“La Rivoluzione è
un ideale
sostenuto dalle baionette.”
(Napoleone
Bonaparte)
CAPITOLO 1
LA PRIMA BATTAGLIA
Tutte le mattine, dopo la colazione,
il governatore spendeva quasi tutto il suo tempo nella sala da bagno con un
sigaro tra le labbra e i piedi immersi in una mistura di vino, miele e urina di
toro che secondo il guaritore avrebbe dovuto alleviare le sue pene di gotta.
Ogni
guardia, servitore e abitante del Castello sapeva che in queste occasioni Longinus diventava intrattabile, ma ciò nonostante il
messaggero appena giunto da Dundee pretese comunque di essere ricevuto.
D’altronde
le notizie che aveva portato dal confine precedendo persino l’arrivo delle prime
carovane piene di fuggitivi, e che avevano spinto Adrian ad introdurlo alla
presenza del padre, valevano bene il rischio di subire la collera del governatore.
«Una
sommossa?»
«Sì,
mio signore. L’intera popolazione del ghetto di Ende
è in stato di rivolta.»
«E
tu interrompi il mio pediluvio per una sciocchezza del genere? Dovrei farti
frustare.»
«Se
permettete padre, forse sarebbe il caso di trattare la questione con maggiore
attenzione. Da quello che si sente, pare che sia lo Sceriffo Haselworth a capo
della rivolta. Se questo fosse vero, dato il sostegno di cui gode non possiamo
escludere che riesca a portare dalla sua parte persino una parte della gente di
Dundee.»
«Povero
me, lo sapevo io. Se offri un boccone a un bifolco, alla fine vorrà tutta la
torta.»
«Mi
basta un vostro comando padre, e mi occuperò della questione personalmente.»
«Sei
matto? Ti ricordo che sei un nobile. Non puoi certo disonorare te stesso
combattendo contro dei mostri puzzolenti. Tu, messaggero. Va a cercare il
Generale Ron. Informalo della situazione e digli di
raggiungermi qui.»
«Sì,
mio signore.»
Il
Generale arrivò meno di dieci minuti dopo già al corrente di tutto e pronto ad
esporre la sua soluzione al problema: con soli quattrocento dei suoi migliori
legionari, disse, era pronto a stroncare la ribellione in meno di tre giorni,
uno in meno di quanti ne sarebbero teoricamente serviti per portare le truppe a
sud.
Ma
Longinus ancora una volta si sentì in dovere di
obiettare.
«Mobilitare
i miei soldati migliori per quattro straccioni? Non se ne parla neanche. Se ne
occuperà la terza brigata di fanteria leggera.»
«Governatore,
la terza brigata leggera è composta quasi esclusivamente da ausiliari e giovani
reclute che non hanno mai visto una battaglia. Anche se stiamo parlando di una
semplice rivolta di schiavi non ritenete che sarebbe il caso di agire con
maggior decisione?»
«Fossi
matto. Poi come lo giustificherei l’impiego di una simile forza a Sua Maestà? Siamo
nel bel mezzo dell’ispezione imperiale.»
Il
Generale dovette sottostare per forza di cose agli ordini ricevuti, e dopo aver
rivolto un’ulteriore quanto vana richiesta di poter disporre di truppe meglio
addestrate si congedò per dirigersi alle caserme.
Ma
proprio quando il Governatore sperava di poter tornare a godersi il suo
pediluvio un altro membro della sua corte fece la propria comparsa nel bagno.
«Lady
Valera. Quale onore ricevervi in questo posto così poco appropriato. Cosa posso
fare oggi per voi?»
«Signor
Governatore, ho saputo che non avete ancora autorizzato la mia partenza per Basterwick.»
«E
temo che non mi sarà possibile farlo neanche in seguito. Immagino che le voci
siano arrivate anche a voi.»
«L’epidemia
si sta diffondendo, e a Bastewick non ci sono abbastanza
guaritori per curare tutti. La presenza mia e della mia novizia potrebbe
alleviare le pene dei vostri sudditi.»
«La
salvezza degli abitanti di Basterwick mi sta a cuore,
ma devo pensare anche alla vostra incolumità. Cosa succederebbe se vi imbatteste
in quelle belve feroci?»
«Quindi
devo presumere che siate preoccupato per quegli schiavi ribelli al punto da
temere che potrebbero arrivare fino a Basterwick?»
Longinus
serrò i denti per il nervosismo, mentre suo figlio di contro non poté che
piegare le labbra in un sorriso sincero di stupore ed ammirazione di fronte
alla sagacia e alla lingua vellutata di quella giovane a prima vista così
indifesa.
«Come
volete, la vita è la vostra. Ma se vi dovesse capitare qualcosa non sarà
certamente colpa mia.»
«Non
dovete preoccuparvi. Anche se non sembra so badare a me stessa. E comunque ci
sarà Isabela al mio fianco.» e fatto un inchino che sapeva quasi di insulto se
ne andò
«La
sfrontatezza non le manca.» commentò Adrian
«L’arroganza
vorrai dire. E c’è chi sostiene che sarà il prossimo papa. Ma non farmi ridere.
