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Autore: Neamh Moonstar    31/07/2023    4 recensioni
[SPOILER SECONDA STAGIONE / Allarme Hurt No Confort, siete statə avvertitə]
C'era un'ombra su quel bel viso, ma Crowley la ignorò. Gli voltò le spalle, sbatté la portiera della macchina, e fece per andarsene via da lì per sempre.
Non sapeva dove fosse diretto. Non sapeva nemmeno più cosa stesse provando: si sentiva vuoto, abbandonato, deluso, triste, arrabbiato, incredulo... Il tutto si mescolava nel suo inutile stomaco, creando un qualcosa che non avrebbe saputo definire né combattere.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Crowley, Metatron
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Diede un veloce sguardo all'ascensore e sentì il suo cuore rompersi ulteriormente.

Era un quadrato squarcio bianco uscito fuori dal nulla e che contrastava dolorosamente con l'ambiente circostante peggio di una macchia su un lenzuolo. Splendeva così tanto da fargli male agli occhi, nonostante si fosse calato per bene gli occhiali sul viso.

Principalmente, lo aveva fatto per nascondere le lacrime. Aveva finalmente tirato fuori i suoi sentimenti solo per vederli cadere in frantumi sul parquet della libreria. Aveva finalmente baciato Aziraphale solo perché lo abbandonasse.

Ora l'angelo se ne stava lì, in quello stesso ascensore, e sorrideva. Lo stava lasciando solo e sorrideva. Gli aveva spezzato il cuore e sorrideva. Gli aveva proposto un'assurdità e sorrideva.

C'era un'ombra su quel bel viso, ma Crowley la ignorò. Gli voltò le spalle, sbatté la portiera della macchina, e fece per andarsene via da lì per sempre.

Non sapeva dove fosse diretto. Non sapeva nemmeno più cosa stesse provando: si sentiva vuoto, abbandonato, deluso, triste, arrabbiato, incredulo... Il tutto si mescolava nel suo inutile stomaco, creando un qualcosa che non avrebbe saputo definire né combattere.

Forse aveva sbagliato lui. Forse avrebbe dovuto evitare quello slancio di emozioni... Forse avrebbe semplicemente dovuto parlarne. Già, parlare. Il loro vero problema era che lanciavano tante parole al vento ma non parlavano mai; non si dicevano mai ciò che avrebbero dovuto: tutto vero. Le umane ci avevano visto lungo e lo avevano fatto spaventosamente in fretta.

Il primo passo per risolvere il problema aveva fatto crollare tutto ciò che avevano costruito. Ma avevano davvero costruito qualcosa? O avevano semplicemente lasciato le cose com'erano, sperando di crescerci dentro?

Magari, a cadere non era stata la loro nuova realtà, ma i rimasugli di quella vecchia.


Poco importava. Aveva già il piede sull'acceleratore e non lo avrebbe staccato per nulla al mondo. Ormai aveva chiuso la porta e stavolta non l'avrebbe riaperta nemmeno dopo mille danze delle scuse.

Peccato che non ebbe nemmeno il tempo di premerlo davvero.


Sapeva che avrebbe sentito Aziraphale allontanarsi. Sapeva che avrebbe iniziato a percepirlo come un suono distante, un costante promemoria di ciò che era accaduto. Sapeva che la cosa lo avrebbe torturato per chissà quanto: la sensazione che prima usava come bussola per raggiungere il suo angelo si sarebbe tramutata nell'allarme che gli diceva di evitarlo.

Ma quella che sentì non fu una semplice separazione. Quella che sentì fu una rottura.


Si aggrappò al volante come se ne andasse della sua esistenza. Sentì un groppo in gola e l'aura strapparsi in due con un colpo secco. Non fece male fisico, ma interiore; fu come se una trivella avesse iniziato a farsi strada tra le pieghe del suo essere. Udì un sordo colpo di frusta che gli mozzò il respiro, poi un vuoto terribile frapporsi tra lui e quella che una volta era la luminosa presenza del suo angelo.

