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Autore: udeis    23/08/2023    0 recensioni
La storia del destino di un regno e di chi ne è stato artefice e compartecipe.
1. Re -Io, che preferii l'azione a un'immobile sconfitta, misi in moto gli ingranaggi del fato di mia spontanea volontà.
2. Figlia dell'inverno - Nessuno sembrava amare l’inverno, così iniziai a detestarlo anche io perchè mi aveva fatto diversa da tutti gli altri.
3. Strega - I suoi occhi neri come la notte come fuoco consumano il mio animo.
4. Fame - Avevo fame e mi sarei nutrita ad ogni costo.
5. Quello che ho perso - in poche e semplici parole avevano negato il mio sacrificio, non gliel'avrei permesso.
6. Appartengo alla terra - appartengo alla terra e alla terra tornai tra pianti e maledizioni.
7. Il principe che venne da lontano - C’era una volta un principe in cerca di una terra da poter chiamare sua
8. Dea - io ricordo solo le donne che mi videro
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Il principe che venne da lontano

C’era una volta un principe che venne da un paese lontano, in cerca, più di tutto, di una terra da poter chiamare sua. Giunse insieme al suo seguito: giovani in cerca di avventura, determinati a conquistare onori e gloria.
Sulla strada incontrò un vecchio pescatore che piangeva sulle rive di un fiume. Il cavaliere impietosito dalle sue lacrime si fermò a chiedere spiegazioni: “Vecchio” disse “sei magro come un chiodo e a stento ti reggi in piedi, perchè non prendi del pesce così che tu possa cibarti?”
“Messere” gli rispose costui “La piena ha rovinato campi e raccolti e trascinato via la mia barca, arenandola al centro del fiume, là dove sorge l'isola dalle sabbie bianche. Nessuno ha il coraggio di sfidare il fiume ancora gonfio di pioggia e fango: così sono tre giorni che io e la mia famiglia soffriamo la fame.”
“Recupererò la vostra barca per voi, pescatore,” Promise il principe “e dividerò con voi le mie provviste, affinché voi e i vostri cari non dobbiate più preoccuparvi” e detto ciò, si tuffò nel fiume.

Le onde erano alte, frequenti e cariche di fango e terra che lo appesantivano e rischiavano di farlo affogare.  La corrente era così impetuosa che il principe doveva fare almeno dieci bracciate per restare sul posto. I compagni del cavaliere urlavano e strepitavano dalla riva, pregandolo di tornare indietro, ma lui, al contrario, faceva sforzi ancora più vigorosi: nuotava e nuotava senza mai arrendersi e alla fine riuscì a raggiungere l’isola.

In quattro e quattr’otto recuperò la barca e, siccome i remi erano andati dispersi, si immerse nuovamente in acqua tenendola sopra la testa. Il cavaliere era stanco e l’acqua scura del fiume sembrava ancora più insidiosa al ritorno: per tre volte la corrente cerco di strappargli via la barca dalle mani, per tre volte rami e detriti lo colpirono duramente, per tre volte il fango minacciò di portarlo a fondo e annegarlo. Ogni volta però il cavaliere, inaspettatamente, ce la faceva: rafforzava la presa, sfruttava i rami secchi per darsi una spinta maggiore, riemergeva, la faccia scura di fango, dopo interminabili minuti di agonia. Gli astanti seguivano l'impresa con il fiato sospeso e accoglievano ogni suo successo con grida di gioia e incitamenti e ogni suo fallimento con altrettanto sconforto e paura.
Una volta a riva, il principe consegnò la barca al pescatore e divise le provviste con la sua famiglia, poi, augurò loro buona fortuna e tornò ad incamminarsi verso la montagna.
“La vostra bontà d’animo mi colpisce, messere” lo fermò il vecchio prima che si allontanasse troppo, “lasciate allora che in cambio vi dia tre doni. Vi appartengono perchè la vostra generosità e il vostro coraggio ve ne ha resi degni. Il primo,” disse il pescatore, porgendogli una perla opalescente, “Contiene un grande potere e te lo donerà se ne avrai davvero bisogno.  Il secondo,” aggiunse, tendendogli una piccola fiasca “contiene l’acqua di questo stesso fiume. Si dice che abbia il potere di calmare gli animi sconvolti dalla rabbia, il terzo” terminò il vecchio, mostrandogli un vecchio specchio di madreperla, "ti permette di vedere il vero. Usali sempre con saggezza”.
Il cavaliere accettò i doni, commosso, ringraziò e si rimise in viaggio. 

