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Autore: Shainareth    01/09/2023    1 recensioni
[Gundam SEED Destiny] Quel pensiero la incupì ulteriormente: Athrun era un mago nel colpevolizzarsi per errori che magari neanche aveva commesso. Era riuscita a salvarlo per il rotto della cuffia quando aveva deciso di farsi saltare in aria con il Justice nel tentativo di distruggere il Genesis voluto da suo padre; e si era ritrovato coinvolto in buona fede nelle meschine manipolazioni di Gilbert Dullindal sempre per via di quel dannato senso di responsabilità che si era cucito addosso.
Le venne da ridere, rendendosi conto di quanto lei stessa fosse ipocrita: non si trovava forse lì, a capo degli Emiri, perché stava facendo le veci dell’uomo che l’aveva cresciuta? Nel bene e nel male, le eredità paterne di entrambi pesavano come macigni.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO QUINTO
 

«Dove sono gli altri?» chiese Cagalli dopo cena, non trovando traccia dei loro ospiti.
   «Shinn e Lunamaria sono andati a fare una passeggiata più di un’ora fa», rispose Athrun seguendola al piano di sopra e avvertendo nel corpo la stanchezza della giornata.
   «E sono riusciti a dribblare i giornalisti?» si meravigliò la ragazza, che ormai lo tallonava come un’ombra, temendo che potesse collassare da un momento all’altro nonostante si sentisse meglio. D’accordo, era un coordinator e sembrava avere più vite di un gatto, ma era sempre preferibile non tirare troppo la corda. Almeno uno di loro due doveva preoccuparsi della cosa, e se non lo faceva il diretto interessato, ci avrebbe pensato lei.
   «Shinn è un tipo dalle mille risorse», le assicurò Athrun, a cui aveva fatto un immenso piacere rivederlo a Orb. Il loro rapporto era sempre stato un susseguirsi di alti e bassi, di risposte sbagliate, strigliate e persino botte da orbi - quasi sempre a senso unico. Ciò nonostante, nessuno dei due dubitava dell’affetto e della lealtà dell’altro, non più. Shinn era un ragazzo difficile, proprio come lo era stato anche lui alla sua età, in perenne lotta contro quella maledetta rabbia che cercava di consumarlo e lo portava troppo spesso a commettere passi falsi. Ma non c’era alcuna cattiveria, in lui, anzi. Andava solo compreso e trattato con gentilezza. «Miriallia invece ha detto che avrebbe cercato di lavorare ancora un po’, prima di andare a dormire.»
   «E Kira? Si è già ritirato anche lui?» chiese ancora il Delegato, fermandosi una volta giunta in prossimità della camera da letto.
   «Immagino di sì. E credo che andrò a riposare anch’io», disse a quel punto Athrun, facendo per allontanarsi verso la propria stanza. «Buonanotte.» Cagalli balbettò qualcosa, ma tacque subito. «Cosa?» domandò il giovane, bloccando l’azione sul nascere.
   «Nulla…» mormorò lei, vaga, con un sorriso poco convinto.
   L’altro la fissò con dolcezza, decidendo comunque di prenderla in giro. «Vuoi il bacio della buonanotte o vuoi che venga a dormire con te anche oggi?»
   «No…» farfugliò la ragazza, guardandolo di sottinsù e trafiggendogli inconsapevolmente il cuore con quei suoi occhioni lucidi. «Cioè…» iniziò a correggersi per amor di onestà. «Solo se lo vuoi anche tu. Non voglio importi la mia presenza.»
   Credendo di aver capito male, Athrun rimase in silenzio per qualche istante, prima di farle notare con un sospiro: «Ti rendi conto che sono rimasto a Orb principalmente perché desidero starti accanto, qualunque cosa accada?» Cagalli arrossì, avvertendo i battiti accelerare in petto. «Nonostante tutto quello che è successo, sono stato anzitutto io a importi la mia, di presenza.» Si mosse nella sua direzione, colmando la breve distanza che li separava con pochi passi decisi. Rimasero lì in silenzio per una manciata di attimi, occhi negli occhi; poi Athrun passò il braccio sano attorno alla vita di lei e l’attirò a sé per sorprenderla con un bacio nel bel mezzo del corridoio.