Una così non è destinata a vivere a lungo.»
Fuori
dalla porta del bagno attendevano una giovane leonessa vestita da chierica
apprendista e una donna in armatura con lo stemma della Guardia del Tempio ricamata
in oro sulla cappa bianca.
«Maestra
Sylvie, siete davvero sicura che sia prudente lasciare il Castello proprio
adesso?»
«Vaelia ha ragione, mia Signora. L’epidemia peggiora di
giorno in giorno, e adesso c’è anche il problema della ribellione a sud.
Personalmente non mi fido del Governatore. È chiaro che sta prendendo la cosa
fin troppo alla leggera.»
«Ne
sono consapevole Isabela. Però ora più che mai il popolo di questa terra ha
bisogno di sentire vicini i rappresentanti di Gaia, e di sapere che qualcuno si
preoccupa seriamente per loro.»
«E
che cosa facciamo se quei ribelli dovessero davvero riuscire ad espandersi fino
a Basterwick?» chiese Vaelia
«L’avete detto voi stessa che l’umano che li guida è una persona fuori dal
comune.»
«A
dire il vero ammetto che sarei davvero curiosa di incontrarlo. Quando ho
guardato il signor Haselworth negli occhi per la prima volta ho notato subito
lo sguardo di una belva chiusa in gabbia e pronta a scatenarsi.»
Una
tromba di guerra risuonò nel cortile, e le tre ragazze affacciandosi dal
balcone videro il Generale Ron arringare le truppe
già schierate sulla piazza d’armi e pronte a partire per Dundee.
«Su
una cosa hai ragione, Isabela. Il Governatore non ha ancora capito davvero con
cosa ha a che fare.»
È cosa normale e comprensibile per
degli schiavi che hanno vissuto tutta la loro vita a patire la fame e gli
stenti di scatenarsi su tutto ciò che gli è stato sempre negato alla prima
occasione.
Avevo
visto coi miei occhi la plebaglia dare l’assalto alle ville degli aristocratici
all’indomani della Bastiglia svuotando le dispense, razziando le cantine e
distruggendo tutto il resto.
Non
potevo certo permettere che accadesse.
E
per far capire che non scherzavo su questo punto era necessario dare qualche
esempio; per questo avevo permesso a Pythus di
intrufolarsi in città, certo che quel goblin non si sarebbe lasciato sfuggire
l’occasione per dare sfogo alla propria bestialità. La sua morte non sarebbe
stata una perdita, e il messaggio era arrivato forte e chiaro a tutti.
Ora
che la Rivoluzione era ufficialmente cominciata bisognava nutrirla e portarla
avanti, pertanto meno di due ore dopo dal mio discorso in piazza ero già seduto
nella sala riunioni del municipio, circondato dai maggiori rappresentanti della
macchina amministrativa della regione.
«Septimus.
Qual è la situazione al ponte?»
«La
guardia è stata ripristinata e l’attività di controllo del traffico è ripresa
normalmente.»
«Cosa
avete detto alle guardie dell’Unione?»
«Quello
che hai suggerito. Che la guarnigione locale ha preso il potere con un colpo di
stato e il benestare della popolazione, e liberato gli schiavi per reclutare
nuove forze. Ufficialmente ci sono io a capo di tutto.»
«Sarà
necessario provvedere a fare una selezione. Tutti i cittadini, uomini e donne,
che abbiano una qualche formazione militare sono invitati a prendere le armi e
a dare il loro contributo. L’armeria del forte e quella del villaggio dovrebbero
essere sufficienti ad equipaggiare tutti. Creeremo battaglioni da cinquecento
soldati l’uno, e almeno per il momento manterremo separati umani e mostri per
evitare di creare attriti.»
«Non
sarebbe il caso di mostrare coesione fin da subito?» chiese Scalia. «L’hai
detto tu che questa distinzione non dovrebbe più esistere.»
«Ci
sarà tempo per questo. Ora la priorità è respingere la minaccia che sta per
arrivarci addosso, e non possiamo farlo se ogni soldato diffida di quello che
gli sta accanto. Comandante Oldrick, qual è la
situazione dell’ordine pubblico?»
«Qualche
rissa, ma niente di significativo. L’esempio che hai dato uccidendo quel goblin
è stato recepito anche dagli abitanti più scalmanati.»
«Quanti
miliziani sono rimasti?»
«Più
o meno centoventi. Tutta gente fidata che appoggia questa impresa.»
«Li
raggrupperemo in un singolo battaglione. Assieme ai legionari di Septimus
formeranno la nostra unità d’élite. Mary.»
«S…
sì?»
«Occorre
che i commerci rimangano aperti. Usa tutta la reputazione di cui godi presso i
mercanti dell’Unione. Rassicurali che la situazione a Dundee è sotto controllo
nonostante il colpo di stato, e se necessario abbassa i prezzi. È fondamentale
far girare più denaro possibile.»
«Ma
i mercanti accetteranno di commerciare con dei ribelli?»
«E
poi, cosa dovremmo commerciare?» domandò il sindaco. «Le attività estrattive,
il lavoro nei campi, perfino i negozi. Al momento è tutto fermo. Molti sono
persino scappati.»
