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Autore: Lizzyyy02    24/08/2023    0 recensioni
“Uraraka si voltò come a rallentatore. Non era possibile, doveva essere uno scherzo. Magari aveva battuto la testa nella battaglia e tutto questo non era altro che un sogno. Anzi, un incubo. Ma il bruciore ancora persistente delle ferite e l’immagine di un Bakugo a dir poco furioso di fronte a lei, erano così vividi che qualsiasi speranza crollò al suolo. Così come lei stessa, che si lasciò cadere di nuovo con le ginocchia nella sabbia. Era su quella che sembrava un’isola deserta, circondata dal nulla, senza sapere come diavolo ci fosse arrivata o come fare per tornare indietro. Insieme. A. Bakugo.”
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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20 minuti. Mezz’ora. 40 minuti.
Ochaco si era obbligata a tenere conto del tempo che passava, non solo per non perdere completamente il senso della realtà, ma anche per capire da quanto Bakugou fosse sparito nel mezzo di quella fitta vegetazione che si ergeva incontaminata al centro di quell’isola. 
Inizialmente non se ne era fatta un così grande problema, era troppo arrabbiata con lui: per come le aveva risposto, per dover essere odioso anche in una situazione come quella. Poi, dopo il primo quarto d’ora, aveva osato avvicinarsi cauta verso quelle palme alte e quei fitti cespugli, mossi placidi dalla brezza marina. Avrebbe dovuto addentrarsi anche lei? E per cosa? Sicuramente anche in una situazione di pericolo Bakugou non avrebbe voluto il suo aiuto. 
E poi cosa poteva esserci lì di così pericoloso da rappresentare una minaccia per lui? 
Così era tornata a sedere sulla sabbia granulosa, ma lo shock iniziale era passato, e il dolore alle ferite, inizialmente sopito dall’adrenalina, era tornato a farsi sentire. 
Si era alzata in piedi, camminando in cerchio, ma il dolore era una costante, così come i pensieri.
Maledizione.
Ora erano 50 minuti. Quasi un’ora. 
Sospirò ancora, arrendendosi ed entrando in quella vegetazione fitta. 
Per la maggior parte si trattava di palme, ma più si allontanava dalla spiaggia, più la sabbia spariva per lasciare posto a terreno e la flora variava. Non sapeva bene cosa fare tranne continuare a camminare. Forse aveva sbagliato, forse sarebbe stato più cauto aspettarlo lì sulla spiaggia. 
Ma non ce l’avrebbe fatta a rimanere lì inerme un secondo di più. Il tarlo del dubbio si era insinuato e non la lasciava andare: ci stava mettendo troppo tempo. 
Forse davvero si trovava in pericolo, forse la sua supposizione di prima si era rivelata giusta e quell’isola non era che l’invenzione di quel Villain, che avrebbe potuto cambiarla a suo piacimento. Magari si era trovato a scontrarsi contro qualcosa che il Villain aveva messo lì.
O forse stava davvero solo perlustrando la zona, non curandosi del fatto che l’avesse lasciata lì sulla spiaggia a preoccuparsi.
Ma preoccuparsi per cosa, poi? Cosa mai ci sarebbe potuto essere su quell’isola che avrebbe potuto rappresentare una minaccia per lui?
Continuava a ripeterselo. Non era più una domanda retorica quanto un modo per tranquillizzarsi.
Accelerò il passo.
Più andava avanti più sembrava essere in un bosco che in un’isola. Lentamente, un altro suono si confuse con la brezza che scuoteva dolcemente le chiome; decise di seguirlo, accontentando il suo istinto, e dopo pochi metri apparve davanti ai suoi occhi altra rilucente acqua. Ma non si trattava di mare.
Era una sorgente. Scorreva raccogliendosi in un piccolo lago cristallino. Sembrava l’ambientazione di una fiaba, la casa delle ninfe negli antichi miti.
