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Autore: missOsbert    03/09/2023    1 recensioni
Ophelia Verinder, una solitaria Serpeverde affascinata dalla Magia Oscura e discendente di un'antica famiglia di Mangiamorte, scopre un'inaspettata connessione con Alastor Moody, l'enigmatico mentore di cui non sapeva di aver bisogno. Attratta dal suo mondo di intrighi e conoscenze proibite, Ophelia trova un alleato che la capisce come nessun altro.
Ma quando la verità dietro l'identità di Moody viene svelata, le certezze di Ophelia vanno in frantumi. È un volto sconosciuto quello che la pozione polisucco rivela, il volto di Barty Crouch Jr. Un anno dopo, forze oscure richiamo Ophelia. La sua strada incrocia ancora una volta quella di Barty, evaso da Azkaban, riaccendendo un'attrazione che sfida i suoi princìpi.
Intrappolata nei piani malvagi di Voldemort, la lealtà e gli ideali di Ophelia vengono messi alla prova. Mentre la guerra s'inasprisce, Ophelia dovrà scegliere se lottare al fianco dell'uomo che ama o contro di lui, giungendo a uno scontro decisivo che potrebbe cambiare il loro destino per sempre.
Genere: Dark, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartemius Crouch junior, Lucius Malfoy, Nuovo personaggio, Severus Piton, Voldemort
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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MORSMORDRE

LA PROMESSA DEL SERPENTE

di Nymphe Osbert

 

1. Un messaggero nella notte
 

 
La morsa gelida le artigliava qualcosa nel petto, premendo e schiacciando fino ad affondare lunghe dita scarne in profondità. Immobile, incapace di urlare, poteva solo fissare con orrore le orbite vuote e la bocca putrida senza labbra del Dissennatore avvicinarsi sempre di più alla sua.
 
