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Autore: Tynuccia    04/09/2023    1 recensioni
Il suo futuro era incerto e non poteva sicuramente permettersi il lusso di divagare. Non era mai stato il tipo di persona attratta da scenari mentali dalle poche possibilità di realizzazione, e in un momento come quello avrebbe avuto ancora meno senso aggrapparsi a fantasticherie.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Yzak Joule
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Cinque
15 gennaio 72 C.E.


“Lei dev’essere il Maggiore Hahnenfuss!”.

Shiho si fermò di colpo e si voltò, incuriosita da quella voce profonda e al contempo euforica. Fu ancora più irrazionale trovare qualcuno seduto alla scrivania appena fuori dall’ufficio di Yzak. “In persona. Mentre lei è…?”. Guardò l’uomo di grossa statura intento a sorriderle beato. Era così muscoloso che la sua uniforme verde sembrava contenerlo a malapena.

“Philipp Jones”, rispose lui, scattando sull’attenti. “Sono il nuovo segretario del Comandante Joule!”.

La ragazza si concesse un sorso di caffè per nascondere il ghigno soddisfatto che le abbelliva il volto. Dunque si era finalmente deciso a sollevarla da incarichi tediosi che non le spettavano… “Piacere di conoscerla”, disse poi, tornando a comportarsi come suo solito. “Suppongo sia stato lei a chiamarmi poco fa".

“Oh, mi perdoni Maggiore. Non ho ancora molta dimestichezza con l’interfono e le ho attaccato il telefono in faccia”. Jones grugnì con disappunto e scosse la testa. “La prego di darmi qualche giorno per abituarmi”.

Shiho annuì e si sporse verso di lui, regalandogli un sorriso incoraggiante. “Si limiti ad aspettare che sia l’altra persona a chiudere la comunicazione”. Lo vide annuire tra sé e si domandò dove caspita l’avesse trovato, Yzak, un soldato del genere. “Nel frattempo può avvisare il Comandante che sono arrivata”.

Attese che la porta fosse aperta per entrare nell’ufficio. L’aveva mandata a chiamare piuttosto presto, quella mattina, e Shiho non poteva che essere nervosa. Era la prima volta che si incontravano dopo la cena che le aveva offerto poiché, dopo le vacanze natalizie, era stato costretto in Consiglio ogni singolo giorno, affidando a lei e Dearka la gestione della Voltaire e della Rousseau.
Spiò all’interno della grande stanza e lo vide seduto alla scrivania, come ogni volta. Si era aspettata di trovare anche il Maggiore Elthman appollaiato di fronte a lui e intento ad infastidirlo, ma sembrava che fosse arrivata per prima. Inspirò a fondo e fece un passo in avanti. “Buongiorno”, scandì ad alta voce, il braccio teso contro la fronte nonostante stesse reggendo il suo caffè.

“Non mi ha portato la colazione, Maggiore?”. Yzak sollevò un sopracciglio, apparentemente deluso alla vista di una sola tazza. “Che privilegio c’è nell’essere il Comandante se poi i miei sottoposti non fanno neanche una piccola gentilezza nei miei confronti?”.

Shiho sospirò e gli si avvicinò, lasciando sulla sua scrivania i fascicoli che stringeva nell’altra mano. “Non ne ho bevuto molto, signore”, offrì stancamente, abituata ai capricci dell’albino.

Yzak la adocchiò con fare scettico. “Non è nella lista delle mie priorità scambiare fluidi corporei in questa maniera. E, conoscendola, sarà un intruglio pieno di zucchero e latte”, fece una smorfia, rabbrividendo al solo pensiero. “Sto ancora digerendo quel panino, per sua informazione”.

Shiho tentò di non sobbalzare in maniera troppo vistosa. Più che per la cena, la menzione d’onore a quella serata consisteva nel goffo abbraccio in cui l’aveva avviluppata poco prima di andarsene. Quando l’aveva raccontato a Miriallia, il giorno seguente, aveva quasi perso l’udito per l’urlo deliziato della sua amica, evidentemente parecchio interessata a far da Cupido. Fece vagare lo sguardo fino all'attaccapanni, dove campeggiava la sciarpa che gli aveva regalato qualche settimana prima. Si maledisse mentalmente quando lui la sorprese con gli occhi puntati su quel pregiato pezzo di stoffa.