   Era sempre stato così fra loro, fin dall’inizio. Fu questo che pensò Cagalli, cedendo immediatamente sotto al suo tocco e aggrappandosi a lui con forza. Le era mancato, dannatamente, e giurò a se stessa che non lo avrebbe lasciato mai più solo.
 
Theodore si portò una mano davanti alla bocca, affondando le dita fra la barba scura, gli occhi fissi sul monitor del computer. Uno dei suoi informatori gli aveva fatto un nome, Robert Sinclair, che però a lui non diceva nulla. La sua fonte sosteneva che Sinclair era stato molto a contatto con la famiglia Seiran, a suo tempo, e che attualmente risiedeva a Orb sotto falso nome. La cosa più singolare era che, contro ogni aspettativa, si trattava di un coordinator.
   I conti non tornavano, si ripeteva il giornalista, abbandonandosi contro lo schienale della sedia del suo ufficio, le braccia intrecciate sul torace robusto. Se era vero che i Seiran appoggiavano l’Alleanza Terrestre, cosa c’entrava un coordinator? Aveva promesso a Miriallia che non avrebbe scritto una sola riga su tutta quella storia, sia per rispetto ai suoi amici, sia perché preferivano evitare di creare allarmismi o, peggio, di dare la possibilità ai colpevoli di prendere provvedimenti e trovare scappatoie.
   Non sapendo dove sbattere la testa, Theodore decise di usare il metodo più banale del mondo: cercare il nome di Sinclair sui social network. Era come cercare un ago in un pagliaio, se ne rendeva conto, ma era comunque un tentativo. Ci mise diverso tempo, senza che ne ricavasse niente, prima di ricordarsi di un particolare. Prese allora il cellulare e avviò la chiamata.
   Miriallia rispose dopo diversi squilli, la voce assonnata. «Stavi dormendo? Ti chiedo scusa», esordì l’uomo, accorgendosi solo in quel momento che in effetti era già tardi e che fuori il cielo era ormai buio da un pezzo.
   La ragazza smorzò uno sbadiglio. «Non preoccuparti, dimmi pure. Hai novità?»
   «Non lo so», ammise l'altro, tamburellando con la punta della penna sul bordo della scrivania. «In realtà mi hanno passato un nome, forse può servire per le indagini. Un certo Robert Sinclair. Pare sia qui a Orb sotto falsa identità. Aveva legami con i Seiran. Si tratta di un coordinator
   «Cosa?» Sentì un tramestio e un'imprecazione dall’altra parte della linea.
   «Ci sei?»
   «Sì, scusa. Mi era caduto il cellulare mentre cercavo di accendere la luce per prendere appunti.»
   «Lascia stare, ti manderò un’email con tutte le informazioni», le assicurò, lasciandosi andare a un sorriso spontaneo. Alla fine della cena di due sere prima, Miriallia gli aveva detto sinceramente che non si sentiva pronta per un secondo appuntamento. Ciò nonostante, Theodore non riusciva a togliersela dalla testa. Non era certo di che tipo di sentimenti provasse per lei, ma al momento non gli importava. Miriallia gli piaceva e basta.
   «Cosa c’entra un coordinator con i Seiran?» chiese la ragazza, non potendo immaginare i suoi pensieri.
   «È quello che vorrei scoprire. Mi sono ricordato che hai conoscenze anche sui PLANT, fra le file dell’esercito», azzardò, scavando nella memoria, a quando in un’occasione la collega aveva ammesso la cosa dopo aver scritto un reportage sulla prima guerra del Bloody Valentine. Di nuovo la sentì imprecare. «Tutto bene?» si sincerò Theodore, temendo di aver toccato un tasto dolente.
   «Sì», sospirò lei, di malavoglia. «È solo che anche la persona a cui mi potrei rivolgere attualmente si trova qui.»
   «E questa persona non potrebbe incaricare qualcun altro, lassù, di indagare al riguardo?»
   Miriallia prese un respiro profondo e dopo diversi, interminabili istanti disse: «Forse c’è qualcun altro che può darmi una mano.»
   «Ottimo», rispose l’uomo, benché il tono della voce di lei non sembrasse del tutto entusiasta. «Ti ringrazio.»
   «Scherzi? Sono io che ringrazio te. Non posso muovermi come vorrei, quindi questo è il minimo che io possa fare. Ti terrò aggiornato.»
