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Autore: Cryblue    29/07/2023    2 recensioni
"Per te le amiche sono amiche, le colleghe sono colleghe e gli uomini sono tutti inutili"
Martina vive tutta la sua vita con questa filosofia, soprattutto ora che questo nuovo lavoro l'ha strappata dal dolore di una difficile rottura. Per lei è un vero disastro quando una RESPONSABILE cessa di essere "solamente" tale e diventa ai suoi occhi una Donna. Si, con la D maiuscola.
Genere: Commedia, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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ch.1 – The unicorn and the wasp.
 
“Un caffè decaffeinato, in vetro ghiacciato, macchiato tiepido con latte di vacche tibetane munto durante la terza notte di luna piena da un bambino con gli occhi viola.”
Infili le tazzine nella lavastoviglie con un grugnito e giri su te stessa con tutta la velocità che le scarpe antinfortunistiche ti permettono: il volto soddisfatto e ghignante di Giorgia è ciò che trovi ad aspettarti.
Devi trattenerti dal non grugnire ancora, anche se sei felice sia lei e non un vero hipster.
“Cosa vuoi, rompipalle?” sei talmente abituata a vederla con la divisa gialla e blu che vederla in abiti borghesi ti fa strano, anche se le onnipresenti magliette di gruppi rock sono una divisa per lei, in un certo senso.
Il suo volto diventa subito triste. “Non essere cattiva con me.”
Alzi gli occhi al cielo, apri il forno e ne estrai una cinnamon roll calda “Sono talmente cattiva che li ho solo fatti solo per te.” In teoria dovrebbero essere per i veri rompipalle, quindi i clienti, ma in fin dei conti l’importante è che ci siano, non per chi tu li abbia fatti.
Il suo volto si apre in un sorriso e tu le porgi il dolce “Non ti bruciare che è caldo…”
“Va bene mamma.” Parla con la bocca piena e dondola da un piede all’altro, è talmente iperattiva che ti chiedi come riesca ad affrontare i suoi interminabili turni in cassa, in cui è chiusa in quella specie di tristissimo cunicolo, che ha il permesso di lasciare solo per aiutare un cliente alle casse automatiche.
Ti appoggi alla lavastoviglie e incroci le braccia al petto guardando il suo viso felice, Giorgia è sicuramente la persona con cui hai legato di più in questi primi tre mesi di lavoro, probabilmente perché siete state assunte contemporaneamente, anche se tu per il bar e lei per la cassa. O magari sei sempre stata particolarmente gentile e disponibile con lei a causa dei sensi di colpa che provi nei suoi confronti per esserti presa di gioco della sua mise il giorno del colloquio.
Guardi l’ora nell’orologio del forno e ti viene quasi da piangere perché mancano ancora quaranta minuti alla fine del tuo turno.
“Perché schifo sei già qui, Giò?”
Scrolla le spalle e manda giù metà roll “Come se tu non arrivassi tanto in anticipo quanto me.”
Ti fingi oltraggiata “Io? Non è per nulla vero.”
Arrivano dei clienti da servire, salvandoti dalla sua risposta, lei gira sui tacchi e ti fa ciao ciao con la mano, tu sorridi e ti concentri sui nuovi arrivati e sulla loro ordinazione che, sorpresa sorpresa, sono due caffè. Li servi e non te ne accorgi nemmeno, i tuoi movimenti sono diventati talmente automatici che potresti tranquillamente servirli nel sonno.
Mentre i due bevono e iniziano a chiacchierare, occupando il tuo minuscolo bancone, tu ti perdi a guardare il “negozio” che è diventato una seconda casa per te. All’inizio ti sembrava strano chiamare Ikea un posto del genere, abituata com’eri alle centinaia di metri quadri dei negozi canonici, trovarti in questo minuscolo negozietto era quasi paradossale, ma poi è stata proprio la dimensione ridotta del pick-up point a farti innamorare di lui, delle sue esposizioni di stanzette minuscole e straripanti, dei cestoni pieni di pupazzi e, odi ammetterlo, della piccola area bimbi colorata e in perenne disordine. Ma la cosa che ami di più, tu come tutti quelli che mettono piede al bar di questa mini Ikea, è l’enorme vetrata che si apre sullo stagno di Molentargius, oltre il quale si scorge un piccolo scorcio del Poetto e della tanto adorata sella del diavolo. Una visuale senza pari in tutta Cagliari e dintorni, impreziosita ulteriormente dalla presenza costante dei fenicotteri rosa, che hanno scelto la tua città come loro colonia da quasi dieci anni ormai, ma non mancano mai di affascinarti con la loro presenza così regale ed esotica, certo, se non rovinano tutto emettendo il loro verso grottesco e ridicolo.