“Che c’è, aveva paura che l’avessi buttata via?”, la canzonò senza neppure distogliere l’attenzione dal monitor del computer. “Le sembro così tanto insensibile, Maggiore?”.

La ragazza avrebbe voluto annuire, ma quella risposta avrebbe permesso a Yzak di terminare il lavoro di Miriallia e renderla per davvero sorda. “Stavo solo pensando che magari l’aveva utilizzata per pulirsi la bocca, proprio come aveva minacciato”.

L’albino fece immediatamente scattare lo sguardo verso di lei, iroso come suo solito. Se avesse prestato un minimo di attenzione avrebbe capito che era un’innocente battuta, ma essendo lui Yzak Joule non fu in grado di cogliere la sfumatura goliardica. “Le ho già chiesto scusa, mi pare! Non la facevo tanto rancorosa".

Shiho cominciò a parlare, ma la porta si aprì e Dearka fece il suo ingresso trionfale. “Eccoli qua, i miei piccioncini. Stavate litigando, eh? Vi si sentiva dal corridoio”.

“Per una volta tanto potresti smetterla di origliare”, lo riprese Yzak. “E sì, a quanto pare il Maggiore Hahnenfuss mi odia e, per una stupidaggine che le ho detto prima di Natale, non mi ha portato il caffè”. Alzò il mento con fare offeso, e probabilmente agli occhi dei suoi due sottoposti era davvero così. Figlio unico e senza aver mai conosciuto il padre, Yzak Joule era cresciuto nella bambagia, viziato come un principino in piena regola. E, nonostante l’età gli
avesse corretto parecchi difetti comportamentali, trovarsi senza colazione dopo essere stato abituato al contrario sembrava infastidirlo genuinamente.

“Ma Shiho! Non ti si può lasciare sola per un momento! Cosa mi combini?”, esclamò Dearka con fare teatrale, strigliandola appositamente per darle fastidio. “Sono esterrefatto dal tuo comportamento così infantile!”.

Lei lo fulminò con un’occhiataccia, poi si voltò verso il loro superiore, che gongolava apertamente per essere stato spalleggiato. “Signore, seriamente… Era una battuta, e sono davvero spiacente se non ho pensato al suo caffè. È ché ho ricevuto la chiamata del suo segretario piuttosto di fretta e mi sono precipitata qua!”.

Yzak, forte dell’appoggio di qualcuno, sbuffò con fare testardo e subito Dearka abbracciò Shiho, strattonandola ben più del solito. “Ma dai Joule, così facendo spaventi il nostro preziosissimo angioletto!”. Le prese le guance, ascoltando divertito l’insulto che le sfuggì strozzato dalla bocca. “Si vede che è pentita e non farà più la cattiva bambina in cerca di una sculacciata”.

Shiho si divincolò dalla stretta del suo collega biondo e dovette trattenere la stizza. Avrebbe voluto schiaffeggiare entrambi. “Va bene! Me ne occupo immediatamente! Manco fossi la sua serva”, li informò prima di uscire dall’ufficio e sbattere la porta con così tanta violenza che i due ragazzi sobbalzarono.

“Secondo te ho esagerato?”, domandò Yzak dopo qualche istante di silenzio imbarazzato.

“Macché, sei stato molto maturo”, disse Dearka con una significativa alzata di sopracciglia.

L’albino lo guardò a lungo, studiando la sua espressione per un minuto buono prima di cogliere il sarcasmo. “Beh vaffanculo, Elthman”, sbottò, alzandosi di colpo e ricalcando i passi compiuti dalla Hahnenfuss.

“Perché ho a che fare con quei deficienti…”, si lamentò il biondo una volta che si trovò da solo nel grande ufficio del suo migliore amico.

*

Shiho alzò gli occhi al cielo quando vide l’inserviente della mensa sobbalzare e rabbrividire come se avesse appena visto un fantasma. “Continui pure a fare quel caffè”, disse, cercando di sembrare imperturbata.

“Ma… Maggiore…”, balbettò quella, lo sguardo fisso oltre la sua spalla. “Il Comandante è dietro di lei, non farei meglio a servire direttamente lui?”.

