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Autore: Spoocky    06/09/2023    6 recensioni
L'ultimo turno di guardia di un marinaio di lungo corso a bordo della nave su cui ha trascorso la vita, l'ultima notte prima che questa sia demolita. Due storie al tramonto nel momento in cui un'epoca intera, l'Età della Vela, volge anch'essa al termine.
Terza classificata al contest "Emozioni Incrociate" indetto da mystery_koopa sul forum di EFP.
Genere: Malinconico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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Carissimi lettori, prima di cominciare sento il bisogno di lasciare un paio di note introduttive per accompagnarvi nella lettura. 
Prometto che non mi dilungherò troppo ^^

Il racconto è scandito dai principali turni di servizio con cui la Royal Navy di quel periodo scandiva le giornate, a ciascuno corrisponde un momento della vita del protagonista.

Poiché nel racconto compaiono spesso termini tipici del gergo nautico, a questo link vi lascio un agile vocabolario, da consultare all'occorrenza: 
http://www.barcaitalia.it/vocabolario.php

Il titolo della storia viene dalla canzone "The Last Watch" di Stan Rogers, di cui troverete alcuni versi inframezzati al testo, vi consiglio di ascoltarla per accompagnare la lettura: https://www.youtube.com/watch?v=4_Qy_q57uOk

Buona navigazione ^^

They brought me here to watch her in the boneyard
Just two old wrecks to spend the night alone
It's the dark inside this evil place
Clouds on the moon hide her disgrace;
This whiskey hides my own.


Una nebbia lattiginosa calò sullo sguardo, già di per sé sfocato, di Nathaniel ancora prima che quell’insolito corteo funebre gli passasse davanti. Avrebbe potuto convincersi che fosse dovuto al pungente fumo nero che si alzava in un macabro pennacchio contro le ricche sfumature del cielo al tramonto, ma in cuor suo sapeva bene che non era così.
Quando poi, la vide, scortata da quel rimorchiatore che pareva insignificante al confronto con la sua linea maestosa, la gola gli si strinse in un nodo e non riuscì a reprimere un singhiozzo. Gli operai del cantiere lo avrebbero comunque attribuito al rum il cui aroma ancora traspirava dal suo respiro.
A poco a poco, da quella coltre di nera, pesante come un drappo funebre, iniziò ad emergere la prua. Fedele al suo nome, la Niobe si mostrava in tutta la sua superba eleganza anche in quelle condizioni tanto indegne per un vascello con una così nobile carriera alle spalle, ora costretta ad essere trascinata da una barchetta insulsa, che ne insultava la grazia con le sue deiezioni.
Alcuni, con una rassegnata alzata di spalle, gli avevano detto che il regolamento voleva così, che non ci si poteva fare nulla. Altri, più giovani, avevano risposto alle sue domande quasi con scherno, ricordandogli che i tempi erano cambiati, che non si poteva arrestare il progresso.

Eppure, nel suo cuore, non riusciva ad accettarlo. C’era qualcosa di profondamente sbagliato in quel modo di navigare, così innaturale. Un uomo più orgoglioso lo avrebbe vissuto come un affronto personale, ma per Nathaniel era solo un dolore tanto forte da fargli temere che il suo cuore non avrebbe retto. E, davvero, una parte di lui desiderava che accadesse: meglio morire lì ed ora, anziché essere costretto ad assistere a ciò che sarebbe accaduto l’indomani.
Per quanto straziante fosse quello spettacolo, Nathaniel non riusciva a distogliere gli occhi. Poteva essere l’ultima volta che la vedeva così: solida, imponente, con le onde che ne carezzavano le paratie e la polena, martoriata dalle intemperie, che osservava altera la spuma sotto di sé, come se ne fosse padrona e dominatrice. Mancava solo il suono
Per loro era solo un rottame inutile, qualcosa di cui sbarazzarsi o, tuttalpiù, da cannibalizzare a seconda dell’utilità, ma per lui era ancora splendida come la prima volta che l’aveva vista.