«I
contadini e coloro che possiedono terreni già seminati saranno esentati dal
servizio militare. Lo stesso vale per i cacciatori. Questo dovrebbe fornirci il
cibo necessario per sfamare la nostra popolazione e il nostro esercito, anche
se sarà inevitabile destinare a quest’ultimo una maggiore quantità di risorse.
Rimetteremo in moto anche le miniere e l’industria del legname, destinandovi
quanti più lavoratori possibili. I negozi e gli empori saranno più che felici
di riprendere la loro attività se vedranno che nonostante tutto i mercanti continuano
ad arrivare.»
«E
per i mercanti che arrivavano da nord come dovremmo fare? Quasi la metà dei
commerci di questa regione avvengono con l’Impero o l’Eirinn Orientale.»
«Quelli
inevitabilmente saranno interrotti, ma renderemo ben chiaro che non sarà per
colpa nostra. Ufficialmente le porte a Dundee resteranno aperte per chiunque voglia
fare affari, così saranno il Governatore e il Castello a prendersi la colpa.
Anche se al vostro posto io non me ne preoccuperei più di tanto.»
«Per
quale motivo?»
«Perché
vi posso garantire che a un mese da oggi, la prossima seduta di questo
consiglio direttivo si svolgerà nella Sala Grande del Castello.»
Ero
abituato a sorprendere i miei ministri con frasi ad effetto, e ogni volta mi
veniva da ridere per il genere di reazioni che tali frasi suscitavano in chi le
sentiva.
«Daemon,
non starai correndo un po’ troppo?» disse Septimus. «Tanto per cominciare
abbiamo a disposizione meno di duemilacinquecento soldati. La sola Quindicesima
Legione ne conta oltre diecimila.»
«Se
sono altri soldati che vi servono, io sono qui!» esclamò Grog scattando in
piedi e sfoderando i suoi famosi muscoli «Io e i miei ragazzi spacchiamo pietre
da quando ci succhiavamo i pollici, spaccare teste al confronto sarà solo un
allenamento!»
«Lo
sai perché ho assegnato tutti gli orchi e i minotauri al ripristino
dell’attività mineraria piuttosto che all’esercito?»
«Perché
altrimenti sarebbe troppo facile?»
«Perché
il bersaglio grosso è sempre il più invitante. Vi trasformereste in puntaspilli
prima ancora di arrivare allo scontro diretto. Verrà anche per voi il tempo di
scendere in battaglia, ma per il momento ho bisogno che rimettiate in funzione
le miniere.»
«Quand’è
così, lascia fare a noi. Dacci vino, sidro e tanta carne, e ti svuoteremo il Khoral di tutto quello che c’è dentro.»
In
quel momento qualcuno bussò alla porta, ed io ero più che sicuro di sapere di
chi si trattava.
«Proprio
al momento giusto. Entra pure.»
Non
che qualcuno fece i salti di gioia nel veder apparire sull’uscio il brutto e
grasso muso di Borg; anzi, Scalia e Septimus furono quasi sul punto di mettere
mano alle armi.
«Calmatevi.
Sono stato io a chiedergli di venire. Come avete detto voi ci serve tutto
l’aiuto possibile, e sapete tutti molto bene quanto Borg sia abile nel trovare tutto
quello che ci può essere utile.»
«Però,
questo maiale…» provò a protestare Scalia
«Ogni
comandante fa la guerra con i soldati che ha. E comunque Borg è una risorsa
troppo preziosa per rinunciarvi in nome di un qualche moralismo o solo perché
vi è antipatico, soprattutto in questo momento.»
«Ben
detto, amico mio. Quanto a lor signori, possono dormire sonni tranquilli. Il
vostro eccelso comandante supremo ed io abbiamo già discusso abbondantemente
della questione. La mia lealtà a lui e alla vostra causa è fuori discussione.»
«Ma
per quanto?» ringhiò Septimus
«Allora,
Borg? Hai quello che ti ho chiesto?»
«Anche
se sono il migliore di tutti c’è un limite a quello che io posso procurare. Ma
per tua fortuna, la merce che avevi richiesto era già a mia disposizione.»
Naturalmente
non era vero. Avevo fatto l’ordinazione mesi prima –oltretutto pagandola a peso
d’oro– quando il mio piano aveva appena iniziato a mettersi in moto.
D’altronde
non potevo certo andare a raccontare in giro che quella che doveva sembrare a
tutti i costi una rivolta nata spontaneamente non era altro che la naturale
conseguenza di ciò che io stesso avevo provocato.
Ma
per mia fortuna tutto per Borg aveva un prezzo, incluso il suo silenzio; e poi
era troppo furbo per farsi scappare l’occasione della sua vita solo per una
questione di onestà.
Quanto
alla merce, si trattava indubbiamente di qualcosa che in quella parte di Erthea
stava diventando davvero difficile da trovare, e che per questo motivo non
mancò di lasciare tutti senza parole quando videro gli uomini del maiale
scaricarla dai carri.
«Cannoni!?»
esclamò Oldrick.