Cammina e cammina il principe arrivò in un villaggio ai piedi della montagna. Aveva un'armatura scintillante, armi ben affilate e un portamento fiero: molti videro nella sua venuta un’opportunità per liberarsi del giogo del drago che da anni tiranneggiava quelle terre. 
“La strada è stata lunga e inclemente, viandante," lo fermarono alcuni uomini dai vestiti ricchi e eleganti "lo posso ben dire guardando la tua armatura che non è più così scintillante come quando sei partito. La sera si avvicina ed è pericoloso viaggiare con il buio per chi non conosce queste contrade. Sii nostro ospite e riposa da noi prima di ripartire”, gli chiese quello che tra loro era il più ricco.

“Mio principe, gli uomini di questo paese parlano bene." Lo ammonirono i suoi compagni di viaggio. "la strada è stata lunga e faticosa e viaggiare con il buio è pericoloso anche per un cavaliere coraggioso come voi. Fermiamoci a riposare qui questa notte e ripartiamo domani alle prime luci. Non abbiamo fretta ed è bene dedicare del tempo al riposo. Il principe acconsentì alla richiesta e decise di accettare l'ospitalità. La sera, però, il cavaliere non si trovò davanti una tavola riccamente imbandita, come uso nelle corti quando si accolgono ospiti prestigiosi, ma solo pane e acqua, serviti in stoviglie di peltro. I notabili del paese avevano un volto grave: “Non vedete quanto è povera la nostra mensa?” Chiesero “E dire che noi possediamo campi e mulini e commerciamo in oro e in argento. La tavola dei contadini è appena sufficiente a non farli morire di fame. Ti prego nobile signore, scaccia il drago che tiranneggia queste terre e noi te ne saremo per sempre grati”.
Il buon cavaliere rispose tosto alle loro suppliche: “Giuro davanti agli Dei”, disse, “che non ci saranno più orfani e vedove uccisi dal drago possente, nè campi ridotti in cenere e uomini ridotti alla fame” e così detto, partì.

Il cavaliere si inerpicò sulla montagna fino alla caverna dove viveva il drago e lo affrontó, rivolgendogli queste parole: “Da troppo tempo gli uomini vivono nel terrore delle tue fiamme e nell’incubo delle tue zanne: i campi sono incolti, la selvaggina scomparsa, le persone muoiono di fame. Sono pronto ad ucciderti, ma se te ne andrai di tua volontà non lo farò”. Il drago, però, non ascoltò le sagge parole del cavaliere e, rugendo ferocemente, si lanciò all’attacco.
Lo scontro sembrava non avere mai fine: gli artigli affilati come lame, penetravano l’armatura del principe come se fosse burro, il morso era più letale di quello di un leone e lasciava profonde ferite quando andava a segno, le fiamme ruggenti e implacabili mettevano il principe in grande difficoltà che doveva fare dei gran balzi e capriole per non farsi colpire. Il cavaliere non voleva arrendersi, ma per quanto attaccasse il drago con la spada, non riusciva mai a ferirlo: la sua pelle era più dura del diamante e altrettanto impenetrabile. Quando ormai l’armatura del principe era stata fatta a pezzi, il suo respiro era pesante e il sangue scorreva a fiumi dalle sue numerose ferite, egli si ricordò delle parole del vecchio pescatore. Tirata fuori la perla opalescente, la inghiottì e subito si sentì invadere un piacevole calore: le ferite ricevute iniziarono a guarire, la stanchezza lo abbandonò e i suoi muscoli divennero più forti dell'acciaio. Il drago non ebbe nemmeno il tempo di sputare fuoco che il cavaliere spiccò un balzo e lo prese per il collo, sbattendogli  la testa contro la montagna finchè non morì.
Esausto ma vittorioso, il principe riportò indietro la testa della bestia come prova della sua impresa e dalla pelle si fece costruire un’armatura invincibile. Donò, infine, la carne, le zanne e gli artigli affinché gli abitanti di quella contrada potessero cibarsene e riparare le attrezzature distrutte in tempo per una nuova aratura.

