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Autore: Ghostclimber    17/08/2023    1 recensioni
Hanamichi è un Genio.
No, non il Genio del Basket, non questa volta.
Hanamichi è un Djinn.
Disgraziatamente, sarà Rukawa a liberarlo.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hanamichi vide Rukawa che si avvicinava con decisione durante la pausa per il pranzo, che Youhei aveva saggiamente deciso di trascorrere in terrazza. Fortunatamente, faceva ancora abbastanza freschetto perché la giacca della divisa non fosse fastidiosa, ma Hanamichi era un disastro umano e per evitare problemi si arrotolava sempre le maniche quando mangiava; questo, purtroppo, avrebbe però mostrato a tutti i suoi bracciali da Djinn.

Che qualcuno capisse che cosa fossero era abbastanza improbabile, ma ci sarebbero potute essere delle domande a cui Hanamichi non avrebbe saputo rispondere con convinzione; per di più, i gioielli erano contro al regolamento scolastico, per cui avrebbe rischiato di passare dei guai se un professore gli avesse chiesto di toglierli.

Gli amici, che erano ovviamente al corrente della situazione, non commentarono quando Hanamichi si alzò per andare incontro a Rukawa.

“Abbiamo un secondo desiderio, Volpaccia?” chiese Hanamichi. Rukawa annuì in silenzio.

Ad Hanamichi parve di notare un lieve rossore che gli tingeva le guance, ma evitò di soffermarvisi: ne doveva ancora parlare con Youhei, da sempre il suo neurone di scorta, ma qualcosa gli diceva che quella parvenza di cotta che Rukawa sembrava aver sviluppato nei suoi confronti non fosse altro che un temporaneo sbandamento, dovuto al fatto che Hanamichi gli aveva concesso di conoscere Michael Jordan, e non solo grazie al desiderio. Hanamichi non era una cima, ma sapeva che se non fosse stato per il suo intervento Rukawa sarebbe ancora lì a farsi gocciolare la saliva dalla mascella slossata al campetto.

“Avanti, allora,” disse Hanamichi, prendendo coraggio. Decise su due piedi che una buffonata sarebbe stata perfetta per sciogliere la tensione. Gonfiò il petto, incrociò le braccia e disse con voce tonante: “Ogni tuo desiderio è un ordine.”

Si rese conto con lieve ritardo di quanto quella frase suonasse un tantinello a doppio senso. Per la precisione, se ne accorse quando il rossore di Rukawa divenne inequivocabile. E quando i suoi amici stronzi cominciarono a fischiare e ululare come dei cani in calore.

“Ignorali,” disse, sgonfiandosi, “Dimmi pure il secondo desiderio.”

Rukawa deglutì con evidente fatica, poi disse: “Voglio smettere di essere allergico alle arachidi. Lo puoi fare?” Hanamichi ebbe la forte tentazione di far apparire dal nulla una lista da controllare per finta; lo poteva fare, quando era in schiavitù poteva sostanzialmente fare tutte le cazzate che voleva salvo sottrarsi al dovere e nascondere i bracciali, ma si trattenne.

“Desiderio esaudito,” disse, esibendosi in un goffo inchino. Si rialzò e lanciò una voce agli amici: “Ragazzi, abbiamo qualcosa con le arachidi?”

“Ho i mochi alle noccioline!” disse Takamiya.

“Dai,” disse Hanamichi, trascinando Rukawa verso gli altri, “Vieni a provare.” Rukawa non si mosse di un millimetro.

“Che c’è?”

“Nh,” fu l’esaustiva risposta.

“Tranquillo, Rukawa!” chiamò Youhei dal loro angolino, “Ho una Epipen, se ti fa sentire più sicuro!”

“Dai, vieni, vedi che sei al sicuro?” chiese dolcemente Hanamichi. Ma ora Rukawa lo stava guardando con ancora maggior sospetto.

“Lui sa di te?” chiese.

“Ovvio, è il mio migliore amico.”

“E allora perché si porta ancora dietro l’epinefrina?”

“Perché è allergico ai crostacei, ed evidentemente è meno intelligente di te,” rispose Hanamichi.

