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Autore: GirlDestroyer1988    30/08/2023    0 recensioni
Ogni notte, la crema della yakuza di Tokyo prosegue (in una maniera o nell'altra) i propri loschi affari nei locali a luci rosse della città, dove cosplayers dal seno enorme di eroine e malefiche di manga/anime/videogiochi li seducono e copulano con loro. Non che le cose siano cambiate quando i Quirk si sono diffusi per il mondo dando loro un harem di Villainesses che sono più di semplici attrici in costume. Ma dove ci sono le Villainesses ci sono le Heroines, e anche loro si esibiscono in quello stesso locale.....
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Camie Utsushimi
Note: Lime | Avvertimenti: PWP
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Tokyo notturna, uno strano giorno in cui il Sole è caduto in un tritacarne commisto a un prisma, di modo che la sua luce e il suo nucleo di metallo liquido e radioattivo di 2mila kilometri si siano dispersi su ogni superficie dei grattacieli che dal basso sembrano i denti di una bocca che non si chiude mai, attraverso l’ingegnoso vetrino di Newton il suo bianco sciolto nei colori che vorticandovi dentro lo compongono. Si accendono la torre della NHK, i giganti di quasi 50 piani, nel parco di Chiyoda i polmoni degli alberi espirano l’ossigeno accumulato sotto il sole al riparo della molecolarizzazione dell’anidride carbonica. Per gli edochiani la notte è momento di riposo, viaggio senza meta sui treni senza macchinista che meravigliarono ai tempi Piero Bianucci e all’Expo di Osaka Lorenzo Gallo mandato dall’Italia a gestire la rappresentanza del Bel Paese nella città di Riyoko Ikeda e sesso. Sia quello più diretto e senza fronzoli di Kabukicho, sia gli strip club di Shinjuku come Arty Farty. È lo scrigno dei piaceri per sole donne del quartiere, i cui orgasmi silenziosi sono serbati dall’estetista a destra e il ristorante a sinistra. Non che gli importi granché l’anonimato: nonostante la compressione del vicolo dove si è venuto a trovare i neon senza veli, senza reggiseno e in merito al loro davanzale senza gravità e senza bidimensionalità sfidano il cielo buio come la bioluminescenza di un gigantesco pesce abissale la cappa di tenebra a cui comunque non può sfuggire. Gli appartamenti di queste incantatrici dal petto gonfio come una coppia di cocomeri come i loro glutei, pochissimo vestite e perennemente avvolte da nubi di profumo come i Gizmo di Murray Leinstner e dalle labbra come sanguisughe rosso bachelite intrecciate in un mutuo morso d’amore sono uggiosi, puntigliosi e odorano di ombrelli su cui è piovuto sopra e aspirapolvere da mano. In quello affacciato su Naitomachi, in stile Tetris, ricco di vetrate panoramiche, le eroine dello UA aspettavano la notte consce che era in quel momento che il crimine diventava più abbondante, e uno strip club l’attirava dov’era più semplice metterlo sotto tiro come i peduncoli di una rana pescatrice. Mina Ashido/Alien Queen, dalla pelle in grado di passare da quella di una Yukie Kagawa di Attenzione arrivano i mostri naturalmente papuana a un viola elettrico quando l’uso del suo Quirk chiamava premeva i grossi seni come cucurbitacei carapaci di granchi del cocco tropicali addosso ai vetri imitando Miho Nikaido. Lo sguardo alla strada, come tutte quelle di Tokyo un asfaltato appezzamento chiomontino dove dura poco il disordine del traffico sui cavalcavia e l’avveniristico Tokyo Bay Aqua Line e questi sentieri di pietra e biacca per decorarli con le informazioni indispensabili ai Gunnar Huttunen che vi compiono transumanze con i solerti e fidati Natsuko di Il segno della pecora di Haruki Murakami

Kyoka Jiro/Earphone Jack è anche lei seminuda e dal seno grosso e morbidamente globulare (Quirk= seno grosso e morbidamente globulare) e in un gioco di sguardi degno della Primavera di Botticelli osserva Mina che osserva la strada lambita dal parco come il sentiero dei nidi di ragno di Marcovaldo una volta che la giunta Fusaro l’avrà appiattito e lisciato a dovere con acciaio e calcestruzzo finché uno sguardo acchiappa l’altro Siamo vampire, non eroine. Le eroine sono buone.  Le vampire sono cattive. Se è di notte che agiamo non siamo più le buone perché voilà! Siamo invece vampire adesso. Almeno non dobbiamo pulire tutto lo sperma, la merda, la muffa, gli scarafaggi, le verruche, il grasso, sudore, la balanite, i funghi, i fibroma, la bava di questi bassifondi Quali bassifondi? Tokyo è pulita, sotto un epidermide di plastica idrorepellente come un documento nella sua busta trasparente. Non ci confrontiamo ogni notte con un Tomoaki Hamatsu dall’igiene ormai completamente estinta, ma con un Kazuhide Uekusa dai capelli pettinati, il mento e gli zigomi senza un pelo di barba, il doppiopetto incravattato e un alito che olezza di fiori di bosco. Oh Tsuyu, il sonnellino ha stancato anche te? Tsuyu Asui/Froppy riusciva a rendere sensuali gli anuri. Il cielo era di un grigio asfaltato e demotivante, le Heroines preferirono lasciarlo a sé stesso, dopotutto stava cominciando a piovere con minacciosi lampi ancora fermi alle nuvole più alte, recandosi alle piscine calde della maison, incluse nelle parti più basse e chete dell’edificio in cui era dannatamente piacevole sentire l’acqua a temperatura sabbia di Luglio gorgogliare nelle vasche scendendovi dentro lungo le scalette prendendo poi il largo (Tsuyu ovviamente eccelleva in questo scatto da Nancy Hoghshead) sentendosi un piacevole calore nelle ossa, assieme all’altrettanto inebriante sensazione dei capelli bagnati che come il Batman magnetizzato da Jake Baker si appiccicano flosci, fradici e compatti sulla testa muovendosi con ciascun osso di collo, schiena e gambe in elastica ondulazione accompagnate da circolari bracciate da galera di Cesare Ottaviano verso la ribollente jacuzzi, il Pappadai dentro il quale Giuseppe Saragat mandò per travaso a rallentare le bolle più roventi la zuppa del demonio dell’Italsider come l’hanno battezzata Dino Buzzati con grandiosi echi alighieriani e ripresa da Emilio Marsili nell’efficace bianco accecante, con temperature stellari di quando questa è ancora vergine nell’essere stata cucinata, con il ribollire nato dal conflitto dei due liquidi così diversi per temperatura in cui rosolare sempre meglio dell’immergersi nelle nevi del Monte Calvo che cominciavano (anticipate dai monsoni ingrossati dai venti greci che sommergono di fango il Galeso della pianura tarantina) a fioccare fuori da lì. Lungo le curve da Sagrada Familia di Joseph Jujol di quella piscina termale tutti gusti+1 c’era anche dove mettere sdraio, con adesso una fauna tutta loro: Itsuka Kendo/Battle Fist, l’elegante gigantessa dal look ’n’ feel di Shanghai, Yui Kodai/Rule, con mani magnetiche capaci di comprimere (anche con effetti distruttivi) e espandere (anche con effetti distruttivi) gli oggetti, Kiniko Komori/Shemage, la signora dei funghi, pari nel Quirk chimico a Alien Queen, Ibara Shiozaki/Vine, donna vegetale che va a farsi il bagno nel Sumida come una mitologica tennyo per non appassirsi a suon di cloro l’80% del suo corpo, Setsuna Tokage/Lizardy, con invece l’ibridazione tra l’umano e il sauriano, Reiko Yanagi/Emily, con poteri telepatici in grado di farti diventare il Dylan Dog di Horror Paradise di Claudio Castellini, la più vogliosa d’attenzione di tutte ovviamente Midnight, l’erotica Edgar Hoover ideatrice di quell’Operazione Moulin Rouge che aveva già ottenuto risultati troppo interessanti perché il resto della scena degli Heroes non ne prendesse nota. A quelle piscine, accompagnata dalle sue centurioni Camie Utsushimi/Illusio-Camie, Yu Takeyama/Mount Lady & Rumi Usagiyama/Rumi si rilassava con la grandiosità di Cleopatra affiancata dalla sua guardia di principesse e guerriere scelte