“Il Comandante Joule è troppo impegnato per ordinarsi un caffè”, notò secca Shiho. Non si mosse quando il diretto interessato scostò un altro soldato bruscamente e si appoggiò pesantemente al bancone. “Ci aggiunga anche una brioche integrale, oggi mi sento generosa”.

“Non la voglio”, precisò Yzak, scrutando con sufficienza l’inserviente. “E stia attenta con il caffè”. Aveva già notato che per il nervosismo stava buttando i chicchi da tutte le parti tranne che nella macchina fumante. Supervisionò l’intera azione, annotandosi mentalmente di non andare mai più nella mensa durante le ore di punta. Già era stato frustrante notare come la fila di soldati davanti a lui si fosse aperta nel momento della sua comparsa, ed il conseguente
silenzio religioso era stato anche peggio. Era pur vero che mal sopportava chiunque al mattino, ma non avrebbe di sicuro fatto una delle sue sceneggiate in un luogo comune frequentato anche da altri Comandanti.

“Lo metta pure sul mio conto”, disse Shiho quando lei ebbe finito. E il suo tono non ammetteva repliche, tant’è che fu lieta di non sentire neppure il principio di una protesta uscire dalla bocca del suo superiore. Forzò il sorriso più nervoso di sempre e cominciò ad allontanarsi, conscia del fatto che Yzak le stava correndo dietro a moderata velocità per non versarsi addosso il caffè bollente.

“Maggiore Hahnenfuss”, tentò di sbraitare autoritario, ma la ragazza non sembrava volersi fermare, o guardarlo.

“Dobbiamo sbrigarci, signore. Mi ha costretta a interrompere una riunione importante perché altrimenti non mi avrebbe rivolto la parola. Sono lieta di notare di aver rimediato al mio irreparabile torto. Ora ci conviene tornare dal Maggiore Elthman prima che faccia scherzi telefonici con la sua linea privata”. Shiho si fermò, inspirando a fondo per calmarsi. E per non ridere, perché quando aveva insinuato che Dearka potesse ridicolizzarlo, Yzak aveva
bestemmiato sonoramente, facendo trasalire un paio di reclute che stavano passando di lì.

“Lei non pensa che possa farlo sul serio”, bisbigliò lui, già dimentico dell’obiettivo principale della sua scampagnata per i corridoi del quartier generale. Finalmente poté guardarla in faccia e immediatamente si ritrovò alquanto in torto nell’aver desiderato di fronteggiarla. Non credeva di averla mai vista con un’espressione tanto infastidita. “Maggiore non facciamola venire troppo lunga”. L’occhiataccia che ricevette lo costrinse a deglutire a fatica e, dopo aver fatto un passo verso di lei, si grattò nervosamente la nuca. “Ascolti. Lo sa che ho un brutto carattere, soprattutto prima di aver bevuto almeno due tazze di caffè”. Fece una pausa, evitando di tremare di fronte a quello sguardo irremovibile. Decise di avvicinarsi ulteriormente, le guance ormai in fiamme. “Mi perdoni, okay? Di tutti i deficienti qua dentro, lei è l’unica con cui non vorrei mai litigare. Non che lei sia deficiente, è ovvio”.

Shiho si pizzicò la coscia per non perdere la faccia e gongolare apertamente. “Lei e Elthman assieme mi farete impazzire!”, esclamò invece. “E si metta bene in testa che non sono la sua cameriera. Le porto volentieri il caffè, ma se devo subire quel trattamento ogni volta che c’è un’emergenza e me ne dimentico…”. La sua voce sfumò. Guardarlo in quell’istante era fin troppo comico a causa del contrasto fra l’espressione scura che gli invecchiava i lineamenti –
sicuramente perché non era abituato a ricevere ramanzine – e lo sforzo encomiabile per non farle un richiamo verbale e sbatterla a lucidare i cessi per almeno due mesi. Sospirò, intrecciando le braccia sotto il seno. “Sono sicura che ha compreso cosa intendo dire”.

“Ovvio che ho capito”, mormorò lui a denti stretti. Si affrettò a bere un sorso di caffè per calmarsi i nervi. “Dimentichiamoci questa stupidata. Sono appena le otto e trenta e già ho un principio di mal di testa”.

