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Autore: Cryblue    28/07/2023    2 recensioni
"Per te le amiche sono amiche, le colleghe sono colleghe e gli uomini sono tutti inutili"
Martina vive tutta la sua vita con questa filosofia, soprattutto ora che questo nuovo lavoro l'ha strappata dal dolore di una difficile rottura. Per lei è un vero disastro quando una RESPONSABILE cessa di essere "solamente" tale e diventa ai suoi occhi una Donna. Si, con la D maiuscola.
Genere: Commedia, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prologo.
 
La porta si apre e una ragazza dal passo deciso si guarda attorno con testa alta e aria sicura, indossando un completo giacca-pantaloni sotto il quale sfoggia con orgoglio la maglietta di una rock band anni 70. Non avresti mai notato com’era vestita se non fosse stato per quella stranezza che, incredibilmente, ha un suo perché.
La guardi andare via decisa e sai che ha appena avuto il posto per il quale anche tu ti sei candidata, insomma c’è poco da fare, nonostante l’assurda maglietta, è assolutamente più carina e professionale di te.
Sistemi per la centesima volta la giacca di pelle e guardi la punta degli stivaletti, che hai lucidato mezza dozzina di volte, e speri di dare un’impressione buona almeno la metà della ragazza che ti precedeva.
Il cellulare ti vibra in tasca, non vuoi che il responsabile delle risorse umane ti trovi con il telefono in mano, ma non resisti e gli dai comunque un’occhiata veloce.
“Stendili, Pi.”
Non puoi trattenere un sorriso, sai perfettamente che Rossella sia nel mezzo di una lezione e che sta fingendo di ascoltare un suo studente che storpia l’inglese, mentre in realtà la sua attenzione è tutta per il messaggio di supporto che ha appena mandato a te.
Fai sparire il telefono in tasca e la porta si apre di nuovo.
“Martina Pastorelli?”
Ti alzi in piedi e cerchi di fare il respiro profondo più discreto che ti riesce, continuando a ripeterti che è solo un colloquio, che ne hai fatti a decine nella tua vita e che hai già lavorato per loro, con buoni risultati, quindi non dovrebbe essere una cosa difficile. Il che è vero solo in teoria, dato il bisogno che hai di ottenere questo lavoro, e non solo economicamente.
L’uomo tatuato sulla porta ti tende la mano e ti sorride.
“Ciao, io sono Alessandro, ma mi chiamano tutti Alex. Prego, entra pure.”
Entri nella minuscola e soffocante stanzetta nella quale non si respira per il caldo, e lui ti fa cenno di sedere su una sedia dall’altra parte della piccola scrivania, obbedisci e ne approfitti per osservare i suoi capelli grigi e i suoi occhiali da vista alla moda, avrà più o meno una cinquantina d’anni, ma sono solo i suoi capelli a dimostrarlo, i suoi occhi e il suo sorriso sembrano quelli di un ventenne.
Un ventenne furbetto.
Il suo forte accento romano non lo aiuta per nulla dal punto di vista della credibilità.
Ha davanti a sé il tuo curriculum vitae ma lo ignora completamente, tu studi i suoi movimenti mentre attendi con ansia la domanda che odi con ogni fibra del tuo corpo ma sai che ti verrà inevitabilmente posta.
“Allora, Martina, vedo che hai già lavorato per Ikea, nel nostro negozio di Firenze. Ganzo.” Forzi un sorriso nel tentativo di nascondere il disgusto per la sua imitazione dell’accento fiorentino. “Coraggio, parlami di te.”
Ed eccola qui, l’odiosa domanda o richiesta, che dir si voglia.
Nope, non sei per nulla brava a venderti e speri sempre come una perfetta idiota che il tuo curriculum parli per te.
Scruti il più velocemente possibile la sua figura e noti con immenso sollievo che porta un’adorabile spilla a forma di brugola appesa al laccetto porta badge: sarà una distrazione più che sufficiente per te. Mentre parlerai, lo guarderai il più possibile negli occhi come sai essere indispensabile in un colloquio di lavoro, o in confronto a due in generale, ma nel momento in cui il contatto visivo per te diventerà troppo, avrai quella meravigliosa scappatoia.
Infili la mano tra i capelli e forzi un altro sorriso.
“Si, ho lavorato al bar del negozio di Firenze cinque anni fa. Sfortunatamente l’apertura del negozio di Pisa ha causato un calo della clientela tale che noi stagionali non siamo stati rinnovati.”
“Meglio, almeno ora sei qui con noi. Daje Martì.”