   Quando chiusero la telefonata, Theodore ebbe la sensazione che la stanchezza avvertita nelle parole della reporter non fosse strettamente collegata all’ora tarda. Immaginò che l’aggancio che Miriallia aveva in ZAFT non fosse in cima alle sue simpatie, ma preferì mettere da parte la questione. Guardò di nuovo l’orologio: le 23:47.
   Si passò entrambe le mani sul viso e si versò un’altra tazza di caffè dal thermos che aveva sulla scrivania. Non era ancora giunto il momento di tornare a casa.
 
«Sei stato di poche parole, oggi», disse d’un tratto Lunamaria, mentre passeggiavano insieme in riva al mare, sotto all’infinito cielo stellato.
   «In compenso tu hai parlato anche per me», la prese in giro Shinn, i cui piedi affondavano nella sabbia fine proprio come ricordava. Gli era mancata quella sensazione. D’improvviso si fermò, rendendosi conto di una sconcertante verità: quello strano sentimento che aveva provato in petto sin dal momento in cui avevano attraversato l’atmosfera terrestre non era semplice ansia. Era piuttosto un vago e incerto senso di nostalgia nei confronti della terra natia.
   «Beh, ma non trovi assurdo il comportamento di Athrun?» La voce di Lunamaria lo scosse e lui tornò a prestarle attenzione. «Voglio dire: fa sempre tutto e il contrario di tutto. Prima vuole sposare la donna che ama, ma si allontana da lei. Ora è tornato da lei, ma non vuole più sposarla», riassunse brevemente la ragazza, slacciando i sandali per liberarli dalla sabbia. «Poi dite che siamo noi donne, quelle irrazionali.»
   Shinn non aveva idea di quali fossero le motivazioni dietro quella reticenza da parte di Athrun, e a onor del vero non credeva fossero affari loro. Tutto ciò che pensava era che molto spesso la paura e l’incertezza potevano subdolamente condizionare molto l’animo umano, spingendo le persone a commettere errori e a provare sentimenti ben più violenti. Come la rabbia. Lui ne aveva provata tanta, in passato, e sapeva che era ancora lì, in agguato. Lavorava su se stesso ogni giorno, nella speranza di placarla tutte le volte che quella cercava di tornare a galla con prepotenza - ma non sempre gli riusciva.
   «Forse ha solo paura»,  decise di commentare dopo un po’. «Dopo quello che è successo, mi sembra normale.»
   Lunamaria rimase in silenzio, riflettendo su quelle parole. «Dici che prima o poi accetterà?» Vide l’altro stringersi nelle spalle, incapace di darle una risposta. Tornò sui suoi passi, scrutandolo in volto con un sorriso impertinente. «Di’», cominciò allora, facendo rabbrividire il ragazzo con il solo sguardo, «se ci fossimo noi due, al posto loro, tu cosa faresti?»
   Shinn indietreggiò. Quindi, deciso a non cadere in quella dannata trappola, le voltò le spalle e iniziò a correre dalla parte opposta.
   «Shinn!»
   «Non te lo dirò mai!» gridò il giovane, riscoprendosi sorprendentemente a ridere durante quella fuga strategica.
   L’altra rise con lui e subito gli fu dietro, minacciando di tirargli dietro i sandali se non si fosse fermato subito. Alla fine Shinn le concesse di raggiungerlo e le tese una mano. «Ti va di fare un bagno?»
   «A quest’ora? Non abbiamo neanche i costumi.»
   «Chi se ne importa», disse lui, gettando le scarpe all’aria e iniziando a togliersi la maglia in tutta fretta. Allo stesso modo, le fece cadere di mano i sandali e iniziò a trascinarla verso il bagnasciuga.
   «Aspetta! Fammi almeno togliere i vestiti!»
   «Non dire certe cose davanti a un uomo…» l’avvertì, aiutandola con impazienza a liberarsi dei primi indumenti. Era bellissima, pensò con un certo orgoglio, e lui era fortunato ad averla al suo fianco.
   Ignara delle riflessioni dell’amato, Lunamaria rise di nuovo e si tuffò fra le sue braccia, ormai entrambi dimentichi delle placide onde che lambivano loro le caviglie.