Cammina cammina, il cavaliere vide all’orizzonte un gran fumo nero e avvicinandosi si imbattè in una fila di profughi: uomini donne e bambini, che avevano fagotti stracolmi e occhi pieni di pianto: "un demone malvagio devasta l'area con la sua rabbia:" pianse l'intera carovana "ogni cosa brucia e ben presto lo faranno anche le nostre case." 
"Non lascerò che siate vittime di una furia cieca e immotivata. " disse il cavaliere. "Lo affronterò e voi potrete tornare alle vostre case" .Lasciato il suo seguito ad aiutare i fuggitivi, il cavaliere si diresse verso il pericolo.

Più il principe si avvicinava all'incendio scatenato dal demone, più non erano solo gli uomini a scappare: lupo e agnello fuggivano fianco a fianco in preda allo stesso terrore e l'intera foresta crepitava in un unico lunghissimo urlo di dolore. Il principe, coraggiosamente, continuò ad avanzare: l'armatura di pelle di drago lo proteggeva dalle fiamme mentre l'elmo lo schermava dal fumo. Si diresse dove il calore era più intenso e persino la sua armatura non riusciva a proteggerlo del tutto. Là, al centro dell’incendiò, trovò due occhi pieni di malvagità che lo fissavano spietati: il demone alla vista del principe ebbe un guizzo sorpreso e scoppiò in una risata crepitante, allungando le sue fiamme fino a lambire l’armatura del cavaliere, pronto a ridurlo in cenere con il suo calore devastante. 
Il cavaliere strinse i denti e provò a convincere il demone a placare la sua furia. Offrì doni, fece promesse, lo blandì, ma la sua rabbia sembrava solo aumentare e, con lei, la potenza dell'incendio. Quando il principe, allo stremo delle forze, la gola secca e riarsa, cercò qualcosa per dare sollievo alla sua sete, si ritrovó in mano la fiasca donatagli dal pescatore. Ricordandosi delle sue parole, la stappó e ne tiró il contenuto contro il demone. Non appena l'acqua del fiume lo toccó, le fiamme si estinsero e lo spirito si ridusse a poco più di una fiammella. Ancora ardeva e crepitava, ma non era più in grado di incendiare una foresta. Ma per quanto tempo? Il saggio cavaliere non lo sapeva e così afferrò la fiammella e la imprigionò dentro una lanterna, affinché non trovasse più nient'altro da bruciare per alimentare la sua rabbia.

Il principe ricominciò a scalare la montagna e arrivato a mezza via, si fermò a riposare, ma durante la notte non riuscì a chiudere occhio: un ululato da far gelare il sangue era risuonato per tutta la vallata, riempiendo il suo breve riposo di incubi. Il giorno dopo il principe cercò qualcuno che gli spiegasse il motivo di questo strano fenomeno: sulla via incontrò dei pastori che riposavano all'ombra di un albero. Interrogati, i quattro iniziarono a parlare: “Sua eccellenza, da notti siamo tormentati da un ululato che non ha mai fine e che ci fa ghiacciare le vene dal terrore. Capre e pecore fanno il latte acido per la paura, le galline non fanno più uova. Il pane non lievita e il vino non fermenta, ogni cibo è insapore, come corteccia, riposare è impossibile.”
“Non lascerò che viviate in questo modo senza assaporare i piaceri della vita e senza poter fare il vostro lavoro.” Promise il principe, "qualunque cosa infesti questa montagna, io vi aiuterò a cacciarla”.

