L’orologio
a muro posto sulla parete opposta alla mia scrivania segna le 18:45 di
mercoledì 24 aprile 2018.
Mi
trovo a
Zurigo, nel mio ufficio.
Ultimamente
c’è un forte maltempo e la primavera è
la più umida degli ultimi tre anni, con
piogge continue e intense che si interrompono giusto qualche ora al
giorno per
poi riprendere più forti di prima. Per me non fa differenza,
non avrei tempo
per uscire a godermi parchi e spazi aperti nemmeno se volessi.
Sono
ancora
a lavoro, in realtà dovrei aver finito già da
mezz'ora, ma dovevo finire di
calcolare degli interessi in maturazione su delle obbligazioni che un
cliente
ha affidato alla nostra Fiduciaria e non potevo rimandare.
Suona
il
telefono interno dell’ufficio. Vedo che si tratta della
postazione di Marko,
quindi alzo la cornetta. “Dimmi” sento che esita un
secondo, non so perché
questo ragazzo è sempre così timido quando ha a
che fare con me, però alla fine
trova il coraggio “Prima ho fatto fare uno swap al conto
degli Eichmann, così
che non dovessero pagare le commissioni intragiornaliere,
però ho visto che
anche se l’ho richiesto per le 16, in realtà gli
hanno addebitato ancora 28
franchi sul conto… non avevamo tempo per swappare entro le
17 senza costi
aggiuntivi?”
Non
mi
serve tempo per riflettere e rispondo “Sì, ma
scommetto che hai parlato con
quel cannaiolo di Spinetti, che sicuramente si sarà
dimenticato di farlo in
tempo e sperava che il suo errore passasse in sordina. Domani chiamalo
e fatti
stornare l’operazione e rimborsare l’importo a
spese della loro banca.”
“Sì…
è
vero… ho parlato con Spinetti… va bene, allora
faccio io?”
Oddio…
quanto deve durare ancora questa conversazione? Marko non avrebbe
dovuto
nemmeno chiamarmi, avrebbe dovuto tirare fuori gli attributi e
l’indomani
chiamare da solo la banca e farsi risarcire l’importo
sottratto ingiustamente.
Come può pensare di diventare un bravo gestore patrimoniale
se ad ogni
problemuccio mi si attacca alla sottana? “Sì,
pensaci tu domani. Buona serata,
vai pure a casa che è tardi.”
“Tu
non vai
a casa…?”
Alzo
gli
occhi al soffitto “No, devo ancora finire di registrare gli
ultimi costi di
gestione estranea sul conto economico della KilKian AG, siamo ancora
ben
lontani dal bilancio e gli avevamo promesso che lo avremmo finito entro
metà
giugno senza chiedere proroghe. Buona serata.” Stavolta
attacco, così da
evitarmi altre lagne sul fatto che sono cambiata, quando stavo con
Lukas ero
più socievole, perché non esco a prendere una
birra con tutti al Sieben dopo il
lavoro… Ma lasciatemi in pace!
Sento
una
vibrazione anomala provenire dal cassetto della mia scrivania, impiego
qualche
secondo prima di realizzare che si tratta del mio cellulare privato:
chi è che
mi cerca alle 19? È successo qualcosa? È un
numero privato che non riconosco,
non è salvato. Spero solo che non sia una di quelle dannate
compagnie di
assicurazioni sanitarie private che vogliono convincerti a cambiare
cassa
malati a tutti i costi…
“Pronto?”
“Erika!
Erika mi senti?!” le urla di mia nonna mi stordiscono e
d’istinto allontano il
cellulare dall’orecchio.
“Nonna,
non
urlare che ti sento! Dimmi, cosa c’è?”
“Sono
cinque settimane che non ti vedo! Come stai? Hai mangiato?”
Anche
se sono
truccata, i polpastrelli della mia mano destra vanno immediatamente a
massaggiare le mie palpebre chiuse “Nonna sono a lavoro, devi
dirmi qualcosa di
importante?”
“Sì!”
“…
e allora
parla! Cosa è successo?”
“Vieni
a
cena qui venerdì sera? Oggi è
martedì… tra due giorni è
giovedì…”
“Nonna,
oggi è mercoledì. Comunque no, non posso, ho da
fare” tra me e me penso che venerdì
dovrebbe parlare la BCE per alzare i tassi d’interesse e so
già che l’Euro quasi
sicuramente perderà valore e di conseguenza sarà
una giornata da dimenticare.
Continuo “Nonna ora ti lascio che devo andare, ti voglio
bene, buona serata.”
Dopo
qualche convenevole riesco a chiudere la chiamata, torno a concentrarmi
sul mio
lavoro e passano così almeno un altro paio d’ore.
Me ne rendo conto solo perché
perfino la mia luce da scrivania è diventata troppo flebile
e sono costretta ad
accendere quella centrale della stanza per vedere tutte le carte
disposte sulla
scrivania.