Orgoglio tutto sommato lecito, giacché finora alcune trote della yakuza (鱒魚) grandi divoratrici di tutto quanto gli arrivi alla cintura El Charro degli inappuntabili pantaloni Hugo Boss erano già cadute nella loro fine rete dei reggiseni extralarge made by Tezenis. Era ora di andare a catturare qualche squalo bruno sperando delle verdesche non interferissero? Le loro incursioni annodate a lucidi pali come vipere ispide o percorrendo i loro corpi oltre il sessualmente perfetto in gabbie come leonesse in calore non avevano (ancora) avuto battaglie con il gentil sesso prestato al lavoro sporco. Ma mai dire mai, alla James Bond. La yakuza in pink violence ha la sua storia fin dai tempi di Ocho Omasa, una spietata antieroina del folclore nipponico dell’epoca dei samurai, una Satana nel corpo di donna che farebbe arrossire persino la femminista in vena di apologie verso Leonarda Cianciulli che nel 1945 tirava a lucido tutta la provincia di Reggio Emilia. Midnight si guardò il Rolex Submariner e fece l’appello E’ ora di andare in scena bambine

 

 

Tokyo notturna, uno strano giorno in cui il Sole è caduto in un tritacarne commisto a un prisma, di modo che la sua luce e il suo nucleo di metallo liquido e radioattivo di 2mila kilometri si siano dispersi su ogni superficie dei grattacieli che dal basso sembrano i denti di una bocca che non si chiude mai, attraverso l’ingegnoso vetrino di Newton il suo bianco sciolto nei colori che vorticandovi dentro lo compongono. Si accendono la torre della NHK, i giganti di quasi 50 piani, nel parco di Chiyoda i polmoni degli alberi espirano l’ossigeno accumulato sotto il sole al riparo della molecolarizzazione dell’anidride carbonica. Per gli edochiani la notte è momento di riposo, viaggio senza meta sui treni senza macchinista che meravigliarono ai tempi Piero Bianucci e all’Expo di Osaka Lorenzo Gallo mandato dall’Italia a gestire la rappresentanza del Bel Paese nella città di Riyoko Ikeda e sesso. Sia quello più diretto e senza fronzoli di Kabukicho, sia gli strip club di Shinjuku come Arty Farty. È lo scrigno dei piaceri per sole donne del quartiere, i cui orgasmi silenziosi sono serbati dall’estetista a destra e il ristorante a sinistra. Non che gli importi granché l’anonimato: nonostante la compressione del vicolo dove si è venuto a trovare i neon senza veli, senza reggiseno e in merito al loro davanzale senza gravità e senza bidimensionalità sfidano il cielo buio come la bioluminescenza di un gigantesco pesce abissale la cappa di tenebra a cui comunque non può sfuggire. Il Giappone insieme alla Cina è un angolo d’Europa alla fine dell’Asia, alla fine del viaggio di Marco Polo. Siamo nella zona paleartica, mancano solo sessanta milioni tremilaottocentosettantasei chilometri dal Polo Nord e 7 giorni per 168 ore di viaggio, un odissea alla quale Gerardo Mercatore era coscienziosamente preparato con una lungimiranza importante anche oggi, in un mondo più piccolo di quello che conobbe. Marco Polo e prima di lui Ibn Battuta patirono il caldo del Gobi fuori luogo per un territorio vicino alla Russia le cui precipitazioni invernali raggiungono 60 cm d’altezza nella Siberia più selvaggia, fuori luogo anche per la Cina dalle innevate vette del Changbai, le piovose foreste di Zhangijaije, le fertili pianure di Chang Jiang. La parola d’ordine è acqua. Nel Gobi e nella Mongolia, per la capitale Ulan Bator scorre il Tuul Gool, per tutta la Cina essa viene fatta verdeggiare dallo Yangtze, il Fuhe, lo Yuan Jiang, il Baoxiang, lo Huangpu, fino al mare. Il Giappone è un isola che conosce l’acqua al punto da conoscere la neve. Ne sanno qualcosa gli Ainu, i pellerossa del Giappone, sempre tendenti a farsi immortalare con le proprie pesanti pellicce e le proprie zattere rompighiaccio itaomachip. Qui le piogge sono abbondanti e al contempo delicate, con tempistiche perfette, quasi decise a tavolino dal ministero dell’agricoltura (così che un edochiano non arriverà mai a dire Piove governo ladro!