La ragazza annuì e riprese a camminare, questa volta affiancata dal suo superiore. “E sono davvero sicura che le sia piaciuta la sciarpa. Non dubiterei mai della sua buona fede”, aggiunse con un tono più tranquillo. Fu certa che con la coda dell’occhio aveva assistito ad un’impercettibile vibrazione delle sue labbra. Lo sentì sorseggiare nuovamente il caffè ed esalare un respiro, come faceva ogni volta che poteva mettere le mani su quell’intruglio nero
che sembrava adorare tanto. In un altro contesto gli avrebbe fatto notare che non poteva che peggiorare i suoi problemi di nervosismo, ma preferì rimanere in silenzio per amor della pace appena ritrovata.

“Sono certo che Elthman se la sia squagliata dal mio ufficio, quindi ne approfitto ora per informarla sugli sviluppi recenti”, riprese a parlare Yzak con fare professionale. “La situazione in Consiglio è un disastro. Stanno cercando di rimpiazzare la Canaveer e c’è una divisione particolarmente detestabile. Alcuni vorrebbero mantenere la tradizione ed eleggere uno di noi, mentre altri trovano sciocco lasciare il potere in mano ad un Consigliere. Considerando
cos’è successo l’ultima volta”. Sbuffò, coprendosi la bocca con il bicchiere di carta. “Per i prossimi giorni prevedo di non venire in ZAFT, dunque mi aspetto che sia lei che l'Ufficiale Elthman possiate gestire al meglio le truppe”.

Shiho solitamente sarebbe scattata sull’attenti, anche durante la marcia, ed avrebbe risposto con altrettanta serietà, ma era chiaro come il sole che Yzak Joule si stesse consumando a furia di lavorare. “Non si preoccupi, ci penseremo noi”, replicò, azzardandosi a sfiorargli un braccio. “Dearka è un pigrone, ma quando lei non è in giro si dà davvero molto da fare. Abbiamo accumulato del lavoro, ma conto di gestirlo entro il weekend”.

Yzak si fermò e la guardò qualche istante. “Se non ci fosse lei, Maggiore, a quest’ora sarei già morto”.

Shiho sogghignò placida ed incassò di buona lena quel peculiare modo di ringraziarla. Si voltò per continuare a camminare, ma un colpo di tosse la costrinse a tornare sui suoi passi e rivolgere nuovamente l’attenzione all’albino.

“Un’ultima cosa. Durante le vacanze ho avuto modo di parlare con mia madre…”. Sentì il rossore tingergli nuovamente il volto e si affrettò a coprirlo con la tazza. Proprio non riusciva a fronteggiare lo sguardo di chi aveva già capito come sarebbero andate le cose. “In parole povere mi ha convinto a togliere questa cicatrice. Non ha senso continuare a girare con la faccia sfregiata, dunque mi sottoporrò ad un’operazione chirurgica nell’immediato futuro”.

“Mi fa davvero piacere”, Shiho gli sorrise e si avvicinò di un passo, mascherando i suoi pensieri in merito al bel viso di Yzak senza quello squarcio arrossato a rovinarlo. “E vorrei ringraziarla per il regalo di Natale”.

Yzak rimase in silenzio per qualche istante, poi sogghignò ed annuì, facendosi vicino poiché la scrivania del suo segretario non era particolarmente distante. “Jones eh? Diciamo che l’ho fatto anche in previsione di questi giorni frenetici in cui non avrebbe avuto tempo per correre su e giù con i fascicoli da riordinare”.

“E sono sicura che questa volta non riceverà alcuna molestia”. Shiho scoppiò a ridere, genuinamente divertita dalla prospettiva di quel grosso soldato intento a fare proposte discutibili al loro frigido superiore.

“Preferirei non addentrarmi in pensieri tanto bui, Maggiore Hahnenfuss”. Yzak strinse al palmo della mano la tazza di caffè ormai vuota, un tremore improvviso a scuoterlo da testa a piedi. “Ma sarò franco con lei. Prima di accettare la sua candidatura ho frugato scrupolosamente i suoi fascicoli alla ricerca di una qualsiasi macchia inerente alle preferenze in campo emotivo. Inutile dire che non ho trovato nulla, o a quest’ora non sarebbe seduto là”.

Shiho incrociò le braccia dietro la schiena e riprese a seguirlo. “Non che mi aspettassi qualcosa di diverso da lei, signore”.

*

14 febbraio 72 C.E.