Diana – dalle quattro alle otto del mattino

Anche quella mattina faceva fatica a vederci bene.
Era ancora buio, i quartieri del porto erano ancora deserti e un manto d’umidità caliginosa gravava ancora sulle case addormentate. Il piccolo Nathaniel Smith si strofinava gli occhi e, ogni tanto, sbadigliava. Le sue gambe sottili faticavano a seguire l’ampia e decisa falcata del padre, che neanche un’ora prima l’aveva buttato giù dal letto e lo aveva sollecitato a seguirlo. A malapena il tempo di finire la sua ciotola di porridge e dare un bacio alla mamma, che si era ritrovato fuori dalla soglia con una sacca di iuta sulle spalle. Non gli era chiaro il perché di quell’alzataccia: era troppo presto per il mercato, e non gli avevano fatto mettere i vestiti buoni, quindi non era domenica. Davvero non gli riusciva di capire il motivo di quell’uscita, ma suo padre sembrava avere una fretta dannata perché camminava anche più svelto del solito e lui doveva correre per stargli dietro.
D’improvviso, voltato un angolo, ciò che gli si parò davanti gli mozzò il fiato.

Davanti ai suoi occhi attoniti si ergeva un vascello a due ponti, la cui linea elegante, gli alberi imponenti e le vele maestose erano appena delineati dalla luce sottile del sole nascente, ma tanto bastò perché s’imprimessero a fuoco nella sua mente. Era talmente affascinato da non accorgersi che suo padre stava parlando con un uomo alto e robusto, avvolto in un giustacuore blu dai bottoni dorati. Lo scambio durò poco, poi i due si strinsero la mano. Fu a quel punto che Nathaniel ritornò con i piedi per terra. Perché suo padre fece una cosa che non aveva mai fatto prima: s’inginocchiò di fronte a lui, gli pose le mani sulle spalle, e lo guardò fisso negli occhi. Lo strinse a sé per un istante e, senza una parola, iniziò ad allontanarsi, lasciandolo sul molo.

Nathaniel si riscosse di colpo, quando una mano pesante gli calò su una spalla.
Mentre era immerso nei suoi pensieri, al suo fianco si era materializzato il capocantiere, l’unico che aveva abbastanza confidenza con lui da rivolgergli la parola. In quel caso, tuttavia, non ce ne fu bisogno. Bastò incrociare il suo sguardo perché capisse cosa gli stesse chiedendo.
Il marinaio gli rivolse un lieve cenno del capo e, con le mani infilate nelle tasche del pastrano, si avviò lungo il molo, dove già gli uomini addetti alle manovre stavano sfilando chiassosi in direzione delle locande che popolavano le stradicciole del porto. Il loro turno era finito, il suo, invece, cominciava in quel momento.
Senza aprire bocca, si fece strada tra gli uomini sudati, stanchi, alcuni anneriti da quel fumo perverso che ancora insozzava il cielo con il suo fetore, ed essi si scostarono per lasciarlo passare. Tutti loro, marinai di lungo corso, sapevano chi fosse Nathaniel Smith, ufficiale nocchiero della Niobe, e si soffermarono a porgergli i dovuti rispetti. Chi indossava un berretto o un cappello lo tolse, gli altri si portarono le nocche alla tempia in segno di saluto. Qualcuno gli batté una pacca sulla spalla. Lui, però, non aveva occhi che per lei.
Il fasciame solido, che ondeggiava al beccheggio leggero del mare calmo, scricchiolava e gemeva in quel modo che per tante notti aveva cullato il suo sonno. La scala di corda, calata sulla paratia, era solida sotto la sua mano callosa come lo era stata quella mattina di tanti anni prima, la prima volta che era salito a bordo.