 

           Addirittura sono romantiche, con un periodo preciso che va dalla terza settimana di Giugno alla terza settimana di Luglio, venendo associata alla crescita e coltivazione delle prugne. Qui crescono vaste foreste, umide e rigogliose come quella di Aokigahara, la neve non pare mai abbandonare il focoso gigante dormiente del Fujiyama, la pianura di Nobi nella prefettura di Gifu è costantemente inondata da risaie. La città-l’unico ecosistema creato dai suoi stessi abitanti-è al tempo stesso deserto, canyon, catena montuosa, foresta, savana, pianura, faraglioni, spiaggia, tundra. L’intero Giappone è una versione ingigantita della Liguria, dalle spiagge di Cogoleto alle pianure di Campomorone agli Appennini Liguri del Monte Maggiorasca, qui traslate nelle sabbiose spiagge di Sunayama, le risaie di Nobi, il gigantesco calderone di magma in attesa da 310 anni i cui orli sono perennemente nevosi del Fujiyama, con Tokyo ibrido tra i camini delle fate con i suoi grattacieli (Tokyo Opera City Tower/Matitone) e le sue rovine (il castello di Edo/Forte Sperone) dal look da muri del diavolo, persino d’estate senza mai dare quel look da deserto di Sonora di Pavia quand’è Luglio e si è in Piazza della Vittoria; l’incrocio pedonale di Shibuya ha la muschiata secchezza del forte Tenna nei boschi tridentini, quando cade la pioggia i Cuccurullo e Bollacchiano di cemento armato lasciano fluire i pluviali Aveto e Brenta lungo le loro vetrate, e il parco che Alien Queen guardava sembrava diventare più grande, crescere come le piante trovate in riva al mare da Mamma Moomin (Daniela Trapelli), incalzato dalla pioggia e il suo nero frastuono nutriente la clorofilla di alberi e siepi come l’alta marea indonesiana i ghiozzi che si nascondono nelle gallerie scavate dalle lumache marine nelle mangrovie. Le varie autostrade sono come la piana rotaliana e i suoi sentieri che-contenuti dalla Tosa, la Fradusta e del Sassolungo-vengono percorsi secondo ritmi anticamente noti solo a loro tanto dagli animali allevati dall’uomo che da quelli che non valsero nei tempi preistorici la pena di farne nostre creature, perché troppo feroci o troppo esotiche per le nostre necessità più immediate, con le auto che parimenti alle volte si ammassano rallentando la velocità e il ritmo di migrazione come cavalli che scendono dai maneggi all’ombra del Fausior raggiungendo disordinatamente (potremmo dire trentatré cavalli trentini Che entrano a Trento tutti e trentatré trotterellando?) Mezzolombardo adesso invece per maggior scarsità sono i cervi che tranquilli raggiungono le zone più tranquille della grande foresta….con sulle loro tracce i lupi, qui le tenebrose, quasi petrolifere Nissan Cima della yakuza che mostra tutte le differenze tra il Clan Kurotori (黒い鳥) e i Corleonesi, la limousine di Al Capone e quell’auto quasi da famiglia qualunque del Boss Ichiyo, Il padrino II, Scarface e Porci geishe e marinai: l’auto solitaria era solo altro traffico, nessuno sarebbe riuscito a decifrare che dentro c’era un clan, una cosca Che andava nel locale delle Heroines per discutere affari importanti. A accoglierli davanti al locale, mentre un altra auto, una Honda Accord, parcheggiava nel tetramino in uno stato di sofferenza inascoltata da far sembrare Soldier di Tatsuya Ishida il quadro più arioso della Terra vicino all’Eagle Tokyo Pub, un locale gay i cui avventori, tutti smunti cosplayers di Leorio Paladiknight (Massimo de Ambrosis) sembravano gli indiani in gabbia del giardino zoologico di Ippolito Medici, dietro a delle sbarre seduti a tavoli e sedie ignorando gli yakuza, magri e slanciati come crescioni alla stregua più di Isaac Sprague di Joe Shishido venendo ignorati a propria volta con quella camminata in abiti zebrati, occhiali neri nonostante non ci fosse un Sole giaguaro dal quale proteggere il debole ghiaccio della sclera e mani senza mignolo in tasca che faceva subito Le iene concludendo il tutto con Pinocchio di Valentino Piana in cuoio color alcaptonuria ai piedi certuni con sigarette Butoku in bocca altri con in bocca solo le loro lingue salubremente color fragola in un branco in cui il boss, l’oyabun, si distingueva a malapena: tutti gli uomini avevano capelli lisciati all’indietro in un ordine e in un uso di brillantina e cera da capelli da soffocare il pelo naturale, ma creando l’equivalente tricotico di una foresta fossile, menti rigorosamente sbarbati, zigomi piatti e quasi invisibili, mento non ingombrante e piuttosto un impercettibile vibrazione di muscoli e pelle del collo, il colore della pelle occhi a mandorla a parte con quel loro taglio nel volto da Donatello di una perfezione assoluta da occidentali nati, le mani tralasciando un dito di meno, il piccolo e sacrificabile mignolo, con quel moccolo di carne abbastanza repellente da incocciare con lo sguardo mani lisce e dal pelo domato se non per pignoleria rasato e incerettato, unghie come balconi neogotici ben coprenti il nudo muscolo della falange non sgarrando di un millimetro, generalmente una cura davvero ammirevole per gli abiti e se annusati con il buon e accettabile aroma di biancospino by Kenzotm e ascelle addirittura