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Autore: fennec    01/09/2023    1 recensioni
Questo è quello che Steve Harrington, eroe ferito, amico fraterno, amante respinto, giovane in eterno, lascia a chi lo ha conosciuto, alla sua vera famiglia.
Il tempo non sente se gli chiedi di aspettare.
È la mia prima fanfiction su Stranger Things, spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dustin Henderson, Nancy Wheeler, Robin Buckley, Steve Harrington
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per Max
 


 

Cara Max,
Ti scrivo questa lettera nella speranza che tu non debba mai leggerla. Ma come mi hai insegnato tempo fa, consegnandomi la tua, è sempre meglio avere “un piano B, nel caso in cui le cose dovessero andare male”.
Se però non dovessi essere così fortunato, spero che, almeno per una volta, possa sorriderti la sorte, perché nessuno, ripeto nessuno lo merita più di te.
E, siccome sono sempre stato un inguaribile sognatore, ti immagino sfrecciare su uno skateboard o qualcosa di altrettanto pericoloso (Dio non voglia un’auto!) per mostrare per l’ennesima volta ad Hawkins quanto la rossa venuta dalla California sia dannatamente cazzuta.
Dustin mi odierebbe se sapesse quello che ti sto per rivelare, ma “occhio non duole se cuore non vede” o era il contrario? Comunque, quando ci siamo incontrati per la prima volta alla discarica, senza che mi dicesse una parola, capii subito che eri tu la ragazza misteriosa per cui aveva perso la testa (non dirlo a Suzie!)… Dopotutto, come biasimarlo? Non credo di aver mai conosciuto una ragazza forte come te, capace di provocarti una crisi di nervi (la tua guida spericolata popola ancora i miei incubi peggiori, Zoomer!) quanto di salvarti la vita con una siringa di calmante e una mazza chiodata. Per quanto io detesti ammetterlo, sono in debito con te, piccola rompipalle!
Sappi che io non ho mai aperto la tua lettera perché sono convinto che ce la farai, Max: un giorno ti alzerai da quel maledetto letto di ospedale e, con quel tuo ghigno sprezzante, mi prenderai in giro perché mi sono preoccupato per niente e mi dirai quello che mi avevi scritto, anzi… non ce ne sarà bisogno, basterà un abbraccio per rimettere tutto a posto, un abbraccio frettoloso perché una guerriera non si perde in smancerie del genere.
E finalmente io ti potrò dare quello che è tuo di diritto: la mazza chiodata e la musicassetta con il mio mix preferito, quello con Springsteen, Elvis, i Tears for Fears, i Toto e sì, pure Billy Joel (anche se non lo sopporti!). Ti ricordi di quando mi hai convinto a portarti alla cava invece che a scuola? Le note di “Shout” pompavano nella Beemer e abbiamo cantato a squarciagola per tutto il tragitto. “Shout! Shout! Let it all out! These are the things I can do without. Come on, I'm talking to you, come on!” Ci sentivamo liberi e imprigionati, felici e tristi allo stesso tempo. Forse già allora ti stavi allontanando e io non me ne sono accorto… e per questo ti chiedo perdono.
Ti chiedo perdono per non esserci stato quando tu avevi più bisogno di me, per essermi dimenticato che combattere i mostri non significa non averne paura e io dovrei saperlo meglio di molti altri. Dovrei sapere che un sorriso sprezzante e un’alzata di spalle alla “chissenefrega” nascondono molte più incertezze di quanto si pensi e a volte contribuiscono a costruire un muro dietro cui si cela un’angoscia talmente invadente da togliere il respiro.
Tu, però, hai fatto qualcosa di davvero speciale, Max: mi hai lasciato aprire una breccia nel tuo muro apparentemente impenetrabile, una breccia che, per quanto piccola, mi ha permesso di dare una sbirciata alla vera Max e, quando possibile, allungarle una mano. O forse sei stata tu ad aprire per prima quella breccia quando mi hai aiutato a fortificare il pullmino in discarica: non ci conoscevamo, manco ci siamo rivolti la parola, non sapevo nemmeno il tuo nome, ma tu ti sei rimboccata le maniche e hai iniziato a raccogliere ciò che poteva servire, senza chiedere spiegazioni.
Perciò ti chiedo di aprire ancora una volta quella breccia, Max. Noi siamo qui. Io sono qui e non vedo l’ora di litigare di nuovo con te su quale canzone del Boss sia la migliore, su quale film horror faccia più paura o su quale sia il più stratosferico gusto di gelato. Non vedo l’ora di farti una sentita quanto ipocrita ramanzina su quanto tu sia stata incosciente e sconsideratamente coraggiosa; non vedo l’ora di scarrozzarti in macchina alla sala-giochi fingendomi di malumore… tutto in stile “babysitter più rompipalle del secolo”. Forse, e ripeto, forse in un momento di improbabile congiunzione astrale potrei addirittura farti guidare la Beemer, letteralmente e soltanto per dieci secondi… ma non chiedermi di più: il mio cuore stavolta potrebbe non reggere!
Perciò ti conviene tornare presto, rossa, o potrei cambiare idea!
Spero che ovunque tu sia questa mia preghiera ti possa raggiungere. Ti aspetto, Zoomer!
Con affetto,
Steve
 
