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Autore: Farkas    05/09/2023    0 recensioni
[Il commissario Ricciardi]
Per Livia ormai è finita. Ha perso. Ricciardi ha sposato Enrica Colombo, rifiutando definitivamente il suo amore e distruggendo tutte le sue speranze. Dall'esterno Livia ha tutto ciò che si possa desiderare: soldi, amicizie altolocate, bellezza, fama... ma di tutte queste cose non se ne fa niente, non possono guarire il suo cuore spezzato. Uno sguardo al dolore provato dall'ex-cantante dopo le nozze del commissario, prima di cadere vittima del complotto ordito da Falco.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un cuore spezzato'
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La notte del dolore

 
L’amore, a volte, è amare qualcuno che non ti amerà mai.
(Boris Vian)
 
Il gran giorno era finalmente arrivato. I suoi genitori, erano arrivati da Pesaro la sera prima e da allora non facevano che dire che era bellissimo vederla così felice. Quando avevano conosciuto il suo fidanzato erano rimasti decisamente sorpresi, dato che non era proprio il tipo d’uomo che si immaginavano potesse attirare la sua attenzione, ma Livia aveva assicurato loro che era una gran brava persona, malgrado non fosse molto socievole e che non l’avrebbe mai trattata come aveva fatto Arnaldo e alla fine suo padre e sua madre avevano detto che se pensava davvero di poter ritrovare la felicità con quel tenebroso commissario di polizia, loro non si sarebbero opposti.
Che mattina era stata quella! Livia si era sentita galleggiare a un metro da terra mentre si pettinava e si vestiva circondata dalle amiche venute appositamente da Roma, in primis Edda che era parsa più felice che mai. Era stata lei a costringerla a far attendere Ricciardi per il quarto d’ora più lungo della sua vita. A stento era riuscita a non correre lungo la navata e a mantenere il passo lento ed elegante che ci si aspettava da una sposa. Aveva incontrato gli occhi di Ricciardi e ne era rimasta incantata per l’ennesima volta… oh ora che quegli occhi la rimiravano con affetto e amore, la sua vita era completa!
Sorridendo Livia si voltò verso l’altare, per poi cacciare un urlo quando vide il prete. Il prete era Arnaldo. Vestito come se dovesse interpretare Pagliacci, come lo aveva visto per l’ultima volta quando aveva dovuto riconoscere il suo cadavere all’obitorio, subito dopo aver conosciuto Ricciardi. Addirittura aveva addosso il trucco. La ferita che aveva posto fine alla sua esistenza era lì, ancora sanguinante… ma malgrado questo era vivo, dato che rideva. Rideva di lei, cosa ovvia dato che le aveva puntato contro il dito.
Anche Ricciardi rideva. E così Maione, Modo e tutti gli invitati. E come qualcuno che mai lei avrebbe voluto lì: Enrica Colombo che si era materializzata al fianco di Ricciardi, anche lei in abito da sposa.
-Credeva davvero che io volessi sposarla! Ha davvero creduto di potermi interessare, questa smorfiosa- disse in tono disgustato il commissario. -È solo una puttana, viziata e prepotente, forse graziosa, ma nulla di più. Non è una gemma preziosa come te, anima mia- soggiunse in tono dolce rivolto ad Enrica il cui sorriso si allargò ancora di più.
-Priva della capacità di accettare un rifiuto- rilevò Bianca Borgati, quella donna con cui mai aveva parlato, ma che aveva invidiato più di quanto credeva fosse possibile, quando l’aveva vista ballare con Ricciardi, soprattutto a causa del sorriso che lui le aveva dedicato durante la danza. Anche lei era comparsa dal nulla.
-Hai cercato di farlo deportare perché non voleva venire a letto con te. Che azione infima. Ma non ti vergogni? - proseguì spietata la contessa.
-Donna di merda! - le urlò contro Maione. - Il commissario è stato troppo buono a non darle subito la lezione che meritava! -.
-Che altro ti aspettavi da una schifosa fascista? - aggiunse Modo. - Una che fa le delazioni e la spia per quello! – aggiunse indicando dietro di sé.
Livia si voltò e vide Falco in piedi dietro di lei.
-Vede Livia? Queste persona non la vogliono. Solo io la amo come lei merita! – ringhiò l’agente dell’OVRA afferrandole un polso. -Perché non mi prende almeno in considerazione? -.
-Se ti piace tanto, portatela via e tienila il più lontano possibile da me! - dichiarò Ricciardi.
Falco sorrise e decise di seguire il consiglio, cominciando a trascinarla via.
-No! Non voglio! Aiuto! Aiuto! -.
Ma era inutile. Nessuno volle aiutarla. Livia sapeva che se Falco l’avesse portata fuori dalla chiesa, non sarebbe più riuscita a fuggire, ma per quanto puntasse i piedi non riusciva a liberarsi dalla stretta dell’uomo, che di colpo le costrinse a girarsi verso di lui. La bocca di Falco si unì alla sua, e la sua stretta si fece più forte. Livia si divincolò e scalciò, ma era inutile. Falco avrebbe fatto di lei tutto ciò che voleva…
 