Yzak dovette mettersi a sedere contro i cuscini per vedere l’ospite accanto all’infermiera. Con le bende a coprirgli metà faccia valeva tanto quanto un cieco.

La donna piantò i pugni sui fianchi pieni ed inalberò un’espressione contrariata all’indirizzo dell’albino. Era da quando era stato ricoverato che lei continuava a riprenderlo e lui, onestamente, non ne poteva proprio più. “Mi raccomando”, cominciò a dire, la cuffietta bianca che vibrò tra i suoi capelli scuri, “non lavorate troppo”.

“Mi sto solo assicurando che la nazione vada avanti senza intoppi, figuriamoci!”, starnazzò lui con un sarcasmo che qualche mese prima non avrebbe neppure compreso.

“E soprattutto”, continuò l’infermiera, come se non l’avesse udito, “vedete di non fare troppo rumore. Gli altri pazienti riposano ed essere interrotti a causa del vostro amoreggiare non rientra nelle loro priorità”.

Yzak guardò immediatamente Shiho, che a sua volta sembrava particolarmente imbarazzata a causa di quel fraintendimento. Aprì la bocca per difendere l’onore di entrambi, ma quella donna odiosa se n’era già andata, chiudendo la porta dietro di sé. “Quella arpia…”, si lamentò subito. “Non ti ha dato fastidio, vero?”.

Shiho dovette fare appello a tutta la forza di autocontrollo per non avvampare ulteriormente e dirgli che in realtà era stato piacevole essere scambiata per la sua fidanzata, ragazza o amante che dir si volesse. Si sfilò il cappotto e scosse il capo, sedendosi vicino al letto in cui lui era sdraiato. Poggiò la borsa sulle ginocchia e cominciò ad estrarre varie cartelline.“Pensiamo semplicemente a non lavorare troppo”, si limitò a rispondere, cercando di fare il
verso alla donna. “Comunque è proprio singolare, Comandante. Solo lei potrebbe decidere di farsi operare in un giorno di riposo e costringermi a sfacchinare di conseguenza”.

Notando il grazioso abbigliamento della sua sottoposta, Yzak non riuscì a non sentirsi leggermente colpevole. “Le ho impedito di uscire con qualche ragazzo?”, domandò con un filo di voce – rauca. “Sarà anche l’anniversario di Junius Seven, ma rimane pur sempre il giorno di San Valentino”.

Lei si tirò subito l’orlo del cardigan. “N-No. In realtà non avevo nessun programma per oggi, o per stasera”, confidò nervosamente. “Probabilmente mi sarei annoiata visto che Dearka e Miriallia sono partiti questa mattina presto per chissà quale destinazione romantica”.

Yzak fece una smorfia, ma quel gesto lo costrinse a pigolare dolorante. “Odio genuinamente la chirurgia plastica”, borbottò con i nervi a fior di pelle, una mano ancorata alle bende. “Per fortuna noi Coordinator guariamo in fretta e dovrei essere fuori di qui in un paio di giorni. Altrimenti sarei potuto impazzire del tutto”.

“L’operazione è andata bene, Comandante?”, domandò Shiho, un sorriso sulle labbra. A causa dei problemi in Consiglio non lo vedeva dalla mattina in cui avevano discusso. Lo sentiva ogni giorno, dopo il lavoro, per informarlo su eventuali novità o problemi, ma niente di più. Non che fosse delusa, ma perfino Dearka era diventato più noioso senza nessuno da infastidire ad ogni occasione.

“Il dottore ha detto di sì”. Yzak si strinse nelle spalle e si buttò contro i cuscini. “Devo ammettere che un giorno di vacanza non è tanto male. Mi prude la faccia e vedere da un occhio solo mi manda fuori di testa, ma almeno per ora posso stare tranquillo”.

“Se vuole posso darle i resoconti del mese e lasciarla riposare”, tentò Shiho. “Sono certa che potrà comprenderli anche da solo, non c’è scritto nulla di particolarmente complicato”.

Yzak scosse il capo, tormentato immediatamente dalle vertigini. “Mi riferivo al Consiglio. Per quanto possa sembrare assurdo, il lavoro della Voltaire e della Rousseau non è che un rilassante passatempo. Del resto sono io a capo di tutto quanto”.