 
Quando Dearka lesse il nome del mittente dell’email appena ricevuta si bloccò come se avesse avuto una sincope. Chiuse l’applicazione, temendo di aver avuto un’allucinazione dovuta al troppo lavoro. La riaprì e di nuovo rimase allibito. E terrorizzato.
   Si alzò in piedi, lasciando il palmare sulla scrivania e uscì dall’ufficio per prendere una boccata d’aria. Già che c’era, fece lo splendido con una delle colleghe più giovani, che gli fece dono di un grazioso sorriso. Prese un caffè, sebbene avrebbe preferito di gran lunga un cicchetto per farsi coraggio, e infine, riempiendosi i polmoni d’aria, tornò indietro e sedette di nuovo al suo posto.
   Ricontrollò il palmare.
   Cazzo. Affondò il volto fra le mani. Possibile che a distanza di tutto quel tempo gli facesse ancora quell’effetto? Si sentiva patetico. E codardo.
   Decise di comportarsi da uomo. Aprì la mail e lesse:
   Ti contatto per lavoro, non farti strane idee.
   Oh, bene. Erano anni che non aveva notizie dirette da lei e la prima cosa che gli comunicava, giustamente, era di non farsi illusioni perché era costretta a parlargli dalle circostanze.
   Sospirando, e provando un senso di sollievo e delusione al contempo, Dearka procedette nella lettura di quella dannata mail. Miriallia lo aggiornava su quanto successo a Orb e gli chiedeva se potesse essere d’aiuto, indagando su possibili gruppi terroristici, nostalgici di Patrick Zala, presenti sui PLANT e magari in trasferta sulla Terra per un compito più che ovvio.
   Probabilmente la questione è strettamente legata ai Blue Cosmos, ma è comunque preferibile accertarsi della cosa, escludendo altre piste. Athrun non deve saperne niente, ha già troppe cose di cui preoccuparsi. Inoltre, sarebbe meglio che questa piccola indagine rimanesse entro una ristretta cerchia di persone, affinché non si creino allarmismi inutili. Posso affidarmi a te?
   «Cazzo, Miri… Anche a costo di farmi ammazzare», si ritrovò a riflettere a mezza voce Dearka, sentendosi avviluppare da un maledetto senso di nostalgia.
   Sgranò gli occhi violetti e il cuore gli si arrestò per un attimo in petto per colpa dell’ultima postilla.
   Come ho già detto a Kira, la prossima volta che vuoi dirmi qualcosa, sii uomo e vieni a farlo di persona. Cretino.
   Iniziò a ridere. Lo aveva insultato, eppure tutto ciò che lui riusciva a fare era ridere, felice come un bambino.
   Scattò di nuovo in piedi e in poche falcate fu alla porta, che spalancò così di colpo da far sobbalzare chi si trovava nelle vicinanze. Si diresse a spron battuto verso l’ufficio di Yzak e, passandole accanto per caso, arpionò Shiho per un braccio, trascinandola con sé.
   «Dearka!» protestò lei, alla quale sfuggirono dei documenti di mano che andarono a sparpagliarsi sul pavimento. «Che diavolo ti prende?!»
   Lui non rispose e, anzi, irruppe nell’ufficio di Yzak senza neanche bussare. Vide l’amico sgranare gli occhi, allibito, e balzare in piedi. «Che cazzo...?!»
   Non finì la frase che l’altro gli spinse letteralmente Shiho fra le braccia, facendolo ammutolire. «Ora mi devi un favore», fu tutto ciò che disse il biondo, la cui euforia non fu particolarmente contagiosa per i due colleghi, che continuavano invece a pensare che fosse ammattito di colpo.
   Yzak fu il primo a riprendersi dalla confusione e, tanto per cominciare, tolse le mani dalle spalle di Shiho per timore che lei potesse considerarla una molestia sul posto di lavoro. Quindi tornò a rivolgersi all’amico e proferì: «Ti uccido.»
   «Ok, ma prima mi devi un favore», insistette quello, tornando sui suoi passi per chiudere la porta lasciata spalancata.
   «Di qualunque cosa si tratti la mia risposta è no.»
   «Non sai nemmeno quello che voglio chiederti.»
   «Per principio.»
   «Si tratta di Athrun.»
