Era una fredda serata di
metà novembre.
La base era completamente
in silenzio, tranne che per i pochi militari di vedetta per la serata.
Price aveva lasciato
liberi i ragazzi della Task force 141 in modo che si riposassero prima della
nuova missione da qualche parte in Europa.
Il capitano era tornato
nel suo ufficio a mettere a posto alcune scartoffie. Gaz era corso verso la sua
camera appena gli era stato dato il via libera. Ghost aveva intenzione di
tornare in camera per riposarsi quel tanto che serviva, ma Soap non lo avrebbe
lasciato stare prima di notte fonda.
Era passata da poco la
mezzanotte.
Il sergente e il tenente
si trovavano in una tranquilla saletta dalla base. Avevano deciso di passare il
tempo giocando a carte, chiacchierando - Soap specialmente - e bevendo qualcosa
di forte per aiutare ad addormentarsi meglio più tardi.
"Boom! - il sergente
buttò sul tavolo una doppia coppia - come ribatti LT?" lo osservò
divertito con un grosso ghigno sulla faccia.
Ghost lo guardò. Sentì
gli angoli della sua bocca alzarsi quel minimo per dare l'idea di un piccolo
sorriso sotto il passamontagna col teschio.
Ghost abbassò lentamente
le carte che aveva in mano, una scala di carte nere e rosse alternate saliva
dal numero quattro fino all'otto.
"Cazzo..."
sbuffò Soap alzando gli occhi al cielo e battendosi la coscia con una mano.
Passò poi a sistemarsi
meglio sulla sedia. Le mani gli scivolarono sul volto e si picchiettò
leggermente le guance. Prese il bicchiere da shots e si versò un po' di
Drambuie, un liquore che i suoi genitori gli avevano lasciato l'ultima volta
che era andato a trovarli.
Alzò leggermente il
bicchiere e dopo aver contemplato con attenzione la sua scelta, buttò giù il
contenuto in un solo sorso.
Quando ebbe finito batté
così forte il bicchiere sul tavolo che Ghost pensò già alla faccia di Price
quando il giorno dopo avrebbe scoperto che Soap aveva rotto qualcosa perché
mezzo ubriaco. Fortuna vuole nulla si ruppe.
"Wow! - Johnny
scosse la testa a destra e sinistra come per eliminare la sbornia, poi guardò
dritto negli occhi Ghost con nuova risolutezza - voglio la rivincita!"
"Come vuoi tu,
McTavish" rispose calmo il superiore, divertito.
I due passarono un'altra
mezz'ora a giocare e quando fu poi il momento di tornare in camera, Ghost fu
obbligato ad aiutare il sergente.
In poco tempo si era
scolato da solo circa metà del liquore che aveva portato e ora non si reggeva
più in piedi.
"LT... - lo richiamò
ridacchiando - come mai non sei ubriaco quanto me? Anche tu hai bevuto..."
canticchiò brillo.
"Reggo bene l'alcol
Johnny"
"Non è giusto
però…" mise il broncio.
"Cosa?"
"Voglio essere come
te quando crescerò…" scherzò ridacchiando.
Ghost ci mise qualche
secondo prima di rispondere.
"Sarai meglio di me,
Johnny"
“Mh. Forse, ma non sarò
mai figo come te” e rise di gusto.
Ghost si sentì sorridere
leggermente.
Era passato così tanto
tempo dall’ultima volta che aveva passato la sera premissione in compagnia di
qualcuno che riuscisse a farlo stare bene ed evitasse che la sua mente tornasse
a tutti quegli orrendi ricordi del passato.
Quando era con Johnny, si
sentiva Simon Riley, non Ghost.
Ma questo pensiero, per
quanto bello fosse, lo metteva a disagio. Un certo senso di ansia e nausea gli
stringeva il petto.
Johnny era stato capace
di riportare una parte di Ghost allo scoperto, qualcosa che lui stesso aveva
nascosto per anni da quando era finito nelle mani di Manuel Roba.
Forse quell'uomo non era
del tutto morto. Giusto…?
“Lt! – Soap gli schioccò
le dita di fronte agli occhi per risvegliarlo dalla trance – siamo arrivati!”
rise di gusto.
“Mh” borbottò d’accordo.
Johnny prese le chiavi
della camera dalla tasca dei pantaloni della tuta militare e con difficoltà
riuscì ad infilarle nella toppa. Con un giro aprì la porta.