Dal
mio punto di vista non erano altro che giocattoli, poco pratici, imprecisi e
con una certa tendenza a saltare per aria, ma comunque utili per chi come me
sapeva tirare fuori l’anima da una qualunque bocca da fuoco.
Borg
ne aveva trovati sei, di grosso calibro e terribilmente pesanti, oltre che
privi di affusti e ruote.
Ma
insomma, è davvero questo il meglio che Erthea ha da offrire in fatto di
artiglieria?
«Non
ne vedevo uno dai tempi delle Guerre di Confine. È stata proprio una scheggia
provocata dall’esplosione di uno di questi cosi a portarsi via il mio occhio.»
«Ce
ne sono alcuni anche nel forte, ma non sono altro che ingombranti paracarri.
Non ci hanno nemmeno mai addestrati a usarli.»
«Esattamente
Daemon, cosa pensi di fartene?» domandò Scalia
«Non
è ovvio? Usarli per la guerra che ci attende.»
«Ma
per farci cosa? Non dobbiamo assediare una fortezza. E anche se volessimo
usarli per difendere il villaggio, le torri e i camminamenti si
sbriciolerebbero al primo rinculo.»
«Noi
non difenderemo un bel niente Septimus.»
«Cosa!?»
«Una
rivoluzione è vittoriosa solo quando il vecchio governo viene spodestato, e un
governo di certo non si spodesta standosene chiusi dietro ad un muro.»
Oldrick
era un veterano, quindi era ovvio che a lui l’idea che stavo proponendo
sembrasse assurda più che agli altri.
«Vorresti
ingaggiare l’esercito imperiale in campo aperto con pochi legionari, qualche
coscritto e un esercito di schiavi ribelli?»
«Il
Comandante ha ragione, è una follia.» disse il Sindaco
«No,
se saremo noi a stabilire le condizioni e scegliere il terreno di scontro. E
con questi al nostro fianco la vittoria è assolutamente sicura. Scalia, ho
bisogno che tu faccia una cosa per me.»
«Di
che si tratta?»
«Ordina
a Tarto e agli altri ragazzi della segheria di
mettersi subito al lavoro seguendo questi progetti. È necessario che tutto sia
costruito entro domani. Grog.»
«Sono
qui.»
«Ho
bisogno che la fonderia delle miniere si metta subito a produrre grosse palle
di ferro. Questi affari non servono a niente senza munizioni. Giselle.»
«Agli
ordini.»
«Prendi
alcuni volontari e batti il villaggio e i dintorni palmo a palmo. Occorrono
chiodi, sassi, bulloni, cose del genere. Più duri e piccoli sono, meglio è.»
«E
che cosa vuoi fartene, se posso chiedere?»
«Lo
vedrai. Quanto a voi sindaco, procuratemi dei cavalli. Bestie robuste, da
lavoro, che possano tirare carichi pesanti. Visto che abbiamo solo tre giorni,
per questa battaglia metteremo in campo solo coloro che sanno già combattere e
sarà possibile inquadrare nei battaglioni fin da subito. Scalia e Septimus, voi
sarete al comando rispettivamente dei battaglioni degli schiavi e degli umani.»
«Conta
su di me.»
«E
anche su di me.»
«Ah,
e un’altra cosa. Trovatemi anche un ceramista e un cavallo. Bianco, se
possibile.»
Non avevo mai voluto essere un
soldato.
Ero
solo uno dei tanti poveri disperati che sceglievano di arruolarsi nella legione
semplicemente perché incapaci di ritagliarsi un proprio posto felice
all’interno della piramide sociale dell’Impero.
La
terra da cui venivo era povera, e quando un’epidemia si era portata via i miei
genitori l’esercito era diventata l’unica via d’uscita per non morire di fame.
Erano
passati solo due anni da quando avevo ricevuto l’armatura, e da allora non
avevo mai visto un campo di battaglia in vita mia.
Ma
proprio quando stavo cominciando a credere a tutte quelle voci secondo cui
essere un legionario voleva dire oziare e bivaccare tutto il giorno tra parate,
guardie d’onore e altre sciocchezze simili in attesa di congedarsi e usare i
cinque anni di paga per aprirsi un’attività o comprare un po’ di terra, ecco
che puntuale era arrivata la fregatura.
Prima
mi avevano mandato ad Eirinn, proprio ad un tiro di lancia dal confine più
caldo di Saedonia, –non erano le regioni dell’est
dove si combatteva giorno e notte coi baroni ribelli, ma neanche le ronde sotto
il caldo sole di Floradis– ed ora stavo marciando con
tutta la mia unità dritto in bocca ad una massa di schiavi infuriati.
Il
Generale Ron che ci guidava ci aveva arringati
dicendo che era una cosa da niente, che avremmo macellato in allegria un po’ di
straccioni per poi tornarcene a casa senza un graffio, ma chissà perché io non
riuscivo ad essere così ottimista.
Le
voci che giravano tra i miei compagni, tenute faticosamente a bada dai nostri
centurioni, raccontavano una storia ben diversa; si diceva che ci fosse un
umano, un tipo tosto a guidare la rivolta, e che date le premesse non era da
escludere se oltre che con gli schiavi avremmo dovuto fare i conti anche con
gli abitanti della regione, che tutto erano fuorché amanti dell’Impero e dei
suoi eserciti.
