il soldato tedesco che Miller decide di liberare (e che qui ha un nome e una storia) non è un ingrato, bensì lo ritroveremo a Ramelle e arriverà in tempo per salvare Mellish! Quindi Miller e i suoi decideranno di prenderlo sotto la loro protezione e... e lui pian piano inizierà a provare qualcosa proprio per Mellish, il soldatino che ha salvato.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori del film Salvate il soldato Ryan.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 10: Trustfall

 

Are we runnin' out of time?
Are we hidin' from the light?
Are we just too scared to fight
For what we want tonight?

Close your eyes and leave it all behind
Go where love is on our side
You and I and everyone, alive
We can run into the fire
It's a trust fall, baby
Yeah, it's a trust fall, baby!

What if we just fall?
I'm not goin' without you (And you're not goin' alone)
I fell so far 'til I found you (But you know what you know, when you know)
So I'm not goin' without you (And you're not goin' alone)…

(“Trustfall” – Pink)

 

Si era ormai ad oltre metà ottobre di quel 1944 e niente era cambiato. Gli eserciti Alleati nelle Ardenne non facevano progressi, anzi sembravano decisamente in difficoltà, mentre sulla Linea Sigfrido c’erano state importanti vittorie e le forze armate americane avevano occupato Aquisgrana, la prima grande città in suolo tedesco ad essere conquistata dagli Alleati. * Tuttavia la battaglia era stata molto dura, c’erano state ingenti perdite e ciò aveva compromesso la possibilità per i contingenti statunitensi e britannici di continuare ad avanzare verso Est, come avevano pianificato. Insomma, sembrava che la guerra non sarebbe finita tanto in fretta e, di conseguenza, era ancora pericoloso permettere a Ryan e agli altri della Compagnia Charlie di imbarcarsi per l’Inghilterra e poi attraversare l’Atlantico per tornare a casa. La possibilità che sottomarini o aerei tedeschi bombardassero quelle navi era ancora alta e i Generali non volevano rischiare la vita di quei soldati che ormai erano obbligati a rimpatriare. Sì, beh, sempre questione di propaganda e pubblicità, le cose non erano diverse allora da adesso!

Nel frattempo Mellish e i suoi compagni continuavano a prendersi cura dei giardini dell’hotel e, dopo aver sistemato le piante in modo da proteggerle dall’inverno ormai vicino, si erano occupati di aiutare nella ricostruzione delle case di Versailles che avevano subito danni e bombardamenti come la maggior parte delle abitazioni francesi.

Quel pomeriggio, mentre tornavano verso l’hotel dopo una produttiva giornata di lavoro, Reiben se ne uscì con una notizia inaspettata.

“Sapete, ragazzi? Penso proprio che torneremo alle nostre case prima del previsto” disse.

Gli altri soldati rimasero sorpresi.

“Cosa te lo fa pensare?” gli domandò Jackson. “Hai sentito qualcuno parlarne, o magari te lo ha detto il capitano?”

“No, il capitano non ha detto niente, ma ho sentito i soldati feriti che parlavano tra loro e dicevano che uno dei Generali aveva fatto loro visita e aveva promesso che ci avrebbero rimandati a casa molto presto, sicuramente verso novembre, per farci trascorrere il Ringraziamento e il Natale in famiglia” spiegò Reiben.

“Non so quanto possiamo credere alle promesse dei Generali” obiettò Ryan.

“In genere no, anch’io la penso così, ma in questo caso dicevano che la conquista di Aquisgrana è stata un grande passo verso la vittoria, le forze armate Alleate sono entrate in Germania e, dall’altra parte, l’esercito Russo ha sbaragliato i crucchi da Romania e Bulgaria e presto libererà anche la Polonia” replicò Reiben. “Sembra che i bastardi nazisti stiano perdendo pezzi da tutte le parti e quindi è probabile che entro un mese la guerra sia finita!”

“Beh, speriamo sia davvero così” commentò Mellish. “Ci siamo illusi tante di quelle volte… ma forse questa sarà quella buona.”