D’istinto
guardo il telefono: mi stupisco di non vedere nessuna notifica da parte
di
social network, nemmeno di messaggistica. Fino ad un anno fa sarebbe
stato
decisamente diverso. Avrei trovato notifiche ai commenti lasciati alle
foto su
Facebook e Instagram, le chat di almeno cinque amiche e amici diversi
su
WhatsApp, e sicuramente almeno un messaggio sarebbe appartenuto a lui.
Ma
chiaramente non è più così. Cerco di
tornare a concentrarmi sulle obbligazioni
ma no, il pensiero torna sempre a Lukas. Lukas con cui avevo fatto
tanti
viaggi, che quasi ogni giorno tornava a casa con un pensierino per me,
un
cioccolatino, un cartoncino di latte all’ovomaltina, una rosa
rossa, una
confezione di caramelle aspre che io adoro… entrava in casa,
quasi sempre io mi
trovavo in cucina per preparare la cena e lui mi abbracciava da dietro
e poi mi
sventolava davanti il premio della giornata, con un’unica
giustificazione “ho
pensato a te…”.
Adesso
nessuno pensa a me.
Mentre lo realizzo, sento che l’aria sembra diventare pesante
da respirare,
avverto una sensazione di peso sul petto. Meglio andare a casa,
struccarsi,
farsi una bella doccia e poi a letto! Guardo l’orario per
l’ultima volta, sono
le 20:53. Arriverò a casa per le 21:20 circa… che
importa? Nessuno mi sta
aspettando lì. Sbuffo per la monotonia di questi
pensieri intrusivi sul
depresso andante che mi fanno compagnia da diversi mesi.
Prendo
le
chiavi del mio Carrera, borsa e cellulare e mi dirigo al parcheggio
sotterraneo. Le luci si accendono in automatico, questo vuol dire che
è oltre
mezz'ora che nessuno varca le soglie del parcheggio, che infatti
è quasi
completamente vuoto, ad eccezione dell’auto di Mikaela che
è lì da tre
settimane: deve aver avuto un guasto o che so io, non le ho chiesto mai
cosa
fosse successo, non mi interessa.
Salgo
in
auto, parto, apro la sbarra d’uscita con il mio pass e mi
immetto sulle corsie
lente della città di Zurigo. La pioggia comincia a bagnarmi
il parabrezza e
attivo le spazzole, che fanno un rumore un po’ strascicato.
Dovrei andare a
farle cambiare, non puliscono più bene… che palle
quest’auto, è sempre dal meccanico.
Qui
è tutto
20-30 km/h, uno strazio. Non so nemmeno perché ho acquistato
quest’auto… sì, in
realtà lo so. Durante la specialistica in Finanza e
Contabilità frequentavo
sempre un sacco di persone facoltose, tutti cercavano di ingraziarseli
perché
avrebbe fatto la differenza tra un’ottima posizione
lavorativa e non. Avevano
tutti bei completi in tinta unita da almeno 2'000 chf (1800€
nel 2018), camicie
bianche, gemelli d’oro o di platino, auto costose, ville
maestose… io avevo una
Clio del 2007 tutta scassata. Quanti viaggi avevamo fatto io e Lukas
sulla
Clio, invece adesso mi ritrovo al volante di un’auto da 600
cavalli il cui
rombo a volte è assordante e che in realtà non mi
piace affatto, ma che segnala
chiaramente il mio status quando entro in un parcheggio e mi chiedono
le chiavi
per alloggiarla. Grigio metallizzato poi, che non mi piace nemmeno.
Però mi
aveva permesso di essere notata da quei banchieri e fiduciari
commercialisti la
cui residenza era a Dubai per pagare meno tasse in Svizzera e che mi
avevano
portata ad ottenere un posto di rilievo nella fiduciaria per cui
lavoro,
che mi garantiva uno stipendio mensile a quattro zeri.
Non
come
quello di Carmen, la mia compagna di corso con cui ho legato tantissimo
per i
primi due anni. Lei si ostinava a restare integra nelle proprie
posizioni,
caparbia ad ottenere il massimo senza bisogno di chiedere un aiutino a
nessuno.
Ricordo di essermi sentita giudicata quando incrociai il suo sguardo
dietro
alla vetrina del ristorante Schmetterling, dove mi vide a pranzo con il
direttore della Kantonalbank di cui mi aveva sempre parlato con
disprezzo e che
in fondo anche io malgiudicavo, ma che dovevo tenermi buono se volevo
un
lavoretto presso la sua filiale e accaparrarmi i diritti su quel
pacchetto
obbligazionario che concedeva il 5% di interessi. Lei era convinta che
avrebbe
potuto anche regalarle col 50%, a lei non interessava: non avrebbe mai
fatto
affari con uno che tradiva la moglie, aveva allontanato il figlio
omosessuale e
da giovane era stato condannato (senza dover fare galera, aveva pagato
denaro
sonante) per riciclaggio di denaro con la criminalità
organizzata. A me invece
non importava e facevo buon viso a cattivo gioco.