   Fu come una formula magica, perché il Comandante Joule si accomodò nuovamente dietro la scrivania e chiese: «Che ha fatto, stavolta? Si è inimicato anche il governo di Orb e ora l’unica cosa che gli rimane da fare è fuggire nell’esercito dell’Alleanza? Lui e il suo amico hanno quest’assurda e discutibile abitudine di cambiare troppo spesso fazione per correre dietro a una sottana.»
   Ma Dearka neanche lo stava ascoltando e, tutto contento, rivelò: «Mi ha scritto Miriallia.»
   Yzak lo fissò in silenzio. Quindi mise in chiaro: «Non ti darò il permesso di lasciare l’esercito per emulare quello scemo di Athrun.»
   «Ehm...» farfugliò Shiho, in evidente stato di disagio. «Potrei tornare al mio lavoro?»
   «No, mi servi qui per ammorbidirlo», le rispose il biondo, lasciandola fortemente perplessa.
   «Sei un maledetto», sibilò l’albino, lanciandogli uno sguardo omicida.
   «Mi ha chiesto di coinvolgere alcune persone fidate in un’indagine sull’eventuale presenza di estremisti sui PLANT», riprese come nulla fosse il Capitano, ignorandolo.
   L’altro sollevò un sopracciglio con aria severa. «Da quando Miriallia Haw è stata eletta membro del Consiglio Superiore dei PLANT?» volle sapere, comunicandogli indirettamente che non gliene poteva importare un accidenti, di ciò che diceva quella ragazza.
   «Va bene», non si perse d’animo Dearka, iniziando già a voltarsi per tornare alla porta. «Mi rivolgerò direttamente a Lacus Clyne.»
   «Altolà!» ordinò Yzak, battendo un pugno sulla scrivania. «Ci stiamo già lavorando su, cretino!» lo informò allora, sperando che quel decerebrato riacquistasse la ragione.
   La prigionia sull’Archengel, prima, e la sua collaborazione con quello che inizialmente era stato l’esercito nemico, dopo, avevano cambiato profondamente il giovane Elthman. Yzak aveva capito che gran parte di quella trasformazione era dovuta al suo incontro con quella ragazza natural, ma sapeva anche che non era stato l’unico motivo per cui Dearka si era battuto accanto ad Athrun e a Kira durante le ultime fasi della prima guerra. Vivere a stretto contatto con i naturals gli aveva fatto comprendere molte cose, sviluppando un’empatia che aveva sempre ignorato di possedere.
   Dearka arrestò il passo. «Da quando?!»
   «Diciamo che è una situazione che veniva già tenuta d’occhio da tempo, visto l’affare di Junius Seven. Ma dopo quanto accaduto tre giorni fa, abbiamo dovuto necessariamente intensificare gli sforzi al riguardo.»
   «E quando cavolo pensavate di dirmelo?!» si inalberò a quel punto, sporgendosi in avanti e battendo i palmi delle mani sul ripiano della scrivania che li separava. «Perché tagliarmi fuori da questa indagine?!»
   «Nessuno ti ha tagliato fuori.»
   «Allora perché non ne sapevo niente?!»
   «Avevo appena incaricato Shiho di portarti un dossier al riguardo», svelò Yzak a quel punto. «Suppongo però che non sia riuscita a raggiungerti in tempo, prima che la follia ti colpisse in pieno.»
   Dearka tornò a rilassare i muscoli del corpo e alzò lo sguardo sulla ragazza, che subito fece spallucce. «Avrei voluto dirtelo, ma sei stato talmente irruente che non me ne hai dato modo.»
   «E il dossier?»
   «Me lo hai fatto cadere di mano. Temo che sia ancora di là, sul pavimento del corridoio.»
   Yzak ebbe quasi un collasso nervoso. «È un documento importantissimo, corri subito a prenderlo!» le urlò dietro a malincuore.
   Lei scattò subito sull’attenti. «Signorsì, signore!» dicendolo scappò fuori dall’ufficio per andare a recuperare quanto le era caduto.
   «Sei stato molto sgarbato», disse Dearka, nel frattempo, con gran faccia tosta.
   «È colpa tua, Dorka
   «Il mio nome è Dearka
   «Fidati, devono aver sbagliato a scrivere all’anagrafe, perché sei totalmente un asino.»