Era successo qualcosa.


Mandò - in tutti i sensi - al diavolo la loro ultima conversazione. Avrebbe dovuto capire che qualcosa non andava nel momento esatto in cui Metatron era entrato in libreria con fare quasi amichevole. Nessun angelo del Paradiso si sarebbe mai rivolto ad Aziraphale in quel modo dopo gli eventi degli ultimi tempi; di certo non lo avrebbe invitato a fare due chiacchiere e di certo non gli avrebbe offerto un caffè.

Metatron poi era un pezzo grosso, nientemeno che la voce di Dio. Se c'era qualcuno che avrebbe dovuto avercela a morte con l'angelo che aveva fermato l'apocalisse, quello era lui.


Ma Metatron non era arrabbiato. Quando Crowley lo rivide, se ne stava ancora dritto e composto nell'ascensore - la quale non si era mossa di un millimetro - e sorrideva. Sorrideva come Aziraphale gli aveva sorriso: con un'ombra impercettibile eppure pesante sul viso.

L'angelo non ti sorriderebbe mai in quel modo.

Ora però era sparito, lasciando Metatron da solo nel suo luminoso quadrato bianco, mani dietro la schiena, sguardo placido ben puntato sul demone.

    Crowley sentì il terrore stringergli la gola. Si guardò attorno, smarrito e confuso. «Dov'è?» Chiese solo, tremante. Attorno a lui, Soho continuava a vivere come nulla fosse.

    L'altro non cambiò nemmeno espressione. «Perché vuoi saperlo? Hai volutamente deciso di non seguirlo.»

Era un gioco, uno scherzo, uno schifosissimo inganno. Il rosso lo sapeva, così come sapeva che Aziraphale era appena sparito non solo dalla sua esistenza, ma dall'esistenza in generale. Più lo cercava, più vuoto trovava al suo posto. Più lo chiamava, più lo raggiungeva il silenzio.

    Scosse la testa, i pugni chiusi. «No, brutto bastardo. Hai fatto qualcosa, lo so.»

    Metatron parve sorpreso da quell'affermazione, ma era una sorpresa plastica, finta e coronata da una luce di soddisfazione. «Oh, no, ti sbagli. Gli ho solo offerto un caffè e fatto una proposta. Non ho alzato un dito su di lui.»

Gli ho solo offerto un caffè.

Quelle parole rimbombarono come un'eco. Effettivamente, era stato un gesto strano... Innocente, ma strano.

Gli angeli non mangiavano e non bevevano, tranne Aziraphale. Come e quando Metatron avesse avuto l'occasione di provare il caffè, Crowley non lo sapeva. Magari lo aveva fatto davvero, ma perché offrirlo ad Aziraphale in quel modo? Poco prima di andare a parlargli, poi.

    Forse era una constatazione stupida, ma doveva sapere. Diede una sola occhiata alla caffetteria di Nina, poi, con il cuore a mille, chiese: «Cosa c'era...?»

    «Dove? Di che parli?»

    «Cosa c'era nel caffè, brutto idiota!»

Sentì una scarica elettrica percorregli le braccia, una nube gli appannò le lenti scure. Da dietro la leggera cortina di fumo apparve il volto imperturbato del braccio destro di Dio.

    «Oh, beh,» rispose questi, facendo finta di pensarci. «Latte d'avena con giusto un pochino di sciroppo di mandorle. Tutto qui.»

Lo disse come fosse la lista della spesa. Lo disse come se non fosse stato quello a provocare tutte quelle sensazioni, quel senso di sbagliato e vuoto.

    Crowley non gliel'avrebbe data vinta, non così. «'Tutto qui'?» Ringhiò. «A chi vuoi darla a bere?»

A rispondere fu il silenzio ora innaturale che riempiva il quartiere. Il demone poteva quasi sentire la rabbia ronzare e ribollire sia fuori che dentro di lui, gorgogliando come la lava di un vulcano pronto ad esplodere. 

