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Autore: BabaYagaIsBack    03/08/2023    0 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Levi aveva assistito alla conversazione tra Noah e Alexandria a distanza di sicurezza, restando sdraiato su una porzione di tetto adiacente alla finestra di camera propria, quella che un tempo aveva condiviso con Hamza. Era rimasto immobile al sole, crogiolandosi nel suo tepore, ma non aveva potuto evitare di sentirsi sopraffare da un brivido quando, con la coda dell'occhio, aveva visto prima il viso della sorella avvicinarsi pericolosamente a quello del Re, poi, lui non fermarsi e poggiare le proprie labbra sulla guancia di lei. Il senso di fastidio e gelosia che aveva provato al loro arrivo lì, quando li aveva visti vicini nel corridoio, era rimontato in lui come un geyser, facendogli stringere i pugni e fuggire dal lato opposto della veranda.
Era saltato giù con la sua consueta agilità e aveva finito con l'incamminarsi verso il mare, a ridosso del limitare della proprietà, armato solo di un libro che aveva rubato dagli scaffali di Colette.
Camminava svelto, imperterrito, pronto a mettere quanto più spazio possibile tra sé e quella scena - perché odiava essere solo uno spettatore, detestava l'idea che qualcuno potesse essere al suo posto. Ma non poteva ammetterlo. Non poteva ribellarsi. Lo aveva giurato quella notte pur di ottenere qualcosa di più importante e mai si sarebbe permesso di infrangere la propria promessa.
Involontariamente strinse la presa sul libro. La ruvidezza della copertina gli infastidì i polpastrelli. Se fosse stato suo lo avrebbe lanciato a terra, ma si trattenne. Doveva riprendere il controllo di sé, mettere a tacere ogni sorta di sentimento inappropriato e fingere di non aver visto nulla per l'ennesima volta.

Levi prese un grosso respiro e nell'alzare gli occhi al cielo vide le fronte dei lecci che segnavano la fine del loro giardino; poco più avanti, il muretto che Colette aveva detto di aver fatto costruire per questioni burocratiche. Un senso di illusoria tranquillità lo accolse e lui non si fece remore a sedersi sulle radici di uno di quegli alberi. Si beò del rumore del vento tra le foglie, della salsedine che, persino da qualche chilometro di distanza, arrivava sin lì. Chiuse le palpebre e appoggiò la testa al tronco provando a rallentare il battito.

Uno, due, tre, quattro, cinque.
Uno, due, tre, quattro. Cinque.
Uno, due, tre. Quattro. Cinque.
Uno, due. Tre. Quattro. Cinque.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque.

Rimase immobile per un tempo che non riuscì a calcolare e nel mentre,  con una certa timidezza, qualche pensiero tornò a fargli visita.
Quanto gli era mancato quel posto, ammise. Quanto gli era mancato il sollievo procurato dalla consapevolezza di dove fossero e come stessero i suoi fratelli, aggiunse. E quanto gli era mancata la certezza che Salomone fosse a un passo da lui. Per troppo tempo aveva creduto che sensazioni di quel tipo non sarebbero più tornate, eppure da quando aveva trovato Alexandria, poi Zenas e infine Noah, la nostalgia si era dissolta. Quasi faticava a crederci. Se solo un paio di anni prima, chiunque, gli avesse detto che sarebbe tornato tra le braccia della sua famiglia avrebbe generato in lui fastidiosa ilarità. Più ci pensava, più il disagio si faceva flebile e un senso di tranquillità andava aumentando. Levi si fece cullare da ognuno di quelle parole e pensieri, forse si appisolò leggermente, ma alla fine, come Caronte dalla sua barca, una voce lo riportò alla realtà.

«Ehi.»

Nakhaš schiuse appena una delle palpebre, sbirciando da sotto le ciglia chi lo avesse seguito sin lì. Come invocato dai suoi pensieri, la Chimera trovò l'Hagufah che lo fissava diverse spanne più in alto. Le guance rosse e il fiato grosso per la corsa - o forse per quello che era successo con Alex, lo pizzicò malignamente il subconscio. Involontariamente una stretta gli afferrò lo stomaco, ma provò subito ad allontanare dalla mente quell'idea. No, il suo aspetto era solo frutto dello sforzo fisico, si convinse.