   Shiho tornò poco dopo con tutti i documenti e li passò al Capitano, che le rivolse un sorriso affascinante. «Sei sempre così preziosa…» Yzak si accigliò e lui, dispettoso, riprese: «Il Comandante voleva chiederti scusa per aver alzato la voce, poco fa.»
   La ragazza si voltò stupita verso l’albino. «Oh, non ce n’è bisogno, è stata colpa mia.»
   «Per scusarsi, vorrebbe invitarti a cena.»
   «Dearka!» abbaiò Yzak, diventando paonazzo e tornando a balzare in piedi come se avesse avuto il fuoco sotto la sedia.
   «Va bene», disse lui col tono conciliante di un bambino. «Torno nel mio ufficio. Buon lavoro!» salutò, scivolando felice verso l’uscita e chiudendosi la porta alle spalle.
   Tornato a sedersi, Yzak si portò entrambe le mani alle tempie. Quell’imbecille gli aveva fatto venire mal di testa e aveva ancora diverse ore di lavoro davanti a sé. Era incredibile come quei tre idioti di Dearka, Athrun e Kira si lasciassero condizionare a tal punto da una donna.
   «Quando?» La voce di Shiho lo fece sobbalzare e lui alzò gli occhi chiari su quelli viola di lei. «Per la cena… Quando ci vediamo?» gli domandò, serafica.
   Yzak fu preso dal panico.
 
«Buongiorno», salutò Kira, raggiungendolo dietro le vetrate del soggiorno, che si affacciava sul grande giardino del palazzo. Athrun si volse per ricambiare con un sorriso. Aveva i capelli ancora umidi, segno che doveva essere riuscito a farsi una doccia, nonostante la fasciatura alla spalla. «Come va la ferita?»
   «Non male», rispose. «Stamattina è passato il medico, la cicatrizzazione va piuttosto bene.»
   «Allora cos’è quel muso lungo?» lo prese affettuosamente in giro il suo amico d’infanzia.
   Athrun tornò a guardare oltre i vetri. «Non hai idea di quanto mi costi rimanere rintanato qui dentro. Non mi piace nascondermi come un vigliacco, ma non posso fare altro.»
   Kira comprese subito a cosa si riferisse. Athrun era sempre stato un tipo attivo, incapace di stare con le mani in mano e di ignorare le proprie responsabilità. Nonostante la ferita, avrebbe senza dubbio preferito indagare direttamente sul campo, piuttosto che rimanere dietro le quinte. «Se tu provassi a uscire da qui con questo clima e senza aver ancora scoperto chi è l’autore dell’attentato dell’altro giorno, Cagalli ti ammazzerebbe», provò a risollevargli il morale il Comandante, benché sapesse di avere a che fare con una causa persa.
   «In realtà la cosa che mi spaventa di più è vederla di nuovo in lacrime», ammise Athrun senza pudore. D’altra parte stava parlando con Kira, il suo migliore amico, suo fratello. Probabilmente lo sarebbero diventati davvero, fratelli, se lui avesse accettato la proposta degli Emiri. «Desidero davvero sposarla», precisò, sebbene fosse sicuro che lui non avesse bisogno di una rassicurazione del genere. «Ma non voglio che sia un'imposizione. Inoltre, vorrei prima cercare di fare luce su tutta questa situazione, se possibile risolverla almeno in parte, così da essere sicuri che lei non corra rischi a causa mia.»
   Il giovane Yamato apprezzò una volta di più la sua nobiltà d'animo e la sua determinazione. Quando aveva scoperto che Cagalli era sua sorella, era rimasto sorpreso quanto lei e inizialmente non aveva avuto davvero idea di cosa pensare della faccenda. Era soprattutto confuso a causa delle vere motivazioni che si celavano dietro alla sua nascita e ai deliri del loro vero padre. Lui e Cagalli, comunque, erano già diventati buoni amici e il sapere di essere gemelli, alla fine, li aveva uniti ulteriormente. Il legame spontaneo nato nel frattempo fra lei e Athrun non aveva potuto che fargli piacere e rasserenarlo a un tempo.
   «So che ormai non faccio più parte dell'esercito di Orb, ma cercherò di aiutarvi come posso.»
   «Grazie.»
   «A proposito, lei dov’è?»
