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Autore: Lily Liddell    04/09/2023    0 recensioni
In un mondo abitato da mostri, esiste una polizia specializzata nel difendere la razza umana e tenere segreta l'esistenza del paranormale.
Un accordo firmato da più parti aiuta a mantenere la pace, ma presto qualcosa manderà all'aria gli equilibri che sono stati ottenuti con tanta fatica negli anni.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Era la notte fra il trenta e il trentuno ottobre.

La luna in cielo era piena e rossa come il sangue e un'aria gelida sferzava le fronde degli alberi. Nell' aria c'era l'atmosfera di Halloween ormai vicino, tutto era buio e silenzioso.

Davanti al gruppo di cinque persone si allungava una lunga strada dritta,  con alberi spogli che la delimitavano ai lati; la nebbia caratteristica di Londra copriva la punta dei palazzi e dei negozi chiusi, tutti, tranne qualche pub e discoteca.

Ogni tanto i fari delle poche automobili che passavano illuminavano la strada isolata; se si ascoltava bene si poteva sentire l'ululato lontano di qualche cane che cantava alla luna.

La mezzanotte era passata da un pezzo, tutto sembrava morto, nulla sembrava poter turbare quella quiete notturna.

Silenzioso ma svelto, il gruppo osava percorrere quella strada con una meta ben precisa.

Erano armati di pugnali e pistole: una donna, due ragazzi e due uomini. Il più giovane dei quali poteva avere sedici anni e il più vecchio poco più di quaranta.

Camminavano allineati, in silenzio, pronti a cogliere il più piccolo rumore o avvisaglia d'allarme.

Già da tempo si era verificata un'anomalia in quella zona della città, avevano ricevuto parecchie segnalazioni e dovevano verificare prima della notte di Halloween perché non potevano permettersi perdite fra i civili e non era affatto sicuro lasciar girovagare i bambini da soli la notte dei morti viventi.

Al comando dell'indagine c'era Jonathan Lowee, il più anziano; era un uomo esperto. Aveva spalle forti e uno sguardo sicuro.

Sua vice, nonché unica donna: Emily Knight. Aveva vent'anni, era alta e minuta. Due grandi occhi da cerbiatta nascondevano la sua vera natura da iena. Era pericolosa.

L'altro uomo, Oliver Justin, non faceva parte della squadra da troppo tempo ma conosceva più che bene quelle strade e serviva da guida.

Dei due ragazzi, uno, Louis McTown, aveva appena sedici anni (due dei quali passati come membro di quella squadra) ma aveva sempre vissuto a contatto con la Comunità. Era intelligente, anche se forse, ancora acerbo. L'altro ragazzo si chiamava Hugh Brown, aveva diciotto anni, era ancora inesperto. Faceva parte del progetto da sei mesi, era un tiratore discreto anche se aveva carenze sul corpo a corpo.

Un grido lontano li allarmò e aumentarono la velocità del passo.

Svoltarono alla fine della strada e si ritrovarono in un parcheggio deserto al centro del quale c'era un'automobile con lo sportello posteriore aperto; i cinque si scambiarono uno sguardo veloce e annuirono: erano già d'accordo sul da farsi.

La ragazza si passò la mano sul ciondolo che aveva al collo: grosso, con una pietra blu scuro e ovale.

Nella pietra presero a formarsi delle ombre di fumo rosso, quei riflessi rossi iniziarono ad apparire anche negli occhi verdi di Emily.

Rimase ferma, gli altri uomini fecero un passo avanti. I due ragazzi si fermarono e tirarono fuori dei pugnali ondulati e d'argento, Jonathan Lowee si fece avanti con dietro Hugh Brown, entrambi avevano delle grosse pistole in mano.

"State attenti" la voce del comandante echeggiò all'interno del parcheggio, il silenzio acconsenziente fu la risposta.

Fu Lowee il primo ad avvicinarsi al veicolo con l'arma ben salda in pugno e le braccia tese davanti al corpo, si sporse piano ma si ritrasse subito lentamente: era vuoto.

Sbuffò deluso e calò le braccia, poi levò una mano e fece segno di avvicinarsi al resto del gruppo. "Se c'era qualcosa ora non c'è più."

L'olfatto del ragazzo più giovane però gli avvertiva qualcosa. "C'è puzza di cane sporco."