Tempo
dopo ne
parlammo e lei mi disse chiaramente che stavo sbagliando e che certa
gente ti
inquina l’anima, più la frequenti e più
la tua morale si corrompe, non hanno
etica e venderebbero anche la madre se solo il prezzo offerto fosse
più elevato
dell’eventuale eredità che la stessa potrebbe
fornirgli alla sua morte.
Le
dissi
che così non sarebbe finita da nessuna parte, tanto studio e
tanta fatica per
poi andare a fare la contabile in quale studio commercialista di terza
categoria per guadagnare uno stipendio di merda che a malapena ti
avrebbe
consentito di pagare l’affitto e la cassa malati, figurarsi
comprare una casa!
Lei scosse la testa delusa e se ne andò.
Sono passati due anni da allora, ma ancora mi mancano la sua voce, le sue
battute, il suo
sorriso quando raggiungevamo un altro livello della specialistica e
andavamo
fuori a cena all’italiano. Così come mi manca
terribilmente la voce di Lukas…
La
sensazione di oppressione sul petto è diventata
più forte. Non vedo l’ora di
uscire da questa dannata città per andare in periferia, dove
ho acquistato una
villetta in una bella zona residenziale con i giardini curati e un bel
vicinato. Questi continui semafori e divieti stanno peggiorando la
situazione,
per fortuna tra poco potró andare a 70 l’ora e
l’attenzione per la guida
mi distrarrà dalla mia coscienza.
Un
ultimo
semaforo rosso prima della strada cantonale… allungo la mano
verso la borsa per
prendere il lorazepam. Sento che di quel passo l’attacco di
panico sarebbe
arrivato molto presto, tanto ormai sono quasi a casa, fa niente se
prendo una
compressa sublinguale ora, non mi verrà sonno
finché non sarò entrata nel
vialetto.
Nel
mentre
che mi allungo verso la borsa vedo che la luce riflessa sul parabrezza
è
diventata verde, dallo specchietto retrovisore noto che dietro di me
c’è uno
col Maserati rosso che comincia a sgasare per indicarmi che devo
partire… che
stress, metto il piede sull’acceleratore e continuo ad
allungarmi verso la
borsa. Non sono abbastanza veloce evidentemente, perché il
tizio in Maserati
comincia a sfanalare per dirmi di andare più veloce o farmi
da parte per farlo
passare. Accelero, che diamine, non mi rompere le balle!
Ho
bisogno
del lorazepam quanto prima. Faccio una curva troppo zelante, la borsa
scivola
dal sedile del passeggero e cade sul tappetino di fronte, cazzo! Ok,
adesso
davanti a me c’è un rettilineo, è
questione di un attimo, devo essere veloce,
prendere la borsa, il farmaco e tirarmi su, ho qualche secondo di tempo
anche
se sono stanca e ogni volta che mi abbasso e comprimo il busto mi sento
molto
peggio. Decido di agire, mi abbasso, allungo il braccio destro e per
istinto
distendo anche le gambe nel tentativo di afferrare la borsa, non mi
rendo conto
che così facendo ho schiacciato l’acceleratore.
Riesco
a
sentire l’impatto.
Tutto
diventa buio.
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Questa
storia è ispirata ad un sogno che feci nel 2019.
In
seguito ad un incubo, invece di svegliarmi, capitai in un altro sogno e
da lì
cominciò una vera e propria trama che qui ho romanzato, a
cui ho ripensato per
molti anni. La mia fantasia non è molto sviluppata, quindi
una storia così elaborata
mi impressionò dato che fu come vivere il sogno di qualcun
altro.
Spero
che il primo capitolo (breve dato che si tratta del prologo) abbia attirato la vostra attenzione e vogliate
scusare
eventuali errori di forma, scrivo sempre sotto ispirazione ed
effettivamente è la
prima volta che mi cimento in un testo scritto in tempo presente e in
prima
persona. Il mio personaggio non è simpatico e non intende
esserlo, perché parla
di un cammino di introspezione e riscatto, ed evolverà man
mano che la trama
procede.
Ancora
non ho finito di scrivere tutta la storia, ma sono già oltre
la metà (è una long)
e, quando comincio un lavoro, è mia priorità
portarlo a conclusione. Per darmi
più tempo per elaborazioni, modifiche dell’ultimo
secondo e simili, ho deciso
che pubblicherò settimanalmente, di sabato (qualora facessi
avessi troppi impegni,
sarà mia premura aggiornare la domenica o il
lunedì successivi). Eventuali
cambiamenti saranno notificati a fine capitolo.
Spero
che apprezziate questa avventura come l’ho gradita io, ditemi
cosa ne pensate
in caso abbiate idee, notiate errori o difetti, non fatevi problemi a
dirmelo.
Buon
viaggio!