   «Sotto la doccia», rispose l’Ammiraglio, scostandosi finalmente dalle portefinestre e iniziando ad avviarsi verso la sala da pranzo, dove avrebbero potuto fare colazione insieme. «Shinn e Lunamaria, invece, stanno ancora dormendo. A quanto pare, ieri sera sono rientrati tardi.»
   «Miriallia?»
   «È già in piedi da un pezzo», rispose la diretta interessata, che già sedeva al tavolo in attesa degli altri. Mise da parte il cellulare su cui stava consultando i principali quotidiani e li salutò entrambi con un sorriso. «Ho qualche nuova informazione», disse ad Athrun. «Non molto, in realtà. Vi fornirò un piccolo promemoria prima che incontriate gli altri Emiri.»
   «Riunione anche oggi?» chiese Kira, accomodandosi di fronte alla ragazza.
   «Cagalli, più che altro», precisò l’altro, sedendo accanto a lui. «È lei il Delegato. A quanto pare, io sono solo la futura first lady.»
   L’amico rise. «Hai ragione, per un attimo l’avevo dimenticato.»
   «Avrei voluto farlo anch’io, credimi.»
   Poco dopo si sentì un chiacchiericcio provenire dal corridoio, e dalla porta sbucò Shinn con la faccia accigliata. Andò a prendere posto accanto al suo ex superiore. «Che è successo?» domandò lui, preoccupato, sorvolando sul fatto che il ragazzo non avesse neanche salutato.
   «Femmine», disse solo.
   A quella parola fece seguito l’ingresso di Cagalli e Lunamaria, immerse in una conversazione divertente, almeno in apparenza. «Avrei voluto esserci», stava dicendo la prima.
   «Stanno parlando di te», fece sapere Shinn, imbronciato come un bambino.
   Athrun inarcò le sopracciglia scure, stupito. «Di me?»
   «Avresti dovuto vedere come gliele ha suonate», stava raccontando intanto Lunamaria, dando poi il buongiorno a Miriallia, che la invitò a sedere accanto a lei. «Non credo che Shinn ne abbia prese così tante da nessun altro.»
   Cagalli lanciò uno sguardo al proprio innamorato. «Non sapevo che fossi anche violento», commentò, lasciandolo basito.
   «In realtà aveva ragione da vendere», ci tenne a farle sapere la sua compagna di pettegolezzi, un sorriso birichino sulle labbra. Shinn grugnì.
   «Volevo ben dire», disse l’altra, prendendo posto di fronte all’ex asso della Minerva. Gli rivolse uno sguardo comprensivo. «Però è vero, quando Athrun si arrabbia fa paura.»
   «Si è arrabbiato anche con te?» volle sapere subito Lunamaria, che dalla sera precedente aveva iniziato a darle del tu e a chiamarla per nome.
   Cagalli annuì, cominciando a servirsi la colazione da sola. «La prima volta che ci siamo incontrati. Ma si è limitato a urlarmi contro.»
   «Avevo ragione anche in quel caso», puntualizzò il diretto interessato, prendendo finalmente parola.
   «Chi dice il contrario?» lo rassicurò lei. «Però il modo in cui ti avventasti su di me, in quel momento, mi spaventò.»
   «Che avevi combinato?» si incuriosì a quel punto Kira, intromettendosi per la prima volta nel discorso. «Perché, conoscendoti, la colpa era sicuramente tua.»
   «Finalmente un’osservazione sensata», lo ringraziò il suo amico.
   Cagalli fece un verso buffo in direzione di suo fratello. «Tu sei uguale a lui, con la differenza che da te uno schiaffo l’ho preso davvero.»
   Gli altri sgranano gli occhi. «Sei riuscita a farti schiaffeggiare da Kira-san?!» domandò Lunamaria, non riuscendo minimamente a immaginare il proprio Comandante che perdeva le staffe.
   «Ehi», iniziò a balbettare lui, cercando di giustificarsi, «ci eravamo appena conosciuti e anche io quella volta avevo ragione!»
   «Anche Athrun mi aveva appena conosciuta, eppure non mi torse un capello», puntualizzò Cagalli, stizzita. «Anzi, se proprio vuoi saperlo…» ricominciò per poi tacere di colpo. «No, questo meglio non dirlo. Potrebbe sembrare fraintendibile.»