«Non
preoccuparti.» continuava a ripetermi mio fratello Darius,
che all’alba del terzo giorno di viaggio marciava al mio fianco
«La
fai facile. Per te non sarà la prima battaglia.»
«Non
c’è motivo di essere così teso. Sono solo una banda di predoni. Ci basterà
ucciderne qualcuno e gli altri si butteranno in ginocchio chiedendo pietà.
Fidati, non la si potrà neanche definire battaglia.»
Eravamo
quasi arrivati al punto in cui avremmo dovuto lasciare la Via Imperiale per
marciare contro il ghetto, quando un esploratore inviato a controllare la
situazione tornò indietro informando il comandante che c’era un esercito di
almeno seicento guerrieri ad aspettarci poco lontano.
«Sono
forse impazziti?» sentii dire al Generale Ron
«Pensano sul serio di poterci affrontare faccia a faccia?»
Effettivamente
per essere reclute noi eravamo più del triplo rispetto a loro, e persino io
sapevo che con un tale vantaggio numerico e potendo contare su armi ed
equipaggiamento migliori sarebbe stata una passeggiata avere ragione dei
nemici.
Ma
il Generale non era tipo da sottovalutare il nemico, e ci fu ordinato di
proseguire la marcia in formazione da combattimento, a passo lento e con le
armi pronte.
Procedemmo
così per qualche ora, fino a che svoltata una curva trovammo gli schiavi
ribelli asserragliati su di un basso colle che dominava la strada.
Era
come aveva detto mio fratello; più che un esercito nemico sembravano
un’accozzaglia eterogenea di animali su due zampe male equipaggiati, che
sventolavano con orgoglio un vessillo di stracci a forma di bandiera.
La
maggior parte di loro era armata di una semplice lancia –alcuni addirittura non
brandivano altro che dei bastoni appuntiti– e con giusto qualche strato di
cuoio rattoppato a fungere da armatura. Malgrado ciò apparivano stranamente
disciplinati, e mentre ci disponevamo in formazione di fronte a loro non si
mossero né aprirono bocca, restando immobili a fissarci.
Ad
un tratto un cavallo bianco sbucò da dietro lo schieramento con in sella un
giovane dallo sguardo penetrante, vestito in modo semplice ma rispettabile, e
salutato con rispetto dai ribelli.
Doveva
essere sicuramente quel Daemon di cui tanto si parlava.
Potei
scorgere il Generale Ron che accoglieva il nuovo
venuto con una smorfia di disgusto, rispondendo con un moto di stizza alla
richiesta del suo attendente di inviare un ambasciatore ai rivoltosi per tentare
di risolvere la questione pacificamente.
«Niente
discussioni. Niente trattative. Passate parola. Chi sgozza più schiavi avrà una
promozione. E chi mi porta la testa di quel bastardo di Sceriffo lo faccio
Centurione.»
Gli
arcieri furono mandati avanti per primi, protetti sui fianchi da due piccoli
plotoni di soldati semplici.
I
ribelli non risposero alla loro avanzata, osservandoli in silenzio mentre a
passo di marcia coprivano lo spazio necessario per arrivare a distanza di tiro.
«Soldati
dell’esercito imperiale!» tuonò l’umano a cavallo quando mancavano pochi passi
al punto di lancio ottimale. «Se tenete alla vostra vita non fate un altro
passo! Ripiegate le vostre insegne e tornate indietro! Noi non abbiamo
intenzione di combattere, ma se provocati non ci fermeremo finché non sarete
tutti morti!»
Chiunque
altro si sarebbe visto ridere in faccia di fronte ad una ostentazione di forza
così apparentemente fuori luogo, ma quel tipo emanava una tale aura di
supremazia che io stesso di fronte a quella minaccia sentii un brivido alla
schiena.
Anche
gli arcieri parvero esitare, ma i loro ufficiali li spronarono a continuare
nell’avanzata.
Erano
arrivati in posizione e si stavano preparando a scagliare la prima raffica di
frecce, quando la prima linea degli schiavi si aprì come il sipario di un
teatro, rivelando dietro di essa sei grossi cannoni posizionati su degli
affusti in legno massiccio provvisti di ruote.
«Fuoco!»
Il
boato fece quasi tremare la terra e decine dei nostri compagni caddero a terra
travolti da pesanti palle di metallo che rimbalzando o rotolando sul terreno in
pendenza si portavano via gambe, braccia e teste.
«Riformare
i ranghi! Rispondete al fuoco!»
Confusi
e spaventati gli arcieri tirarono, ma nel mentre alcuni schiavi avevano già
iniziato a lavorare per ricaricare i cannoni, e dal momento che tutti quanti
portavano dei grossi scudi di legno dietro la schiena solo due o tre furono
colpiti in maniera significativa.
«Bordata
numero due, fuoco!»
La
seconda salva fu anche peggiore della prima, colpendo nel mucchio con
terrificante precisione e uccidendo o mutilando decine di soldati.