Si avvicinò quasi in trance, come una falena attratta dalla luce. Arrivò sul bordo, piegandosi sulle ginocchia e immergendo una mano. Era gelida nonostante il caldo torrido. Ed è li che lo vide: era a torso nudo, chinato, seduto sulla riva opposta a dove si trovava lei. I guantoni e tutti gli upgrade della sua tuta erano abbandonati accanto a lui. Sembrava stesse lavando qualcosa in acqua. Beh, “lavare” era un parolone se riferito a quello sfregare energico e ripetitivo accompagnato da grugniti e diverse imprecazioni. Doveva star cercando di rimuovere il sangue che macchiava la parte superiore della sua hero-suite. Ma Ochaco l’aveva vista strappata sulla schiena…anche volendo, non avrebbe potuto riutilizzarla. 
Lui sembrava non essersi accorto della sua presenza, gli occhi rossi affilati puntati solo sull’indumento, sul quale stava sfogando tutta la sua ira. Uraraka si rimise in piedi, continuando a fissarlo. Era uno spettacolo strano, la presenza del ragazzo stonava in quell’angolo di paradiso, eppure allo stesso tempo…Ochaco ne era quasi incantata. I raggi del sole colpivano il suo corpo perfetto e scolpito da tutti quegli allenamenti insostenibili. I muscoli delle braccia e delle spalle si tendevano e rilassavano a intermittenza, sfregando la maglietta; sembrava dovesse distruggerla in mille pezzi invece che pulirla dal sangue. Solo quando fu a pochi metri da lui si rese conto di essersi effettivamente avvicinata. Percorse gli ultimi passi che la separavano da lui senza pensarci troppo. Ora era palese che si fosse accorto della sua presenza, eppure non alzò lo sguardo. Si limitò a smettere di muovere freneticamente le mani in quell’acqua cristallina, solo i suoni di quel boschetto a rompere il silenzio. Uraraka prese fiato per dire qualcosa, qualsiasi cosa. Ma, sorprendentemente, la precedette.
«Ce ne hai messo di tempo» Fece, semplicemente, per poi riprendere da dove si era interrotto.
La ragazza sentì montare il nervosismo «Ti ricordo che mi hai abbandonato su quella spiaggia per un’ora. Ero…» Si interruppe, le sue intenzioni bellicose scemarono. Non era certa se rivelarglielo, ma alla fine si arrese «ero preoccupata per te».
Bakugou fece uno sbuffo di risata «Tsk. Come se servisse. Mi stai per caso sottovalutando, Faccia Tonda? Per qualsiasi cosa qui, sono io la minaccia» Ringhiò. Sembrava il suo ennesimo modo di essere odioso, ma forse, ben celato, vi si nascondeva anche un modo per tranquillizzarla. Ochaco scosse la testa. Ricordati di chi stai parlando.
«Cosa stai facendo» Gli fece, cambiando discorso. Il silenzio con lui era insopportabile.
Per tutta risposta alzò gli occhi al cielo. «Hai perso la vista?»
«Non capisco il senso di lavare una maglia non più utilizzabile» Rispose a tono.
«Grazie al cazzo. Non la sto pulendo per rimettermela. La uso come fottutissima benda»
In effetti era scontato. La ragazza lasciò di nuovo cadere lo sguardo sulla sua schiena, solo che sta volta quello squarcio cadde in secondo piano, troppo distratta da quei dorsali, quelle spalle. Subito distolse gli occhi, imbarazzata. Doveva smetterla. 
D’improvviso tolse le mani dall’acqua, strizzando il tessuto. Pareva avesse deciso che fosse abbastanza pulito. Ma la ferita non lo era.
«Cosa fai?»
«Ancora? Hai problemi di comprensione?»
«No, intendo, non puoi bendarla così»
«Invece posso, e lo farò»
Con un movimento secco la ragazza staccò una manica della sua hero-suite, il tessuto ormai sgualcito, facile da strappare. Imitò i suoi gesti di poco prima, immergendola in acqua. La fece riemergere, e si avvicinò a lui.
«Che diavolo pensi di fare?»