accorciate di qualche centimetro e ogni mattina imbellettati di deodorante Gatsby, orologio Kurono Grand Mori sul risvolto della camicia con i bottoni neri, l’emblema di quello che ogni uomo dovrebbe essere e dovrebbe apparire. Il boss appunto era identico a quei modelli maschili Jinbei ma giusto con un pò più di carne a ispessire un fisico che deve aver avuto una vita dall’alto della quale insegnare agli altri quello stare al mondo in eleganza e formalità, in formazione ma in coda del gruppo dei più giovani, con delle Villainesses, giacché una cosa che la loro ostinata osservazione da Antonio Climati e Giuseppe Rinaldi che seguono gli omicidi e massacri più efferati e violenti del mondo ancora selvaggio come James Algar e Emilio Cigoli animali resi forse troppo favolisticamente per non considerare i film del ciclo La natura e le sue meraviglie migliorati da quelli di Frederic Rossif e Luc Jacquet ci ha fatto dimenticare è che sono mafiosi. Le loro accompagnatrici, le silhouette femminili paritariamente in marcia in La Cina di Mario Ceroli erano-una volta che ogni Chishu Ryu era stato dettagliato-un pugno nell’occhio per avventata e impertinente sessualità. La dignitosa piattezza dei toraci maschili diventava con selvaggia scurrilità la coppia di cocomeri extralarge delle signorine-Needle Hair, Himiko Toga e Manami Aiba/La Brava-facenti pandan con le loro mise da spogliarelliste. Quello che era poi il loro ruolo, un essere Sophia Loren al soldo di Marcello Mastroianni e Aldo Maccione molto più temibili nonché privi di comicità, gli spietati Giulio Franchi e Zeppe ognuno di loro un pozzo senza fondo di chissà quanti crimini diversi, chissà come coibentate nell’aria raffreddatasi dopo la recentissima fine dell’acquazzone. Chi era il pappone e chi era la baldracca? Chi reggeva il guinzaglio e chi ne aveva cinto il collo con una museruola aggiuntiva per non ringhiare troppo forte? Come che fosse effettivamente lo scenario le tre malvagie erano bambolone di lusso, su cui gli sguardi di quei deambulanti Spallanzani non andavano se non per vedere gli edifici e rimpicciolirle nel loro stesso scenario con flemma: quelle erano utili pagliacci a cui era permesso vestirsi così oscenamente solo perché giustificavano quella macelleria con i loro Quirks, per il resto il loro sguardo proveniva dalla Luna, non c’era bisogno di fare i pervertiti di continuo anche perché è una cosa che stanca. Incocciarono l’Arty Farty pattugliato da una cosplayer di Stocking Anarchy che in compagna di una di Temari Nara totalmente nuda e insaccata nella lingerie con-ben distribuiti per l’altra come per lei-cocomeri ripieni extralarge e la strafottenza di chi c’è li ha nell’orto e te ne vuole far assaggiare uno spicchio. Di Pirulo Watermelon Motta. Le Villainess rimasero a guardare lo yakuza #1, Koga Nyodo e yakuza #2, Abu Rame piantare una lingua che forse per la segretezza nelle bocche dalle labbra né più né meno dei timpani tesi sulla mascella poteva, con le loro mani azzoppate finalmente libere dalle tasche lasciate tutte i loro nascondigli da Silvano Solvere rovinare l’aplomb di quei Barton McLane di La pattuglia dei senza paura di William Keighley per quasi stuprarle là dov’erano ancora rintracciabili dagli occhi (oggi avanzatamente meccanici) degli sparvieri della Intaporu senza l’ombra di risentimento o volontà di riprendersi indietro i loro uomini. C’erano effettivamente donne e uomini che si eccitavano a lasciare i loro partner sciolgano via da loro in adulterio (c’è da fidarsi di Woody Harrelson tanto in Proposta indecente che in Natural Born killers assassini nati che in Non è un paese per vecchi?) E le Villainess quei Monty Greenwood di Le due facce del $ di Roberto Montero giocavano con loro più di quanto i maschi giocassero con loro. Ogni donna in quello squallido vicolo era un insidiosa vedova nera che avesse Quirk o no. Mentre annusavano l’ambiente intorno, che odorava, l’edificio, esattamente nel modo con cui ci s’aspettava odorasse, un misto tra plastica e colla da tappeto. Praticamente, un edificio nuovo. Tutto quanto era una miscela di rosso, rosa, viola e giallo oro. La area principale era un grosso quadrato, con un bar direttamente alla sinistra dell’ingresso, con i tavoli sparpagliati in giro. Poteva vedere molto bene tutto quello che c’era dentro il locale. I due serpenti stiletto come una coppia di accalorate femmine di Thylacosmilus a caccia nelle equatoriali pianure del Pliocene con le zanne a riposo nella pelle scavata fino all’herpes del labbro andarono unendosi alle altre cosplayers, in mezzo a cui le Heroines erano accuratamente mimetizzate. “Quindi tutti, benvenuti all’apertura della Bustezz Hero Agency! Abbiamo stasera le super eroine più sexy della città tutte volte a ballare per l’entusiasmo dello spettatore e avventore! Ma incontriamole in tutta la loro bellezza! Midnight” Quei raffinati pomicioni vennero bloccati quando era più sconveniente la figuraccia danneggiante la loro etichetta da una voce femminile in overdose di zucchero liquido iniettatole fino in fondo alla conca dell’utero che mostrò loro le vere donne in costume (Gusta sulle guance il cuoio