Le reazioni dei giovani soldati potevano apparire ciniche e disincantate, ma era vero che ne avevano abbastanza della guerra, delle vane promesse dei piani alti e di tutto il resto e non sapevano più a chi o a che cosa credere. Tuttavia l’idea di poter arrivare a casa in tempo per festeggiare il Giorno del Ringraziamento e il Natale (Hanukkah ** per Mellish…) con le proprie famiglie risvegliava i cuori e le aspettative di quei ragazzi. Quella sera, a cena, i soldati non parlavano d’altro e il sergente Horvath e il capitano Miller dovettero ammettere di aver udito anche loro quelle voci e di avere buone speranze di essere rimpatriati a breve.

Quando fu il momento di salire in camera per la notte, Mellish si rivolse a Upham.

“Senti, caporale, non c’è bisogno che tu debba fare le notti in infermeria” gli disse. “Questa è anche la tua camera e non mi sembra giusto che non ci possa dormire.”

“Non preoccuparti, Mellish, a me va bene così” si schermì il giovane, “non sto tutte le notti in infermeria, a volte sono andato nello studio dove lavoriamo noi interpreti e cartografi e là c’è un grande divano molto comodo e io…”

“No, no, è assurdo! Tu hai un letto tutto tuo e te lo sei guadagnato, hai il diritto di dormirci, basta con questa storia” insisté Mellish.

“Lo so, ma… io volevo che tu e Saltzmann vi riconciliaste” obiettò Upham.

“Abbiamo già fatto pace, non preoccuparti” replicò il ragazzo, “ora puoi tornare a dormire nel tuo letto.”

“Sì, ma…” il caporale era diventato rosso come un pomodoro… “ho pensato che preferiste… beh… restare da soli, ecco!”

“Upham gentile, a me piace stare solo con Stan…” si intromise il tedesco proprio nel momento meno opportuno.

“Non ci interessa la tua opinione” tagliò corto Mellish. “Ma no, in realtà ci siamo già chiariti e ora va tutto bene, non c’è bisogno che restiamo da soli.”

“Ma restare da solo con mio Stan vuol dire…” ritentò Saltzmann.

“Non vuol dire niente” fece lapidario il giovane americano. “Upham è stato molto generoso e adesso è giusto che possa tornare a dormire nel suo letto, perciò finiamola qui. Vieni, caporale, puoi salire con noi.”

Saltzmann sembrava piuttosto deluso, così Upham si avvicinò a lui e i due parlottarono per un po’ a bassa voce e in tedesco, con grande irritazione di Mellish.

“Va bene, hai ragione tu” disse infine il giovane caporale al compagno. “Da stanotte tornerò a dormire nella nostra camera e nel mio letto. Però, ecco… beh, stasera devo finire di tradurre un documento che il Generale Montgomery mi ha richiesto per domattina, perciò farò un po’ tardi. Voi, intanto, potete salire in camera e andare a dormire, non è necessario che mi aspettiate. Grazie per esserti preoccupato per me, Mellish, sei stato molto gentile. Buonanotte, ci vediamo domattina, allora.”

E, sotto gli occhioni neri e sgranati di Mellish e il sorrisetto soddisfatto di Saltzmann, Upham prese le scale e si eclissò.

Chiaramente lui e il tedesco avevano trovato un compromesso!

“Noi andare in camera allora, Stan?” domandò Saltzmann.

Il giovane americano sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

“E dove, sennò? Tanto vi ho capiti, voi due, anche se parlate in tedesco perché io non conosco la lingua, pensate di essere parecchio furbi, vero?” e continuò a borbottare tra sé per tutto il tragitto fino in camera.

Arrivati nella loro stanza, tuttavia, non sembrava che il tedesco volesse subito fare cose con Mellish, perché si sedette sul letto e guardò il ragazzo con aria malinconica.