Ophelia si sollevò sui gomiti reprimendo un grido, il respiro corto e il cuore in gola. Aveva gli occhi sbarrati eppure tutto era buio intorno a lei.
Cercò a tentoni la lampada sul comodino e, dopo averla accesa, fece fatica a riconoscere la propria stanza. La luce rischiarava la fantasia della carta da parati, la cassettiera di legno scrostata, il tappeto sbiadito e consumato. Tutto le era familiare, eppure spesso si svegliava nel cuore della notte con la sensazione di essere ancora a Hogwarts.
Scalciò le coperte e si mise a sedere, sfregandosi le mani sul viso e tentando si allontanare l’orrore dell’incubo ancora vivido e le lacrime. Aveva smesso di sognare da mesi, credeva di essere finalmente in pace, libera. Quel Dissennatore rappresentava la sua sconfitta, le catene della sua prigionia. Perché insieme a lui erano tornati anche i ricordi, e lei non voleva più ricordare.
Come potevano pochi istanti, brevi momenti rubati all’inevitabile, averla ridotta in quello stato?  
Contò mentalmente fino a dieci, rallentando il respiro e il battito, ma il tremore non l’abbandonava. Una lacrima solitaria vinse le solide barriere che Ophelia ogni volta ergeva contro il pianto e le rotolò sulla guancia. Lei la cancellò con un gesto secco della mano, poi si alzò e scostò la tendina della finestra. E allora lo vide.
Nella penombra del cortile, un’ombra fra le ombre, procedeva con passo spedito seguito dal suo ampio mantello nero e ancora qualche strascico della smaterializzazione. Il professor Piton aveva quasi raggiunto l’ingresso del cottage quando la vide dietro il vetro della finestra. Allora si fermò, limitandosi a fissarla.
Ophelia avvertì un brivido attraversarle la schiena. Ecco che il passato e l’inevitabile futuro racchiusi in un unico corpo erano infine giunti a bussare alla sua porta.
Con un sospiro, si assicurò la bacchetta nei pantaloni del pigiama, poi infilò una morbida vestaglia e si avviò senza fretta lungo le scale di legno.
Quando aprì la porta, la brezza gelida di febbraio si insinuò in casa facendole arricciare le dita dei piedi nudi sul pavimento.
«Buonasera, signorina Verinder» sentenziò la profonda voce del professor Piton mentre costui si avvicinava all’ingresso.
«Professore» lo salutò a sua volta Ophelia, gettando una rapida occhiata all’orologio appeso alla parete che segnava le tre meno un quarto. Conosceva bene il suo ex professore di pozioni, sapeva che era un animale notturno quasi migliore di lei, ma cosa ci faceva lì a quell’ora?
Mentre Piton raggiungeva con placide falcate il centro del salotto, Ophelia aggiunse qualche ceppo di legno nel camino per ravvivare la fiamma, poi restò in attesa.
Nel silenzio scandito solo dal ticchettio dell’orologio e dal crepitare del fuoco, il professore lanciò rapide occhiate sdegnate alla stanza.
«Non è stato facile trovarti,» esordì «questa non è l’abitazione indicata sui registri come residenziale».
«C’è un errore in effetti» confermò Ophelia scoprendo la propria voce ancora arrochita dal sonno. «I gufi vengono dirottati di continuo ma è qui che ho sempre abitato» specificò, perfettamente consapevole che Piton si riferiva alla grande villa di famiglia nella quale lei non metteva piede da quando era bambina.
Una smorfia di insofferenza si dipinse sul volto del professore di pozioni.
«Ciò che sono venuto a dirti non può essere affidato a un semplice gufo, altrimenti non mi sarei preso la briga di venire fin qui, non trovi?» disse, quasi offeso.
Ophelia non provò nemmeno a chiarire il malinteso, sarebbe stato del tutto inutile. Si limitò ad abbassare lo sguardo, fissandolo inavvertitamente sulla Gazzetta del Profeta abbandonata sul basso tavolino davanti al caminetto. L’edizione risaliva al mese precedente ed era rimasta aperta alla prima pagina dove svettava l’immagine di una torre triangolare, in parte danneggiata, e il titolo a caratteri cubitali “Evasione di massa da Azkaban”.
Notò che Piton aveva intercettato il suo sguardo ma non disse nulla, attese che il professore riprendesse il suo discorso, invano, così fu costretta a chiedere «E qual è il motivo di questa visita, se posso?».
Piton si voltò verso di lei con uno scatto, l’espressione estremamente seria.
«Una convocazione» fu la risposta.
Ophelia l’aveva sentita arrivare, l’onda che andò a impattarsi contro il suo stomaco e che le diede un senso di vertigine. Lo sapeva, l’aveva previsto.
«E un avvertimento» aggiunse Piton. «I tuoi genitori erano seguaci dell’Oscuro Signore, di conseguenza lui si aspetta lo stesso da te» fece una pausa per scrutare sul volto di Ophelia il più lieve accenno di reazione. Lei restò impassibile.
«La convocazione non è una formalità,» continuò «se non ti presenterai sarai ritenuta un nemico ostile. Se verrai, avrai tenuto fede al giuramento fatto dai tuoi genitori anni fa e puoi star certa che Lui ne terrà conto».
Ophelia restò in silenzio per alcuni istanti, assimilando quelle parole. Ogni suono era amplificato dalla quiete della notte ma lei non ci badava.
«E l’avvertimento?» decise di chiedere.
Piton non le rispose subito. La guardò dritto negli occhi e non si mosse. Ophelia sapeva che stava cercando di leggerle dentro, ma sapeva anche che non ci era riuscito in sette anni a Hogwarts e non ci sarebbe di certo riuscito adesso.
«Non metterti contro chi non puoi affrontare» le disse in tono perentorio e severo. «Conosco la tua predisposizione per le Arti Oscure, Verinder,» riprese «e la conosce anche l’Oscuro Signore. Il mio consiglio è di valutare attentamente entrambi i lati della scacchiera prima di schierarti».
«È quello che ha fatto lei?» domandò Ophelia senza pensare.
L’occhiata gelida che ricevette in cambio le bastò come risposta.
«Questa convocazione non sembra lasciare molto spazio alla valutazione» disse poi, stringendosi nella vestaglia.
Il professore fece un passo verso di lei, mostrandosi in tutta la sua altezza.
«Per quanto tu possa essere rimasta segnata dal tuo ultimo anno a Hogwarts, hai avuto molto tempo per riflettere. E vorrei ricordarti che, in modo poco velato, hai dato dell’arrogante al preside in persona.»
Una parte di Ophelia avrebbe sorriso al ricordo di quel momento con Albus Silente, ma il pensiero delle circostanze in cui quella conversazione era avvenuta la caricò invece di tristezza e una certa malinconia.
Lanciò ancora uno sguardo alla Gazzetta del Profeta. Si era ritrovata a farlo spesso in quell’ultime mese, come se le parole stampate potessero darle conforto o addirittura speranza.
«Sì, è tornato anche lui».
Inaspettate, quelle parole la colpirono come una raffica di vento gelato. Il cuore prese a martellare furioso nel petto, tutto il corpo fu inondato da improvviso calore e poi freddo estremo. Ophelia credette per un attimo che avrebbe perso i sensi da lì a poco, poi però finalmente la sua mente elaborò. Era vivo, tutto il resto non contava. Non contava che l’avesse ingannata, forse anche usata. Lei aveva visto anche solo per qualche breve istante ciò che si celava dietro la maschera.
Si chiese se questo bastasse per il perdono. Il sollievo era troppo grande per darle modo di pensare lucidamente, le bastava sapere che lui era vivo e fuori pericolo.
I suoi occhi increduli saettarono dentro quelli di Piton, cercando conferme. Lui ricambiò con uno sguardo impassibile ma prolungato, poi accennò alla Gazzetta del Profeta con un’occhiata.
Ophelia fece un paio di respiri profondi, incapace di dire nulla.
Piton le diede le spalle e, agitando il mantello, si mosse verso la porta.
«Ti aspetto domani da Magie Sinister al tramonto» le disse con un tono che non ammetteva repliche, vittorioso.
Sapeva che sarebbe venuta.
   
 
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