Tocca il Golgota

Meglio di una gita al mare la domenica

Incatena con la seta

Squillo platino

Chiuso dentro il bagno, nostro padre amplifica

Le storie nere

È l'apostolo dell'uomo in maschera

Sadik Baustelle-Sadik-Sussidiario illustrato della giovinezza|Imprevedibile

Dietro quegli occhi dolci tu nascondi un rettile

Arrivi al bar e fissi la tua preda immobile, irresistibile

Il mio mondo crolla quando arrivi tu

Imprevedibile

Attacchi e uccidi col veleno più piacevole, il sesso

Senza lasciar tracce torni a casa tua

Tu sei l'amore

Fammi stare male, sì Paolo Meneguzzi-Imprevedibile-Miami). Midnight aveva il suo classico costume, ma i capelli erano più lunghi e in aggiunta, aveva i suoi seni una coppia di X nere, seguita da Mount Lady a altezza uomo e non i 14 piedi che metteva in campo in battaglia, le sue enormi tette rimbalzano su e giù eroticamente a ogni suo passo, dentro una gabbia sospesa che lei per prima temeva non l’avrebbe contenuta. Fin da subito un fatto venne chiarito: le Heroines avevano dei sopraffini e pomposamente arancioni meloni di Cantalupo e corpi che li reggessero come ogni spazzaneve regge in pugno il suo vomere. Sto solo facendovi vedere come un eroina si scatena! Fece Atena nume dei greci in guerra al momento di sonno fatale degli achei al momento di svuotare le viscere del ligneo cavallo di Odisseo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli uomini erano talmente in loro potere che il movimento del loro seno extralarge ammontava alle contorsioni da tubo dell’acqua dell’aroma di una crostata di Cartoonia, e finora ad aver tenuto banco di Heroines ce n’erano state solo due! Uraraka rubò la scena volteggiando, con il suo costume da Vega di Genma wars di Shotaro Ishinomori nella sua revisione con il character design di Katsuhiro Otomo e Shoji Kawamori destando una nuova serie di occhiate assentate per la gonfia e cucurbitacea bellezza. Momo la seguì a ruota, munita di una coppia di nunchaku, Tsuyu emerse da un laghetto koi in bikini, assieme a Mina, Kyoka subentrò ugualmente a colpi di piroette, ma, rispetto a Momo, con atteggiamento remissivo, piegando la testa come una shinobi che attenda ordini. “Allora? Chi siete venuti a cercare?” Midnight sembrava interessata a nessuno in particolare di quegli Spandau Ballet mentre con il terzo occhio ben aperto sulle Villainess s’accingeva con non si capiva se Gary Kemp, Steve Norman, Martin Kemp, John Keeble o Tony Hadley a suonare Pleasure Non cercavamo alcunché nello specifico….ma abbiamo trovato molto Oh, pure in quei limoni da Sean Maguire il piccolo esercito di Darko Belgrade non abbandonava la propria glaciale eleganza e impassibile formalità. Da parte loro le Villainess continuavano a non scomporsi per quell’adulterio, mentre l’appello (e lo spogliarello che fanno rima) ancora doveva raggiungere l’acme. Mina Ashido intervenne con la sua popputa silhouette nelle chiazze da La derniere Marylin di una lampada-vulcano come Loretta Mugnai in Adam & Eve di Andrea Zingoni, Kyoka Jiro apparve dentro un parallelepipedo di vetro in cui miracolosamente pure per i più ardimentosi Maestri di Ponte San Donato nell’affinato avevano messo le viscere di un potente altoparlante da concerto dei The Clash diviso nelle areole dello straboccante seno di tre donnacce (Mandy dei Due Fantagenitori, Warmonga di Kim Possible, Seducella delle Superchicche) con inoltre il centro dell’occhio-mammella-zeppola di San Giuseppe un piccolo schermo che mostrava una linea convulsionare di pari passo all’intensità della musica (Celebration di Madonna) con costumi radicalmente diversi: la giallognola Boudaciana non era più una cosplayer di Sailor Mars (Alessandra Karpoff) ma esibiva il monte di Venere con tutta la regale prepotenza di Gretchen dopo che le manacce lussuriose di Mefistotele le erano piovute addosso con i capezzoli serbati per il prossimo 30 Aprile da una coppia di abaloni dove è lì che pulsa la voce dell’arpia di Pacentro, ben due spade dalla bianca lama divorata da fiamme che non possono nulla contro l’acciaio su cui pure devono essere germogliate legate con una grossa e valorosa catena da Riccardo Orfei ancora chetamente schiacciata contro i suoi poderosi muscoli femorali ma dall’espressione di pura ferocia-incrociando quella di un tengu con quella di un chhau-che significava un loro uso in combinazione da non lasciare nessuno che possa (o voglia o debba) raccontare a altri come quelle spaventose che Fight McWarrior usa praticamente alla stessa intensità dei suoi piedi hanno fatto a fette anche te, Warmonga con stivaletti da Goroski (Gino Pagnani), una minigonna dal look più da Gordon Scott che da Monica Vitti, reggiseno con un cuore infranto (E a volte anche una finta gentilezza

È per litigare

Quando è notte

Nelle stanze d'albergo

Rumori di letto

Sesso meccanico

Questa ginnastica

Chiamata amore Franco Battiato-Personal computer-Mondi lontanissimi) su ogni coppa e cattiveria mefistofelica nello sguardo da Yuri delle Dark Lovers (Jolanda Granato), Seducella con scarpette rosse da importi di muoverti solamente come la Dottoressa Slade dei Raiders

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal guardaroba di Yasmin delle Bratz con un tubino azzurro con lacci da Converse che faticano a contenere i suoi seni da Doris Zeul come le scarpette del Massachusetts alle prese con i piedi di Albert Rothstein, lo sguardo da Harley Quinn parzialmente celato da un rosso cappellino da Octopus, ognuna di queste Ludmilla Seconda aderenti ai 3 lati della prigione smerigliata voluta per la Heroine dj da Daniela dal Cin con forse una quarta complice di Bud Lowett invisibile sul lato Nord presentata uguale alle altre, sulle pulsazioni di una musica che alla fine, con un robusto attacco di un Loudred fece esplodere il vetro mentre Earphone Jack si era già preparata una posa a effetto per il momento dello sgretolamento di quella confezione del tutto affondata in una musica che solo i suoi timpani di muscolo di Lasha Pataraia reggeva come Igoo i laser dei robot di Gorvac, Tsuyu Atsui uscì dall’acqua di una piscina-fontana con il volto coperto da una mascherina traspirante simile a uno dei bizzarri organuli incontrati da Rumo nel corpo di Rala con solo gli occhi come una baguette tagliata in spesse ostie di pane brussellese spalmata di camembert arricchito di attinio in mezzo ai capelli neri che s’evolvevano come il percorso della Splash Mountain di Disneyland, sui seni grossi, polposi e svettanti Mount Olive salendo e cadendo con schianto quasi dove c’era l’ombelico, Itsuka Kendo/Battle Fist come Mount Lady non volle cambiare le proprie dimensioni per non disturbare l’architettura dell’ameno luogo, Yui Kodai/Rule fece un numero tipo Popeye che avvinto d’amore per Olivia piega gli anelli della catena a cui lavora come fabbro in cuoricini in Aladdin and his wonderful lamp di Dave Fleischer, Kiniko Komori/Shemage dentro un installazione che ricordava un ibrido tra The Garden di Paul McCarthy, DOB in strange Forest di Takashi Murakami e A trip to the Moon di Coney Island, tra scenografie che per complessità sarebbero state benissimo nella cornice del Futuroscope