La ragazza arricciò il naso, anche lei sentiva qualcosa. "Cane bagnato? C'è puzza di cane e di bagnato, come salsedine, alghe... un odore strano."

L'altro ragazzo scosse la testa vigorosamente, chiuse per un momento i suoi occhi azzurri e cercò di concentrarsi. "A me sembra sangue misto a cane."

Lowee si guardò attorno riportando alta la pistola. "Qualunque cosa sia, non è un buon segno, tornate in posizione."

Annuirono.

Dietro Justin, inaspettatamente, apparve la figura di una bambina. Era vestita di blu e aveva lunghi capelli neri mossi, quasi ricci a boccoli. Raccolti in una mezza coda, osservava il gruppo armato con sguardo assente.

Quando si accorsero della sua presenza rimasero fermi ma non appena cercarono di avvicinarsi, perdendo quindi la concentrazione, un grosso cane si avventò sulla ragazza, che con un gesto veloce e potente del braccio creò un'onda d'urto e lo scaraventò via.

I due uomini gli spararono rimanendo fermi sul posto, con un solo braccio teso, ma lo mancarono, allora il cane si voltò e il suo sguardo si incontrò con quello del ragazzo più giovane, Louis McTown; il muso era allungato e le zampe slanciate, gli occhi erano umani.

Il ragazzo si pietrificò dal terrore: era un Lupo Mannaro.

La bestia iniziò a correre verso di lui con il muso arricciato e i canini ben in vista. Una scarica elettrica lo bloccò, il ragazzo si voltò e vide Emily Knight con il braccio teso e ancora qualche scintilla fra le dita della mano aperta. Il lupo si diresse arrancando verso di lei, balzò ululando, ma l'ululato venne sopraffatto dallo sparò che fischiò nelle loro orecchie e divenne subito un guaito di dolore. Una macchia di sangue si estese sotto l'animale, che piano prese a riprendere sembianze umane, era una donna caucasica sulla cinquantina.

I cinque si avvicinarono al cadavere, Lowee tirò fuori un cellulare dalla tasca interna della giacca, i suoi occhi neri trasudavano stanchezza, e i movimenti lenti ne erano una conferma. Nella mano destra la pistola ancora fumava.

Compose velocemente un numero di quattro cifre, aspettò. "Sono Lowee, c'è il cadavere di un Mannaro sul luogo d'ispezione, venite a ripulire, domattina i civili non devono sospettare di nulla" riagganciò senza aspettare una risposta, poi spostò lo sguardo dal cadavere al ragazzo più giovane. "Non dovevi reagire così. È il settimo caso in un mese."

Di risposta il ragazzo si passò una mano su faccia e occhi, non sapeva nemmeno lui il motivo per cui si era comportato in quel modo, non tentò di giustificarsi, alzò solo le spalle scuotendo la testa.

Il comandante annuì, in fondo aveva solo sedici anni, era già tanto quello che faceva.  "La prossima volta sta più attento."

"Se ci sarà una prossima volta, non essere così certo che io perda altra energia a causa tua" la ragazza non aveva smesso nemmeno per un secondo di massaggiarsi la mano.

McTown annuì. "Scusa Emily, non accadrà più."

Hugh Brown si stava guardando attorno, la bambina era sparita, si accorse che anche Justin la cercava con lo sguardo. "Non ce n'è traccia."

Emily scosse la testa. "Non avevo avvertito la sua energia e non l'avverto nemmeno ora, è come se fosse stata un'allucinazione."

"Potrebbe esserlo stato" Lowee s'intromise nella conversazione, come era suo solito fare. "Mandata lì per distrarci" concluse.

"E c'è riuscita" Emily ora stava sfiorando di nuovo il ciondolo e questo tornò a essere blu scuro. "Il settimo caso in un mese, credi che potremmo già parlare di epidemia, Joe?"

"Sì, ma non lo faremo, cerchiamo di risolverla fra noi, prima di coinvolgere la Comunità."

McTown si grattò il mento accigliato.

Lowee rispose al suo atteggiamento. "I sette casi si sono verificati nell'arco di un mese, vuol dire che si espande non solo attraverso il morso del lupo, ma attraverso un virus, o in casa o per strada è comunque pericoloso."