Non aveva bisogno di vederci bene per conoscere il momento ed il punto esatto in cui piegarsi oltre la paratia e trovarsi in piedi sul ponte. Lo aveva fatto tante volte che ormai gli veniva naturale.
Non era così per tutti: certi non si abituavano mai e, anche dopo tanti anni ad andare per mare, capitava ancora di doverli ripescare, o di doverli issare a bordo con un bansigo, per evitare che arrivassero sul ponte fradici e semi annegati. Costoro si guadagnavano, nel migliore dei casi, l’infamante nomea di “terrazzani”, spesso condita da epiteti affatto lusinghieri, ma Nathaniel non si sentiva di dar loro una colpa: ogni nave si comportava in modo diverso, bisognava farci l’abitudine, e non tutti avevano la fortuna di poter navigare sulla stessa per tanti anni di fila, come era successo a lui con la Niobe.
Ora che quel maledetto barchino, con le sue esalazioni fetide ed il suo rumore sgradevole, si era defilato, gli sembrava che avesse ripreso a respirare. Con i suoi cigolii, gli scricchiolii delle cime e del sartiame, il frangersi regolare dei flutti contro i masconi.
Il rosso aranciato del tramonto scivolava verso l’orizzonte, e i toni freddi del crepuscolo iniziavano a prendere il sopravvento, tra non molto sarebbe stato buio. Eppure, anche con la luce che andava scemando, Nathaniel non aveva problemi ad orientarsi sul ponte di coperta.
L’attraversò, com’era sua abitudine, sul lato sottovento, fino a raggiungere le sartie che collegavano la coffa di maestra alla paratia, le stesse che erano state per lui gioco e rifugio durante la sua giovinezza. La mano gli tremava appena, quando la strinse sull’intreccio di corde.

Guardia del mattino – dalle otto di mattina a mezzogiorno

Dinoccolato e smilzo com’era, Nathaniel non aveva grossi problemi ad arrampicarsi sulle sartie per arrivare a riva. Quello che gli mancava in forza bruta, lo compensava con l’agilità e il peso leggero, che gli permetteva di muoversi meglio dei gabbieri più anziani. Se gli allievi ufficiali invidiavano le sue acrobazie e le capriole in cui si dilettava nelle ventose altezze, gli uomini gli cedevano il posto volentieri. Aveva una capacità innata di riconoscere i moti dei venti e sembrava sapere in anticipo quando avrebbero girato in loro favore. I più anziani a bordo non avevano dubbi: quel ragazzo portava fortuna, e valeva tanto oro quanto pesava.
Lasciatasi alle spalle la nostalgia della casa paterna, con solo una corda a sostenerlo in quell’altezza vertiginosa, mentre il vento gli sferzava sul petto, scompigliando quei pochi capelli sfuggiti al nastro si sentiva davvero libero e in pace con sé stesso.
Un giorno, in particolare, mentre era in piedi sulle crocette, ricordava di aver sentito il bisogno improvviso di abbassare lo sguardo ed immergerlo tra i flutti che spumeggiavano sulla scia della nave. Con sua enorme sorpresa, aveva intravisto una sagoma scura, troppo grande per essere un delfino, con un corpo che sembra umano e la coda di un pesce. Fu solo un attimo, e poi scomparve nelle profondità, lasciandosi dietro una scia di bolle, e il ragazzo credette di aver sognato. Quando, quella sera, lo raccontò ai suoi compagni di mensa, il Vecchio Joe gli batté una mano sulla spalla, congratulandosi per la sua fortuna, e gli annunciò che quella che aveva visto era, senza dubbio, una sirena.