«Ti aiuto a pulirla»
«Non mi sembra di avertelo chiesto» Grugnì. La voce bassa dai toni rabbiosi, gli occhi ridotti a fessure. Uraraka tentennò. Quello era il Bakugou che conosceva ormai da tempo: quello irascibile, testardo, cocciuto e…beh, di cui aveva timore. Eppure, allo stesso tempo, era un Bagugou che apparteneva al passato. Aveva imparato a conoscere molte più sfaccettature di lui, del suo carattere. E anche lei era cresciuta, maturata. Per questo rimase imperturbabile. L’incertezza di poco fa, dissolta.
«Dammi retta per una volta» Fece, le mani strette sulla manica dalla quale colavano ritmicamente gocce di quell’acqua cristallina.
Lui la fissò dritto negli occhi. Sembrava stesse cercando di leggerle nel pensiero, scovare l’insicurezza che stava ben celando per poter far leva su quella. Ma Uraraka non cedette. Per tutta risposta sbuffò, alzando nuovamente gli occhi al cielo. Non disse niente, semplicemente girò la testa verso il laghetto. 
Con cautela, lentamente, come stesse avendo a che fare con un animale selvatico che avrebbe potuto reagire e scattare al minimo movimento sbagliato, iniziò a passare il tessuto su quello squarcio rosso. La ferita era ancora fresca, in effetti se l’era procurata meno di due ore fa, anche se sembravano essere lì ormai da molto di più. L’acqua non avrebbe potuto fare granché, sarebbe servito del disinfettante, ma pensò almeno a rimuovere bene tracce di sabbia e piccoli grumetti di sangue. Nonostante i suoi fossero più tocchi impalpabili, lo vide affondare le dita ad artiglio nel terreno. Non poteva vedere il volto ma lo immaginava stringere i denti, quei canini pronunciati a sfregare tra loro, davvero come una bestia feroce. In un attimo di distrazione data da quei pensieri, fece una pressione leggermente più forte vicino al fianco e lo sentì trattenere un gemito di dolore. Sussultò anche lei.
«Scusami»
«Sbrigati e basta» Fece, a denti stretti.
Sentiva le guance imporporate, il cuore aveva aumentato il ritmo, non solamente per l’imbarazzo di avergli fatto male. Quel…quel verso. Era stato quello a imporporale le guance, farle stringere in un riflesso istintivo le mani intorno alla manica. Chiedendosi cosa le stesse prendendo, andò avanti, facendo più attenzione. Pensò di parlare per distrarlo.
«Hai…hai perlustrato la zona?» Subito se ne pentì. Parlando avrebbe fatto più fatica a mascherare il dolore che sentiva, e Bagugou si sarebbe scavato la fossa piuttosto di ammettere una qualsiasi parvenza di debolezza. 
Bene. Ottimo Ochaco.
Eppure, le rispose.
«Non c’è un emerito cazzo. Niente. Di. Niente» Fece, marcando le ultime parole. Sembrava quasi avesse sperato ci fosse qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse confermare l’ipotesi della gabbia fittizia.
«Mh» Mormorò lei in risposta. Aveva finito gli argomenti. Ma fortunatamente aveva anche finito di pulire il taglio.
«Dammi, già che ci sono te la metto io» Fece, riferendosi alla maglietta-benda.
«Te lo scordi. Questa me la metto io. Hai…già fatto abbastanza» Era una parvenza di ringraziamento? Uraraka scelse di interpretalo in quel modo. Era già tanto che si fosse fatto aiutare. 
Con movimenti abili e guizzi sinuosi di braccia e spalle, arrotolò la maglia intorno al taglio, riuscendo a coprirlo bene, e legando le due maniche all’altezza dello sterno. Anche così non risultava meno altero, meno…ultraterreno. Era un pensiero che le aveva attraversato la mente anche prima di quel momento: Bagugou era diverso da tutti gli altri, sembrava quasi fatto di un'altra pasta rispetto alle persone comuni, ma anche rispetto ai loro stessi compagni: nel suo fisico, nella sua attitudine, nell’aura di timore che riusciva ad ispirare nelle persone.