"Ma bisogna comunque entrare in contatto con il Mannaro per venire infettati, no?" replicò il ragazzo.

Justin non era d'accordo con il suo comandante. "Non solo, ma bisogna rimanere in contatto per almeno quarantotto ore, credo sia meglio avvisare la Comunità."

Lowee lo squadrò. "Per poter parlare di epidemia, bisogna arrivare a dieci casi in un tempo compreso fra le due e le quattro settimane, fino ad allora, terremo la Comunità all'oscuro. Se il Direttore deciderà di fare diversamente, non sono affari miei."

Nessuno replicò.

Uscirono del parcheggio, tornando al gelo della strada. Si accostarono al muro, respirando profondamente.

Emily Knight si avvicinò al suo capitano, parlando a bassa voce per non essere sentita dagli altri. "Grazie" sorrise forzatamente, stanca. Lui le fece cenno di non preoccuparsi. Poi lei continuò ancora più piano. "Abbiamo bisogno di aiuto Joe, non si tratta solo di Licantropia, e lo sai bene, è tutta una serie di circostanze singolari: i sette casi di Licantropia, la luna piena e di sangue in una volta sola, la bambina che forse non c'è mai stata, gli undici casi di Vampirismo in Scozia e le venti morti le cui cause sono ancora da accertarsi, e sto parlando solo dell'ultimo mese."

Lowee annuì impercettibilmente. "Non riesco a capire come tutto questo possa essere collegato."

"Qualcuno sta cercando di mandarci nel caos."

"Emily, la notizia non è ancora stata divulgata, e mi avevano detto di tenere la bocca chiusa, almeno fino a domani, ma credo di dovertelo" fece una pausa, in cui il cuore della donna prese a battere velocemente, non era da lui avere un atteggiamento così agitato. "Attorno a Old Keepsville hanno riscontrato un alto tasso di energia negativa, credono possa essere l'epicentro di queste situazioni."

Emily sgranò gli occhi. "Old Keespville? È a meno di un'ora da qui."

L'uomo annuì, poi si passò una mano stanca sul viso. "Più tardi chiamerò il Direttore e lo metterò al corrente di tutto, se sarà possibile andremo noi a dare un'occhiata, prima ho bisogno di parlare con un paio di persone."

Si sentì un fischio acuto davanti a loro e prima che la donna potesse replicare, una luce bianca li investì, quando si spense, otto uomini avvolti da tute bianche dalla testa ai piedi erano apparsi davanti a loro.

Li oltrepassarono ed entrarono nel parcheggio.

Lowee si staccò dalla parete con una spinta e un sospiro. "Ora possiamo andare. Buonanotte a tutti, cercate di riposare. Ci vediamo domani."

Anche gli uomini in bianco erano agenti della Centrale, addetti a ripulire le scene del crimine e a raccogliere ogni sorta di prova per poter svolgere le indagini scientifiche. Collaboravano spesso a stretto contatto con gli agenti delle squadre speciali della Centrale a cui era principalmente affidata la sicurezza della Comunità e dei civili.


La mattina del trentuno, il più giovane, Louis McTown, si svegliò nel suo letto accecato dalla luce del sole, sentì la voce di sua madre che lo chiamava della cucina, gli rispose che sarebbe sceso subito.

Ancora notevolmente addormentato, si alzò dal letto e si guardò allo specchio, la creatura che si ritrovò di fronte fu un alienato sedicenne con lunghi capelli castano chiaro sporchi e lisci fino alle spalle, occhi rossi, gonfi e stanchi con solo un ricordo di azzurro, quattro peli sul mento, la schiena lunga e storta, era magro come una mazza: ricordava molto uno scopettone.

Sbuffò, era sabato mattina, perché si era alzato?

Scese controvoglia le scale, era in tuta grigia, macchiata e stropicciata, a piedi nudi. Arrivato in cucina salutò la madre con un bacio sfuggente sulla guancia e diede uno scappellotto sulla testa della sorella di dodici anni, già preparata che faceva colazione in silenzio.

La madre gli piazzò un piatto di tre uova cotte male sotto il naso. "Dove sei stato ieri notte?"

Lui fece spallucce, gettò un'occhiata alla colazione, poi prese a stuzzicarla con i denti della forchetta. "In giro con amici."

