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Autore: Sofifi    23/06/2023    4 recensioni
Protagonista: Molly Weasley II (figlia di Audrey e Percy)
Una one shot per raccontare la fine di un'amicizia.
"«Molly.» Scandisce il mio nome con urgenza. Non dice Mol come al solito. Trova il tempo per la sillaba finale. Un brivido mi attraversa la spina dorsale e il mio cuore maciullato perde un battito. Mi ritrovo a sorridere, colma di speranza e di gioia. Forse sono davvero paranoica come papà e mi sono solo fatta troppi film mentali. Forse mi vuole bene e si è accorta di tutto, e adesso mi chiederà scusa, e poi cambierà atteggiamento. «Molly,» ripete, e io credo che potrei restarci secca. Però mi trattengo e ruoto di centottanta gradi."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lucy Weasley, Molly Weasley Jr, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Magia Veela'
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Ma lei ancora non lo sa


 

6 febbraio

 

Ceppi di abete fresco crepitano nel camino della Sala Comune. Non ho lacrime, il calore del fuoco le ha fatte prosciugare tutte; in cambio però nelle orecchie ho questo rumore, che forse è il legno, forse è il ricordo del mio cuore che esplode pezzo per pezzo. Chissà, magari quando sarà finalmente raso al suolo smetterà di farmi male… Smetterà di tuonare e rimbombare sotto a questa felpa rosso-oro, uguale a quella che indossa anche lei su in dormitorio, e contro la quale i suoi capelli sembrano sempre brillare.

Il mio respiro è un singhiozzo muto, l’aria nella stanza è asfissiante. Ho caldo, una goccia di sudore si stacca dall’ascella e mi percorre tutto il fianco. Infilo una mano sotto alla stoffa e la porto fino al petto. Stringo la pelle. Infilzo le unghie nella carne. Perché non smetti di battere, stronzo? Un gemito esile mi sfugge dalle labbra, come uno sbuffo. Lascio ricadere la mano sul divanetto di velluto e faccio per stendermi su un lato.

«Molly!»

Mi volto di scatto, nonostante sia ormai in equilibrio su una chiappa sola. Mia sorella è immobile in mezzo alla scalinata che porta ai dormitori dei ragazzi. Tiene sottobraccio la scacchiera babbana che le abbiamo regalato al compleanno. Mi rimetto composta e provo ad abbozzare un sorriso. «Ehi.» Lucy, luce della mia vita, cosa fai sveglia a quest’ora?

Poggia un gomito sul mancorrente e ricomincia a scendere, sbilenca. Come possa muoversi in silenzio con quegli anfibi dalla suola doppia è un mistero. Risuona un toc quando raggiunge il pavimento, e poi più nulla.

Sfilo le pantofole a forma di leone, porto i piedi sul sofà e pianto il mento sulle ginocchia. «Dovresti essere a letto.»

Lei storce le labbra e con un soffio si sposta la frangia dal viso. Tamburella le unghie sbeccate sulle caselle di acacia e di bosso. «Mi allenavo,» ribatte, sottolineando l’ovvio, e si stringe nelle spalle. Già, mancano meno di due mesi al torneo più importante della nostra carriera, ma non vedo come vivere in carenza di sonno possa renderla una giocatrice migliore. Sbuffo, e lei mi lancia uno sguardo stuccato. «Poi nemmeno tu stai dormendo, se è per questo.» Scacco. «Ed eri di nuovo da sola.» Matto. Si siede al mio fianco e fa per adagiare la testa sulla mia spalla, ma arrivata a metà strada la rizza di nuovo. «Posso avere l’onore di sapere che c’è?»

Non so cosa dire. La verità è che l’unica persona con cui vorrei parlare a cuore aperto è proprio colei che riderebbe dei miei dubbi, che li minimizzerebbe, colei che me li ha creati in primo luogo. Forse potrei aprire la bocca e sfogarmi, per lo meno con mia sorella, ma mi chiedo se capirebbe. Per me l’amicizia è sempre stata la cosa più importante, ma più cresco, più mi accorgo di essere l’unica a pensarla in questo modo. E poi ci sono troppi anni a separarci, troppi silenzi, e soprattutto una famiglia che per il suo bene deve fingere di essere unita, accogliente, solida – un punto di riferimento. «Sono solo un po’ giù, non ti preoccupare.»