Il ricordo di Vecchio Joe gli strappò un sorriso.
Era già anziano quando lui era arrivato a bordo, ma gli era sempre rimasto accanto. Finché, durante uno stallo in porto, aveva deciso di ritirarsi e ora gestiva una taverna in quel di Bristol, dove Nathaniel avrebbe trovato sempre un pasto caldo ed una birra ad attenderlo. Gli era andata bene. Molti altri loro compagni di navigazione non avevano avuto la stessa fortuna.
Nomi e volti cominciarono a scorrergli nella mente, e di nuovo quel profondo senso di malinconia, come un cappio al collo, gli si strinse addosso.
Questa volta, però, non volle scacciarli dalla sua mente. Quei fantasmi erano stati parte della Niobe quanto lo era stato lui e, forse, anche di più. Ne avevano intriso il legno con il loro sangue e, per molti di loro, quello era l’unico vero legame che avessero mai avuto. L’unica vera casa. L’unica famiglia.
Avevano tutto il diritto di partecipare alla sua veglia funebre.

Seguendo la fiancata sottovento, arrivò fino al cassero.
Erano passati tanti anni, da quando si era guadagnato il privilegio di accedervi, ma ancora saliva quelle scale con reverenza, quasi fosse un chierichetto che saliva la gradinata dell’altare.
Avrebbe avuto intenzione di visitarlo tutto, magari di suonare la campana ancora una volta, ma, quando arrivò alla chiesuola, la trovò desolatamente vuota.
Non solo la campana, ma anche la bussola e tutti gli strumenti di navigazione erano stati rimossi.
Quelli avevano comunque un discreto valore e, di certo, si sarebbero potuti installare su un’altra nave. Eppure, la loro assenza lo colpì dritto al cuore. Senza di essi, il cassero era come mutilato, e quell’assenza rendeva il tutto ancora più reale.
Il cappio invisibile gli si avviluppò intorno al collo come le spire di un serpente e Nathaniel non riuscì a reggere oltre. Questa volta, la nebbia che gli calò sugli occhi aveva il bruciore salato delle lacrime ed egli arretrò alla cieca fino a sbattere contro la ruota del timone, a cui s’aggrappò per non cadere. Per sua fortuna, la barra era stata bloccata e la ruota rimase immobile, permettendogli di mantenere l’equilibrio. Ansando come dopo una lunga corsa, riuscì a trascinarsi fino alla balaustra, a cui s’aggrappò con le mani che ancora tremavano.
Trascorse così, alcuni minuti, ma riuscì, infine, ad avere ragione di sé. Mentre il suo respiro si regolarizzava, e la mente tornava lucida, lasciò scorrere i palmi sul legno. Ad un certo punto avvertì un’irregolarità e, alla luce della Luna, ormai alta nel cielo, si chinò ad osservarlo meglio.
Non impiegò molto a capire cosa fosse.

Guardia del pomeriggio – da mezzogiorno alle quattro del pomeriggio

Era iniziata come una bella giornata di sole ma, ora che il cielo era oscurato dalla nube acre della polvere da sparo, sembrava essersi fatto buio anzitempo. Le grida degli uomini, il fischio del nostromo, ogni suono era soffocato dal rombo costante dei cannoni, i cui colpi si facevano sempre più precisi e letali da entrambe le navi.
Sballottato dalle continue esplosioni, e dal rinculo delle quarantacinque bocche di fuoco sul lato di dritta della Niobe, Nathaniel dovette aggrapparsi alla balaustra del cassero per non cadere.
A quel punto non ricordava nemmeno più cosa gli avessero chiesto di riferire al comandante. Riusciva solo, per assurdo, a pensare agli esami da nocchiere. Si chiese se sarebbe mai riuscito a darli, o se sarebbe morto lì, quel giorno. Il pensiero corse a sua moglie e al figlio che portava in grembo quando si era imbarcato. Un figlio che, forse, non avrebbe mai conosciuto.
Proprio in quel momento, una palla fischiò accanto a lui, sfondando la balaustra e sbalzandolo via.
Avvertì un urto violento. Poi, tutto divenne buio.