    Alla fine, Metatron sospirò. «Ascolta, Crowley; avete creato fin troppi problemi. Separarvi era la cosa giusta da fare. Avreste potuto rimanere insieme, ma tu hai deciso di restare qui. Ho rispettato la tua scelta.»

Avrebbe potuto sviare quanto voleva, ma ormai il demone non ci vedeva più. Non gliene fregava niente di chi avesse davanti, o di cosa avessero fatto o detto lui e Aziraphale in precedenza. Aveva solo un terrore smisurato del buco nero che ora sembrava aver preso il posto del suo angelo nel tessuto dell' universo.

    «Rispondi alla cazzo di domanda. Dov'è Aziraphale?»

Urlò così tanto da farsi male. Fissò Metatron così intensamente che avrebbe potuto incenerirlo, ma doveva sapere.

    Questi fece un cenno verso la caffetteria. «Quando sono entrato, ho chiesto alla proprietaria se qualcuno le avesse mai chiesto la morte. Sai, per dare un nome del genere al proprio esercizio, ho pensato avesse avuto qualche incontro bizzarro» spiegò. «Quando ho scoperto che non le era mai successo, ho deciso di rimediare. Ho chiesto la morte, solo in modo che non potesse spaventarla.»


La morte.

Metatron aveva chiesto la morte, e l'aveva chiesta sottoforma di caffè, latte d'avena e giusto un pochino di sciroppo di mandorle.

Peccato che la bevanda non fosse per lui, e peccato che non l'avesse chiesta semplicemente a causa dell'inusuale nome della caffetteria.


Tutta l'ira che Crowley aveva provato si sciolse improvvisamente in una metaforica pozza sull'asfalto, lasciandolo debole e ansimante.

Allora era vero... Non solo era successa la cosa peggiore immaginabile, ma lui l'aveva fatta succedere con una tranquillità devastante.

Scosse la testa, incredulo.

Si erano baciati. Lo aveva baciato, per amor di qualcuno; aveva toccato quelle stesse labbra avvelenate, perché lui era ancora lì e Aziraphale era sparito in un batter di ciglia?

Perché era stato il suo angelo a beccarsi la punizione quando era ovvio che non se la meritava? Era troppo buono, troppo ingenuo... E Crowley lo amava troppo per vederlo andare via.

Anzi, non lo aveva nemmeno visto. Era scomparso con la consapevolezza di essere stato abbandonato dall'essere che più amava nell'universo.


La voragine si espanse, oltre che al posto dell'angelo, in lui. Fu come essere mangiati dall'interno da un dolore vorace e inarrestabile che gli fece tremare le gambe, portandolo a terra.

Avrebbe voluto inveire. Avrebbe voluto maledire tutto e tutti: il Paradiso, l'Inferno, quello stronzo di Metatron, Soho, Londra, il mondo, Dio...

Ma dalla sua gola uscì solo un rantolo, seguito da un singhiozzo, seguito dalle lacrime.

Si ripiegò su sé stesso, fronte a terra, incapace di volgere il volto altrove. Il pianto gli tolse il respiro e la voce.

L'amore della sua vita non c'era più ed era tutta colpa sua. Al posto di quella luce c'era ora il nero di una morte soddisfatta del suo operato.


E fu così che Crowley rimase da solo, avvolto nel silenzio, per un tempo indefinito. Ogni tanto la disperazione lo faceva urlare, propagando i suoi lamenti per le strade. Nessuno lo sentì mai e nessuno venne a consolarlo.


Persino Metatron se ne andò, sapendo di aver lasciato a terra un essere che né sopra né sotto avrebbero voluto. Un essere ora straziato ed abbandonato. Solo contro l'universo intero.

E non appena l'ascensore salì verso il punto più alto del Paradiso, riportandolo ad un quartier generale da ricostruire, i cieli di Londra si riempirono di fulmini.


   
 
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