Hai
pensato di essere in salvo, ma l'oscurità piomba ancora
dentro di
te.
Ti
guardi intorno confusa in un ambiente che non ti è
assolutamente
nuovo; tuttavia, come ogni altra volta non riesci a identificare
nulla nel buio.
Una
brutta sensazione si blocca nel petto; è enorme da
sopportare,
perché qualcosa s'insinua nella mente, dandoti l'impressione
di
essere già stata in quel buio claustrofobico.
All'improvviso,
due occhi verdi glaciali sono l'unico dettaglio che riesci a notare.
Trascorrono pochi istanti, secondi o minuti – non lo sai, non
ne
sei certa – perché i tuoi si adattino all'ambiente.
Ora
puoi definire pochi contorni, ma bastano affinché il tuo
intero
corpo inizi a tremare.
“Finalmente
ci rivediamo, Sherry”.
Distingui
chiaramente il suo braccio proteso, la sagoma della canna della
pistola puntata contro di te.
In
questo momento riesci persino a immaginare l'espressione sul suo
volto, il ghigno sadico incorniciato dai lunghi capelli d'argento.
Stringi
le palpebre, immobile, aspettando di sentire il rumore dello sparo e
il bruciore intenso delle pallottole nella pelle.
Tuttavia,
non accade niente.
Apri
gli occhi lentamente e non riconosci più la sagoma, non vedi
nulla
intorno a te.
Allunghi
le mani per tastare le pareti di quel posto avvolto
nell'oscurità,
ma ti sembra di fluttuare nel nulla.
Stringi
le braccia intorno al petto, mentre un improvviso senso di
claustrofobia ti assale.
Lui
c'è ancora, lo senti.
Ma
non hai idea di dove sia, né di quanto possa essere infinito
quello
spazio.
Ti
volti agitata nella speranza di scorgere un'uscita, qualcosa che
possa aiutarti.
Inizi
a correre, ma all'improvviso hai l'impressione che il buio si
restringa intorno a te, risucchiandoti ogni minima energia.
La
percezione claustrofobica è enorme; non respiri e non riesci
più a
recuperare ossigeno.
“Qualcuno
mi aiuti... aiuto!”.
Apri
gli occhi all'improvviso e ti sollevi di scatto sul materasso,
inspirando a pieni polmoni.
Fai
ancora fatica ad abituarti a ciò che ti circonda, ma hai
realizzato
subito di non trovarti più nello stesso posto.
“Finalmente
ti sei svegliata”.
Un
peso improvviso sul materasso ti fa voltare appena, ancora preda
dell'affanno che sembra volerti spaccare il petto a metà.
“Kudo...
che ore sono?”chiedi appena al bambino che ti osserva,
cercando di
liberarti dalla confusione che hai ancora addosso.
“Le
tre... ti rigiravi di continuo nel sonno respirando male. Va tutto
bene?”.
Annuisci,
ma la voragine nel petto non si chiude.
La
fame d'aria sembra intensificarsi anziché diminuire; non ti
è mai
successo prima.
Le
ferite lungo tutto il corpo riprendono a far male soltanto in questo
momento; eri riuscita persino a dimenticarle.
In
particolare, quella che ti trafigge la spalla sinistra provoca strane
fitte ogni volta che cerchi di respirare più profondamente.
Ora
ricordi.
Ecco il motivo per il quale Shinichi è rimasto a dormire con
voi.
Ecco
perché hai sognato Gin così nitidamente dopo
molto tempo; lo hai incontrato realmente soltanto poche ore fa: la
pistola rivolta verso di te, il
colpo finale mai arrivato. La certezza di essere morta ancora prima
di esserlo davvero e il salvataggio dell'ultimo secondo grazie a
Shinichi che ti ha portato via in tempo.
È
tutto troppo fresco per dimenticare senza ripercussioni, avresti
dovuto saperlo.
“Stai
calma, sdraiati. La ferita potrebbe riaprirsi”.
Segui
il suo consiglio e ti fidi di nuovo, tentando ancora una volta di
placare quella situazione assurda.
“C-ci
sto provando, sai?” rispondi sprezzante in un impeto di
rabbia
improvvisa; non verso di lui, lo sai bene, ma a causa di una
situazione che non riesci a gestire. Non ce la farai mai.
Shinichi
sembra comprendere la tua difficoltà e ti appoggia una mano
sul
petto, attento a non sfiorare il cerotto poco più in
là.
“Cerca
di respirare con calma, in modo regolare. Aiutati con il movimento
della mia mano”.
Chiudi
gli occhi, ascoltandolo ancora una volta.
Va
molto meglio, ma il peso è sempre lì. Non se ne
va.
“Cos'è
successo mentre dormivi?” s'informa lui, cercando di capire
meglio.
Scuoti
la testa e fissi il soffitto, gli occhi vuoti di chi non vuole
ricordare.
“Niente...
solo un incubo”.
Riesci
a riprendere in parte il controllo del tuo corpo, ma la fame d'aria
non passa del tutto.
Il
detective rimane nella stessa posizione, attento al minimo movimento
e con il probabile timore che le tue condizioni possano complicarsi.
“Continua
così, lentamente. Devi cercare di stare tranquilla,
altrimenti
rischi di andare in iperventilazione”.
“Credo
che dopo quello che ho rischiato ieri sera non sia poi un
problema”.
Shinichi
sospira, prima di afferrarti il polso con la mano libera per
accertarsi delle tue condizioni.
Ti
accorgi che è la sua sola presenza a tranquillizzarti
davvero.
La
sola persona che riesce a tenerti in vita.
A
ridarti il respiro.
“Va
bene, continua così. Se dovessero esserci altri problemi
chiamami,
d'accordo?”.
“Kudo”.
Lui
si solleva dal letto e gli afferri immediatamente la manica del
pigiama.
Costretto
a bloccarsi sul posto, si volta stupito.
“Rimani
un po' qui? Per favore”.
Shinichi
incrocia i tuoi occhi spenti e sgrana i propri, osservandoti in
silenzio.
Dopodiché
annuisce, cercando di accantonare l'imbarazzo, e si siede goffamente
sul materasso, evitando il tuo sguardo.
“Grazie”
mormori appena, prima di chiudere definitivamente gli occhi.
Non
puoi saperlo, ma lui accenna un sorriso e rimane con te anche dopo,
assicurandosi del movimento regolare del tuo petto.
E lo avrebbe fatto sempre.