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Livia Lucani vedova Vezzi si svegliò di soprassalto. Era ancora notte fonda, ma era stato il genere di incubo che non ti permetteva di tornare a dormire.
Avrebbe tanto voluto attribuire quelle orribili immagini a una cena pesante. Cos’aveva mangiato quella sera poi? Avrebbe potuto essere qualunque cosa: il cibo ormai sapeva di cenere, perfino le specialità squisite di quella città che le aveva fatto perdere la testa con la medesima velocità con cui l’aveva fatto Ricciardi.
Col vino andava meglio. La stordiva abbastanza da farla dormire e forse anche il vino aveva avuto la sua parte in quel sogno maledetto il cui ricordo, lo sapeva non sarebbe svanito tanto presto. Ma in effetti la realtà non era poi molto meglio. Doveva bere ancora, in modo da fuggire da quella realtà.
Perché non se n’era tornata a Roma come le avevano consigliato in tanti per tante volte? D’accordo, aveva sperato fino all’ultimo che Ricciardi arrivasse a ricambiare il suo amore, ma ormai aveva sposato un’altra. Non aveva più possibilità. Era quello che si diceva ogni volta che apriva gli occhi la mattina, per continuare a pensarci fino a quando si metteva a letto e anche ora appena ripresa la veglia, quel tremendo pensiero si impossessò immediatamente di lei.
Quasi, quasi avrebbe preferito che quell’insignificante maestra avesse fatto suo il commissario prima. Non avrebbe provato a conquistare un uomo che aveva già una donna. Si sarebbe rassegnata subito e se ne sarebbe tornata a Roma, risparmiandosi tre anni di sofferenze e rifiuti. Si versò un bicchiere di vino e lo bevve tutto d’un fiato, cercando di non pensare a quegli occhi verdi che l’avevano distrutta con la loro indifferenza.
Nella realtà Ricciardi non l’aveva mai trattata crudelmente, ma questo certo non le aveva reso più facile digerire il rifiuto. Glielo aveva detto di pensare a qualcuno, ma lei era stata certa che come sempre avrebbe potuto battere qualunque rivale.
Maledetto amore. Maledetta testardaggine. Maledetta anche la sincerità del barone di Malomonte che quella sera al caffè, quando lei gli aveva annunciato la sua decisione di trasferirsi a Napoli l’aveva lasciata sperare. Se avesse mentito, per levarsela di torno si sarebbe comunque evitata tutto quel carosello emotivo che si era fermato nella più completa infelicità.
“Era questo quello che volevi Ricciardi? Il classico angelo del focolare che ti riempisse la casa di figli? Per te sarei potuto diventare così. Non avrei più avuto bisogno di uscire la sera, di dare ricevimenti, di partecipare alla vita mondana. Volevo solo te, avevo bisogno solo di te, amavo e amerò sempre solo te”.
Giù un altro bicchiere di vino.
Livia non era mai stata particolarmente religiosa, ma avrebbe fatto un patto col diavolo se ciò avesse significato avere Ricciardi.
Cosa la faceva rimanere a Napoli? Non certo la speranza. Non più. L’orgoglio, forse? Era palese che avesse corteggiato il commissario e anche che la cosa non avesse funzionato dato il matrimonio di lui. Non voleva che si dicesse che lei la regina della notte, era fuggita via col cuore a pezzi. Ecco perché era rimasta in quella città. Ma forse anche perché lì o altrove le cose non sarebbero cambiate. Ricciardi non l’amava, e non l’aveva mai amata.
Ormai aveva smesso di riferire a Falco ciò che faceva Manfred e lui pensando che non fosse più una leva non aveva più diretto minacce al commissario… però in un atto di sottile vendetta l’aveva informata che Ricciardi e quella mai abbastanza maledetta maestra aspettavano un figlio. Bevve un altro bicchiere.
Dopo la morte di Carlino non aveva mai pensato ad avere altri figli, ma avrebbe potuto darne a Ricciardi se gliene avesse chiesti. Gli avrebbe dato tutto, tutto. Avrebbe fatto del compiacerlo il suo scopo di vita, lei, Livia Lucani abituata ai corteggiamenti più travolgenti, la donna più bella e più invidiata di qualunque luogo in cui mettesse piede.
Non ricordava se avesse impegni con Manfred per il giorno successivo, ma avrebbe tentato di trovare qualcosa a cui trascinarlo. E se fosse stato occupato ci sarebbe andata da sola. Sempre meglio tenersi impegnata, o almeno uscire. In casa, sola coi suoi pensieri non poteva far altro che abbandonarsi alla disperazione più totale.
Manfred. Un brav’uomo, bello, simpatico e affidabile. Ma lei non lo amava, come lui non amava lei. Gli si era affezionata per carità, ma nulla di più. E probabilmente era proprio ciò che provava Ricciardi nei suoi confronti. O che forse aveva provato. Dopo l’accusa di pederastia e la scenata da pescivendola davanti al commissariato, con tutta probabilità doveva aver perso ogni stima di lei, oltre a qualunque forma di affetto che avesse mai provato nei suoi confronti.
Si versò un altro bicchiere di vino. Abbastanza per stordirsi ancora un po’, per morire un altro po’. Perché lei era morta. Era morta una prima volta insieme a suo figlio e Ricciardi dopo averla resuscitata, l’aveva uccisa una seconda volta rifiutandola.
Mai si era fatta battere da una rivale in amore fino a quando non si era trattato dell’amore più grande della sua vita. Peggio ancora a batterla era stata una nullità. Una squallida insegnante privata, una tipa uguale ad altre mille, non brutta doveva ammetterlo, ma nemmeno particolarmente attraente.
Se l’avessero saputo le sue cosiddette amiche avrebbero riso fino alle lacrime, le pareva quasi di sentirle. “Livia Lucani perde colpi! Guardate da chi si fa battere in amore!”.
Livia aveva visto uomini belli con donne che non erano nulla di che, ma erano donne ricche, con amicizie influenti che potevano procurare numerosi vantaggi agli uomini che le avrebbero sposate. Ricciardi era ricco di suo e non gli importava della carriera. E allora perché quella scelta? Facile. Aveva preferito la classica mogliettina ubbidiente alla travolgente bellezza che voleva insegnargli a vivere. Se preferiva la stabilità all’amore era un maledetto vigliacco che non la meritava.
“Ma quale amore! Te l’ha detto da subito che pensava a qualcuno e il qualcuno era Enrica! Ha amato sempre e solo lei, mai te! Probabilmente la notte in cui era febbricitante e siete stati a letto, pensava che ci fosse lei con lui e se l’è squagliata non appena ha capito che così non era! E anche dopo ha continuato a pensare a lei! Se ha avuto un dubbio glielo ha fatto venire quella Bianca, non certo tu!” le disse una voce nel cervello che ricordava fin troppo quella di Arnaldo.
Ah, se quella sciacquetta non fosse mai esistita, se fosse morta prima di riuscire chissà come a incantare Ricciardi, se non avesse mai incontrato il commissario… sarebbe bastato che uno solo di questi “se” si avverasse e Ricciardi sarebbe stato suo! Quella contessa era già sposata, non avrebbe potuto innalzare quella barriera indistruttibile* tra lei e l’uomo che amava. Almeno avrebbe potuto continuare a sperare di farlo cedere prima o poi.
La bottiglia era quasi vuota. Livia si disse che tanto valeva finire il lavoro.
Non aveva nemmeno mai parlato con Enrica Colombo eppure la odiava con tutte le sue forze, come non aveva mai odiato nessuna delle amanti del marito, come non aveva mai odiato nemmeno lui.
Solo pensare il suo nome certi giorni la faceva inferocire. Una volta vedendo dei colombi sul balcone si era messa a urlare talmente forte che la cameriera era venuta a vedere e parecchi vicini si erano affacciati alla finestra.
Se pensava che lo aveva avuto su quel letto… oh, certo, non ci aveva fatto tanto affidamento, dato che era successo mentre non era in sé, sconvolto dalla febbre e da quel maledetto dolore che sembrava portarsi sempre dentro, ma comunque…
Si chiese se Enrica Colombo stesse riuscendo a guarirlo quel dolore e si disse che non voleva conoscere la risposta. La bottiglia era vuota. Ne prese un’altra. E non si sarebbe di certo fermata lì.
Il mattino la trovo svenuta nel proprio letto, impregnata della puzza dell’alcool, con le guance ancora arrossate dalle lacrime che aveva versato e i capelli in disordine. Quelle che per lungo tempo sarebbero state le ultime albe di Livia Lucani a Napoli sarebbero cominciate così.
 