“In effetti non ci avevo mai pensato prima, me lo segno per il prossimo giro,” disse allegramente Youhei.

“Sì, vacci piano, ti ricordo che la prossima volta ne hai solo due!” ribatté Hanamichi, trascinando Rukawa verso gli altri. Ancora un po’ sospettoso, Rukawa si sedette.

“Davvero puoi diminuire i desideri a tuo piacimento?” chiese.

“No, ma posso gestirmeli un po’. Ad esempio, se tu dicessi che hai una gran voglia di una bibita fresca potrei fingere che quello sia un tuo desiderio e bam, uno in meno!”

“Sei… è…” Rukawa scosse la testa, poi ebbe uno scatto nervoso quando Takamiya gli strofinò il mochi alle arachidi sul dorso della mano.

Hanamichi gli appoggiò una mano sul ginocchio: “Tranquillo, Rukawa. Siamo tutti qui, e siamo tutti capaci di usare una Epipen in caso di emergenza, ce l’ha insegnato la mamma di Youhei prima di permettergli di uscire con noi.” Rukawa alzò gli occhi e incontrò gli sguardi tranquillizzanti degli altri; si rilassò un pochino.

“È per questo che bigi sempre le uscite della squadra?” chiese Youhei, “O è perché non ti piace proprio?”

“Da bambino non potevo andare alle feste. Una volta l’ho fatto, c’era qualcosa di contaminato e sono stato… molto male. È diventata un’abitudine, alla fine.”

“Capisco. Io esco solo con questi buzzurri qui perché sanno come resuscitarmi, ma non è divertente quando ti perdi i pezzi di serata e ti risvegli all’ospedale perché qualche ristorante non ha fatto bene i conti.” Hanamichi sorrise, guardando il suo migliore amico conversare amabilmente con Rukawa. Era chiaro che non gliene fregava granché, e che conosceva già la risposta in quanto anche lui allergico: ma come sempre cercava di mettere a suo agio la gente, e ci stava riuscendo. Rukawa rispondeva con frasi brevi e concise, un po’ staccate le une dall’altra, lontano miglia dal fiume di parole che gli aveva riversato addosso la sera prima, ma intanto stava parlando. E non stava pensando alla mano, su cui non si stava creando il minimo rossore.

Cadde il silenzio, e Hanamichi rivolse a Youhei un sorriso grato, mentre Rukawa chinava finalmente la testa. Si sfregò la mano, come a cercare di accelerare la reazione, ma ancora non accadde nulla. Alzò la testa, guardò Hanamichi e poi Takamiya, poi disse: “Vorrei… vorrei provare.”

“Eccolo qui, tutto tuo, Rukawa!” disse Takamiya.

“Lo fai solo perché i mochi alle arachidi sono gli unici che non ti piacciono!” disse Noma, mentre Rukawa schiudeva le labbra per dare un piccolo morso al dolcetto.

Lo masticò con cura, poi deglutì e serrò gli occhi.

Hanamichi lasciò litigare gli amici, contò sessantasette secondi, poi Rukawa aprì gli occhi e trasse un profondo respiro.

Guardò Hanamichi, poi guardò quel che restava del mochi e se lo ficcò in bocca con entusiasmo. Quando finì di masticare, accompagnato dagli applausi e dalle pacche sulle spalle della Gundan, rivolse ad Hanamichi uno sguardo che fece ghiacciare il sangue nelle vene del Genio: i suoi occhi erano lucidi e colmi della stessa malsana ossessione che faceva luccicare le iridi delle sue fan più sfegatate.

Rukawa si stava prendendo una cotta per Hanamichi.

Fingendo di non aver visto nulla, Hanamichi si unì alle esultanze di gruppo, fece più casino possibile e ringraziò in cuor suo la campanella, che lo salvava dal proseguire quella dolorosa pantomima. Quasi senza salutare, si fiondò giù dalle scale verso la propria classe, solo ricordando velocemente a Rukawa di pensare al terzo desiderio.