“Finalmente un po’ di
riposo!” sghignazzò mentre si dirigeva al suo letto perfettamente rifatto
secondo le regole rigide della caserma.
Con un salto il sergente
si buttò sul materasso, si mosse sulle lenzuola per cercare una buona posizione
per dormire, stropicciandole e disfandole.
Nonostante non fosse un
tipo da cane, Ghost aveva sempre pensato che Johnny in realtà assomigliasse
caratterialmente ad un Golden Retriever, specialmente quando era ubriaco.
Vederlo rigirarsi sulle
lenzuola, sembrava di assistere ad un cane che girava nella cuccia prima di
mettersi a dormire.
"LT...! - lo
richiamò Johnny con una voce lamentosa - buonanotte!" e gli sorrise a
trentadue denti prima di poggiare la testa sul cuscino ed addormentarsi.
Ghost lo osservò per
qualche secondo prima di girare i tacchi.
"'Notte Johnny"
bofonchiò ghignando leggermente mentre si chiudeva la porta alle spalle.
Il corridoio era
silenzioso.
I passi di Ghost non si
sentivano, era una sua caratteristica. Era stato addestrato per diventare
un'arma e come tale doveva essere capace di muoversi in silenzio, sulle punte
dei piedi, per prendere di soppiatto i nemici e recidere loro la carotide con
un solo colpo alle spalle.
Anche se avesse voluto,
quella parte di sé non sarebbe mai cambiata e per quanto si sforzasse, alcune
delle cose che Roba e i suoi gli avevano messo in testa, non sarebbe mai
riuscito a dimenticarle, molti dei traumi lo avevano cambiato così tanto da
lasciargli delle cicatrici perenni nella mente.
Prese un lungo respiro
non appena iniziò a sentire il cuore battere più velocemente.
Ricordare quello che
aveva passato non era di certo di grande aiuto, specialmente se con questi
traumi doveva già averci a che fare durante la notte con degli incubi che
duravano ore e ore intere e che lo svegliavano sempre con la gola chiusa e le
lacrime che minacciavano di cadergli lungo le guance.
A passi lunghi finì di
percorrere tutto il corridoio e dopo essere entrato nella sua camera chiuse
lentamente la porta alle spalle, assicurandosi che la chiave facesse due giri
nella toppa. Essere prudenti e anticipare qualsiasi possibile attacco nemico,
specialmente nel sonno, era una delle risposte ai traumi che si portava dietro
da quando era rientrato in attività.
Si tolse gli scarponi e
la giacca mettendoli attentamente in ordine vicino all’ingresso.
Lanciò uno sguardo
all’orologio sul comodino vicino al letto. Le 00:43.
Sentiva il suo cuore
ancora in gola, battere forte e martellargli nelle orecchie.
Cazzo…
Velocemente si diresse in
bagno e con un gesto repentino si strappò dalla testa il passamontagna col
teschio, un ricordo di quello che era diventato.
Non si guardò nemmeno
allo specchio e aprì l’acqua del lavandino. Mise le mani a coppa e le riempì
per poi passarsele sul volto nudo.
Sentì i segni delle sue
perenni cicatrici passargli sotto i polpastrelli.
Linee dure di ricordi che
lo avevano marchiato a fuoco, impedendogli di dimenticare ogni volta che
scorgeva il suo viso allo specchio. Per quello non si guardava mai. Per quello
non voleva che qualcuno lo guardasse.
Si passò più volte
l’acqua sulla faccia, come per cercare inconsciamente di eliminare ogni traccia
dell’ansia crescente che sentiva nel petto.
Ansia per cosa poi?
Nemmeno lui lo sapeva, ma
la sua mente viaggiava così veloce che poteva essere di tutto: la missione, la
notte, gli incubi, la sua relazione con Johnny e gli altri membri della
squadra, la sua paura di non riuscire ad essere abbastanza…
Qualsiasi tipo di
pensiero di questo genere gli attraversava l’inconscio in continuazione, senza
lasciargli un attimo di tregua.
Voleva solo riuscire a
respirare.
Dimenticarsi di tutto
quello per cui aveva sofferto, ma sapeva che sarebbe stato impossibile.
Alzò gli occhi e si vide
allo specchio.
Lo aveva fatto senza
accorgersene e ora se ne pentiva.
Il suo viso era bianco
latte, decorato da pesanti e numerose cicatrici rosee che tagliavano la fronte,
il collo, la mandibola, le labbra e il naso era leggermente storto per colpa di
tutti i colpi che aveva subito.