Vale la pena fare il turno di apertura del bar solo per vedere il sole sorgere e la baia tingersi di un poetico rosa tenue, e pensare che il rosa nemmeno ti piace.
“Martina, posso farti una domanda?”
Fai un piccolo saltello e ti porti una mano al petto per lo spavento: Francesco, detto anche testa di lampadina, tanto per la forma del suo cranio, tanto perché non brilla particolarmente per acume, è apparso davanti al bancone praticamente dal nulla. Anche solo il fatto che sia al bar davanti a te e non in cassa, rischiando come minimo un richiamo formale, la dice lunga sul suo conto.
“Tua mamma maiala ho perso dieci anni di vita. Mi vuoi far morire?” diciamo pure che vivere tanti anni in toscana non ti ha aiutato a diventare una ragazza fine e posata.
Scrolla le spalle e sorride, alzi gli occhi al cielo e gli fai cenno di parlare.
“Fammi ‘sta domanda.”
Fa il giro del bancone e si avvicina all’ingresso del tuo regno, sta per aprire la porticina che separa il bar dal mondo esterno, ma il tuo sguardo assassino lo ferma sul posto, per sua fortuna, visto che rischiava di avere un braccio della macchina del caffè sbattuto violentemente contro la fronte, quello doppio e dalla parte dei beccucci.
Si china con fare cospiratorio e tu non puoi fare a meno di chinarti verso di lui, ti fa cenno di avvicinarti e tu obbedisci senza nemmeno volerlo.
“È vero che ti piacciono le ragazze?”
Scoppi a ridere e non capisci il motivo di tutto questo mistero: sei out and proud al lavoro come nella vita.
Mano a mano che ti avvicinavi ai 30 anni, perdevi sempre più la voglia di inventarti un nome maschile per la tua ragazza o di nascondere d’essere fidanzata con una donna: eri fin troppo fiera di Claudia e del vostro rapporto. Anche ora, che non c’è nessun rapporto da difendere, ti rifiuti di fare passi indietro. Ne hai passate così tante prima di poter ridere quando ti viene rivolta questa domanda, che non vuoi assolutamente smettere di farlo.
Vuoi poter guardare il tuo interlocutore negli occhi, a testa alta e senza paura.
Ammetti senza vergogna che un’azienda come l’Ikea rende le cose molto più facili da questo punto di vista, dato che invita a esprimere le proprie diversità, reputandole punti di forza. Non sei una perfetta idiota e sai che se tu lavorassi per un privato non sarebbe così semplice, anche se no, non ti nasconderesti comunque.
Non credi di aver nulla di cui vergognarti.
Inizi a riordinare il retro del bancone continuando a ridacchiare. “Si Francesco, sono gay.” Vedi con la coda dell’occhio che si è irrigidito e ti prepari a dover discutere con lui di qualcosa che non sono assolutamente affari suoi, ma d’altronde non è e non sarà né la prima né l’ultima volta che dovrai difendere te stessa e la tua vita da qualcuno incapace di pensare agli affari propri.
“Non si dice gay. Gay si dice per i ragazzi, per le ragazze si dice lesbica.” Come tutti, quando dice la parola lesbica abbassa la voce, come se fosse una sorta di insulto molto volgare.
In questo momento sei particolarmente felice che i coltelli siano a due metri e mezzo da te, al sicuro dentro un mobile e non a portata del tuo istinto assassino.
“Scusami?”
“Si, si. Per le ragazze omosessuali si dice lesbica.” Ha la faccia di uno che ti ha appena spiegato una cosa fondamentale per la tua sopravvivenza.
Scoppi a ridere, perché la situazione è così assurda che non sai cos’altro fare.
“Ok, grazie per avermelo detto, Francesco.”
Lui fa un piccolo inchino “Grazie a te per aver risposto sinceramente alla mia domanda.”