Di nuovo si ritrovò a cacciare via i pensieri sul suo compagno esplosivo. Doveva davvero smetterla.
Si alzò in piedi, fronteggiandola, ma solo per un attimo. Si mise a raccogliere i guantoni e gli altri oggetti della sua suite. 
«E adesso?» Uscì spontaneo ad Ochaco.
«Che cazzo ne so. Questo bosco sembra grosso ma è uno sputo, l’unica area più rigogliosa è questa, proprio per la fonte qua. Per quanto ne so è potabile» Fece.
«E tu hai deciso di lavare la maglia dal sangue proprio qui» Le uscì di getto.
L’occhiata che le rivolse la fulminò. «Ormai ero qui, cazzo. E poi non rompere i coglioni Faccia Tonda, non devo renderti conto di niente».
Lei mise le mani sui fianchi e inarcò un sopracciglio «Hai finito?»
«Tsk» Fece solamente.
La ragazza ragionò, guardandosi intorno. «Quindi siamo in un puntino in mezzo all’oceano. Almeno abbiamo acqua potabile, e poi qui intorno ho visto degli alberi con della frutta. Riusciremo a sopravvivere» Non c’è alternativa. Dobbiamo sopravvivere.
«Non me ne frega un cazzo, io non rimarrò in questo posto di merda. Invece che sprecare energie a pensare a come farti il soggiorno qui, pensiamo a un modo per andarcene» Fece, iniziando a incamminarsi verso un punto imprecisato.
Lei lo seguì. «Bakugou, anche riuscissimo a costruire una zattera, qualsiasi cosa, non sappiamo in che direzione andare, rischiamo…di morire in mezzo all’oceano» Fece la ragazza, rabbrividendo al solo pensiero.
Il ragazzo a quelle parole si fermò. Anche Uraraka, a pochi passi da lui. Era convinta le urlasse contro nuovamente, invece non disse nulla.
«Devo provarci» il tono basso, deciso ma…quasi calmo, una voce che non gli aveva mai sentito prima.
Dopo un primo sconvolgimento, scosse la testa e corse, coprendo quei pochi metri che li separavano. Lo afferrò per il braccio muscoloso, fermandolo.
«Non te lo permetterò» Iniziò, ma con uno scatto repentino, si sentì spingere finché non sentì la superficie rugosa e dura di un tronco alle sue spalle.
Bagugou torreggiava sopra di lei, il respiro pesante; gli occhi erano due braci ardenti, folli.
«Lo sai cosa significa per me, rimanere immobile qui mentre un Villain del cazzo se la ride, credendo di avermi sconfitto? Mh?!» Le Fece, a pochi centimetri dal volto. «Io non voglio stare ai suoi giochi, alle sue regole, io non sto alle regole di nessuno. Me ne andrò da qui, Faccia Tonda, e se credi di potermi fermare non hai proprio capito con chi hai a che fare» Ringhiò. Riusciva a percepire le vibrazioni della sua voce nel petto, quell’odore solo suo, dolciastro e di bruciato, la intossicava. Quelle parole la colpirono più forte di quanto avesse fatto l’esplosione che decretò la sua sconfitta al festival sportivo, di ormai diverso tempo fa, ma ancora marchiato a fuoco nella sua mente. Sentiva il corpo completamente paralizzato. Da lui, da quegli occhi. 
Sprezzante, la abbandonò in un soffio (di nuovo), riprendendo a camminare, probabilmente diretto verso la spiaggia.
Chiuse gli occhi, ritrovando la calma, e il respiro. Sentiva il suo odore farsi sempre più debole, fino a scomparire. Si fermò a riflettere su ciò che aveva detto, lasciando in secondo piano il fatto che l’avesse di nuovo lasciata da sola, completamente paralizzata da quelle parole che gli aveva sputato addosso senza pietà. 
Contava solo il fatto che lui volesse andare via da lì, in mare aperto, diretto verso morte certa. E lei l’avrebbe impedito. Ad ogni costo.
   
 
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