La fortuna, o il Padre Eterno che aveva deciso di guardare in basso al momento giusto, lo aveva salvato anche quella volta. L’onda d’urto l’aveva lasciato tramortito ed era rimasto sordo per quasi una settimana ma, a parte quello e qualche livido, se l’era cavata senza grossi problemi. Era stato un giorno davvero fortunato, quello: avevano vinto lo scontro e catturato la nave francese, che aveva fruttato loro un bel premio in denaro.
In ricordo di quell’evento, gli ufficiali e gli uomini avevano deciso per tacito accordo di non sostituire la balaustra, ma di ripararla al meglio possibile, ad imperituro ricordo di quella vittoria.

Non si poteva abbandonare un monumento così prezioso all’incuria del tempo.
Nathaniel estrasse il suo coltello e, non senza fatica, lo conficcò nella trave che aveva di fronte, seguendo le venature del legno. Gli ci volle un bel po’ di tempo, ma riuscì a staccare il pezzo in cui il legno era rimasto incavato per l’impatto della bordata. Non era enorme, ma sarebbe bastato a preservare quegli eventi dall’oblio.
Se lo fece scivolare in tasca, mentre scendeva le scale, diretto verso prua.
La passeggiata lo riportò alle sartie e, di nuovo, si soffermò con una mano sui loro nodi, carezzandoli quasi con tenerezza, mentre lasciava scorrere lo sguardo verso il mare aperto, nelle cui increspature riverberava la luce argentata della Luna.
Ancora una volta, fu travolto dai ricordi.

Prima comandata – dalle otto di sera a mezzanotte

Nathaniel, che ormai poteva dire di avere una discreta esperienza come ufficiale nocchiere, affiancava l’ufficiale di guardia, un tenente più giovane di lui ma con cui aveva instaurato un rapporto di profondo rispetto reciproco, pronto a fornire il proprio consiglio, qualora gli fosse stato richiesto.
Il Golfo di Bombay era un tratto difficile da navigare, bisognava saperlo prendere per il verso giusto, o avrebbero potuto trascorrere giorni interi prima che riuscissero ad attraccare. Il caldo torrido non aiutava, l’invadente flotta di natanti che popolava il vivace porto della città ancora meno.
Locali, coloni, e migranti si mescolavano in quel caotico mercato galleggiante, che attirava lo sguardo curioso di tutti coloro che a bordo non avevano altro da fare se non perdersi in quell’arcobaleno di colori sgargianti, spezie dall’odore pungente, e lingue sconosciute.
Lui, che a Bombay era già stato altre volte, la conosceva abbastanza da sapere come muoversi per trovare quello di cui avesse avuto bisogno con tutta la calma possibile, e poteva concentrarsi sull’assistere il tenente nelle manovre. Non era più l’ebbrezza spensierata del ragazzino che si dondolava sulle cime, semmai la placida serenità di un uomo maturo con una vita piena e realizzata. All’apparenza assorto nella carta nautica che aveva di fronte, preso nell’aridità dei suoi calcoli, in realtà, Nathaniel si sentiva felice.

It's the last watch on the Midland
The last watch alone
One last night to love her
The last night she's whole.


Bombay, il Capo, Gibilterra, anche il Nuovo Galles del Sud.
La Niobe aveva visto quasi tutto quello che al mondo c’era da vedere. Quei luoghi, le voci delle loro genti, il profumo del loro cibo, degli alberi e dei frutti tropicali, i versi di animali che, prima di vederli con i propri occhi, Nathaniel non avrebbe mai immaginato potessero esistere, tutto questo era parte di lei. Come parte di lei erano stati gli uomini del suo equipaggio, con le loro gioie, i loro dolori, i canti e le bestemmie, ciascuno di loro aveva lasciato qualcosa in quel piccolo mondo di legno.
Un mondo difficile, a tratti crudele, ma amato, nondimeno.
Un mondo che, entro poche ore, avrebbe cessato di esistere.