La madre si pulì le mani sul grembiule e poi le poggiò sui fianchi un po' rotondi, indicò con un cenno veloce della testa il telefono agganciato alla parete, i capelli lisci e corti fino alle spalle, castano scuro, le sbatacchiarono su tutta la faccia. "Un'ora fa ha chiamato il tuo professore di chimica, dice di volerti vedere per il voto che hai preso la scorsa settimana."

La sorella gli lanciò un'occhiatina divertita, con ancora il cucchiaio in bocca. "Che voto hai preso la scorsa settimana?" chiese sputacchiando qualche cereale.

Lui mise in bocca un pezzo di uova quasi liquido, poi guardò la madre con fare disgustato, lei diede la colpa alle pentole, poi tornò a guardare la sorella. "Quattro e mezzo."

La ragazzina sorrise e fece per applaudire. "Sei migliorato!" ridacchiò, poi tornò sui suoi cereali.

"Perché a lei i cereali e a me le uova liquide?"

La madre indicò la sorella. "Otto in inglese."

Sbuffò, poi la sorella si alzò portando la tazza vuota alla madre, si girò e si appoggiò con la schiena al bordo del lavello. "La tua scuola è aperta di sabato?"

Lui scosse la testa. "Solo per le ripetizioni, che palle" si alzò, diede il piatto alla madre e poi risalì le scale.

Quando riscese era vestito e aveva la cartella in spalla. Erano le dieci del mattino, scendendo vide la sorella in camera sua davanti allo specchio, nel tentativo di far sembrare due buchi sul collo reali per la festa a cui sarebbe dovuta andare la sera stessa.

Mentre usciva dalla porta principale avvertì la madre che forse non sarebbe rientrato quella sera, perché aveva anche lui una festa. "E che festa" pensò.

Il sole splendeva e le persone erano per strada, chi cercava di rendere spaventose le proprie case e chi invece portava a spasso il cane, magari fra loro c'era qualcuno che la sera prima si era trasformato in un Mannaro e nemmeno se lo ricordava.

Il ragazzo scosse la testa, ma com'era possibile? La questione andava risolta.

Alla fermata dell'autobus dovette aspettare poco, quando salì, sul veicolo c'erano solo altre quattro persone, di cui tre non potevano avere più di tredici anni.

Scese alla terza fermata, percorse tutto il marciapiede e svoltò due volte a destra prima di ritrovarsi all'inizio di una lunga strada sulla quale affacciavano diverse case con giardino.

Prese a camminare e si fermò alla terza. Una casa discretamente grande, a due piani.

Un giardino che circondava la casa poco curato e senza particolari accessori. Camminò sull'erba fino a raggiungere la porta principale, bussò al campanello un paio di volte e poi rimase in attesa.

La porta si aprì e fece capolinea un uomo sulla quarantina, con degli occhiali squadrati sulla punta del naso, i capelli scuri e gli occhi neri. Sollevò gli occhi sul ragazzo e si tolse gli occhiali. "Finalmente!" sembrava preoccupato.

McTown entrò chiudendo la porta alle spalle. "Scusa Jonathan, mi sono svegliato tardi" si fermò nell'atrio della casa, una stanza circolare che dava su un piccolo corridoio sul quale si affacciavano diverse porte. "La prossima volta potresti evitare di fingerti il mio professore di chimica?"

Lowee era ancora molto stanco, sembrava non avesse dormito assolutamente. Non diede ascolto alle richieste del ragazzo "Siediti, ti devo parlare" disse mentre faceva accomodare il ragazzo in salotto, si sedettero sul divano.

Lui obbedì, poi si guardò attorno, la stanza era spaziosa, c'erano due divani in pelle bianca, un tavolo di marmo chiaro al centro della stanza, un camino antico poco distante dai divani, il tutto in un arredamento un po' classico e tradizionale, con molto legno scuro. Una cosa colpì il ragazzo: erano soli. "Dove sono gli altri?" chiese assente.

L'uomo si alzò fece il giro del divano a testa china, si fermò dietro al ragazzo. "Non ci sono. Sono stati attaccati ieri sera, poco dopo esserci salutati."

McTown si girò di scatto, senza alzarsi. "Come stanno?"