Passò più di un’ora dal momento in cui Shiho estrasse il primo plico di documenti dalla cartellina in cima. Spesso le sembrava che l’unico occhio visibile dell’albino cedesse alla stanchezza, il suo fisico ancora debilitato dalle riunioni dell’ultimo mese e dall’operazione di quella mattina.
Terminarono solamente quando il sole stava ormai calando, illuminando la stanza di una morbida luce aranciata.

“Oggi hanno preferito rendere omaggio a Junius Seven. E agli innamorati”, commentò Shiho rendendosi conto della tarda ora e del tramonto posticipato. Per essere febbraio avrebbero dovuto conoscere le tenebre già da un bel po’. “Che stupidaggine”.

Yzak esplose in una roca risata. “Solitamente sono io quello acido, Hahnenfuss. Vuoi giocare allo scambio di personalità?”, la provocò, ma il suo tono non differiva particolarmente da quello solito e dunque non si stupì del sospiro che le sfuggì dalle labbra mentre si adoperava a riordinare le carte nei rispettivi fascicoli. “I preparativi per le commemorazioni sono stati affidati alle Pubbliche Relazioni, ma in fin dei conti siamo stati noi in Consiglio a dare il via
libera”, spiegò con fare pratico agitando la mano in aria. “Se proprio devi prendertela con qualcuno”. Non mancò di notare come lei gonfiò le guance, più simile ad un criceto che ad un essere umano.

“Semplicemente trovo assurdo voler fare qualcosa a tutti i costi e farlo valere per entrambe le ricorrenze”, mugugnò Shiho, le mani appoggiate in grembo.

“Hai perso qualcuno su Junius?”, chiese Yzak dopo qualche minuto di silenzio.

“Non direttamente. È stata la guerra a portarselo via”, mormorò lei, la voce bassa e intrisa di nostalgia. “Non ho potuto neppure salutarlo prima che partisse”.

“Un fidanzato?”, indagò il ragazzo con fare forzatamente indifferente. Fu sorpreso di vederla sogghignare e alzare lo sguardo, gli occhi puntati nei suoi. Sembrava quasi divertita da quella domanda ed una reazione del genere non poté far altro che indispettirlo a non finire, ma tentò di contenere il fastidio ed attese una risposta che fosse degna di tale nome.

“Non potrebbe essere più lontano dalla verità, signore”, Shiho si coprì la bocca con le dita.

“Una verità che mi racconterai, spero”, Yzak la guardò solenne, studiando i suoi movimenti come un predatore.

Lei si appoggiò allo schienale della sedia e scrutò il soffitto. “Forse, un giorno”.

Il silenzio tornò a fare da protagonista tra di loro e Yzak decise di riposare la vista per un breve istante. Alla sua sinistra sentì dei movimenti dopo qualche minuto e, d’istinto, allungò il braccio, chiudendo le dita intorno al polso di Shiho. “Non stavo dormendo”, precisò quando lei aggrottò la fronte.

“Ho creduto il contrario”, si giustificò Shiho, divincolandosi gentilmente dalla sua presa.

“Vorrei sgranchirmi le gambe”. Yzak mosse le coperte e si scoprì, accaldato. Puntò i pugni sul materasso, sicuro che avrebbe fatto più fatica a controllare il proprio corpo. Fortunatamente riuscì a mettersi in piedi senza gravare particolarmente sulla sua sottoposta. Proprio non avrebbe sopportato una caduta che l’avrebbe costretta a salvarlo. Non era un infermo, dannazione.

La stanza era provvista di un piccolo balcone, e Shiho non si stupì neppure di notare un tavolo accompagnato da un paio di poltroncine. Era impensabile che Yzak Joule, Comandante e Consigliere, si operasse in un ospedale pubblico. Shiho conosceva la clinica che aveva scelto solo di nome, poiché estremamente prestigiosa.

“Forse è meglio se rimaniamo qua”, propose l’albino, cogliendo lo sguardo della sua sottoposta, fisso sul balcone. “Sono certo che quell’infermiera non aspetta altro che un mio passo falso per sfogarsi di non si sa bene che cosa”.

Shiho ridacchiò ed attese che si fosse riappropriato della giacca della sua uniforme. Riusciva ad immaginarlo perfettamente mentre si presentava alla reception in alta divisa. Non che le dispiacesse l’idea, il bianco gli donava particolarmente. “Le hanno già detto quando potrà essere dimesso?”, chiese mentre uscivano, accolti da un vento tiepido.