Aggrotta le sopracciglia e mi fissa coi suoi occhi sporgenti da oranda, il pesce più buffo dell’acquario di casa.

«È roba di scuola, Lucy. Stress.»

Si rimette in piedi, il viso torto. «Potrò anche avere il cancro, ma non sono cieca.» Stringe forte le dita sulla scacchiera di legno pregiato. «Comunque va bene, ho capito.» Resto muta per non aggravare la mia posizione. Il suo petto sussulta a scatti irregolari. «Stai di nuovo facendo la mammina. E in questo momento mi stai talmente sul cazzo che mi fai venire voglia di fare proprio ciò che tu vuoi che io faccia. Mi odio per questo.» Si volta e a passi larghi e spediti raggiunge le scale.

Cercare di proteggerla è come subire una forchetta: qualunque mossa faccia, perdo qualcosa. «Ma riuscirai a dormire?»

Non risponde. Sale di corsa per rintanarsi in dormitorio e quando sbatte la porta sobbalzo. Avrà svegliato tutte le sue compagne di stanza.

Io resto qui, a soffrire spalmata contro lo schienale del divano. Quando dei ceppi nel camino non rimangono che tizzi ardenti però mi alzo e vado a dormire. Nella tana del lupo.

 

 

 

30 marzo

 

Finisce sempre così. Dominique è sdraiata di fronte a me, le guance irritate dal pianto, gli occhi due zaffiri purissimi. Le sue labbra tremanti imitano un sorriso. «Grazie per esserci.»

Struscio il pollice sul dorso della sua mano morbida, abbasso le palpebre e prendo un respiro profondo, al muschio bianco come il suo docciaschiuma. Un mitra fuori controllo mi sta crivellando il petto, ma non devo darlo a vedere. La mia collera può aspettare, così come la mia solitudine – anche se è presente, persino in questo istante, e riempie l’infinito di non detti che ci divide, oltre a qualche centimetro di cotone rosso e imbottito.

Mi manca Dominique, anche ora che siamo di nuovo sullo stesso letto. Provo a tornare indietro, a quando ero bambina. Prendo una ciocca dorata dei suoi capelli tra le dita, e la intrappolo attorno all’indice. Le sue punte sfibrate mi solleticano il palmo. Quando arrivo vicino al suo scalpo, però, mi tiro indietro. Non lo accarezzo. L’incantesimo si spezza – non siamo più le stesse.

Brucio di rabbia e spero che la sua vista appannata, tra gote annaffiate di lentiggini e capelli fulvi, non glielo faccia cogliere. Vorrei dirle che mi manca, vorrei dirle che è una stronza, ma adesso ha bisogno di me. Ancora questa volta e poi basta – me lo ripeto come un mantra. Ancora questa volta e poi basta. E mi viene la nausea.

Ho le orecchie piene delle sue gioie, dei suoi drammi, delle sue paure, del suo – ora ex – ragazzo. Ho le tasche colme di parole di conforto e domande cucite su misura. Sono sempre stata pronta a parlare di ciò che l’appassiona: era la pena da sopportare per farmi includere, per farmi ascoltare; la pena da sopportare per non lasciarla completamente andare, nella speranza che le cose potessero cambiare, tornare al principio. Che illusa!

Il sole, ancora sotto l’orizzonte, comincia a rischiarare la stanza e a far rifulgere i fili d’oro del copriletto altrimenti uniforme. Dominique abbassa le palpebre per la prima volta, pronta a crollare. Spero si riprenda in fretta da questa rottura, perché io, a starle accanto, non ce la faccio più. Mi metto supina, affondo la testa nel cuscino e mi concedo di sbuffare.