Lowee si rimise gli occhiali. "Emily se l'è cavata con qualche graffio, perché è scappata. Hugh è all'ospedale, ma dovrebbe stare bene in poche settimane" fece una breve pausa, poi prese aria e sospirò. "Oliver è morto."

Il ragazzo sgranò gli occhi. "Morto?"

Lowee annuì. "Non ho ancora avuto il piacere di parlare con Emily, non riesco a rintracciarla, non risponde alle mie telefonate e vorrei proprio sapere cosa le è saltato in mente."

Il ragazzo boccheggiò per qualche secondo. "Cosa li ha attaccati?"

"Non si sa, ora le morti per case sconosciute sono ventuno. Non siamo riusciti a metterci in contatto con Hugh, però pare non ricordi nulla, ma forse Emily sì, devi rintracciarla!"

McTown annuì, ancora un po' scosso. "Provo a fare qualcosa, non preoccuparti."

Si alzò e si diresse da solo alla porta, conosceva la strada, non era una novità andare e venire da casa del suo capitano.

Lowee rimase solo con i suoi pensieri, che fine aveva fatto quella ragazza? Se la creatura l'avesse seguita, se avesse visto qualcosa di troppo, magari i graffi l'avevano infettata di qualcosa, magari aveva bisogno di cure.

Brown ricordava solo lei che scappava via con il braccio in sangue. E se non fosse sopravvissuta, se stava male, perché non la riusciva a rintracciare? Perché non si era fatta sentire? Aveva paura? Era stata catturata e non poteva parlare? 


Poco più tardi, nella casa della ragazza, lei si trovava sotto l'acqua gelida della doccia, accovacciata in un angolino, con lo sguardo perso nel vuoto, solo lo scrosciare dell'acqua che le tuonava nelle orecchie.

Basta, non ne poteva più, si alzò così velocemente che ebbe un capogiro, chiuse l'acqua e uscì dalla doccia, avvolgendosi in un asciugamano, stava congelando, era la giusta punizione.

Andò verso la camera da letto, le tende erano chiuse. Si stese sul materasso, poi rendendosi conto di essere fradicia, si rialzò, ma aveva già lasciato un alone umido e bagnato su tutto il copriletto, diede un pugno al muro carico di rabbia e digrignò i denti, poi sentì il telefono che squillava, si avvicinò al telefono cordless e riconobbe il numero: ancora Jonathan Lowee, era la sesta volta in due ore.

Rimise il telefono a posto e lo lasciò squillare, poi accese la televisione e si abbandono nella poltrona di fronte ad essa. Cinque minuti dopo, già non ne poteva più, si rialzò, lasciandola accesa e prese dei vestiti puliti dall'armadio, quando fu vestita, sempre dallo stesso armadio cacciò fuori un asciugacapelli.

Lo attaccò nella stessa doppia presa della televisione, e poi lo accese, con una spazzola iniziò a pettinarsi i lunghi capelli color rame, un po' mossi che le scendevano lungo tutta la schiena.

Ogni tanto gettava qualche sguardo alla televisione ancora accesa, ma a causa del rumore del phon vedeva solo una donna di mezza età che muovendo la bocca, lanciava servizi di telegiornale muti.

Circa un quarto d'ora dopo, però, qualcosa in quella scatola parlante attirò la sua attenzione, le immagini davano il luogo in cui la scorsa notte era stata attaccata.

Spense l'asciugacapelli e rimase in piedi ad ascoltare la donna.

"La scorsa notte, verso le tre del mattino, in un'isolata strada di Londra, Oliver Justin, un uomo di trentotto anni, impiegato di banca, è morto per cause sconosciute, dai primi accertamenti sembrerebbe che il cuore si sia fermato senza un apparente motivo. Accanto al suo corpo, un altro, del diciottenne Hugh Brown, ferito gravemente, è ancora in prognosi riservata, non ci sono apparenti collegamenti fra i due, ma ora le morti con questa metodica salgono a ventuno nell'ultimo mese, quasi uno al giorno, la città è devastata e la polizia non sa ancora cosa fare, vi terremo aggiornati sulle condizioni del ragazzo. Nel frattempo, la polizia raccomanda di non abbandonare le case in orari tardi.

Ora passiamo alla politica..."