   «Fu tutto fraintendibile, durante il nostro primo incontro», le fece notare stancamente l’Ammiraglio, fingendo quasi disinteresse per la questione ma accendendo in qualche modo la curiosità degli altri. Lei si lasciò sfuggire un risolino imbarazzato e mormorò: «Quant’è vero...»
   Miriallia guardò ora Kira ora Athrun. «Certo che per far arrabbiare voi due ce ne vuole…»
   «Eppure Shinn e Cagalli-sama ci sono riusciti», disse Lunamaria, non capacitandosene.
   L’altra le diede il gomito con fare complice. «Immagina: loro due e Yzak chiusi in una stanza a litigare per Athrun.»
   La bella Hawke scoppiò a ridere, mentre il suo innamorato ruggì di sdegno a quell’idea malsana. «Scoppierebbe l’Apocalisse» commentò lo stesso Athrun, stando al gioco ma rimanendo mortalmente serio. «Ma vincerebbe Cagalli.»
   Quest’ultima non fu da meno e gli puntò contro il cucchiaino da tè con orgoglio. «Puoi dirlo forte.»
   «Certo», bofonchiò Shinn, abbandonandosi con malagrazia contro lo schienale della sedia. «Le femmine vincono sempre.»
   «No, non sempre…» sospirò il Delegato, vedendo Kisaka presentarsi sull’uscio della sala. La riunione sarebbe cominciata a breve. «Immagino che per me sia ora di andare», annunciò con evidente rammarico nel tono della voce. Insieme a suo fratello e ai loro ospiti, per un attimo le era sembrato quasi di essere tornata indietro nel tempo, quando, nel periodo più ribelle della sua vita, si era imbarcata sull’Archengel insieme a Kisaka per cercare di tornare verso Orb. Certo erano nel bel mezzo di una guerra, ma suo padre era ancora vivo e lei non aveva tutte quelle responsabilità. Non che si lagnasse del suo lavoro, lo aveva scelto lei stessa, aveva rischiato ed era stata premiata; tuttavia a volte le mancavano momenti spensierati come quelli.
   «Ci vediamo più tardi», salutò gli altri, alzandosi in piedi per raggiungere Kisaka.
   «Aspetta», disse Miriallia seguendola e portandola con sé oltre la soglia, di modo che gli altri non potessero vederla. Le mise in mano un foglio. «Qui c’è il nome di un uomo che ai tempi era in stretto contatto con i Seiran. Sembra che adesso sia tornato a Orb sotto falsa identità. Non ho idea di che cosa voglia, ma sarebbe meglio condividere queste informazioni con gli altri Emiri.»
   «È stato il tuo collega ad avvisarti?» La ragazza annuì. «Ringrazialo da parte mia», disse Cagalli, aprendo il foglio per leggere quanto c’era scritto su. Robert Sinclair. Un nome che non le diceva nulla.
   «È un coordinator
   A quella rivelazione alzò la testa di scatto, incrociando gli occhi preoccupati dell’amica. Forse, allora, non c’entravano soltanto i Blue Cosmos. «Lo hai già detto ad Athrun?»
   «No, e vista già la tua reazione, forse è meglio che non lo sappia finché non avremo prove concrete», suggerì Miriallia, comprendendo fin troppo bene lo stato d’animo del Delegato. Lei aveva già perso qualcuno a cui aveva voluto bene con tutta se stessa; non avrebbe permesso che altri provassero il medesimo dolore. «Ma devo farti una confessione e spero che non ti arrabbierai per questo», riprese, lanciando anche uno sguardo di scuse a Kisaka. «Ho passato l’informazione a Dearka, in modo da incrociare le nostre fonti al riguardo ed escludere il coinvolgimento dei seguaci di Patrick Zala.»
   «Hai fatto bene», rispose Cagalli, rendendosi conto dello sforzo che doveva esserle costata quella mossa. Miriallia non parlava con Dearka Elthman da quasi tre anni e, anzi, Athrun le aveva raccontato che una volta lei aveva persino fatto finta di non averlo sentito quando le aveva chiesto di lui. Apprezzava davvero il suo prezioso aiuto e non lo avrebbe dimenticato. «Grazie. Per tutto.»





 
  
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