Il nodo alla gola della malinconia era cresciuto fino ad avviluppare Nathaniel come un mantello.
Silenzioso come uno spettro, si lasciò scivolare sottocoperta, per non dover assistere al corso degli astri che scandiva, inesorabile, il trascorrere del tempo.
Scese fino alla sentina, e poi risalì un ponte per volta, prendendosi il tempo di visitarli con calma, ma senza soffermarsi a lungo in nessun luogo.
Solo quando raggiunse il quadrato decise di fermarsi, ed entrare per l’ultima volta nella sua vecchia cabina.
Seconda comandata – da mezzanotte alle quattro del mattino
Nonostante avesse da poco passato i quarant’anni, i capelli di Nathaniel iniziavano a sfumare nel grigio ed i suoi occhi, dopo tanti anni esposti alla salsedine ed agli elementi, cominciavano a dare segni di cedimento.
Aveva appena smontato dal turno di guardia e, prima di coricarsi, aveva deciso di dare un’altra occhiata alle carte, alla luce degli ultimi rilevamenti di posizione, per capire il da farsi nei prossimi giorni.
A quelle latitudini, non era insolito incontrare delle tempeste anche molto violente, e voleva essere preparato nel caso in cui avrebbero dovuto mettere mano alla velatura.
Quella notte, intanto, stava trascorrendo tranquilla.
Tanto tranquilla che, quando si stese nella branda, poteva sentire chiaramente la voce di un uomo che, diversi piedi sopra la sua testa, stava cantando con voce roca: “Farwell and adieu to you, Spanish Ladies.
Farewell and adieu to you, ladies of Spain. For we've received orders for to sail for old England. But we hope in a short time to see you again[1].”
E il suo canto lo accompagnò nel sonno.

 

In the morning, Lord, I would prefer
When men with torches come for her
Let angels come for me.

 
La canzone del marinaio risuonava ancora nella memoria di Nathaniel che, con la voce rotta dalla commozione, ne intonò uno degli ultimi versi: “Berremo e saremo felici, e annegheremo la malinconia.”  Subito dopo, però, scosse il capo affranto: il suo era un dolore troppo grande per essere annegato.
Fermo sulla soglia di quella che, negli ultimi vent’anni, era stata la sua casa, si trovò a rivolgere al Cielo una muta preghiera.
Pregò Dio e i suoi angeli che venissero a prenderlo, che lo portassero via, perché non dovesse assistere allo scempio che avrebbero fatto di quella nave di cui, dopo tanti anni, sentiva di essere diventato una parte integrante. Una preghiera che, per quanto accorata, non venne esaudita.
Al posto degli angeli, sentì il tramestio del cantiere che riprendeva vita, ed il vociare degli operai.
Il suo ultimo turno di guardia, l’ultima notte della Niobe, erano giunti al termine con le prime luci dell’alba.
L’ora era giunta: questa volta toccava a lui andare a riposare.
Si lasciò scivolare, silenzioso e cupo in volto, fino al ponte di coperta, senza mai voltarsi indietro.
La prima luce del mattino rischiarava appena il cielo ad Oriente, il vento soffiava leggero e il mare era tranquillo. Si prospettava una giornata serena, di quelle la tarda estate non spesso concede.
Nel cuore di Nathaniel, però, non poteva essere un giorno più freddo e triste. Si trascinò a fatica sul ponte, come gravato dal peso di anni che non aveva. Uno scossone improvviso, forse dovuto agli uomini che iniziavano le prime operazioni di carenaggio, gli fece perdere l’equilibrio e, ancora una volta, si ritrovò aggrappato alle sartie. Questa volta, però, un pezzo di cima, ancora legato in una gassa d’amante nonostante la corda fosse ormai consunta, cadde ai suoi piedi.
Con tutta la sua esperienza, non avrebbe saputo stabilire con esattezza da dove provenisse, ma qualcosa in cuor suo lo spinse a raccoglierlo e a prenderlo con sé, prima di scavalcare la paratia per l’ultima volta.