Non ci fa caso, o comunque… non dice niente. Potrei morire al suo fianco e non se ne accorgerebbe. Quando ha cominciato a darmi per scontata? È colpa mia, se ho permesso che accadesse? Ho svolto un ruolo troppo passivo in questa amicizia? L’ho rotta senza farlo apposta? Dopotutto non è la prima volta che mi capita di perdere qualcuno in questo modo, una coincidenza non può certo essere, eppure mi mancano i pezzi per risolvere questo puzzle e la cosa mi fa impazzire. Se solo la vita fosse semplice come una partita a scacchi… Magari ne uscirei comunque sconfitta, ma almeno rianalizzando le mie mosse sarei in grado di individuare ogni errore.

«Molly.» Dominique scandisce il mio nome con urgenza. Non dice Mol come al solito. Trova il tempo per la sillaba finale. Un brivido mi attraversa la spina dorsale e il mio cuore maciullato perde un battito. Mi ritrovo a sorridere, colma di speranza e di gioia. Forse sono davvero paranoica come papà e mi sono solo fatta troppi film mentali. Forse mi vuole bene e si è accorta di tutto, e adesso mi chiederà scusa, e poi cambierà atteggiamento. «Molly,» ripete, e io credo che potrei restarci secca. Però mi trattengo e ruoto di centottanta gradi.

Le mie budella si riducono al groviglio di spaghi nella scatola di biscotti danesi della nonna. Mia sorella mi guarda in tralice dalla porta che ha aperto senza fare rumore. Sono già le sette?

Resto immobile per un momento, prima di mettermi in piedi. Mi manca l’aria, mi gira la testa. Inciampo sulla criniera di una delle ciabatte che ho lasciato in mezzo alla stanza e mi aggrappo alle tende aperte del baldacchino per mantenere l’equilibrio. Lucy ha fatto un passo in avanti, forse per provare ad afferrarmi prima che precipitassi a terra, ma poi si è fermata, e adesso stritola la maniglia come se fosse la sua unica ancora. Serra gli occhi e si accascia contro la cornice della porta. Il mio corpo freme dalla paura.

Raccatto di fretta lo zaino da sotto alla scrivania e me lo metto in spalla, liscio alla ben e meglio le pieghe della felpa e mi volto verso Dominique. «Ora devo andare.»

Le sue sopracciglia volano talmente in alto che temo possano fondersi all’attaccatura dei suoi capelli. Il mento le cade in direzione delle clavicole. «Dove?»

Ingoio a vuoto quando mi rendo conto che, davvero, non lo sa. Lucy incrocia le braccia. «Al torneo, ovviamente? È il trenta marzo.»

Scrollo le spalle. «Prenditi cura di te. Ci vediamo tra qualche giorno.» Domi mi lancia uno sguardo perso e si raggomitola contro il cuscino.

In tre rapidi passi sono fuori dalla stanza. Prendo a braccetto Lucy, che appoggia il gomito libero sul corrimano, e comincio a scendere. Non mi ha salutato, non mi ha augurato buona fortuna, non mi ha lanciato neppure un misero sorriso d’incoraggiamento. Chiusa nel suo dolore, nei suoi problemi, nelle sue emozioni… si è dimenticata di me. Gli occhi mi pizzicano e i bordi dei gradini si fanno sghembi. Mia sorella mi tira una gomitata. «Non hai dormito.»

«Oh, per favore… non dire niente.»

Poggia la testa sulla mia spalla e un sorriso amaro mi sforma le labbra.

Ho perso un’amica, ma lei ancora non lo sa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Note:

Nella storia ci sono vari riferimenti al mondo degli scacchi, alcuni più e altri meno palesi. Quello che può confondere maggiormente un lettore che non ne sa molto, probabilmente, è il termine forchetta, con cui s’intende l’attacco simultaneo di due pezzi da parte di un pezzo avversario. Anche i puzzle a cui si riferisce Molly non sono quelli di cartone, ma i “problemi” scacchistici con cui ci si può allenare. Per quanto riguarda l’oranda (in particolare la varietà occhi telescopici), mi piace pensare che Lucy si sia appassionata di pesci, e sia diventata un’ittiofila, durante uno dei suoi periodi di degenza.

Un grande grazie a Maqry, Lisi e Inzaghina, che hanno letto la storia in anteprima, dandomi consigli preziosi. E naturalmente grazie anche a chiunque sia giunto fin qui!


 

  
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