Fece in tempo a sentire Takamiya che commentava: “E se fosse un camion di mochi alle arachidi, nessuno ti prenderà in giro!” e poi decise di scollegarsi completamente dalla situazione.

 

*****

 

“Avanti, Hanamichi, sputa il rospo,” disse Youhei, sedendosi di fianco all’amico sulla terrazza, ore dopo. La scuola era ormai tecnicamente chiusa, salvo che per il club di basket e quello di arte drammatica, ancora aperti, ma tecnicamente gli studenti avevano il permesso di trattenersi nell’edificio fino alle sette. In realtà, quasi nessuno lo faceva, salvo che per partecipare o assistere alle attività dei club aperti.

“Niente, sono scazzato perché non posso giocare a basket con questi cosi ai polsi,” mentì, anche se solo parzialmente, Hanamichi, “Vorrei che la Volpaccia si desse una svegliata col terzo desiderio.”

“Non è solo questo,” ribatté Youhei. Hanamichi, che se ne stava con le gambe a penzoloni dal bordo della terrazza, si voltò a guardarlo.

Non c’era quasi nessuno in giro, tranne un paio di sorveglianti che se ne stavano comunque lontani dalla terrazza; il pomeriggio era fresco, il sole cominciava già a scendere e presto avrebbero dovuto interrompere la conversazione per scendere a ripararsi, e l’incantesimo della privacy si sarebbe infranto.

Hanamichi parlò: “Rukawa si sta innamorando di me.”

“Ma innamorando innamorando o…?”

“Innamorando alla Yoko. Credo. Temo.” Hanamichi incrociò le braccia su una sbarra della ringhiera e ci posò sopra la testa, ingobbendo le spalle.

Youhei non parlò per un po’. La faccenda di Yoko era stata complicata e dolorosa, e solo con uno sforzo immane erano riusciti a scherzarci sopra per mitigare il dolore.

“Ne sei sicuro?”

“Sì. No. Senti, fino a due giorni fa mi avrebbe sgozzato se solo fosse stato sicuro di passarla liscia, poi ieri si mette a dire che sono un giocatore di talento e va avanti mezz’ora a leccarmi il culo, poi oggi l’ho guardato negli occhi…”

“Hanamichi, qui il problema non è Rukawa e la sua presunta temporanea cotta,” disse Youhei, “Se fosse solo quello, sapresti benissimo come respingerlo. L’hai già fatto prima, lo puoi fare di nuovo.”

“Sì. Ma…”

“Dillo, Hanamicchan,” lo esortò Youhei, “Dillo ad alta voce. Siamo solo tu ed io.”

“Se io non volessi respingerlo?”

“Eccolo qui. Lo sapevo,” disse Youhei, ma non c’era scherno nella sua voce, solo tenerezza. Hanamichi ripensò a Yoko, e a come lei si era affezionata a lui quasi morbosamente, giocando con la storia dei desideri. Aveva sempre chiesto piccole cose, del tipo che una ragazza potrebbe chiedere in dono al proprio fidanzato ricco, quindi Hanamichi non si era mai posto il dubbio che non fosse un gioco genuino, per quanto suo padre l’avesse messo in allerta su questo tipo di problema.

Ma, quando Yoko aveva esaurito i desideri, si era rapidamente raffreddata. E poi si era innamorata di un altro. E Hanamichi era rimasto solo.

“Senti, Hana, non è detto che Rukawa si stanchi e se ne vada, lo sai, vero?”

“Umpf…”

“Ascoltami,” disse Youhei, mettendogli una mano sul braccio, “Io sono rimasto, no? E sai perchè?”

“Perché sei ancora allergico ai crostacei?”

“Perché quando esaudisci i desideri tiri fuori la parte migliore di te. Ti togli quella stupida maschera da frescone e ti comporti dolcemente, sei gentile e premuroso, vai ben oltre il tuo dovere.” Hanamichi lo fissò con sguardo vacuo.

“Pensa ad oggi. Gli hai tolto l’allergia, e lui aveva ancora paura. Tu non gli dovevi altro, potevi dirgli di attaccarsi al tram e mollarlo lì, invece gli sei stato al fianco fin quando non si è convinto a provare. E mi hai detto che con Michael Jordan…”

“Cazzo, sarebbe andata a rotoli se non fossi intervenuto!” lo interruppe Hanamichi.