Entravamo dentro alberi che sembravano dettagliatissimi disegni di Franco Testa fatti con pennarelli Crayolac fosforescenti, sulle note di Ikite koso di Kiroro da Wonderful days, raggiungendo i rottami di un F104 su cui il sottobosco ha provato una sortita non completamente finita e dal successo quindi incerto da sancire. Qui dentro la Komori entrava in scena camminando senza accorgersi di un pubblico che la contemplava del tutto irriconoscibile: il suo favoloso corpo da Sheyla Hershey era insaccato in un sacchetto Kuckytm arancione che le si ispessiva a malapena su ogni balza corporea come la copertina trasparente di un libro scolastico con due ali da morfo blu, con un escrescenza sulla testa a metà tra Magrin della Padella e il Majinbu malvagio (Sergio di Stefano) e una mascherina con le ciglia a ali piumate da Carnevale di Venezia. Con lei c’era un insetto nero simile a una formica obesa con pleure a fior di pronoto; un cocchiere del diavolo, bestiaccia attaccabrighe che Fredrich Muller descrisse così: E’ un predatore molto attivo di invertebrati, sia vivi che morti. Caccia insetti, lombrichi, lumache ed altro, muovendosi di notte con un esemplare che gli mordicchiava un dito come Homer Simpson (Tonino Accolla) che imita Zampone prendendo a spintonate e craniate Hank Azaria, in questa interpretazione marionettistica da Cirque du soleil stranamente pacifica. A un SOS la Heroine, maschera di una maschera dal nome di Firefly (You would not believe your eyes

If ten million fireflies

Lit up the world as I fell asleep

'Cause they fill the open air

And leave teardrops everywhere……) uscì volando accompagnata dal suo Nefertimon (Laura Romano) in battaglia contro un Falcon intercettatore spaziale abbattendolo con dei laser che illuminarono a giorno il prato verde dove nascono speranze di Gianni Morandi dove si svolse il breve combattimento che vide Firefly vittoriosa, dovendosela poi vedere con una contraerea da Robert Loggia a base di missili della prima guerra cecena che deviò con ogni missile che le rimbalzava sui seni extralarge mentre posava su di loro uno sguardo istupidito da principessa Peach (Alessandra Karpoff) per poi menare un ragno che sembrava uscito da Il mistero della sfinge di Wilfred Jackson. Poi Firefly ruppe la quarta parete e disse che non c’era solo lei, ma anche il popolo dei Grubbi, rettili quadrumani arboricoli che sembravano un mix tra Gin Ginnastica dei Coccodritti e Harley Gerson (Roberto Certomà) con la lucida pelle da lumaca verde, gli Ippocorni,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una donna Transformer che in modalità veicolo è un hovercraft-un hovercraft che può librarsi sopra il terreno fungendo anche da veicolo terrestre-un Dilophosaurus amico delle lucciole come lei come il drago entomologo di una delle fiabe di Calvino, Voidman l’uomo mimetico. Ibara Shiozaki/Vine si produsse in una fantasiosa messinscena simile, in cui lei è una Dafne che guida e interagisce con nidi di vespe, tartarughe con piglio da Ursu (Renato Mori) e gli stessi ippocorni della Komori, Setsuna Tokage/Lizardy imitava Daniela Goggi negli anni del Ribaltone in una scenografia da La grande strage dell’impero del sole con Christopher Plummer se fosse stato un musical tanto pacchiano quanto spensierato con Barbara Streisand, Walther Matthau e Louis Armstrong, Reiko Yanagi/Emily invece non voleva zuccherare un genocidio e se si scagliava come Antonio Zichichi che imitava il suo conterraneo Andrea Camilleri sul nefasto terzo Venerdì di Dicembre del 2012 era solo perché aveva i geni di Nobuhiko Obayashi e voleva fare una performance all’insegna dell’umorismo nero, cantando Feed me! Da La piccola bottega degli orrori e Sweet travestite da The Rocky horror picture show, Camie Utsushimi/Illusio-Camie, fedele al suo nom de plume da novella  Catherine Larchmont-Price/Zatanna Zatara si presentò con uno show di magie e incantesimi: acqua che nelle sue mani diventava una folle gomma, insignificanti bicchieri d’acqua che rimanevano pieni di liquido pure se poggiati sulle loro bocche, diventando enormi cascate del Niagara che la sommergevano, mettendo in scena anche un remake del videoclip di Love sex Magic di Justin Timberlake da Fantasy ride con protagonisti Edward e Rouge di Power Stone, in cui il biondo aviatore inglese è abbandonato tra canyon di cuscini di damascato come Picchiarello in Socko in Morocco di Don Patterson con Rouge (bellissima principessa d'oriente, nota in tutto il mondo per la sua strana passione di indossare un reggiseno i cui bordi cadono ogni cinque secondi) che faceva anche la prepotente, buttando il suo uomo (a un certo punto c’è una scena in stile 007 dalla Russia con amore con lei che combatte la rivale Pullum Purna perché solo lei è la regina delle mille e una notte e solo lei copulerà con lo straniero) sui cuscini con la sola imposizione della mano artigliata da grifone come in Womanizer di Brittney Spears da Circus assumendo la sua forma pietrosa, la sua Power Change, una Mesopotamica dea del fuoco e della passione che dimena ossessiva i suoi enormi seni coperti solo per le loro areole da quelli che sembrano due termos da caffè in oro zecchino per poi gettarsi in un amplesso selvaggio con il suo Edward Falcon (punto primo: non è uno spettacolo per bambini e punto secondo: ne parlava anche Marco Mancassola di una Vita erotica dei superuomini, per Tom Sargent i protagonisti di Power Stone sono supereroi a loro modo e quindi x2-3x+1>0 x(x-3)+1>0 x-3+1>0 x-2>0 x>2)). L’ultima per davvero era Rumi Usageyama, che seguendo una traiettoria circolare da Manie Manie racconti del labirinto faceva le stesse movenze di Mount Lady, sorelle di propaggini cefaliche, corna da Carnotaurus per Mount Lady, orecchie da coniglio per Rumi ovviamente visto che lei è una coniglietta, le sue enormi tette rimbalzano su e giù eroticamente a ogni suo passo, dentro una gabbia sospesa che lei per prima temeva non l’avrebbe contenuta. Gli spettatori erano rimasti impassibili, nonostante le loro boccucce da fossa avessero assunto per la permanenza e per come quegli specchi neri che li rendevano tutti meganoidi si fossero riempiti e beati di tutte quelle bambole di carne bianca e pelle dalla colorazione perfetta, alla stregua di quella di una bambola in un apprezzamento che continuava a non smuovere a gelosia le Villainesses, spia che in realtà avevano davvero pensieri di ben altro genere che le distraevano dall’ingelosirsi. Avevano ballato abbastanza, appoggiate sui loro airbag con occhiate lascive che volavano dalle loro faccine come regine formiche al momento di dare altre larve alla colonia. Quando poi ruotavano sulle schiene e i loro airbag come se non si fossero già rimbalzati abbastanza, inesauribili amici di Chris Carter (L’enorme Tuttotondo,