Una
di quelle palle continuò a rotolare fino a raggiungere il nostro schieramento;
Marcus, un mio compagno di carte, istintivamente mise il piede per fermarla, e
un attimo dopo lo vedemmo portato dietro le linee dai suoi compagni urlante di
dolore, con la gamba tranciata dal ginocchio in giù.
«Fate
avanzare la fanteria!» sbraitò il Generale alla vista dei reparti di arcieri
che, alla terza bordata, scappavano via quasi dimezzati.
Stretti
in formazione, coprendoci come potevamo con i piccoli scudi ovali da ausiliari,
iniziammo a procedere in avanti con le lance in resta, ma eravamo tutti così
spaventati all’idea di vederci piovere addosso quelle cannonate infernali che i
nostri ufficiali dovettero minacciarci di tremende punizioni per riuscire a
tenere nei ranghi i più giovani e inesperti.
Avanzammo
a passo doppio, coprendo in pochi istanti la distanza necessaria a risultare
teoricamente troppo vicini per poter essere efficacemente presi di mira dai
cannoni.
«Ormai
il più è fatto soldati! Anche se sparassero non riuscirebbero mai a colpirci
efficacemente!»
E
allora perché stanno ricaricando?
Stavolta
però era diverso, e invece che con palle di ferro sembrava stessero caricando i
cannoni con delle sfere più leggere, fatte di terracotta o d’argilla.
Se
solo avessimo saputo cosa stava per pioverci addosso; letteralmente.
Eravamo
praticamente a ridosso dei cannoni, stavano per comandare il passo di carica,
quando quel Daemon alzò il braccio.
«A
mitraglia, fuoco!»
Dalla
bocca dei cannoni si sprigionarono un frastuono ed un fumo molto strani, quasi
un’esplosione di polvere, e decine di noi caddero sull’erba tutti insieme con i
loro corpi ricoperti di buchi e ferite.
Non
so per quale miracolo io ne uscii illeso, ma purtroppo mio fratello non ebbe la
stessa fortuna; tre grossi pezzi di metallo lo colpirono in pieno torace
sventrando l’armatura e quasi trapassandolo, un altro rimbalzò sullo scudo
ferendomi di striscio a una gamba, un altro ancora invece gli entrò dritto
nell’occhio destro sbucando fuori dall’altra parte e facendomi schizzare in
faccia un getto di sangue.
«Darius!»
Nello
stesso momento in cui arrestavamo l’avanzata un gruppo di balestrieri sbucò
fuori da dietro la linea dei mostri, ma eravamo tutti troppo confusi e
spaventati per realizzare che si trattava di soldati imperiali.
Si
disposero su due linee, la prima in ginocchio e la seconda in piedi, puntando
le armi dritte contro di noi.
«Balestrieri,
tirare!»
Disorientati,
scollati e vicini com’eravamo venimmo colpiti a decine, ma ancora una volta gli
dei furono dalla mia parte e venni risparmiato.
Quindi
fu il momento della loro fanteria, che ci piombò addosso con la forza di una
valanga ingaggiandoci in un corpo a corpo che si trasformò ben presto in un
massacro.
Il
colpo finale lo dette una seconda ondata, anche questa di soli mostri, che
sbucando da dietro il colle si scagliò contro il nostro fianco destro; lo
guidava una giovane ragazza vestita come un’amazzone di Torian,
con la pelle e i capelli scuri, una lunga coda e un paio di corna arricciate.
Perché?
Perché sta succedendo tutto questo? Io non voglio morire! Mamma! Papà! Fratello
mio!
Vanamente
tentammo di resistere, ma ormai la paura ci aveva completamente sopraffatti e
nel giro di pochi minuti fummo messi in rotta, dandoci ad una fuga disperata
prima che la manovra di accerchiamento messa in atto dai nemici potesse
tagliarci fuori dal resto della nostra armata.
Mentre
scappavamo ignorando persino le intimazioni del Generale Ron
di tornare a combattere potevamo sentire alle nostre spalle le urla di vittoria
dei mostri, seguite da un invito da parte del loro comandante a non avere
paura, che eravamo stati mandati a morire in nome di un impero a cui non
importava niente di noi, e che chiunque avesse voluto combattere per un’altra
causa sarebbe stato il benvenuto.
Inutile
dire che quelle parole presero subito a trapanarmi il cranio come l’attrezzo di
un cerusico, e qualcosa mi diceva che non ero l’unico ad avere di quei
pensieri.
Ci
avevano sempre detto che la fedeltà all’Impero era l’unico ideale che valesse
la pena difendere, e che dare la vita per Saedonia
era il più grande onore a cui un uomo potesse aspirare.
Teoricamente
non avrei dovuto provare altro che odio verso quei mostri che avevano ucciso
l’unico parente che mi fosse rimasto, ma allo stesso tempo non riuscivo a non
pensare ai nostri vecchi compagni ora schierati contro di noi, che non ci
avevano pensato un attimo a spararci addosso e che durante la nostra fuga avevo
visto esultare e abbracciare i mostri come fratelli.