«Ho una teoria» sputò Noah continuando a fissarlo.
Levi sorrise: «Riguardo a cosa?»
Il ragazzo alzò un braccio, in mano un paio di diari che lui stesso gli aveva dato. Uno era quello riguardante il Vitriol, l'altro faticò a riconoscerlo, ma di certo doveva contenere qualche argomento altrettanto importante. «Io sono la fonte, la pietra filosofale. Da me ha origine la forza per poter mutare il mondo, giusto? È per questo che l'Ars di Salomone era così potente.»

Nakhaš si stiracchiò le braccia, abbandonando definitivamente il torpore dell'abbiocco.
«Sembra quasi la descrizione di come nasce un Jedi, sai? Però sì, hai quasi capito.» Gli occhi di Noah si fecero grandi di gioia, la soddisfazione ridisegnò l'espressione che aveva in viso. Levi lo invitò a sedersi di fronte a sé: «L'alchimia è una forma di magia che si sviluppa nel corpo di alcuni soggetti, ma tu non sei la pietra filosofale... o meglio, lo siete tutti una volta che siete vivi e umani» spiegò cercando di farla sembrare una nozione semplice, in modo da non deludere le sue aspettative. Voleva aiutare il nuovo Hagufah più di chiunque altro, voleva fornirgli tutto ciò che fosse stato necessario per farlo tornare il Re a cui aveva giurato fedeltà, il fratello con cui aveva condiviso ogni cosa, la persona per cui avrebbe ancora rinunciato a tutto.
Con pazienza attese che Noah si fosse messo comodo, poi gli fece una domanda: «A che punto sei con le letture che ti ho dato?» Nei giorni precedenti lo aveva visto studiare senza sosta, ma non era riuscito realmente a tenere il conto di quanto, del materiale che gli aveva fornito, fosse riuscito a leggere.
«Ammetto che l'ebraico non è stato d'aiuto, ma ho quasi finito. Mi manca qualche lettera.»  

Nakhaš non riuscì a trattenere il sorriso. In meno di un mese era stato capace di fare ciò che, il sé del passato, aveva quasi impiegato anni a redigere.
«E..?»
Noah si umettò le labbra, riflettendo su cosa o come dirlo: «E fa paura, in parte,» ammise dopo qualche secondo, abbassando lo sguardo sulle proprie dita appoggiate ai diari: «alcuni concetti mi risultano così confusi e strani, ma è anche tutto così dannatamente affascinante... io...» scosse la testa, forse stupendosi di se stesso. «Non riesco a fingere di non volerne sapere di più.» Negli occhi grigi dell'Hagufah si mosse qualcosa, un lampo febbrile che mozzò il fiato di Levi. Il nome del Re gli sfiorò le punte della lingua, fu sul punto di pronunciarlo, ma si morse una guancia per non commettere quell'errore. Di fronte a lui non c'era Salomone, non ancora - ma si stavano avvicinando sempre più.

Con una mano si smosse la chioma scura, un mero tentativo di nascondere la propria gioia: «Cosa ti spaventa?» domandò retoricamente, conoscendo già la risposta che sarebbe sopraggiunta. In qualsiasi vita che avevano vissuto, le paure del suo migliore amico erano rimaste le stesse. Alle volte le taceva, altre le sussurrava. Poteva cambiare la forma in cui le confessava, ma restavano loro - e se Noah aveva letto ogni singola pagina di quei diari e lettere, se davvero nella sua mente si erano impresse formule e simboli, ciò che poteva spaventarlo era solo il mĕẖiyr (prezzo) imposto dall'eresia che avrebbe compito.

L'Hagufah si concesse qualche istante, si guardò alle spalle in direzione della casa, come se da quella distanza qualcuno potesse udire i suoi timori, ma alla fine parlò: «Ci vuole sangue, sempre, anche per la trasmutazione più piccola. Questo vuole dire che l'Ars è mossa dalla violenza.»
Già, persino Salomone, che di quella magia era diventato il più grande esponete, sapeva che sinonimo di sangue era la vita, quindi, l'Alchimia aveva un'essenza macabra e violenta.
Nakhaš sospirò.
«La quantità varia in base a cosa vuoi fare.»  Gli confermò, schiarendosi la gola. «Se parliamo di trasmutazioni semplici basta una goccia, qualche centilitro al massimo, se invece vuoi compiere questo» con una mano s'indicò da capo a piedi, soffermandosi appena in prossimità del sigillo: «ti serve tutto il sangue di un corpo e non solo. Litri, per essere precisi.»
Innanzi a quella confessione, Noah non parve vacillare. Doveva già esserci arrivato da solo, oppure la natura curiosa del Re stava avendo la meglio sulla sua coscienza.
Vide i suoi denti affondare nel labbro inferiore, lo sguardo assentarsi per qualche breve momento, poi ritornare sul presente con più vita. 