Si guardò negli occhi,
così marroni scuro che non era sicuro di star guardando davvero il colore delle
iridi o dentro la sua anima.
Sentì e vide le
sopracciglia inarcarsi impercettibilmente all’insù. Gli angoli degli occhi
cominciavano a prudere fastidiosamente.
Le sue mani si
aggrapparono fortemente al bordo del lavandino per cercare un appoggio con la
realtà che sapeva stava scomparendo.
Per qualche secondo si
vide ancora riflesso nello specchio, poi non vide più nulla.
La testa vorticava
pericolosamente e la bocca era completamente asciutta. Sentiva gambe e braccia
cominciare a non sostenerlo più. L’equilibrio era precario.
Per una frazione minima
di tempo si ricordò di stare in bagno, in piedi, di fronte allo specchio.
Più si guardava e più si
chiedeva se quella persona che avesse davanti fosse davvero lui, Ghost, non
Simon. Cercava di convincersene in qualche modo.
Era certo che Simon non
ci fosse più. Ma allora quell’uomo davanti a sé chi era?
In pochi attimi la coscienza
gli scappò dalle mani, prima di tornargli alla mente, tutto a momenti alterni
di qualche secondo.
Doveva sforzarsi di
ricordarsi dove fosse, chi fosse.
La sua mente era
distratta e in poco dopo si ritrovò immerso in una strana, ma non inusuale sensazione
di smarrimento.
Ora non era più sicuro di
dove si trovasse.
Immagini sfocate gli
comparivano davanti agli occhi e quando cercò di chiuderli non ce la fece.
La testa più leggera gli
girava, aumentando il senso di nausea che gli bussava alla bocca dello stomaco.
Sentì improvvisamente il
suo corpo farsi debole, come se stesse fluttuando.
Poi lo vide,
o meglio, si vide.
L’uomo che aveva prima di
fronte a sé era in piedi da qualche parte, non sicuro di dove si trovasse.
Poteva vedere i capelli
biondi, ma la faccia era sfocata.
Come era fatto?
Lo sapeva, certo che lo
sapeva! Allora perché non se lo ricordava?
Quando lo vide girarsi
sentì il gusto della bile salirgli oltre lo stomaco, su per l’esofago.
L’uomo dai capelli biondi
aveva la faccia di un teschio, senza occhi, senza bocca, solo un assembramento
di pezzi di ossa.
Sentì un movimento
leggero e la sue mente riprese a vorticare eliminando dalla vista l’uomo.
…Simon…
Il suo nome gli arrivò
alle orecchie in modo distante, distorto.
Girò lo sguardo per
capire da dove arrivasse, ma nessuno si fece avanti.
Intorno a sé solamente il
buio.
Il buio, le tenebre,
l’essere da soli.
Spostò gli occhi a destra
e a sinistra, sopra e sotto, dove sperava di trovare una luce, qualcosa che lo
aiutasse ad evadere da quel momento di panico improvviso che sentiva nel petto.
Sentì il suo corpo come
sdraiato.
E improvvisamente
l’immagine, sfocata, ma familiare dell’interno della bara lo colse di sorpresa.
L’aria iniziò a mancare
velocemente.
Cercò di muoversi
all’interno di quello spazio angusto per trovare qualcosa di utile per uscire,
di nuovo.
La mascella… pensò
tastando in giro, solo per accorgersi che non poteva muoversi.
Sarebbe morto lì.
Era riuscito a scappare
la prima volta, ma era stato graziato e ora, per qualche strano scherzo del
destino, doveva rivivere di nuovo quegli interminabili minuti senza riuscire a
muoversi e a respirare.
Sarebbe finita lì la sua
vita.
Simon…!
La stessa voce lo
raggiunse una seconda volta, più chiaramente.
Chiuse forte gli occhi.
Cercò di dimenarsi ancora
quanto poteva, senza risultati.
Doveva scappare a
qualunque costo!
Quando li spalancò non si
trovava più nella bara.
Sentiva di poter
respirare meglio, anche se con difficoltà.
Si guardò nuovamente
intorno e vide per la seconda volta il corpo così familiare di un uomo dai
capelli biondi cenere.
Era in piedi, le spalle
leggermente inarcate in avanti.
Si avvicinò.
Lo vide tremare.