“Sì, ma eri tenuto a farlo? No, Hana, tu sei una di quelle rare persone a cui piace donare, che si sentono bene a fare del bene. C’è chi si innamora per molto meno, e lo sai.”

“Ah, ma piantala, l’ho fatto solo perché altrimenti mi avrebbe rotto le palle in eterno, lui si aspettava che Michael Jordan gli apparisse di fronte e gli dicesse ‘Ehi, Rukawa, ho sentito parlare di te per un motivo non meglio specificato, ora ci facciamo una chiacchierata’, ma visto che non funziona così poi mi avrebbe detto che sono il Djinn dei poveri e che i desideri che esaudisco sono una ciofeca!”

“Stai mentendo,” disse Youhei con calma.

“Sì, sto mentendo, e allora? Senti. Non voglio finire come mio padre.” Youhei sobbalzò.

“Hana, ma che c’entra lui ora?”

“C’entra,” rispose Hanamichi, poi prese un grosso respiro e rivelò: “Lui era un Djinn, mamma un’umana. Quando mamma se n’è andata, papà è morto di crepacuore. È uno dei pochi modi in cui può morire un Djinn.”

“Hana…” esalò Youhei, “Non me l’avevi mai detto.”

“Non mi piace parlarne.”

“Ed è comprensibile,” ammise Youhei, rimettendosi dritto; la sua mano abbandonò il braccio di Hanamichi, ma si fece più vicino con tutto il corpo, fingendo di cercare una posizione comoda. Hanamichi finse di cascarci e non commentò, la mente tornata dolorosamente al giorno in cui aveva trovato suo padre riverso sul pavimento.

 

Suo padre, come anche Hanamichi stesso, era un Djinn nato libero. Erano discendenti di un vero Djinn che si era riprodotto con una donna mortale, e tutta la loro linea era salva dalla maledizione della prigionia eterna, quella che viene spezzata solo se qualcuno utilizza uno dei propri desideri per sollevare la schiavitù da un Djinn.

Mantenevano i poteri tipici della loro razza, anche se tendevano ad usarli solo il minimo indispensabile per campare; si diceva, e non era chiaro se fosse vero o solo una leggenda, che un Djinn che avesse abusato dei propri poteri sarebbe stato ridotto alla schiavitù eterna, come i purosangue. Non era il caso di provare a vedere se fosse vero oppure no.

Tuttavia, se finivano intrappolati ed era necessario che qualcuno dall’esterno intervenisse, allora sì che i loro poteri andavano usati: diventavano schiavi fin quando non avessero ripagato il debito. In alcuni casi, i desideri erano molto superiori all’entità del debito in sé: tanto per dirne una, farsi tirare fuori da un armadio delle scope non valeva l’incontro con Michael Jordan né tantomeno la liberazione da un’allergia potenzialmente mortale, ma così era.

Il padre di Hanamichi, che era nato ben più di cento anni prima in una remota isola al largo di Sumatra, nel 1945 era stato liberato da una tagliola e in cambio si era visto chiedere la resa del Giappone; ma i Djinn non hanno controllo su come si sviluppano i desideri che coinvolgono gli esseri umani: quello che Shin Sakuragi aveva supposto e sperato era un cambio di rotta dell’imperatore. E invece c’era stato un intervento da parte degli Stati Uniti che aveva ucciso migliaia di persone e segnato il mondo per l’eternità.

E poi, aveva conosciuto la mamma di Hanamichi. Si erano innamorati, e per anni il gioco di casa era stato intrappolare papà da qualche parte e poi liberarlo per chiedergli cose. Ma infine Midori si era stancata, chissà se del gioco o se di Shin, o forse delle responsabilità di una famiglia, e se n’era andata. Meno di un mese dopo, Hanamichi aveva trovato Shin Sakuragi riverso a terra, morto di crepacuore.

 

“Hanamichi?” chiamò Youhei.