Il tuo volto è molto espressivo, la poker face non rientra neanche lontanamente tra le tue caratteristiche o capacità, quindi fai battere i canini gli uni contro gli altri per nascondere l’enorme disagio che la persona che hai davanti ti sta facendo provare e apparire rilassata.
“Quindi poi hai lavorato per…”
“L’esselunga.”
“Si ok.” Sposta il curriculum come se non avesse nessun valore e la cosa ti infastidisce un pochino, insomma vai fiera di aver lavorato per grandi aziende e vorresti che a questa cosa venisse data l’importanza che merita.
“Come mai sei tornata a Cagliari?”
Il respiro ti muore nel petto.
“Problemi personali.”
È l’unica domanda per la quale hai preparato una risposta davanti allo specchio, ma riesci a malapena a bisbigliarlo mentre il tuo pensiero torna a Claudia, alla casa e alla vita che condividevate, prima che lei decidesse di volere quella vita, si, ma non con te.
La porta si apre di scatto, strappandoti dai tuoi pensieri. “Scusate, un cliente pretendeva capissimo che cassettiera volesse senza darci altre informazioni che il colore. Come se avessimo doni psichici”
La nuova venuta si mette a sedere accanto al tatuato e ti sorride, e se pensavi che lui avesse lo sguardo da furbetto, beh, ti sbagliavi di grosso.
“Ciao, io sono Leila.” Leila. Esattamente scritto così, all’italiana, o almeno così dice la targhetta che porta appesa al laccetto del badge.
“Lei è Martina, abbiamo appena iniziato, non hai perso nulla.”
Tutta l’agitazione che stavi provando sparisce davanti alla donna appena entrata perché, malgrado la ridicola polo gialla a strisce blu della divisa, è indiscutibilmente affascinante.
Non ha l’aspetto canonico della strafiga, o della MILF, visto che è palese abbia passato la quarantina, eppure non riesci a non provare uno strano imbarazzo sentendoti i suoi profondi occhi castani addosso. Giustifichi questa stranezza perché si chiama esattamente come uno dei personaggi che hai creato. Come coincidenza è abbastanza assurda in realtà: quante Leila mai ci saranno in Italia? È vero che la tua si chiama Layla, è scritto in modo diverso, ma è lo stesso identico nome.
“Daje Martì, dicci tutto.”
Strappi letteralmente via i tuoi occhi da lei e racconti loro dei tuoi 33 anni, dei tuoi studi alla scuola alberghiera, dei tuoi 10 anni lavorativi, cercando di essere più coincisa possibile e di enunciare solo i lati positivi di ogni singola esperienza, anche se a molti posti daresti fuoco se potessi.
I successivi, interminabili, minuti, sono riempiti dalla voce di Alex e dai suoi astrusi racconti su quello che ha visto di Firenze e dei vari negozi Ikea nei quali ha lavorato, ti spiega con troppe parole che stanno cercando qualcuno che lavori al bar, perché una delle ragazze che ci lavorano si è licenziata. Una qualsiasi persona adulta lo ascolterebbe attentamente, anche perché è da lui che dipende il tuo futuro, ma tu non sei una persona adulta, nonostante la tua età, e la tua attenzione passa senza pudore dalla spilla a forma di brugola, alla donna che lo guarda senza il minimo interesse, senza nascondere che essere li la sta annoiando a morte.
I vostri sguardi si incontrano una sola volta e si, non ha il fisico statuario, ha i capelli spettinati e la vita ha lasciato diversi segni sul suo volto, eppure distogli gli occhi e arrossisci come una scolaretta.
“Perché dovremmo assumerti?” L’ha interrotto a metà frase e questa volta cogli l’accento nella sua voce, non sai se milanese o torinese. Hai sempre fatto pena nel riconoscere gli accenti, a parte quello romano e napoletano, per ovvie ragioni.
Questa volta non sfuggi al suo sguardo, non cerchi un’ancora di salvezza.
“Perché sono una persona puntale, precisa e dedita al lavoro. La sera, quando torno a casa, devo essere certa di essermi guadagnata ogni centesimo del mio stipendio.”
Fa un breve cenno di assenso con la testa, Alex riprende subito il monopolio della conversazione e tu lo lasci parlare, sperando di non dover pronunciare più mezza parola. Venti minuti dopo sei fuori da quella tenera imitazione di un negozio Ikea, dal “pick up point”, come lo chiamano loro, con l’assoluta certezza che sarà la ragazza rock a preparare i loro caffè, non tu.
   
 
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