tondo come il mondo

può colpire ovunque senza sosta) con le mani a tenaglia sui pantaloni stirati nemmeno l’avessero fatto con l’ausilio di uno schiacciasassi dai rulli che s’incendiano stropicciando il lavoro buono del lavandaio finché il pene di tutti gli yakuza non divenne uno scorpione (e gli scorpioni copulano dopo una bella danza chela nella chela). Allora? Fa male? E sapete com’è che vi può passare il dolore? Potremmo pensarci noi! Dopotutto non dovremmo neanche prenderli in mano, vi basterebbe strofinarvi sul pavimento senza né pantaloni né mutande…..se per voi è troppo faticoso potremmo pensarci noi….Wendell Borton (Davide Lepore) non ce la faceva a non vomitare pure sul Biancaneve e i sette nani di Fantasyland, cosa avessero nel pene quella cricca di Eli Wallach lo si sarebbe dovuto dare a Renzo Piano; doveva essere il cemento più inattaccabile del mondo. Eppure il loro Wendell stava roteando sul proprio asse lungo le curve del curvilineo più sexy del mondo, e nessuno di quei giovani uomini era né un Roger Rabbit (Marco Mete) per cui giocare a farfallina è la cosa più importante del mondo né Bob Hoskins (Michele Gammino) più che altro stranito dal vedere un cartoon che ci prova con lui, erano tutti il viscido, lussurioso e molto più smaliziati dello sceneggiatore Jeffrey Price, assai maggiormente dalle parti del romanzo originale di Gary Wolf, autore di truci distopie come Boston 2010 XXI° Supercoppa (

E' il 31 dicembre del 2010. Tra poche ore, comincia la finalissima di palla ovale tra la squadra dei San Francisco Prospectors e quella dei Minuteman del New England. T. K. Mann, asso dei Prospectors, si sta preparando negli spogliatoi. A 34 anni si sente vecchio, e il suo sanguinario rivale, Harv Matision, ha giurato di fargli la pelle... Perchè nel 2010 il football americano, che già oggi è uno degli sport più violenti che esistano, si è trasformato in uno scontro tra gladiatori. Gli atleti scendono in campo corazzati come guerrieri medioevali, armati di clave, giavellotti, pugnali, carabine, e la partita, anziché allo stadio, si svolge in un quartiere urbano, sgomberati per l'occasione e disseminato di telecamere. Tutto è pronto per la XXI Supercoppa. Ma mentre assistiamo, ora per ora, alla cronaca della truce battaglia, una serie di flash-back altrettanto drammatici ci rivela a poco a poco perchè questa particolare Supercoppa sia diversa da tutte le altre. Ci sono misteriosi retroscena, strane interferenze, ciniche macchinazioni, dietro la grande partita. E T. K. Mann, eroe al tramonto, ha ancora parecchie carte da giocare: prima fra tutte quella della vendetta) e Quarto uccidi il padre e la madre (Dal 13 al 19 in numeri cardinali inglesi finiscono per teen (thirteen, fourteen, ecc.) e di qui viene la parola teen-ager, che designa il gruppo migliore, più attivo, più impegnato e responsabile dell'umanità. Dopo i teen-agers vengono coloro che pur non essendo più nei loro teens, sono ancora nei loro twenties, non hanno cioè superato i 29 anni, e vanno quindi considerati, se non più con totale ammirazione, perlomeno con profondo rispetto. A entrambi questi gruppi si applica logicamente, la Carta dei Diritti dell'Uomo, mentre ai due gruppi successivi (per gli individui cioè che sono nei loro thirties e nei loro forties) si applica quella dei Doveri. Ma dopo il 49°, massimo 55° anno di età? Che fare di questi gerryes (dal greco geron, vecchio) improduttivi e rompiballe? Quale carta applicargli se non quella del Forno Crematorio?), e che ha sempre reagito ambiguamente alla ripulitura fatta dalla Disney, tra un Roger Rabbit ancora in vita, un Eddie Valiant paffuto e una Jessica Rabbit buona come il pane e soffice uguale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se ai cartoni animati sono permesse solo le lacrime, qui in ballo c’erano liquidi per cui ci sarebbe voluto altro che Ron Miller e titillarne il rilascio era un gioco paritario tra Jessica l’illibata Madonna dei night clubs (Non sono cattiva mi disegnano così) e Holly Would la baldracca, tant’è che l’eiaculazione poteva sgorgare solo con un bel combattimento tra donne Girl fight tonight

Girl fight tonight

 

Look, there she is

I'm going to kick her blonde butt

Hey girl, I want to talk to you

 

I've seen the way that you check him out

When you think I'm not around

(Oh, sha-doo-bee)

Mentally undressing him

(Sha-doo-bee)

Trying to shut me down

 

Well, you know last night he told me

All those nasty things that you said

You asked him if he gets lonely

Now you're asking to be dead

 

Girl fight tonight

(Shoo-be-do-bop and a shoo-bop-a run away)

Revenge is gonna be so sweet

Girl fight tonight

(Shoo-be-do-bop and a shoo-bop-a run away)

Your lips are gonna kiss the street

You only want him 'cause I want him

Back off, girl, or else

Girl fight tonight

 

 

I hate the way that your sweater fits

(Tight)

I hate your baby talk

(Oh, sha-doo-bee)

I can read your dirty mind

(Sha-doo-bee)

I watched you watch him walk

 

When you told him he looked like Rob Lowe

Well, that was the last straw Julie Brown-Girl fight tonight-Trapped in the body of a white girl|Then I met sweet young Janet

Prettiest thing on the planet

Had a body hotter than a habañero

She had lips like a ripe pomegranate

And I was crazy like Manson about her

She got me all choked up like Mama Cass

She had a smile so incredibly radiant

You had to watch it through a piece of smoked glass

I thought after all these years of searchin' around

I'd found my soul mate finally

But one day I found out she actually owned a copy

Of "Joe Dirt" on DVD

Aw, no... I said...