La donna spense la televisione e rimase in silenzio, respirava a narici strette, se solo ripensava a quello che era successo la scorsa notte, le veniva voglia di buttarsi giù dalla finestra e farsi un volo di undici piani piuttosto che rivivere quegli stessi momenti.

Squillò il telefono, istintivamente rispose, la paura di essere sola in casa l'aveva assalita voleva solo sentire la voce di un altro essere umano, ma dalla cornetta non ebbe risposta.

Iniziò a spaventarsi. "Pronto? Pronto ma chi diavolo è?"

Il silenzio iniziò a fischiarle nelle orecchie, poi cadde la linea. Il suo cuore prese a battere più forte e le venne il fiatone.

Riaprì l'armadio e tirò fuori una giacca, se la infilò e poi da una sedia afferrò la sua borsa, si avvicinò al cassetto di un comodino accanto a letto, lo aprì e prese il ciondolo di forma ovale, se lo mise.

Aprì un doppiofondo del cassetto e ne tirò fuori una pistola grossa e d'argento, che infilò nella borsa. Dallo stesso cassetto, poi, prese una piccola macchina fotografica digitale e un'agenda e li ficcò entrambi nella borsa, la richiuse, ma prima che potesse prendere le chiavi della macchina e di casa, qualcuno suonò alla porta.

Impietrita rimase ferma a fissare la porta, non osava muovere un muscolo, si avvicinò per guardare dallo spioncino, ma non vide nessuno.

Affondò la mano nella borsa e tirò fuori la pistola, anche se dentro i proiettili erano d'argento, non significava che non potessero uccidere un altro essere che non fosse un Licantropo.

La teneva stretta, poi si avvicinò alla finestra e con una mano, tirò su le tende, fuori cominciava ad annuvolarsi, aprì la finestra e un'aria gelida la investì, poi la nebbia tipica di Londra iniziò a calare, era convinta che poco prima ci fosse il sole.

Improvvisamente qualcosa le ricordò la sera prima: un intenso odore di alghe.

Istintivamente richiuse la finestra e tirò giù le tende, corse verso la porta e la spalancò, uscì dal suo appartamento e si ritrovò su un buio e umido pianerottolo. Non voleva chiudersi nell'ascensore, così prese a fare le scale, a due a due: undici piani a piedi.

Infilò di nuovo la pistola nella borsa, se quella cosa che l'aveva attaccata le dava la caccia, magari dava la caccia anche a Brown, e né lui né quelli dell'ospedale potevano difendersi.

Decise di chiamare Lowee, dalla borsa prese un telefonino e compose il suo numero, non dovette aspettare nemmeno due squilli che subito rispose. – Emily ma che fine hai fatto?

Lei col fiatone e cercando di non cadere per le scale, fu il più sbrigativa possibile. "Adesso non posso parlare, Joe devo incontrarti subito, aspettami sotto la stazione della metropolitana per arrivare alla Centrale, fai in fretta" riagganciò senza aspettarsi una risposta, poi quando finalmente raggiunse il piano terra, si affrettò verso l'uscita del portone, quando fu fuori si poggiò una mano sullo stomaco dolorante, cercò di riprendere fiato, poi si aggiustò i capelli, erano ancora un po' bagnati e spettinati, le davano un'aria stanca e trasandata, ma non le importava, era ancora molto scossa, doveva solo arrivare alla metropolitana viva.

Prese a camminare fra la gente, tutti erano stati presi alla sprovvista dal repentino cambio di tempo, prese a tirare un vento gelido, camminava sul marciapiede, con la testa bassa, avvolta nei suoi pensieri, non aveva idea di come comportarsi, e mentre cercava una soluzione, i suoi piedi andavano da soli, conosceva bene quella strada, la faceva quasi tutti i giorni ultimamente, e se quella cosa le dava la caccia? Non sapeva nemmeno come chiamarla, figuriamoci difendersi, l'odore di alghe era solo una coincidenza? No.

Non riusciva in alcun modo a darsi una risposta, era sicuramente in pericolo, forse Lowee le poteva davvero dare una mano, e se avesse solo messo in pericolo anche lui? Come se lo sarebbe potuto perdonare?

Aveva lasciato i suoi compagni da soli in un momento di pericolo, ricordava quasi tutto di quella sera, anzi, tutto, tranne come fosse morto Justin, era l'unica cosa che non riusciva a mettere a fuoco nella sua mente.

