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Autore: kaiwolf_    11/07/2023    0 recensioni
Ghost ha un lungo momento di dissociazione
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una fredda serata di metà novembre.

La base era completamente in silenzio, tranne che per i pochi militari di vedetta per la serata.

Price aveva lasciato liberi i ragazzi della Task force 141 in modo che si riposassero prima della nuova missione da qualche parte in Europa.

Il capitano era tornato nel suo ufficio a mettere a posto alcune scartoffie. Gaz era corso verso la sua camera appena gli era stato dato il via libera. Ghost aveva intenzione di tornare in camera per riposarsi quel tanto che serviva, ma Soap non lo avrebbe lasciato stare prima di notte fonda.

 

Era passata da poco la mezzanotte.

Il sergente e il tenente si trovavano in una tranquilla saletta dalla base. Avevano deciso di passare il tempo giocando a carte, chiacchierando - Soap specialmente - e bevendo qualcosa di forte per aiutare ad addormentarsi meglio più tardi.

 

"Boom! - il sergente buttò sul tavolo una doppia coppia - come ribatti LT?" lo osservò divertito con un grosso ghigno sulla faccia.

Ghost lo guardò. Sentì gli angoli della sua bocca alzarsi quel minimo per dare l'idea di un piccolo sorriso sotto il passamontagna col teschio.

 

Ghost abbassò lentamente le carte che aveva in mano, una scala di carte nere e rosse alternate saliva dal numero quattro fino all'otto.

"Cazzo..." sbuffò Soap alzando gli occhi al cielo e battendosi la coscia con una mano.

Passò poi a sistemarsi meglio sulla sedia. Le mani gli scivolarono sul volto e si picchiettò leggermente le guance. Prese il bicchiere da shots e si versò un po' di Drambuie, un liquore che i suoi genitori gli avevano lasciato l'ultima volta che era andato a trovarli.

Alzò leggermente il bicchiere e dopo aver contemplato con attenzione la sua scelta, buttò giù il contenuto in un solo sorso.

Quando ebbe finito batté così forte il bicchiere sul tavolo che Ghost pensò già alla faccia di Price quando il giorno dopo avrebbe scoperto che Soap aveva rotto qualcosa perché mezzo ubriaco. Fortuna vuole nulla si ruppe.

"Wow! - Johnny scosse la testa a destra e sinistra come per eliminare la sbornia, poi guardò dritto negli occhi Ghost con nuova risolutezza - voglio la rivincita!"

"Come vuoi tu, McTavish" rispose calmo il superiore, divertito.

 

I due passarono un'altra mezz'ora a giocare e quando fu poi il momento di tornare in camera, Ghost fu obbligato ad aiutare il sergente.

In poco tempo si era scolato da solo circa metà del liquore che aveva portato e ora non si reggeva più in piedi.

"LT... - lo richiamò ridacchiando - come mai non sei ubriaco quanto me? Anche tu hai bevuto..." canticchiò brillo.

"Reggo bene l'alcol Johnny"

"Non è giusto però…" mise il broncio.

"Cosa?"

"Voglio essere come te quando crescerò…" scherzò ridacchiando.

Ghost ci mise qualche secondo prima di rispondere.

"Sarai meglio di me, Johnny"

“Mh. Forse, ma non sarò mai figo come te” e rise di gusto.

 

Ghost si sentì sorridere leggermente.

Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva passato la sera premissione in compagnia di qualcuno che riuscisse a farlo stare bene ed evitasse che la sua mente tornasse a tutti quegli orrendi ricordi del passato.

Quando era con Johnny, si sentiva Simon Riley, non Ghost.

Ma questo pensiero, per quanto bello fosse, lo metteva a disagio. Un certo senso di ansia e nausea gli stringeva il petto.

Johnny era stato capace di riportare una parte di Ghost allo scoperto, qualcosa che lui stesso aveva nascosto per anni da quando era finito nelle mani di Manuel Roba.

Forse quell'uomo non era del tutto morto. Giusto…?

 

“Lt! – Soap gli schioccò le dita di fronte agli occhi per risvegliarlo dalla trance – siamo arrivati!” rise di gusto.

“Mh” borbottò d’accordo.

Johnny prese le chiavi della camera dalla tasca dei pantaloni della tuta militare e con difficoltà riuscì ad infilarle nella toppa. Con un giro aprì la porta.

