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Autore: Sia_    01/09/2023    3 recensioni
“Sei tornato.”
Gojo è sulla soglia dell’aula – quanto ci ha messo a trovarlo? –, tiene una mano infilata nella tasca della divisa. “Quello è il mio banco” commenta, placido. La seccatura per non aver ricevuto risposta alle sue chiamate è passata velocemente, ora che vede Suguru al suo posto. “Che ci fai accasciato sul mio banco?”
Geto non risponde – di nuovo, deve essere diventato un vizio –, osserva Gojo che chiude la porta alle sue spalle, che infila anche la seconda mano nelle tasche dei pantaloni e che aspetta e aspetta.
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Geto Suguru, Gojo Satoru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Estate, rumore di cicale

 

“Che ci fai qui?” Shoko incrocia le braccia al petto, il camice bianco si riempie di pieghe all’altezza del gomito. 

È una delle prime notti di estati, dovrebbe esserci silenzio in quella parte dell'istituto. Ieiri si aspettava di non trovarci nessuno, ma durante il giro serale la sua attenzione viene attirata dalla porta di una classe spalancata, dai capelli bianchi di Gojo, dal rumore delle cicale che fa capolino dalla finestra aperta. 

Satoru è appoggiato alla scrivania, i palmi delle mani stanno prendendo lo stampo dei tagli del legno. “Niente di particolare, suppongo.” 

 

2008

Quell’estate Tokyo è calda, solitaria. Dalle finestre aperte dell’aula entra solo il rumore snervante delle cicale: Geto ha provato in tutti i modi a focalizzarsi su altro, ma non gli resta nulla in testa se non il gracchiare continuo degli insetti sugli alberi. Una smorfia gli scurisce il viso e, mentre sospira, si accascia sul banco della classe. A lezione non ci va più –  non ha più bisogno di andarci –, ma non ha mai smesso di frequentare quell’aula. È solo lì che riesce a circondarsi di bei ricordi. 

Il ciuffo di capelli neri che non riesce a incastrare nel codino gli solletica la fronte, lo allontana con uno sbuffo d’aria. Tiene le mani incrociate tra  gambe, se avesse voglia potrebbe andare a cercare con il polpastrello la scritta che Gojo ha impresso nel legno durante il loro primo anno. Se avesse voglia, potrebbe raffreddare la pelle dei palmi contro le gambe di ferro del banco. Invece stringe la presa e chiude gli occhi. 

Sta pensando che si è abituato a quella scuola come i bambini si abituano alle parole. Apprendere concetti come quello di una mamma e un papà, è stato come dare i primi pugni, scoprire le prime maledizioni. E poi, imparare a discutere e a formulare concetti, è stato come diventare amico di Gojo Satoru: più difficile, ma più soddisfacente. E poi, sta pensando che gli manca. Da quanto è via? Non è la prima volta che non vanno insieme in missione, non è la prima volta che stanno lontani per giorni senza sentirsi. Non è certo preoccupato che possa capitargli qualcosa di male, sanno tutti che Gojo è lo stregone più forte – tutti compreso Satoru, che non smette di ripeterlo appena ne ha l’occasione. 

Sorride, le labbra sfiorano la superficie del legno. Dovrebbe odiare Gojo con ogni fibra del suo corpo, ma non riesce. Odiarlo sarebbe come dare vita a un discorso sconnesso. 

Il rumore delle cicale viene disturbato da quello di passi lungo il corridoio. Geto pensa che sia uno studente del primo anno diretto al campo per gli allenamenti del pomeriggio, così non si sposta. Socchiude gli occhi solo quando la porta scorre contro il pavimento. “Sei tornato.” 

Gojo è sulla soglia dell’aula – quanto ci ha messo a trovarlo? –, tiene una mano infilata nella tasca della divisa. “Quello è il mio banco” commenta, placido. La seccatura per non aver ricevuto risposta alle sue chiamate è passata velocemente, ora che vede Suguru al suo posto. “Che ci fai accasciato lì?” 

Geto non risponde – di nuovo, deve essere diventato un vizio –, osserva Gojo che chiude la porta alle sue spalle, che infila anche la seconda mano nelle tasche dei pantaloni e che aspetta e aspetta

Ci sono tre banchi in quell’aula, di più non ne servono perché le classi non sono numerose. Il primo anno Geto si è seduto vicino alla finestra, Shoko si è messa a fianco all’entrata e a Gojo non è rimasto che quello centrale: meglio così, non è mai stato bravo a prendere decisioni di suo pungo. 