“Eh?”

“Tuo padre non aveva nessuno, a parte te,” disse Youhei. Hanamichi lo guardò: non aveva idea di come facesse a saperlo, ma era innegabilmente vero.

“Al funerale,” disse Youhei, intuendo la sua domanda, “C’era davvero poca gente, e nessuno sembrava distrutto dal dolore.”

“Ah. E quindi?”

“E quindi, tu hai qualcosa che tuo padre non aveva.” Hanamichi rimase in silenzio, mentre un piccolo focolare di speranza gli si attizzava nel petto.

“Tu hai noi, Hanamicchan,” concluse Youhei, con un sorriso.

 

*****

 

Hanamichi stava tornando a casa, un po’ più leggero rispetto a come si era sentito per tutto il pomeriggio, quando gli si accostò una bicicletta. I freni stridettero in maniera atroce.

“Hey,” chiamò Rukawa.

“Hey, fammi indovinare: il terzo desiderio sono dei freni nuovi per quella carretta!”

“Puoi fare anche questo genere di cose?” chiese Rukawa. Aveva il fiatone, e Hanamichi dubitava che fosse per la pedalata.

“Beh, certo, per cosa credi mi usi Youhei? La pace nel mondo? Nah, gli servono i pezzi di ricambio del motorino.” Rukawa rise, un po’ istericamente. Era quasi da baciare, nel suo imbarazzato tentativo di flirtare: il bello stronzo che ti parla e si trasforma in un tonto completo. Adorabile, cazzo. Fin troppo adorabile.

“Comunque no, non sono i freni,” disse Rukawa, pedalando piano piano per stare di fianco ad Hanamichi.

“Hai già qualche idea? Quella di Takamiya sul camion di mochi alle noccioline non ha il copyright, puoi usarla.”

“No, ancora non lo so,” mentì Rukawa, “Ma lo terrò in considerazione.” Hanamichi rise, e per un po’ proseguirono in silenzio.

Quando giunsero al passaggio a livello, si fermarono ad aspettare che la sbarra si alzasse; il giorno prima erano arrivati dal lato opposto. Comunque, una volta attraversati i binari si sarebbero separati; Hanamichi si ritrovò ad anelare per un bacio, ma si contenne.

“Non c’eri, in palestra,” disse Rukawa.

“Come faccio, con le manette ai polsi? Come le spiego? E prima che tu risponda che posso spacciarlo per un kink, ci ho già provato e non funziona, e comunque non voglio dire queste cose di fronte al coach Anzai.”

“Non ci avevo pensato…”

“Bene, ora invece sì, quindi datti una mossa col desiderio. Anche uno facile, tanto alla peggio mi chiudi in bagno e poi vieni a liberarmi."

“Ci… ci penserò,” disse Rukawa, mentre la campanella segnalava l’imminente rialzarsi della sbarra, “Domani ti dico.”

“Va bene. A domani, allora.”

“A domani.” Hanamichi attraversò con calma, mentre Rukawa gli sfrecciava di fianco in sella a quel povero rottame di bicicletta, e per un attimo si concesse di sperare di poter stare al fianco di Rukawa in eterno.



Rieccomi col secondo capitolo, non volevo essere angst, lo giuro: ne è una riprova il fatto che quando provo ad essere angst finisco in un baratro di umorismo di merda, anime logic e completo caos.
Il prossimo -credo, spero- sarà l'ultimo, a meno cheee non mi chiediate di aggiungere qualche piccolo bonus, cosa che sono a tanto così da fare, un po' come quando c'è da tuffarsi e continuo a guardare giù senza farlo anche se so che sono due metri cacati e che ho fatto voli ben peggiori.
Piccolo disclaimer: onestamente non ricordo granché sulla mitologia dei Djinn. Avevo un libro fichissimo che ne parlava ma chissà dove s'è andato a cacciare, quindi come nella storia sulla Kitsune sacra sono andata un po' a braccio.
Spero che abbiate gradito, battete un colpo per il sì e tiratemi i pomodori del mio fruttivendolo di fiduscia per il no!
XOXO

 

   
 
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