“Ora cosa c’è? Ti sei rattristato perché pareva che non volessi salire in camera con te? Dai, non è questo, lo sai, è solo che mi scoccia che tutti, qua, sembrano sapere quanto siamo legati e che facciano il tifo per noi, è imbarazzante, ecco” esclamò il giovane, che comunque non voleva che Saltzmann fosse triste. Si sedette accanto a lui sul letto e cercò di cambiare argomento. “Hai sentito quello che si dice in giro, piuttosto? Sembra che nei prossimi giorni ci faranno davvero tornare in America, i Generali vorrebbero che passassimo il Ringraziamento e il Natale con le nostre famiglie. Cioè, in casa mia il Natale non è che si festeggi proprio, però qualcosa ci inventeremo, magari con gli altri ragazzi, che te ne pare?”

“Stan, noi parlare, adesso” disse Saltzmann, nel vano tentativo di arginare il fiume in piena che era Mellish. Il ragazzo sembrava aver intuito che ciò di cui Josef voleva parlare non era di suo gradimento e quindi continuò dritto per la sua strada.

“Fare la traversata atlantica proprio nel periodo invernale non sarà il massimo, temo, però forse il maltempo impedirà ai sottomarini e agli aerei tedeschi di provare a bombardarci, se proprio volessero farlo. Ad ogni modo…”

“Stan, io oggi parlato con tuo amico dottore, Wade” lo interruppe Saltzmann.

Il giovane americano alzò gli occhi al cielo.

“Cos’è, ancora quella storia dei sonniferi? Senti, te l’ho già detto, adesso ne ho bisogno, ma appena saremo in America cercherò qualcuno che mi aiuti, uno psichiatra o che so io e smetterò con i sedativi” replicò. “L’ho promesso a Wade e ora lo prometto anche a te. Del resto, Wade ti avrà anche detto che mi crede, altrimenti non me li prescriverebbe più.”

“Non è per sonniferi, Stan, io parlato di altra cosa con Wade” disse il tedesco, pacato, fissando il ragazzo negli occhi. “Io chiesto a lui di tua ferita. So che lui medicato te dopo che io salvato, così io chiesto a lui quanto era grave, profonda, e lui…”

“Ma insomma, hai proprio l’ossessione per questa cosa? Quella ferita non era niente, tu mi hai salvato in tempo, era poco più che un graffio e non voglio più parlarne! La vuoi smettere, vuoi lasciarmi in pace?” reagì il giovane con rabbia disperata. Fece per alzarsi dal letto, ma Saltzmann lo prese per i polsi e lo obbligò a tornare accanto a lui, a guardarlo in volto.

“Non era graffio” dichiarò lapidario l’uomo. “Tuo dottore molto chiaro, ha detto a me che ferita profonda. Tu fortunato che io arrivato in tempo, ha detto che per pochi mill… millimetri non ha bucato tuo cuore…”

Mellish si sentì agghiacciare il sangue mentre, assurdamente, provava la stessa sensazione terribile e dolorosa della lama della baionetta che penetrava lentamente nella sua carne, evitava le costole, si spingeva dentro di lui per arrivare a trafiggergli il cuore…

“Non è vero, non è vero, non è stato così, tu hai sparato al soldato delle SS e lui non ha avuto il tempo…” iniziò a gridare il ragazzo. Saltzmann lo strinse a sé, lo abbracciò e lo sentì tremare e ansimare e aggrapparsi alla sua schiena proprio come quel giorno lontano.

“Io sparato a soldato dopo” continuò in tono pacato, quasi sussurrando. “Io temevo che se sparavo lui moriva con baionetta in tuo cuore, io chiamato lui per distrarlo e solo dopo ho sparato. Ma dottore Wade sorpreso che tu non abbia detto, che tu non ricordare, lui ha medicato tua ferita e ricucito, ferita profonda, non graffio. Anche Wade pensa che tu stai tanto male perché non vuoi ricordare. Se tu non vuoi credere a me noi poter parlare con lui domattina, noi andare da Wade e lui dire che…”

“NO!” urlò Mellish. “Non voglio più parlare di quello, voglio dimenticare tutto, è il passato, voglio solo andare avanti, andremo in America, passerà tutto, smettila con questa storia, smettila, smettila!”