Fra i membri della Comunità, non c'erano ancora stati morti. Fino ad ora erano morti solo civili, certo la Comunità era sotto shock, era devastata, ma adesso la cosa li riguardava personalmente, un ferito e un morto, e fra i più ben in vista.

Cosa avrebbe pensato la Comunità di lei se si fosse venuto a sapere che era scappata?

Lei, un'importante arma di difesa per la Comunità, era scappata di fronte al pericolo ed era venuta meno ai suoi doveri, lasciando morire i suoi compagni. Cosa ne sarebbe stato di lei? L'avrebbero cacciata? l'avrebbero perdonata? l'avrebbero semplicemente punita...?

Avvolta com'era nei suoi pensieri, Emily Knight non si era nemmeno resa conto di essere arrivata alle scale che l'avrebbero portata sotto la metropolitana, un po' spaesata si guardò attorno prima di cominciare a scendere.

Arrivata giù si andò a sedere su una panchina, non c'era molta gente, tirò fuori il cellulare e guardò l'ora, era mezzogiorno, non c'era campo, se avesse voluto parlare con Lowee, non avrebbe potuto farlo.

Una voce la chiamò, lei si voltò alzandosi, un po' spaventata, poi però un'ondata di sollievo la invase, in piedi davanti a lei c'era il suo comandante, Jonathan Lowee, visibilmente preoccupato, che però si sentì sollevato vedendo la donna sorridere, lei gli si avvicinò e l'abbracciò. Lowee la scosto delicatamente afferrandole le spalle, poi guardandola accigliato le chiese spiegazioni.

"È una storia lunga," cominciò lei, "quando ce ne siamo andati, la bambina che non capivamo da dove fosse venuta ci ha attaccati" fece una pausa per vedere la reazione dell'uomo di fronte a lei, che teneva ancora le mani sulle sue spalle, con fare protettivo, e fu sorpresa nel vedere che la reazione dell'uomo fu tutt'altro che di stupore, Jonathan Lowee se lo aspettava... lei continuò. "Ha afferrato Brown per una spalla e questa ha cominciato a sanguinare come se fosse stata artigliata, poi la ferita ha cominciato ad espandersi da sola, si è accasciato a terra e io non sapevo cosa fare, poi quella cosa si è voltata verso Justin e lui è caduto a terra senza nemmeno che lei lo toccasse. Credevo fosse svenuto, non immaginavo fosse morto, ho avuto paura e sono scappata, sono tornata a casa, non sono riuscita a chiudere occhio. Appena mi addormentavo, la sognavo, come se mi perseguitasse." Fece un'altra pausa. L'uomo l'abbracciò, si aspettava che fosse successo qualcosa di orribile, sapeva che lei non sarebbe mai scappata in una situazione normale, ma non immaginava una cosa simile.

La donna lo abbracciò a sua volta, era la prima volta dopo ore di puro terrore che non aveva paura. Con la testa premuta contro il petto di Lowee, quasi si dimenticava dell'odore di alghe. "C'è un'altra cosa, quando è apparsa la prima volta, l'odore del lupo credo abbia coperto l'odore della bambina, perché la seconda volta tutti e tre abbiamo sentito chiaramente odore di alghe, e stamattina l'ho risentito" alzò la testa e lo guardò.

"Mi dispiace, troveremo una soluzione. Dobbiamo agire."

La donna annuì e lasciò la presa, poi si voltò di spalle. "Cosa suggerisci di fare?"

Lowee assunse un tono pratico. "Quando Brown si sveglierà cercherà di mettersi in contatto con noi, quindi qualcuno deve rimanere qui, a spiegargli la situazione, io andrò a cercare una guida per Old Keepsville, tu va alla Centrale spiega la situazione, vedrai che capiranno, poi raggiungimi, e di' a McTown di avvisare Brown, quando lo avrà fatto, ci potrà raggiungere."

Emily si voltò e annuì, un fischio annunciò l'arrivo della metropolitana, quando arrivò, lei salì e lanciò uno sguardo preoccupato a Lowee.

L'uomo si rivolse a lei come un amico, non come il suo capo. "Puoi difenderti?"

Lei lo guardò dritto negli occhi, non sapeva mentirgli. "Ho i mezzi, non so se avrò il coraggio."