Yzak si appoggiò alla balaustra di ferro battuto, lo sguardo rivolto all’orizzonte. “Domani sera. Preferiscono tenermi in osservazione, visto che l’ultima volta che mi hanno bendato la faccia in questo modo ho preferito scappare dall’infermeria e andare a pilotare il Duel in giro per lo spazio”. Un sorriso amaro gli increspò le labbra, sicuramente perso nei ricordi di giorni troppo bui. “Mi sembra sia passato un sacco di tempo, ma in fin dei conti è trascorso poco più di un anno”.

“In un anno si cambia radicalmente”, intervenne Shiho con fare rassicurante. “Un anno fa ero un’altra ragazza. Molto più stupida e impulsiva, pensavo di passare il resto della guerra a fare il meccanico. Di sicuro non credevo di essere portata per l’uniforme rossa”.

“Non che sia andata diversamente”, la corresse Yzak. Aveva combattuto solo a Jachin Due a bordo della sua unità difettosa, e onestamente si era sorpreso che fosse riuscita a trionfare su quel rottame blu – che lui stesso si era divertito a manomettere, non l’avrebbe negato. Comunque lo sguardo che ricevette fu abbastanza per farlo arrendere dall’infierire. “Credevo che fossi una secchiona nata, Hahnenfuss. Non vorrai stupirmi ora, dicendomi che ti
sei scoperta un talento naturale”.

Shiho scosse la testa. “All’epoca ero molto arrabbiata con un mucchio di persone. Ho frequentato l’Accademia senza neppure accorgermi che mi stavo sfogando tramite lo studio folle e disperato. Se fossimo stati in un’epoca pacifica mi avrebbero sicuramente diagnosticato un esaurimento nervoso”. Scoppiò a ridere, conscia dell’espressione stranita sul volto bendato dell’albino. “Invece mi hanno premiato con la divisa che porto ancora oggi. Probabilmente pensavano che la terapia d’urto mi avrebbe risvegliata, e così è stato”.

Yzak rimase in silenzio e contemplò l’idea di una Shiho amara e furibonda. Da quando la conosceva non l’aveva mai vista perdere clamorosamente le staffe, e sulla Vesalius non mancava di sorridere a chiunque, una pratica che per diverse ragioni l’aveva sempre infastidito. “Ti preferisco così”, dichiarò dopo qualche istante. Ringraziò mentalmente la luce arancione del tramonto che mascherò il suo rossore. “Di stronzo ci sono già io, del resto”. La vide roteare gli occhi, le labbra arricciate all’insù come suo solito. “Comunque, Hahnenfuss, dovrei parlarti. Seriamente”.

Shiho sentì il cuore perdere un battito nell’ascoltare il tono solenne, e nel guardare il suo viso tirato. Fece per annuire, ma alle loro spalle si aprì la porta della camera e, questa volta, si affacciò un’infermiera dal volto più cordiale della sua collega.

“Comandante Joule mi spiace interrompere”, cominciò a dire, visibilmente intimorita. “L’orario delle visite si è concluso una decina di minuti fa ed è ora che riposi un po’. Ordini del medico”.

“Le sembra che mi stia stressando?”, ritorse acidamente Yzak. Un sospiro profondo gli sfuggì dalla gola. “Sembra che dovremo rimandare la nostra chiacchierata”.

Shiho imprecò mentalmente. “Se vuole posso telefonarle più tardi”, tentò, preda della curiosità più pura.

Yzak le offrì un sorriso morbido e le sfiorò il dorso della mano con le dita, vedendola sobbalzare ed arrossire profusamente, al punto che neppure il tramonto riuscì a nasconderlo. “Non fa nulla. È un discorso che vorrei farti dal vivo. Può aspettare un paio di giorni”.

“Come… Come desidera", balbettò, incapace di trattenere la salivazione dopo quel contatto così spontaneo. Senza contare che non l’aveva mai visto sorridere in quel modo. Lo salutò con un cenno del capo e si affrettò a radunare le proprie cose. Quando passò vicino all’infermiera fu lieta di notare come anche lei la stesse fissando con incredulità, sicuramente convinta che le azioni del burbero Joule fossero state influenzate da un’anestesia che non voleva saperne di svanire del tutto.
  
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