Per giorni il cavaliere e il suo seguito provarono a cercare nelle vicinanze ma non ebbero successo. La sera del terzo giorno, quando ormai il principe disperava di essere all’altezza della sua missione, si imbattè in un’ombra mostruosa, in agguato nella foresta.
Temendo che la stanchezza gli stesse giocando un brutto scherzo, Il principe afferrò la lanterna in cui bruciava il demone e illuminò il terreno di fronte a sé: quello che vide ghiacciò le vene persino a lui, che non aveva esitato a combattere un drago. A pochi metri, si stagliava un imponente lupo grigio, alto almeno tre metri, che ululava senza sosta: i denti gialli sfoderati in un ringhio famelico, la bava alla bocca e gli artigli che segnavano la roccia con un acuto stridio. A tentoni cercò di metter mano alla spada, ma si imbattè, invece, nello specchio donatogli dal vecchio pescatore che ancora teneva legato alla cintura. Ricordandosi delle sue parole, lentamente lo tirò fuori e vi guardò attraverso: solo allora notò che la zampa del lupo era intrappolata in una tagliola e che quello che tutti scambiavano per un ululato feroce e crudele era in realtà un grido di dolore. Con ardimento lasciò cadere a terra la spada e si avvicinò al lupo: nulla poterono artigli e le fauci contro la sua armatura di pelle di drago e, così, aiutato dalla luce della sua lanterna, in poco tempo lo liberò dalla trappola. Alle prime luci della luna, il lupo che il principe aveva aiutato, si trasformò in una bellissima fanciulla dal braccio fasciato.
“Hai la mia gratitudine, straniero, per avermi liberato dal giogo di questa trappola che da giorni, ormai, straziava le mie carni. Molti avrebbero preferito uccidere il mostro, ma tu hai mostrato compassione e ti meriti una ricompensa. Scala la montagna, là, se la sorte ti è benigna, riceverai un segno dagli dei che potrà guidarti.” L’ululato cessò e il lupo tornò da dove proveniva, mentre il cavaliere si diresse sulla cima della montagna.

Cammina e cammina il principe risalì la montagna: davanti a lui, incorniciato da cime imbiancate di neve, si estendeva un lago azzurro come cielo circondato da una marea di fiori gialli e rosa. Estasiato dalla bellezza del paesaggio il cavaliere si fermò a riposare, cullato dall'aria dolce e quieta che si respirava. Ben presto il sole tramontò dietro le montagne tingendo il lago d'oro rosso e poi fu la volta della luna di sporcare l'acqua d'argento e il cavaliere finalmente in pace, si addormentó. Quando, infine, scoccò la mezzanotte, al suono d'una musica celestiale dal centro del lago emerse un palazzo di cristallo. Alla sola vista di quella meraviglia, ogni essere umano restava senza parole e si commuoveva fino alle lacrime: così fu anche per il principe e il suo seguito, che svegliati dalla melodia, avevano assistito, incantati, a quel prodigio. I compagni del cavaliere sconvolti da sensazioni mai provate prima,  pregarono il cavaliere di restare con loro e non avvicinarsi: il principe, però, si alzò in piedi e si incamminò lungo la sottile passerella d'argento che univa la riva del lago al castello. Una volta varcato il portone il cavaliere si accorse che le pareti, che da riva aveva pensato fossero di cristallo, in realtà erano fatte di acqua che lentamente si scioglieva, scrosciando da un soffitto di ghiaccio così puro da essere trasparente. Il cielo stellato si rifletteva sull'acqua e trapuntava di stelle, pareti e soffito, come piccoli gioielli d'oro bianco, mentre un tappeto di fiori, altrettanto candidi, ornava il pavimento di petali soffici come le piume d’oca. Infine, attraverso l’acqua che sgorgava dalla parete più lontana si intravedeva la figura di una donna bellissima: la pelle chiara e i capelli scuri che scendevano fin sotto al seno.

Il cavaliere ammirò la donna per un lungo istante e subito si inginocchiò.
“Ho sconfitto il drago che infestava le tue terre, sedato la rabbia del demone del fuoco e liberato il grande lupo grigio. Costruirò dighe e canali per far rifiorire la terra e la popolerò di uomini che la possano amare. Permettimi di regnare su queste terre, la crescerò come un figlio.”

“Ti è permesso.” Rispose la creatura nella cascata: “ Ti donerò io stessa una sposa. Insegna ai tuoi figli l’amore per ciò che governano, Estalere, insegnalo al tuo popolo e il regno sarà tuo.”

 
  
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