«Come ho pagato il debito per la tua anima, Levi?»

Senza alcun preavviso una morsa strinse il cuore millenario della Chimera. Il battito rallentò a tal punto che pensò si stesse fermando, come durante la mutazione. Nakhaš non seppe spiegarsi il motivo di una simile reazione. Sapeva bene che Noah aveva dimenticato tutto, che quel poco che sapeva era frutto delle allucinazioni che lo avevano perseguitato da bambino, ma la cosa lo rattristò comunque, perché lui non sarebbe mai riuscito a scordare la propria rinascita. Ogni dettaglio di quella notte era marchiato a fuoco nella sua memoria e nonostante i rituali gli avessero rubato altri momenti di quella seconda vita, il suo hite'orerutt (risveglio) era rimasto lì insieme al dolore, al pavimento viscoso su cui era caduto, al sangue che gli era finito in bocca, tra le dita, sul petto, i vestiti e i gioielli. Ricordava ancora, come se li avesse rivisti poche ore prima, gli occhi vuoti di Tamar e Yael, le loro gole sgozzate. E ricordava Salomone in mezzo a quel macello. Il suo sguardo sconvolto, il petto e la bellissima tunica da lutto sporcati dello stesso rosso che ricopriva ogni cosa. Riusciva ancora a tenere il ritmo del tremore del suo corpo e vedere sul suo viso le lacrime che lo avevano solcato portandosi via il sangue rappreso. 

Lui invece non aveva più nulla di quella sera con sé. E lo invidiava.

Levi si grattò una guancia, sfiorando la cicatrice sullo zigomo, ma infine rispose: «Con la vita della donna di cui ti eri invaghito, un'altra serva e il tuo pitone più bello. Ti tagliasti il palmo e versasti su di me nove gocce. Il numero della permanenza, del ciclo che riparte.» Tagliò corto per evitare che i pensieri tornassero in quella stanza a Israele.
Per quanto Nakhaš fosse avvezzo alla morte, agli omicidi, alla guerra e a tutto ciò che di brutto c'era al mondo, il prezzo che Salomone aveva dovuto pagare per riaverlo con sé di tanto in tanto ancora lo tormentava. Tamar e Yael infondo erano innocenti, l'una più dell'altra - e lui le aveva uccise entrambe pur non muovendo un muscolo. Non era stato come per i suoi fratelli, dove i loro aguzzini erano spesso diventati il sacrificio per riaverli indietro. Lui era altro, diverso, maledetto.

«Due vite per una...» sussurrò Noah, allontanando le mani dai diari e poggiandole lungo i fianchi per cambiare postura: «è così alto il limite da superare?» 
Levi abbozzò un sorriso. Cosa avrebbe dovuto rispondergli? Erano entrambi colpevoli di crimini efferati, di azioni sconsiderate ed estreme.
«No, non sempre.» Sibilò: «Io ero il primo, il solo. Con me hai osato fino all'estremo, hai... agito nell'ignoranza del tempo. Non te ne ho mai fatto un problema, non potevi fare altrimenti vista la decisione che avevi preso. Negli anni successivi però hai sperimentato, ti sei corretto e hai trovato la formula giusta.» Una risata soffocata, stanca e rassegnata gli sfuggì di bocca: «Credi che le tue creature siano state solo sette? No, hai compiuto cinquantasei esperimenti, me li ricordo tutti. Ma delle cavie coinvolte solo noi siamo sopravvissute alla mutazione. Abbiamo preso il nome di Chimere perché siamo creature indefinite, non umane ma nemmeno mostri, per quanto sia il termine che meglio ci si addice.»  Nakhaš si morse il labbro. Alcuni dei soggetti coinvolti li aveva uccisi lui, altri Zenas e un paio Colette. Non tutti erano stati in grado di accettare la nuova condizione, molti erano impazziti, in alcune circostanze i corpi avevano rigettato l'anima e si era dovuto agire in fretta. Qualcuno aveva deciso di uccidersi da solo.
Grazie al cielo non era mai successo con soggetti a cui si erano affezionati.