Suguru è in mezzo a due posti vuoti ora. Non ha intenzione di ammettere che l’unica ragione per cui sceglie di sedersi lì è perché Gojo gli manca, quando è via. “Volevo vedere il mondo dalla tua prospettiva.” 

Satoru annuisce, poi mugugna. “E com’è?” Non sa bene cosa significhi il concetto di dolore, sicuramente non sa dare una spiegazione razionale a ciò che gli preme il petto e gli impedisce di respirare a pieni polmoni. 

“A suo modo, piacevole.” Geto cambia posizione, si gira verso sinistra quando l’altro stregone gli passa davanti e tira indietro di qualche centimetro la sedia vicino alla finestra. 

Ci si accomoda, punta il gomito sul legno e appoggia il viso al palmo della mano. “Sono tornato.” Non indossa i suoi occhiali da sole, deve averli dimenticati per la scuola: il suo azzurro fa competizione – e vince – all’azzurro del cielo. 

“Per quanto?” 

“Non lo so.” Scuote il capo, allunga le gambe e le incastra a quelle della sedia di Geto: l’aula si riempie del rumore stridulo del metallo contro il pavimento. “Il tuo banco ha una bella visuale, adesso capisco perché ci sei rimasto per tre anni.” 

Non…

“Il lato sinistro è il mio lato migliore, lo sai?” 

Geto lo sa. Si tira dritto, fa aderire la schiena alla sedia e poi lascia cadere il capo all’indietro, i capelli del suo ciuffo rimangono sospesi a mezz’aria. “Te l’ho già detto, dovresti smetterla di essere così arrogante.” 

“Non mi si addice.” Gojo osserva le labbra dell’altro che si distendono in un sorriso e sbuffa divertito. Un silenzio di parole cresce in mezzo a loro, ci nuotano abbastanza da abituarsi alla temperatura dell’acqua. Poi Satoru prende un respiro, “Suguru.” 

Un brivido percorre la schiena dell’altro, gli piace quando la voce di Satoru sussurra il suo nome. “Mh?”

“Mi sei mancato anche tu.” 

“Stai dando per scontato che tu mi sia mancato.” Suguru apre gli occhi, li fissa sulle macchie scure del soffitto: dovrebbero pulire quell’aula più spesso. Chissà da quanto sono lì quegli aloni di grasso e sporco. 

Gojo si lecca le labbra, tamburella le dita contro il campo. “Non è così?” 

Odiare Satoru sarebbe come creare discorsi sconnessi. Amarlo è come parlare davanti a un pubblico di milioni di persone – l’idea ora lo spaventa, tra un anno creerà una setta tutta sua. 

Suuuguru.” 

“Cosa vuoi?” 

Gojo sorride, si dà una spinta e torna in piedi. In due passi gli è accanto, lancia i suoi occhi celesti in quelli scuri di Suguru. “Non è così?” Geto presta attenzione: lo guarda piegarsi in avanti, così prende un lungo respiro e l’aria che gli riempie il corpo profuma di giglio. Di quanto scenderà? Potrebbe... Invece le punte dei capelli bianchi gli sfiorano la fronte e si fermano nel tempo. Suguru sa di essere arrossito, sa che le sue orecchie si sono colorate vicino agli orecchini neri. L’orgoglio gli direbbe di allontanare il viso di Gojo con il palmo della mano, invece rimane immobile. A cosa servirebbe negare? L’ha trovato seduto al suo posto. 

Arriccia il naso e scappa con gli occhi da quell’azzurro insopportabile. “Mi sei mancato.” 

Satoru si mette a ridere, le sue dita gli accarezzano il capo e si incastrano tra i capelli corvini. “Non era così difficile, no?”

 

Satoru è appoggiato alla scrivania, i palmi delle mani stanno prendendo lo stampo dei tagli del legno. “Niente di particolare, suppongo.” 

 

 


 

Angolo autrice:

Non so se quello che ho scritto abbia un senso. Volevo solo riempirmi di Gojo e Geto – i miei due nuovi protetti insieme ad altri mille protetti che ho da quando ho iniziato a leggere JJK.  Spero seriamente di non aver dato una interpretazione troppo OOC dei personaggi, sto ancora cercando di aggiustarmici. Allo stesso modo, spero di non essere sembrata troppo meccanica nelle mie descrizioni. 

Ringrazio chi è rimasto a leggere fin qui e vi auguro una buona giornata, 

Sia

 
   
 
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