Le porte si chiusero, rimasero in silenzio e Lowee osservò la metropolitana allontanarsi, forse era l'ultima volta che vedeva quella ragazza a cui tanto era affezionato, l'aveva arruolata lui, le aveva insegnato tutto quello che sapeva, le voleva bene e sapeva che i suoi sentimenti erano ricambiati. Poteva solo sperare di rivederla ad Old Keepsville, per combattere insieme contro quel nemico terribile.

Sapeva a chi rivolgersi per la guida ad Old Keepsville, non era sicuro che fosse la soluzione giusta, ma doveva rischiare.

Uscì dalla metropolitana e si ritrovò in mezzo alla folla, non doveva pensare a Emily ora, doveva solo concentrarsi per convincere quelle folli creature ad arruolarsi.

Andò in una direzione di una BMW turbo color grigio metallizzato e fece scattare la sicura, quando vi entrò appoggiò il capo contro il poggiatesta e chiuse gli occhi per qualche secondo, poi inspirò profondamente e infilò le chiavi, mise in moto l'auto e partì, mentre guidava cercava disperatamente di ricordare la strada, ma i suoi ricordi finivano mentre lasciava la città, fuori il sole era alto in cielo, erano già quasi le due e lui non aveva pranzato. Le strade si confondevano davanti ai suoi occhi, non sapeva per quanto poteva andare a fortuna, ogni tanto si ricordava di qualche particolare e si accorgeva che miracolosamente non stava sbagliando strada, ma arrivato alle tre del pomeriggio era il suo stomaco a guidarlo, si dovette fermare.

Sceso ad una stazione di servizio, si accorse che aveva quasi finito la benzina, controllò nella tasca della giacca dove teneva il portafogli, lo aprì: aveva ancora abbastanza denaro per continuare il viaggio senza problemi.

Prima di richiuderlo, gli occhi caddero su una foto, era datata 1998, raffigurava una bambina che non poteva avere più di dieci o undici anni, con lunghi capelli rossi, abbracciata ad un uomo di trent'anni circa accovacciato accanto a lei, sorridevano. Sorrise anche lui, poi chiuse il portafogli ed entrò nella stazione di servizio. Andò in bagno, si sciacquò il viso con dell'acqua gelata, nemmeno lui era riuscito a dormire quella notte e addormentarsi al volante era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.

Uscì dal bagno e si diresse alla cassa, prese qualcosa da mangiare e un caffè, poi uscì, si rimise in macchina e continuò a mangiare lì.

Gli squillò il telefono, era Emily, rispose. "Ehi."

Dall'altro capo del telefono, la donna sembrava turbata. "Joe, sono stata alla Centrale, mi hanno detto che ci sono stati altri due omicidi, ma che i civili non ne sanno nulla... erano dei nostri."

Jonathan Lowee si passò una mano sul viso. "Non credo che mi manchi molto, hai parlato col ragazzo?"

"Sì, ma Brown è ancora in prognosi riservata."

Lowee non sapeva come fare per calmarla, rimase in silenzio per qualche secondo, ma non poteva perdere altro tempo. "Emily, scusa ma ora devo andare, ci sentiamo più tardi, ti chiamo io, okay?"

"Sì, ciao."

Grazie al cielo Emily era scappata da quella creatura.

Mise via il telefono. Doveva ripartire.

Fece benzina e riprese la strada.

Mentre guidava, vide una piccola stradina sterrata, la prese faticosamente, poi iniziò a guidare per quella strettissima via, non era sicuro che fosse la stradina giusta, ma poteva solo sperare come aveva fatto fino ad allora.

Continuò per circa dieci minuti, alla fine gli occhi gli ballavano su e giù tanto che dovette fermarsi un secondo a riprendersi.

La strada sterrata riportava su di una strada statale, la imboccò e proseguì. Sapeva che non doveva mancare molto, ormai.

In teoria, non era mai stato nel luogo che stava cercando. In pratica, sapeva della sua esistenza.

All'improvviso un fulmine squarciò il cielo e subito dopo lo seguì il rombo di un tuono assordante. Due o tre secondi più tardi cominciò a scendere una pioggia fittissima e Lowee azionò tranquillamente i tergicristalli. Ci mancava anche la pioggia, pensò.

 

 

   
 
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