«Cinquantasei?» Noah era una maschera di sorpresa e ribrezzo davanti ai suoi occhi, ma non sembrò davvero terrorizzato da quella confessione, quasi una parte di lui già sapesse.

La Chimera annuì. Dopo di lui, il Sovrano aveva tentato due trasmutazioni prima di provare su di sé lo spostamento dell'anima,  e se quelle erano fallite miseramente, il suo passaggio al nuovo Hagufah era invece stato un successo. Erano seguiti altri quattro tentativi per arrivare a Zenas, una trasmutazione fatta nel bel mezzo del deserto durante una traversata a cui quel poveretto era stato costretto. Dieci tentativi dopo Hamza era entrato a far parte del loro gruppetto, poi era servito un numero che Levi faticava a ricordare per incontrare Colette, al tempo Cornelia. Lei era stata la prima donna su cui Salomone si decise di compiere il rituale, nonché la trasmutazione che più lo aveva preoccupato. Con l'arrivo di Willhelmina si era deciso a mettere una fine a quella storia; dopotutto avevano seminato troppi cadaveri alle proprie spalle. Così, tutti avevano creduto e concordato con la decisione del Re. Finalmente avrebbero potuto mettere via le armi e gli artigli, iniziare a lavarsi di dosso il sangue altrui e trovare un posto in quel mondo così diverso da quello che avevano conosciuto. Peccato però che nelle loro vite, sulla strada verso l'Austria, era spuntata Alexandria e ogni promessa era andata in fumo. Salomone aveva ceduto, infrangendo il proprio codice d'onore senza che gli venisse chiesto. Nikolaij fu l'ultimo incidente di percorso, perché persino il Re aveva compreso quanto fosse rischioso proseguire.

Levi rise: «Che vuoi che ti dica? Eri ambizioso» stemperò, forse più per sé che per Noah - anche se si trattava di un dato di fatto. Salomone era stato vanaglorioso in modo sconvolgente, accaparrandosi successi e fallimenti al pari di medaglie da sfoggiare sulla propria divisa di Melěkè Barùkh (Re Benedetto) - ma in fin dei conti quella era una condizione necessaria per arrivare dove era arrivato lui. E nessun altro Alchimista poteva definirsi al suo livello. L'Hagufah si morse il labbro in silenzio, rimuginando sulla questione. 
«No.» Il soffio che uscì dalle labbra di Noah lo strattonò nuovamente nel presente, facendogli corrugare le sopracciglia: «Ero un folle. Un sadico. Ti rendi conto che quello che ho fatto non è normale?»
Nakhaš inarcò le sopracciglia. Dopo alcuni e brevi secondi, seppur sapesse che fosse la cosa peggiore da fare, non poté impedirsi di scoppiare in una fragorosa risata, tanto intensa da fargli lacrimare gli occhi. Nessuno aveva mai osato definire il Sovrano "sadico" e se era successo non certo in modo così diretto. Ad aggiungere ancora più ilarità alla cosa, c'era il fatto che ad affibbiare un simile aggettivo al Re fosse lui stesso.
«Sì, potremmo dire che lo eri!» riuscì a dire tra un tentativo di riprendere aria e l'altro.
Avrebbe voluto mantenere più compostezza vista la natura della loro conversazione, ma più ci provava, meno ci riusciva.

L'espressione di Noah divenne una maschera di sconvolgimento: «Lo trovi divertente? Ma ti rendi conto che abbiamo ammazzato più gente io e te di un qualsiasi dittatore moderno?» chiese, anche se fu difficile capire se il suo tono fosse ironico o meno - e di conseguenza, Levi non riuscì a placarsi, finendo col piegarsi su se stesso per i crampi allo stomaco.

Sì, tutto ciò gli era davvero mancato, ma più di tutto gli era mancato il suo unico, vero akh.
 

   
 
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