Lo guardi andare via e continui a sbattere gli occhi per l’incredulità, comunque non ti puoi dire offesa dal suo comportamento, alla fine è un bravo ragazzo e sei sicura il suo atteggiamento nei tuoi confronti non cambierà di una virgola, non che tra voi al bar e tra chi sta in cassa ci siano chissà quali rapporti: il vostro rapporto si limita ai saluti quando arrivate; fatta eccezione per te e Giorgia che vi chiamate dalle vostre postazioni tutte le volte che potete, anche solo per insultarvi, per tenervi sveglie o per avvertire l’altra che un dato cliente è un rompicoglioni indeciso o un caso umano. Ci sono giornate buone in cui la chiami per segnalarle la presenza di un bel ragazzo e lei chiama te in caso di ragazze interessanti. Purtroppo per voi, le due cose succedono molto, molto raramente.
Riordini il bar, lavi le arance di scorta per la spremuta, riempi la vetrina di donut e sistemi le tazzine pulite nel ripiano sopra la macchina del caffè, quando l’amato e odiato orologio del forno segna le 14:30 saltelli sul posto, corri alla tua cassa e vai alla schermata di fine turno, pronta a sloggare e sloggiare appena vedrai il tuo cambio all’orizzonte, cambio che, ovviamente, sarà rimproverato a dovere per il ritardo.
È una regola non scritta di chiunque abbia una cassa che si cerca di arrivare almeno tre minuti prima per poter dare il cambio a chi ci precede. Non farlo è molto scortese.
Quando vedi che tale cambio, ossia Valentina, sta arrivando con Leila e l’idea di rimproverarla sparisce in qualche parte imprecisata del tuo animo. In realtà sai perfettamente dove: nel terrore irrazionale che provi per la responsabile delle vendite dall’ormai lontano giorno del tuo colloquio. Non sai se sia il suo carattere forte o il suo malcelato odio per la stupidità e il genere umano, o il suo sfrontato disinteresse per quello che gli altri pensano di lei, sta di fatto che ogni volta che lei è nei paraggi, diventi una perfetta idiota e riesci appena a spiaccicare parola. Figurarsi dire qualcosa di sensato o acuto, mai nella vita proprio.
Evidentemente hai paura delle donne forti e sai relazionarti solo con le persone, le ragazze, più giovani di te.
“…quindi hanno il compito di matematica la settimana prossima?”
“Mercoledì.”
“Ecco, mi tocca metterlo nuovamente in punizione.”
“Ciao.” E infatti, tutti gli altri li saluti con insulti o battute di qualsiasi genere, come la buffona che sei, ma se c’è Leila diventi una patata lessa di proporzioni bibliche.
“Ciao Martinetti.” Valentina entra nel bar e ti da un bacio sulla guancia.
“Ciao Vale.”
“Ciao Pastorelli.” Leila è l’unica che ti chiama per cognome in tutto il negozio, in più sei l’unica alla quale non ha ancora affibbiato un soprannome. È possibile il tuo cognome sia usato in modo canzonatorio, ma ti tiene comunque sull’attenti.
“Leila.” Abbassi anche la testa quando la saluti.
Sei l’imperatrice delle patate lesse.
“Quindi mercoledì hanno matematica?”
“Si Vale. Devo mettertelo per iscritto, così mi credi?”
Leila e Valentina sono entrambe madri single e i loro figli condividono lo stesso banco in una seconda classe del liceo artistico, anche se il primogenito della barista è decisamente più indirizzato verso il calcio che verso gli studi.
Non è la prima volta che senti le due discutere di affari scolastici, discussioni che porteranno uno dei due ragazzi a ricevere punizioni inaspettate ma assolutamente meritatissime.
“È solo che non lo voglio punire.” C’è un momento di silenzio, poi si gira verso di te e ti colpisce su una spalla con la mano aperta. “Allora, te ne vai?”
“Veramente sei tu…” Ti spinge verso la cassa del bar, senza darti modo di dire altro e sinceramente non hai altro da dire, stacchi il tuo cassetto dei soldi e le dai le indicazioni di rito, tra cui quando scadono i prodotti della vetrina o dove hai messo i sacchetti di carta o il fatto ci siano le cinnamon in forno che attendono di essere posizionate nella briochera, dopo di che, saluti e vai via. Passando davanti alla cassa insulti Giorgia, ormai in postazione, corri a versare il denaro, togli l’orribile divisa grigia e blu, ma soprattutto la stramaledetta cuffietta, infili gli auricolari e vai alla fermata dell’autobus. Nella tua mente non ci sono più caffè, clienti o scontrini, tutto quello a cui riesci a pensare è il tuo letto, la tavoletta grafica e il computer che ti aspettano posati sul tuo comodino.
   
 
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