Poteva
davvero esistere un mondo del genere? Un mondo in cui umani e mostri potessero
lottare fianco a fianco per un bene comune, in cui poter credere al punto da
essere pronti a puntare le armi contro i propri vecchi amici?
Disertai
quella notte stessa, allontanandomi dal campo assieme ad altri cinque miei
amici. Due di loro non fecero neanche cento passi prima di sfilarsi le insegne,
l’armatura e le armi e darsi alla macchia, mentre io e gli altri tre ci
dirigemmo verso il luogo della battaglia per consegnarci al nemico sperando
nella bontà delle loro promesse.
Non
fummo delusi.
Appena
raggiunto un piccolo avamposto lungo la strada popolato in egual misura da
mostri, civili umani e qualche legionario fummo rifocillati, abbeverati e
quindi portati sotto scorta al campo principale, allestito con tutte le
accortezze di un accampamento militare sullo stesso colle sul quale eravamo
stati massacrati.
Fu
allora che potei vederlo faccia a faccia: Daemon Haselworth. Vedendolo così,
disceso dal suo cavallo bianco, non sembrava altro che un giovane uomo
qualunque, ma i suoi occhi erano raggi di luce che scrutavano nell’anima, e le
sue parole così potenti nella loro apparente semplicità da arrivarci
direttamente al cuore.
Ci
disse che per quanto lo riguardava noi non eravamo suoi nemici, che lui e i
suoi seguaci avevano preso la spada per ribellarsi ad un Impero in cui nessuno
di loro credeva più, e che il loro scopo era costruire un mondo nuovo in cui le
disuguaglianze sarebbero state abolite e tutti, umani, mostri e semiumani,
sarebbero diventati uguali davanti alla legge.
Allo
stesso modo però fu molto chiaro, per non dire minaccioso nell’avvertirci che
la giustizia sarebbe stata rapida e implacabile verso tutti coloro che avessero
anche solo pensato di tradire la causa, e che come avevamo sperimentato sulla
nostra pelle non ci sarebbe stata pietà per chi fosse determinato a mettersi
sulla loro strada.
Avremmo
dovuto puntare le armi verso i nostri vecchi compagni, e qualora fossimo caduti
vivi nelle mani del nemico era molto probabile che saremmo stati decapitati
seduta stante come i disertori che ai loro occhi eravamo.
«Se
accettate sarete i benvenuti. Ma chi non se la sente o non crede di poter
arrivare fino in fondo se ne vada ora. Vi daremo cibo e acqua per cinque giorni,
cinquanta goldie e un salvacondotto per raggiungere Connelly o l’Unione, poi
starà a voi decidere cosa fare. Allora? Qual è la vostra decisione?»
Per
quanto mi riguardava, la mia l’avevo già presa da un pezzo.
L’ultima volta che avevo visto un
campo di battaglia ero seduto sul retro di un carretto e fissavo sconsolato la
pianura di Waterloo, immaginandomi le facce di Wellington e Blucher
che si godevano la scena dalla cima del colle di St. Jean.
Da
tanto aspettavo di sentire nuovamente scorrermi nelle vene il fremito che solo
la battaglia riusciva a darmi, e quando finalmente le armi tacquero fui felice
di constatare due cose: che non avevo perso il mio talento nell’ispirare e
direzionare gli uomini, e che quegli stessi uomini al momento fatidico avevano
dato ottima prova di sé.
Anche
se era stata più una scaramuccia che un vero scontro i risultati erano comunque
apprezzabili, e lo provava il fatto che quando la musica si era fermata avevamo
contato solo diciassette morti contro i duecento e più subiti dal nemico.
Per
un attimo avevo temuto che Septimus e i suoi uomini avrebbero esitato a sparare
contro i loro compagni nel momento in cui se li fossero trovati davanti, e
anche per questo avevo preferito impiegarli come balestrieri piuttosto che in
prima linea.
E
invece non mi avevano deluso, dimostrando una volta di più come la
reincarnazione non avesse tolto nulla alla mia capacità di smuovere le
coscienze.
«Lo
conoscevi?» chiesi notando l’espressione con cui Septimus fissava ciò che il
tiro a mitraglia aveva lasciato di uno dei legionari nemici
«Si
chiamava Darius. Abbiamo fatto l’addestramento
insieme.»
«Mi
dispiace. La guerra è un affare sporco, specie se la si fa contro chi si
conosce.»
«Eravamo
entrambi in corsa per la promozione, ma lui l’ha rifiutata per restare vicino a
suo fratello. Spero che almeno lui se la sia cavata.»
«Qualora
fosse tra quelli che decideranno di arrendersi ti prometto che gli riserveremo
un trattamento di favore.»
«Ti
ringrazio. È già difficile accettare l’idea di stare combattendo contro i
nostri amici. Almeno vorrei cercare di non doverne uccidere troppi.»
Scalia
invece era di tutt’altro umore, felice come non mai di aver potuto finalmente
mettere alla prova anni di addestramento con la spada.
«Direi
che è stata una vittoria completa.»
«Sicuramente,
ma non montiamoci troppo la testa. Neanche il Governatore commetterà due volte
lo stesso errore. Stavolta erano reclute e ausiliari, alla prossima manderà
l’esercito.»