“Finalmente un po’ di riposo!” sghignazzò mentre si dirigeva al suo letto perfettamente rifatto secondo le regole rigide della caserma.

Con un salto il sergente si buttò sul materasso, si mosse sulle lenzuola per cercare una buona posizione per dormire, stropicciandole e disfandole.

Nonostante non fosse un tipo da cane, Ghost aveva sempre pensato che Johnny in realtà assomigliasse caratterialmente ad un Golden Retriever, specialmente quando era ubriaco.

Vederlo rigirarsi sulle lenzuola, sembrava di assistere ad un cane che girava nella cuccia prima di mettersi a dormire.

"LT...! - lo richiamò Johnny con una voce lamentosa - buonanotte!" e gli sorrise a trentadue denti prima di poggiare la testa sul cuscino ed addormentarsi.

Ghost lo osservò per qualche secondo prima di girare i tacchi.

"'Notte Johnny" bofonchiò ghignando leggermente mentre si chiudeva la porta alle spalle.

 

Il corridoio era silenzioso.

I passi di Ghost non si sentivano, era una sua caratteristica. Era stato addestrato per diventare un'arma e come tale doveva essere capace di muoversi in silenzio, sulle punte dei piedi, per prendere di soppiatto i nemici e recidere loro la carotide con un solo colpo alle spalle.

Anche se avesse voluto, quella parte di sé non sarebbe mai cambiata e per quanto si sforzasse, alcune delle cose che Roba e i suoi gli avevano messo in testa, non sarebbe mai riuscito a dimenticarle, molti dei traumi lo avevano cambiato così tanto da lasciargli delle cicatrici perenni nella mente.

 

Prese un lungo respiro non appena iniziò a sentire il cuore battere più velocemente.

Ricordare quello che aveva passato non era di certo di grande aiuto, specialmente se con questi traumi doveva già averci a che fare durante la notte con degli incubi che duravano ore e ore intere e che lo svegliavano sempre con la gola chiusa e le lacrime che minacciavano di cadergli lungo le guance.

 

A passi lunghi finì di percorrere tutto il corridoio e dopo essere entrato nella sua camera chiuse lentamente la porta alle spalle, assicurandosi che la chiave facesse due giri nella toppa. Essere prudenti e anticipare qualsiasi possibile attacco nemico, specialmente nel sonno, era una delle risposte ai traumi che si portava dietro da quando era rientrato in attività.

Si tolse gli scarponi e la giacca mettendoli attentamente in ordine vicino all’ingresso.

Lanciò uno sguardo all’orologio sul comodino vicino al letto. Le 00:43.

Sentiva il suo cuore ancora in gola, battere forte e martellargli nelle orecchie.

Cazzo…

Velocemente si diresse in bagno e con un gesto repentino si strappò dalla testa il passamontagna col teschio, un ricordo di quello che era diventato.

Non si guardò nemmeno allo specchio e aprì l’acqua del lavandino. Mise le mani a coppa e le riempì per poi passarsele sul volto nudo.

Sentì i segni delle sue perenni cicatrici passargli sotto i polpastrelli.

Linee dure di ricordi che lo avevano marchiato a fuoco, impedendogli di dimenticare ogni volta che scorgeva il suo viso allo specchio. Per quello non si guardava mai. Per quello non voleva che qualcuno lo guardasse.

 

Si passò più volte l’acqua sulla faccia, come per cercare inconsciamente di eliminare ogni traccia dell’ansia crescente che sentiva nel petto.

Ansia per cosa poi?

Nemmeno lui lo sapeva, ma la sua mente viaggiava così veloce che poteva essere di tutto: la missione, la notte, gli incubi, la sua relazione con Johnny e gli altri membri della squadra, la sua paura di non riuscire ad essere abbastanza…

Qualsiasi tipo di pensiero di questo genere gli attraversava l’inconscio in continuazione, senza lasciargli un attimo di tregua.

Voleva solo riuscire a respirare.

Dimenticarsi di tutto quello per cui aveva sofferto, ma sapeva che sarebbe stato impossibile.

 

Alzò gli occhi e si vide allo specchio.

Lo aveva fatto senza accorgersene e ora se ne pentiva.

Il suo viso era bianco latte, decorato da pesanti e numerose cicatrici rosee che tagliavano la fronte, il collo, la mandibola, le labbra e il naso era leggermente storto per colpa di tutti i colpi che aveva subito.