I cantieri navali distavano quasi sei miglia[2] da casa sua.
A volte, chiedeva un passaggio ad un calesse o un postale di passaggio, ma quel giorno decise di andare a piedi. Teneva le spalle curve e il capo chino, sfruttando il bavero della giacca come paraocchi per impedirsi di volgere lo sguardo, anche senza volerlo, alle proprie spalle, dove una colonna di denso fumo nero aveva cominciato a levarsi verso il cielo.
Questa volta non si trattava delle caldaie di una di quelle navi moderne, sempre circondate da dense nubi di vapore, puzzolenti e sgraziate, ma tanto più veloci ed efficienti di un qualsiasi altro vascello. Quella che bruciava alle sue spalle era la pira funeraria della Niobe e, in cuor proprio, non riusciva a distogliersi dall’idea che, se l’avesse vista, non avrebbe potuto resistere alla tentazione di gettarsi tra le fiamme e bruciare con lei, come le vedove Indù di cui gli aveva raccontato Vecchio Joe.

La casa, un semplice cottage affacciato sulla spiaggia, era vuota.
Nathaniel non se ne sorprese: a quell’ora, Becky andava sempre in paese con le altre donne del circondario.
Sarebbe tornata prima di mezzogiorno, con del pane fresco e, magari, del pesce. O con qualsiasi altra cosa avesse ritenuto necessaria alla cura della casa.
Nathaniel, che aveva passato più tempo in mare che a terra, si sentiva perso tra quel turbinio di pentole, padelle e masserie varie. I suoi compiti, in casa, si limitavano al rammendo, alle riparazioni occasionali e alla cura dell’orto, per cui aveva scoperto di avere una vera passione.
Il pensiero dell’orto, in effetti, lo sfiorò di passaggio mentre appendeva la giacca nell’ingresso, ma venne subito soppiantato da quel senso di malessere soffocante da cui non riusciva, o non voleva, disfarsi.
Forse non riusciva a lasciarlo andare perché, in cuor proprio, percepiva quel dolore come l’ultimo legame tangibile con la Niobe e sopprimerlo avrebbe voluto dire, in un certo qual senso, abbandonarla.
Si sentiva stanco, e non solo per la notte insonne, era una prostrazione dell’animo, che avrebbe impiegato tempo a risanarsi.

Dondolando appena, nella cadenza tipica dell’uomo di mare abituato a dover compensare il rollio della nave, si avviò verso la cucina, la cui finestra dava sul mare.
In quel punto, la collina nascondeva il cantiere alla vista, quindi non c’era pericolo di assistere allo spettacolo straziante che vi si stava consumando. C’erano solo le onde, che s’infrangevano placide sulla spiaggia, quasi come volessero coprirne il biancore con le delicate sfumature di rosa e arancio che il sole nascente ancora dipingeva sull’acqua.
Nathaniel si trovò a cercare di fare il meno rumore possibile, come per non turbare quello spettacolo, mentre estraeva una bottiglia di rum dalla credenza e se ne versava una dose generosa.
A differenza di molti altri, non era mai stato un forte bevitore ma, in quel momento, sentiva il bisogno di indulgere almeno in quella piccola trasgressione.
Con il bicchiere in mano, si recò di nuovo alla finestra e lasciò che lo sguardo si perdesse all’orizzonte. Nella mano libera, stringeva tra le dita il nodo di una cima consunta, irrigidito dalla salsedine, l’ultimo dono della Niobe
Il suono sommesso di una piccola goccia d’acqua salata che cadeva nel bicchiere ancora mezzo pieno si perse nello scrosciare delle onde.
- The End -







 
 
 
[1] La canzone in questione, nota con il titolo di “Spanish Ladies” dovrebbe – il condizionale è d’obbligo perché la tradizione di questi canti è molto incerta – essere un brano diffuso tra i marinai dell’epoca. Qui il testo completo: https://goodwinsands.org.uk/wp-content/uploads/2021/03/Spanish-Ladies-lyrics-.pdf
 [2] Circa dieci chilometri
  
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