L’uomo era straziato e si sentiva lacerare dentro vedendo il ragazzo che amava così stravolto, ma non poteva lasciar perdere, non lo avrebbe aiutato se si fosse arreso.

“Stan, non passa questa cosa. Non passa se tu cercare di dimenticare, passa se tu affronti e combatti, solo così mandi via tutto male che fa a te. Io aiuto te, io ti amo, Stan, voglio che stai bene” mormorò stringendolo tra le braccia come in un rifugio protetto, caldo e sicuro.

“No, no, no, non voglio, smettila, basta, basta…” singhiozzò Mellish, ancora una volta quasi ripetendo le parole che aveva detto al soldato delle SS e odiandosi per questo, faceva male, faceva paura, era il gelo, il ghiaccio, il dolore che spezzava il cuore.

Saltzmann si distese sul letto portando Mellish con sé, iniziando a togliergli i vestiti mentre lo accarezzava e cercava di calmarlo.

“Va bene, va bene, basta così se tu vuoi” gli sussurrò con dolcezza. “Io ora non insisto più, tu non pronto adesso, ma un giorno dover parlare di tutta questa cosa e combatterla, perché quella distrugge te, fa tanto male a te e io non volere. Io ti amo, ti amo, Stan…”

Furono insieme sotto le lenzuola e le coperte, l’uomo iniziò a baciare con trasporto Mellish, accarezzandolo, coccolandolo, stringendolo a sé, un bacio più intimo e profondo del solito, come se Saltzmann volesse allo stesso tempo proteggere e tranquillizzare il giovane e sentirlo totalmente suo, perdendosi nel suo sapore e tepore. Il ragazzo restò del tutto travolto dall’impeto e dall’urgenza che avvertiva nel desiderio di Josef, ma anche lui aveva bisogno di staccarsi dalla realtà e da ciò che lo circondava e fu ben felice di smarrirsi in lui. Lo accolse docilmente dentro il suo corpo, nascose il viso contro il petto di lui per soffocare i gemiti e gli ansiti di piacere, ancora vergognoso di mostrarsi troppo coinvolto ma incapace di trattenersi. Si lasciò trasportare da Saltzmann fino all’estasi più totale, sentendo tutto il suo essere dissolversi e fondersi con lui, finché l’Universo intero e ogni ricordo e dolore scomparvero e ci furono solo l’uno per l’altro. A Mellish parve di riprendere coscienza di sé, dello spazio e del tempo soltanto dopo secoli, stretto nell’abbraccio confortevole e avvolgente del tedesco, incollato al suo respiro e al suo corpo solido e forte ma anche capace di tanta dolcezza. E in quel momento, per la prima volta, cominciò a chiedersi se non stesse cominciando a innamorarsi davvero di lui, non solo per bisogno, non solo per sconfiggere paure e solitudine e guarire le ferite, ma proprio perché era lui, Josef Saltzmann, con il suo carattere calmo, paziente, pacato ma anche ostinato nel volerlo aiutare a tutti i costi. Poteva essere veramente così? Era quello l’amore? Il sentirsi al sicuro, il sentirsi a casa e in pace anche se era invece lontanissimo dal suo Paese e i loro popoli erano in guerra?

Il giovane americano si stava chiedendo ancora se ciò fosse possibile quando finì per scivolare in un sonno tranquillo e profondo nel caldo rifugio dell’abbraccio protettivo di Saltzmann.

Fine capitolo decimo

 

 

* La battaglia di Aquisgrana venne combattuta tra il 2 e il 21 ottobre 1944 e terminò con la presa della città da parte degli Alleati, ma comportò gravi perdite soprattutto tra i soldati americani.

** Festività ebraica che si svolge a dicembre, proprio nel nostro periodo natalizio. È chiamata anche Festa delle luci in quanto vengono accese candele rituali per celebrare il trionfo della luce sull’oscurità.

   
 
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