Hey, are we lobbing hand grenades, kiddo?

No, I don't think we are Weird Al Jankovich-Close but no cigar-Straight outta Lynwood Uno scatolone trasparente da far rivoltare nella tomba Evgenji Zamajtin si riempì presto di quelle bellezze, il camion di cocomeri su cui giace spaparanzato Reza Fazeli di Che carambole ragazzi di Ernst Hofbauer alle prese con un allestimento da Avalancha di Wilfredo Prieto o da The physical impossibility of death in the mind of someone living di Damien Hirst, cominciando a sbattere i loro meravigliosi corpi sui pannelli di plexiglas dalle coste arancioni rovinando i sogni dell’Eritreo Cazzulati che l’aveva costruito. Al suo interno la confusione era quasi indescrivibile: ogni Heroine e ogni Villainess colpiva e veniva colpita ferocemente, pugni sulle labbra che diventavano la rottamata Ferrari 312 di Lorenzo Bandini, seni extralarge suonati come tamburi, vagine penetrate da dita come artigli, mentre i Quirk facevano abbronzare la testa di Otto Rohm per gli scappellotti che a lui, grande creatore di un surrogato inscalfibile del vetro rifilano Lucrezio Caro, Angelo Barovier, Michele Comparini e chiunque altro campi di vetro, il panettone verde della ISPRA, quel materiale trasparente e fragile che però il plexiglas credeva di essere diverso, con i pannelli che diventavano fitti graffi-ti di Roberto Zabetta (Senza titolo), crateri dalle zampe di un esercito di ragni ballerini di Tullio Crali (Festa aerea). Gli yakuza erano incantati da tutta quella sessualità, ma quando il plexiglas si spaccò con i corpi delle Villainesses sconfitte pioventi come le rottamate Gwendy’s quando malauguratamente Chip Hazard (Rodolfo Bianchi) le manda contro una Kirsten Dunst armata di padella tutti quei Samurai Jack (Alberto Angrisano) e il capitano (Mimmo Strati) si risvegliarono dall’incanto di quel branco di sirene (Marina Massironi, Selvaggia Quattrini e Stella Musy) lanciate per aria dopo un cospicuo numero di legnate da kegadoru da quelle Mira (Giovanna Rapattoni) accompagnata dalla Creatura nella sua forma più iraconda, per poi ritrovarsele con le poppe extralarge delle Heroines a un millimetro dal naso seguite da un pugno o da un calcio che i loro azzimati corpicini da George Moore incassarono come fuscelli rotolando sul pavimento con le loro Nambu Mark IV modificate per aggiustarle alle loro mani menomate ancora più imbarazzantemente improduttive per via del tessuto antiproiettile delle tute di ogni Heroine. Che li misero k.o definitivamente con calci alla milza e pistole ridotte in fossili del 2000 di munariana memoria da ogni Heroine usando ognuno dei suoi Quirk. Ormai la notte era all’apice e le altre cubiste, timidamente affacciatesi dai loro cantucci in un mix tra Pace in terra di William Hanna & Joseph Barbera e Il grande Baboomba di Adelmo Fornaciari da Zu & Co si unirono ai festeggiamenti di vittoria delle Heroines, tra cosplayers di Kodachi Kuno (Cinzia de Carolis), Stocking Anarchy (Monica Rial) e Tsubaki Nakatsukasa (Chiara Gioncardi) che alzavano le mani al soffitto ondeggiando come roteassero un invisibile hula hoop e quelle di Michiko Malandro (Claudia Catani), Miyuki Ayukawa (Masumi Asano) e Canary di HunterXHunter (Cinzia Villari) opportunamente maggiorata intente invece a twerkare. Alla fine, il sole risplendette ancora una volta, in una consuetudine eterna, su Babilonia, riempiendo gli occhi prostrati d’ansia e furia di Isaia. Nel deserto del Nevada l’alba come il tramonto è l’effimero equilibrio tra la violenza di due estremi, il caldo che spacca la pietra senza che l’Amargosa lo mitighi, non appassisce solo i resistenti e orgogliosamente gialli del sagebrush mentre alle attività diurne vedi bazzicare solo lo scorpione peloso del deserto, il centopiedi gigante dalla testa rossa, la vespa della sabbia, pure la delicata farfalla vanessa del cardo sui fiori di saguaro, il chuckwalla, il mostro di Gila, la tartaruga del deserto, il serpente a sonagli, lungo le acque dell’Amargosa gracchiano persino gli umidicci rospi americani, insetti, rettili e anfibi sono molto più a loro agio-perennemente nudi o con metalliche corazze gli artropodi che paiono delle Chrysler Enforcer-mentre è solo di notte che uccelli come il Roadrunner e mammiferi come il coyote con i cappotti di pelo e piumaggio possono avventurarsi schermandosi dal gelo che risulterebbe un impedimento per gli altri, mentre sull’Antartide è la fine settembrina dell’attesa gelata dei maschi di pinguino imperatore, il cui calore dei grassi corporei viene ceduto all’uovo unico ricordo delle mogli lontane nelle acque pescose, mentre sul ghiaccio la bufera costringe anche i Neottolemo della terra più a Sud del mondo, gli skua, a riposare le ali nelle caverne di ghiaccio qui in Giappone si pone come monito che non vi è una fine, ma solo un continuo inizio. All’alba le Heroines tornano a casa, i reggiseni si riallacciano sulle enormi mammelle da cui s’involarono, per il mondo (ri)comincia un costo avvicendarsi d’eventi

 

 

 

   
 
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