Si guardò negli occhi, così marroni scuro che non era sicuro di star guardando davvero il colore delle iridi o dentro la sua anima.

Sentì e vide le sopracciglia inarcarsi impercettibilmente all’insù. Gli angoli degli occhi cominciavano a prudere fastidiosamente.

Le sue mani si aggrapparono fortemente al bordo del lavandino per cercare un appoggio con la realtà che sapeva stava scomparendo.

 

Per qualche secondo si vide ancora riflesso nello specchio, poi non vide più nulla.

La testa vorticava pericolosamente e la bocca era completamente asciutta. Sentiva gambe e braccia cominciare a non sostenerlo più. L’equilibrio era precario.

Per una frazione minima di tempo si ricordò di stare in bagno, in piedi, di fronte allo specchio.

Più si guardava e più si chiedeva se quella persona che avesse davanti fosse davvero lui, Ghost, non Simon. Cercava di convincersene in qualche modo.

Era certo che Simon non ci fosse più. Ma allora quell’uomo davanti a sé chi era?

 

In pochi attimi la coscienza gli scappò dalle mani, prima di tornargli alla mente, tutto a momenti alterni di qualche secondo.

Doveva sforzarsi di ricordarsi dove fosse, chi fosse.

La sua mente era distratta e in poco dopo si ritrovò immerso in una strana, ma non inusuale sensazione di smarrimento.

Ora non era più sicuro di dove si trovasse.

Immagini sfocate gli comparivano davanti agli occhi e quando cercò di chiuderli non ce la fece.

La testa più leggera gli girava, aumentando il senso di nausea che gli bussava alla bocca dello stomaco.

Sentì improvvisamente il suo corpo farsi debole, come se stesse fluttuando.

Poi lo vide, o meglio, si vide.

 

L’uomo che aveva prima di fronte a sé era in piedi da qualche parte, non sicuro di dove si trovasse.

Poteva vedere i capelli biondi, ma la faccia era sfocata.

Come era fatto?

Lo sapeva, certo che lo sapeva! Allora perché non se lo ricordava?

 

Quando lo vide girarsi sentì il gusto della bile salirgli oltre lo stomaco, su per l’esofago.

L’uomo dai capelli biondi aveva la faccia di un teschio, senza occhi, senza bocca, solo un assembramento di pezzi di ossa.

Sentì un movimento leggero e la sue mente riprese a vorticare eliminando dalla vista l’uomo.

 

…Simon…

 

Il suo nome gli arrivò alle orecchie in modo distante, distorto.

Girò lo sguardo per capire da dove arrivasse, ma nessuno si fece avanti.

Intorno a sé solamente il buio.

Il buio, le tenebre, l’essere da soli.

Spostò gli occhi a destra e a sinistra, sopra e sotto, dove sperava di trovare una luce, qualcosa che lo aiutasse ad evadere da quel momento di panico improvviso che sentiva nel petto.

Sentì il suo corpo come sdraiato.

E improvvisamente l’immagine, sfocata, ma familiare dell’interno della bara lo colse di sorpresa.

 

L’aria iniziò a mancare velocemente.

Cercò di muoversi all’interno di quello spazio angusto per trovare qualcosa di utile per uscire, di nuovo.

La mascella… pensò tastando in giro, solo per accorgersi che non poteva muoversi.

Sarebbe morto lì.

Era riuscito a scappare la prima volta, ma era stato graziato e ora, per qualche strano scherzo del destino, doveva rivivere di nuovo quegli interminabili minuti senza riuscire a muoversi e a respirare.

Sarebbe finita lì la sua vita.

 

Simon…!

 

La stessa voce lo raggiunse una seconda volta, più chiaramente.

Chiuse forte gli occhi.

Cercò di dimenarsi ancora quanto poteva, senza risultati.

Doveva scappare a qualunque costo!

 

Quando li spalancò non si trovava più nella bara.

Sentiva di poter respirare meglio, anche se con difficoltà.

Si guardò nuovamente intorno e vide per la seconda volta il corpo così familiare di un uomo dai capelli biondi cenere.

Era in piedi, le spalle leggermente inarcate in avanti.

Si avvicinò.

Lo vide tremare.