Lo osservò attentamente
in viso: gli occhi erano fissi davanti a se, persi in
qualcosa che nemmeno lui sapeva cosa fosse. Poteva vedere che stava mordendo
fortemente il labbro superiore, quel tanto che stava sanguinando. Le guance
rigate da lacrime.
Gli fece pena vedere
quell’uomo soffrire in quel modo.
Gli?
A chi faceva pena?
A lui?
Chi era lui?
Chi era quell’uomo?
Dov’era?
Merda…! Merda!
Simon!
Va tutto bene…!
…Johnny?
Spalancò gli occhi.
La testa gli girava come
in una spirale, la vista era ancora sfocata.
Sentiva il suo respiro
veloce entrare e uscire dalla bocca.
Doveva fermarsi. Doveva
riprendere fiato.
Il cuore gli martellava
forte nelle orecchie.
Doveva riguadagnare la
coscienza di sé in qualche modo.
Tre cose che potesse
annusare.
L’odore debole dello
shampoo usato il giorno prima. Il dopobarba. Un leggero odore di sigarette.
Tre cose che potesse
toccare.
I pantaloni della tuta.
Il suo braccio. Il freddo bordo del lavandino.
Tre cose che potesse
vedere.
Le sue mani aggrappate
disperatamente al sanitario. Lo spazzolino in un bicchiere sul piccolo pensile
lì vicino. Se stesso nel riflesso.
Inspira. Espira.
Ripeti.
Ghost chiuse gli occhi e
si passò con forza le mani sulla sua faccia.
Aveva bisogno di
staccarsi da quello specchio. Aveva bisogno di andare via di lì.
Cazzo…
Si passò una mano nei
capelli mentre, traballante, si dirigeva in camera da letto.
L’ansia era ancora
presente, ma si sentiva decisamente più cosciente di sé.
Vide il passamontagna a
terra e si piegò per raccoglierlo.
Metterselo significava
tornare ad essere Ghost, l’uomo che doveva essere. Una certezza per ottenere il
pieno controllo del suo corpo.
Si passò la maschera
intorno alla testa e prese un profondo respiro.
La sensazione - sbagliata
- di tranquillità lo abbracciò facendolo sentire più al sicuro.
Si sedette sul letto
prendendosi il viso, ora mascherato, tra le mani.
Fece altri respiri più
lunghi cercando di tranquillizzarsi nell’ultimo momento dell’attacco di panico.
Alzò lo sguardo e osservò
l’orologio. L’1:03.
Era passato solamente un
quarto d’ora da quando era entrato in camera sua dopo aver lasciato Johnny
ubriaco nella sua stanza.
La sensazione di
impotenza lo assalì facendolo sudare freddo.
Era passato così poco e
aveva vissuto il momento come se fossero state delle ore.
Non si ricordava cosa
fosse successo, ma doveva aver avuto un momento di derealizzazione e
dissociamento, qualcosa che oramai sperimentava da anni, alla quale però, non
era abituato.
Come era riuscito a
tornare in se questa volta?
La sua mente si sforzò
per ricordare.
La memoria di una voce
maschile, già sentita più volte, si fece strada dal suo inconscio.
“Johnny…- sospirò a bassa
voce, gli occhi aperti stupiti- cazzo…”
Non sapeva se fosse un
bene o un male.
Sapeva che del sergente
oramai si poteva fidare abbastanza.
Non voleva che gli si
avvicinasse, che si avvicinasse troppo a Ghost. Non voleva che una volta
conosciuto meglio scappasse e soprattutto non voleva rischiare di metterlo in
pericolo.
Dall’altra parte però un
desiderio profondo nel suo cuore voleva che qualcuno provasse almeno ad
aiutarlo, a salvarlo dall’idea di un vita vissuta solamente come Ghost e non
anche come Simon, che in un modo o nell’altro viveva ancora nella sua mente.
Aveva paura che una buona
anima come Johnny potesse cambiarlo, non sapere che cosa lo aspettava una volta
avvicinato così tanto qualcuno.
Ghost si spostò sul letto
per mettersi di spalle contro il muro, il cuscino dietro la schiena.
Si accartocciò su di sé
chiudendo le gambe e accostandole al petto.
Nascose la testa tra le
ginocchia e le mani strinsero forte i piedi.
Avrebbe aspettato fino a
quando non si sarebbe addormentato, poi la giornata sarebbe cominciata con la
sveglia e i preparativi per la missione che li attendeva.
Tutto sarebbe tornato ad
essere esattamente come era sempre.