 
 
 
 
 
  • Il divorzio è stato introdotto in Italia nel 1960, quindi le nozze di Ricciardi hanno tolto a Livia ogni possibilità di avere una vera relazione con lui.
 
 
 

ANGOLO DELL’AUTORE

 
Di nuovo qui, di nuovo a scrivere del dolore di Livia. È un tema che mi piace e che penso possa dare tanto. Sinceramente mi è un po’ dispiaciuto non aver visto la sua reazione interna alle nozze di Ricciardi, anche se certo possiamo immaginarcela (considerato come si era ridotta per una frase sgarbata di Ricciardi, il fatto che abbia sposato un’altra deve averla distrutta).
Penso che mi piacerebbe anche scrivere del suo viaggio verso l’Argentina, ma si vedrà.
Chiudo con una notizia: De Giovanni ha annunciato il prossimo romanzo di Ricciardi: sarà un ambientato nel Natale del 1939, l’ultimo prima della seconda guerra mondiale e si chiamerà Soledad, come un tango argentino similmente al volume precedente. Al momento però non ci sono informazioni sulla data d’uscita e l’unica anticipazione che ci ha dato l’autore sulla trama è stata “Avrà un personaggio che sono ansioso di seguire, un personaggio che preme per uscire”.  L’ultima parte della frase personalmente mi fa pensare che si tratti di un personaggio nuovo, ma chissà.
Grazie per aver letto fino a qui e a presto!
  
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