Lo osservò attentamente in viso: gli occhi erano fissi davanti a se, persi in qualcosa che nemmeno lui sapeva cosa fosse. Poteva vedere che stava mordendo fortemente il labbro superiore, quel tanto che stava sanguinando. Le guance rigate da lacrime.

Gli fece pena vedere quell’uomo soffrire in quel modo.

 

Gli?

A chi faceva pena?

A lui?

Chi era lui?

Chi era quell’uomo?

Dov’era?

 

Merda…! Merda!

 

Simon!

Va tutto bene…!

 

…Johnny?

 

 

Spalancò gli occhi.

La testa gli girava come in una spirale, la vista era ancora sfocata.

Sentiva il suo respiro veloce entrare e uscire dalla bocca.

Doveva fermarsi. Doveva riprendere fiato.

Il cuore gli martellava forte nelle orecchie.

Doveva riguadagnare la coscienza di sé in qualche modo.

 

Tre cose che potesse annusare.

L’odore debole dello shampoo usato il giorno prima. Il dopobarba. Un leggero odore di sigarette.

 

Tre cose che potesse toccare.

I pantaloni della tuta. Il suo braccio. Il freddo bordo del lavandino.

 

Tre cose che potesse vedere.

Le sue mani aggrappate disperatamente al sanitario. Lo spazzolino in un bicchiere sul piccolo pensile lì vicino. Se stesso nel riflesso.

 

Inspira. Espira.

Ripeti.

 

Ghost chiuse gli occhi e si passò con forza le mani sulla sua faccia.

Aveva bisogno di staccarsi da quello specchio. Aveva bisogno di andare via di lì.

Cazzo…

Si passò una mano nei capelli mentre, traballante, si dirigeva in camera da letto.

L’ansia era ancora presente, ma si sentiva decisamente più cosciente di sé.

Vide il passamontagna a terra e si piegò per raccoglierlo.

Metterselo significava tornare ad essere Ghost, l’uomo che doveva essere. Una certezza per ottenere il pieno controllo del suo corpo.

Si passò la maschera intorno alla testa e prese un profondo respiro.

La sensazione - sbagliata - di tranquillità lo abbracciò facendolo sentire più al sicuro.

 

Si sedette sul letto prendendosi il viso, ora mascherato, tra le mani.

Fece altri respiri più lunghi cercando di tranquillizzarsi nell’ultimo momento dell’attacco di panico.

Alzò lo sguardo e osservò l’orologio. L’1:03.

Era passato solamente un quarto d’ora da quando era entrato in camera sua dopo aver lasciato Johnny ubriaco nella sua stanza.

La sensazione di impotenza lo assalì facendolo sudare freddo.

Era passato così poco e aveva vissuto il momento come se fossero state delle ore.

Non si ricordava cosa fosse successo, ma doveva aver avuto un momento di derealizzazione e dissociamento, qualcosa che oramai sperimentava da anni, alla quale però, non era abituato.

 

Come era riuscito a tornare in se questa volta?

La sua mente si sforzò per ricordare.

La memoria di una voce maschile, già sentita più volte, si fece strada dal suo inconscio.

“Johnny…- sospirò a bassa voce, gli occhi aperti stupiti- cazzo…”

Non sapeva se fosse un bene o un male.

Sapeva che del sergente oramai si poteva fidare abbastanza.

Non voleva che gli si avvicinasse, che si avvicinasse troppo a Ghost. Non voleva che una volta conosciuto meglio scappasse e soprattutto non voleva rischiare di metterlo in pericolo.

Dall’altra parte però un desiderio profondo nel suo cuore voleva che qualcuno provasse almeno ad aiutarlo, a salvarlo dall’idea di un vita vissuta solamente come Ghost e non anche come Simon, che in un modo o nell’altro viveva ancora nella sua mente.

Aveva paura che una buona anima come Johnny potesse cambiarlo, non sapere che cosa lo aspettava una volta avvicinato così tanto qualcuno.

 

Ghost si spostò sul letto per mettersi di spalle contro il muro, il cuscino dietro la schiena.

Si accartocciò su di sé chiudendo le gambe e accostandole al petto.

Nascose la testa tra le ginocchia e le mani strinsero forte i piedi.

Avrebbe aspettato fino a quando non si sarebbe addormentato, poi la giornata sarebbe cominciata con la sveglia e i preparativi per la missione che li attendeva.

Tutto sarebbe tornato ad essere esattamente come era sempre.

 

 

   
 
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