Mentre
i soldati ripulivano il campo di battaglia dai caduti allestimmo un
accampamento a tempo di record, riunendomi con Scalia e Septimus nella tenda di
comando per pianificare la prossima mossa.
«Ora
che facciamo?» domandò Scalia. «Puntiamo subito al Castello?»
«È
ancora presto. Non abbiamo né le truppe né la forza per assediare quella
fortezza. Dopo la batosta che gli abbiamo inferto però ci metteranno un po’ a
riorganizzarsi e a lanciare una nuova offensiva. E noi ne approfitteremo.»
«Come
suggerisci di agire?» chiese Septimus
«Faremo
come i serpenti. Strangoleremo il nemico fino a farlo soffocare. Fino a quando
il Castello avrà accesso alle proprie rotte di rifornimento avranno sempre un
vantaggio rispetto a noi. Pertanto sfrutteremo il momento e colpiremo qui, a Basterwick. La città è un punto di passaggio obbligatorio
per i carichi diretti al Castello. Se la occupiamo, a Ron
e al Governatore resterà solo la vecchia strada ducale che passa a nord
attraverso le montagne, e che sicuramente sarà ancora bloccata dalla neve.»
«Ma
ho sentito dire che a Basterwick sarebbe scoppiata
un’epidemia.»
«Infatti
non ho intenzione di correre rischi. Da ciò che ho potuto scoprire la piaga che
ha colpito la città colpisce solo gli umani. Quindi porterò con me solo il
quarto battaglione.»
«Ma
sono meno di cinquecento soldati.»
«Scalia
ha ragione. Tra la milizia e la guarnigione parliamo di almeno duemila uomini che
difendono Basterwick, e il Centurione Mannio che comanda la guarnigione è un tipo sveglio.»
«Avete
ragione. Se si parlasse di un assedio non ci proverei neanche. Ma a differenza
di Dundee Basterwick non possiede un forte
indipendente, e con un’epidemia in corso non si arrischieranno certo a
rinchiudersi in città. Dovranno lottare in campo aperto.»
«Ben
detto Daemon! E poi avremo i cannoni dalla nostra parte! Quei maledetti
voleranno per aria come tante scintille!»
«Ti
sarei grato se la cosa non ti entusiasmasse troppo. Quei maledetti, come li
chiami tu, sono spesso poveracci che fanno solo il loro dovere. Senza contare
che tra di loro ci sono anche molti miei amici.»
«Calmatevi
tutti e due. Septimus, ti ho promesso che avrei dato a chiunque la possibilità
di arrendersi per avere salva la vita e continuerò a farlo. Che altro puoi
dirmi di questo Mannio?»
«Ho
servito per un po’ sotto di lui, e come ho detto è un ufficiale in gamba. Un
veterano della Guerra del Flor con il Principato di
Connelly. I soldati lo rispettano, si fidano cecamente di lui, e lui li
ricambia preoccupandosi costantemente per loro. Il problema anche stavolta sono
la milizia locale e il loro comandante.»
«Sì,
lo conosco. Van Lobre. Dall’anno scorso è anche
diventato sindaco. I suoi latifondi occupano da soli un terzo della regione di Basterwick. Ma come ufficiale è un idiota che non saprebbe
distinguere una picca da un bastone. Ce la caveremo. E per rispondere a te
Scalia, no. Non porteremo con noi i cannoni.»
«Per
quale motivo?»
«Ci
sono voluti due giorni per portarli qui, a meno di dieci miglia da Dundee. Se
ce li portiamo dietro non faremmo mai in tempo a prendere Basterwick
prima della nuova offensiva. Septimus?»
«Dimmi.»
«Anche
tu dovrai spostarti. Qui siamo troppo esposti, servirà una posizione dove poter
annullare il vantaggio numerico quando Ron tornerà
qui assieme a tutta la legione. Il posto ideale è qui, al passo di Chateroi. Attenderai l’arrivo dei nuovi battaglioni da
Dundee, quindi tu e Oldrick vi posizionerete in
questo punto, nei pressi del villaggio. Una volta occupata Basterwick
vi raggiungeremo e ci riuniremo a voi.»
«Sarà
fatto.»
«Passa
parola Scalia. Il tamburo suona alle quattro. Tutti i mostri devono mangiare e
andare a dormire entro due ore. Li voglio riposati e motivati, perché marceremo
ininterrottamente fino a Basterwick. Dobbiamo essere
lì tassativamente entro dopodomani.»
«Per
quale motivo?»
«Perché
sarà il momento perfetto per la nostra vittoria.»
Nota dell’Autore
Salve
a tutti!
Come
promesso, eccomi di nuovo qui con il secondo volume della mia light novel isekai “Napoleon
of Another World!”, in cui si narrano le avventure di
Napoleone Bonaparte che, dopo la morte, viene fatto rinascere in un nuovo mondo
con l’incarico di salvare il continente di Erthea dall’avvento del Re dei
Demoni.
Ringrazio
tutti quelli che vorranno leggere e farmi sapere le loro considerazioni.
A
presto!^_^