Fu Lucas a leggerle la lettera dopo la sconfitta di Vecna.
Con la loro vittoria definitiva Max si era svegliata dal coma. I suoi arti e il collo erano guariti da tempo, ma per i suoi occhi, purtroppo, i medici non avevano potuto fare niente.
Quando era venuta a sapere della morte di Steve avrebbe voluto strappare quella dannata lettera. Steve l’aveva messa a fianco al suo letto d’ospedale, nel primo cassetto del comodino, ormai strapieno di pensieri da parte dei suoi amici: foto, disegni, parole. Perfino sua madre le aveva scritto qualcosa… da quando era caduta in coma, Susan non aveva più bevuto una goccia d’alcol e adesso era sempre stranamente sobria. Max sperava solo potesse rimanere così e per una volta, forse, avrebbe potuto funzionare: la forza con cui sua mamma le stava accanto ora aveva qualcosa di nuovo, di potente, profumava di speranza.
Avrebbe potuto di nuovo ricominciare a respirare… se non avesse saputo di Steve.
Sapeva che anche agli altri aveva lasciato qualcosa, ma per giorni e poi per settimane non aveva voluto conoscere il contenuto di quella maledetta busta. Lo stronzo ci aveva scritto sopra soltanto: Per MAX, sperando che non serva, questo è il mio piano B.
Era tremendamente arrabbiata anche perché non avrebbe mai potuto leggerla da sola e farsela leggere da qualcun altro avrebbe reso tutto terribilmente vero, i suoi limiti ancora più presenti, quel nuovo vuoto atrocemente reale.
Fu una canzone a darle il coraggio necessario.
Stava ascoltando la radio e a un certo punto mandarono in onda “Shout” dei Tears fo Fears, fu allora che le venne in mente di quel giro in macchina con Steve. Si ricordò del loro canto disperato che si alzava dei finestrini abbassati, della strada che diventava sempre più sterrata e malconcia man mano che si avvicinavano alla cava, dei sassi scagliati contro lo specchio d’acqua per farli rimbalzare (Steve stava dando il massimo, ma non avrebbe mai potuto batterla per il numero di salti). Poi la memoria corse all’ultima volta che si erano guardati negli occhi: il ragazzo l’aveva lasciata insieme a Lucas ed Erika davanti alla casa dei Creel. Erano scesi dal camper senza dire niente, ma per un attimo il suo sguardo e quello di Steve si erano incrociati. “Mi raccomando, rossa, stai attenta!”, le era quasi sembrato di sentirlo.
Fu l’ultima volta che vide Steve e ora che era cieca, quell’immagine le sarebbe rimasta sempre impressa. Così come non si sarebbe mai dimenticata di quegli occhi castani tristi, quasi smarriti che l’avevano guardata nel momento in cui gli aveva consegnato la sua lettera, una lettera che Steve non avrebbe mai voluto leggere e ora non avrebbe davvero più potuto farlo.
Non era giusto, ma a questo almeno poteva rimediare.
Perciò, non appena si sentì abbastanza sicura da camminare soltanto con il bastone, si fece accompagnare al cimitero di Roane Hill fino alla tomba di Steve, poi chiese di essere lasciata sola.
Non aveva senso portare con sé la lettera che gli aveva scritto una vita fa, né sarebbe stato necessario: sapeva cosa voleva dirgli e per qualche strano motivo sapeva anche che per lui non ce ne sarebbe stato bisogno… Era più una cosa che doveva a se stessa, un modo per dire addio e arrivederci allo stesso tempo.
E quando il dolore sarebbe stato troppo forte, avrebbe potuto stringere di nuovo quella mazza chiodata e agitarla mentre dalle cuffie del walkman usciva con potenza il ritornello di “Shout” e per un attimo la sua voce e quella di Steve avrebbero cantato di nuovo insieme.
 
Shout! Shout! Let it all out! These are the things I can do without. Come on, I'm talking to you, come on!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
Salve, fan del Sottosopra,
Questo capitolo su Max mi ha stupito, nel senso che ho impiegato molto più tempo a scriverlo (è stata una “composizione a tappe”), ma finora è stato quello che mi ha soddisfatto di più… nonostante mi abbia messo fastidiosamente in testa “Shout” dei Tears for Fears fino al tormento xD
Ringrazio chi ha letto fino a qui, spero che questo aggiornamento vi sia piaciuto e sarei davvero felice di avere un vostro riscontro (positivo o negativo che sia) per capire se abbia senso o meno continuare questa fanfiction: avere dei lettori silenziosi fa avere sempre il dubbio che quanto scritto non sia di gradimento.
Un abbraccio e a presto (spero!),
fennec
  
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