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Autore: Bruhduck    08/09/2023    0 recensioni
Mondo di sofferenza: eppure i ciliegi sono in fiore (Kobayashi Issa)
Tra lotte all'ultimo sangue, bande rivali, amicizie e tradimenti, poco spazio viene lasciato a coloro che, pur essendo in stretto contatto con questo mondo, ne restano ai margini come spettatrici: le donne.
Vediamo quindi i sentimenti, le storie, i segreti delle persone che spesso vengono emarginate dalle dinamiche maschili, ma che, insieme ai ragazzi, soffrono, piangono e lottano, pur di raggiungere i propri obiettivi e la propria felicità.
- Hinata Tachibana: Per un altro giorno ancora.
- Emma Sano: Buongiorno!
- Yuzuha Shiba: Ora puoi riposare.
- Senju Kawaragi: Nascondersi.
- Akane Inui: bruciano l'amore, i desideri, le fiamme.
- Hasegawa: luoghi mai raggiunti, sogni mai sperati.
- Yumi Mori: Leonessa, farfalla.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Emma Sano, Hinata Tachibana, Senju Kawaragi, Yuzuha Shiba
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Hinata Tachibana Per un altro giorno ancora

Avvertenze: Il capitolo è ambientato nella linea temporale definitiva, ma con qualche differenza rispetto al finale. Devo dire, infatti, che non ho apprezzato il finale di Tokyo Revengers, in particolare la storia del reset, tutto ciò che è successo nell’opera non è stato dunque cancellato. L’unica cosa conforme al finale del manga è che ci sono alcuni personaggi vivi. Perché… sì.
 


Certe volte Hinata Tachibana si sentiva la ragazza più fortunata della Terra. No, altro che certe volte! Si sentiva la ragazza più fortunata della Terra in ogni singolo istante della sua vita.
Si sentiva fortunata quando apriva gli occhi la mattina, con il sole che si introduceva nella sua stanza, gli uccellini che canticchiavano allegri. Il profumo candido delle lenzuola, il calore corporeo della persona che amava proprio accanto a lei.
E si sentiva fortunata la sera, quando ritornava in quel letto e, ancora una volta, poteva aggrapparsi al calore di quella persona, tastarne la morbidezza della pelle, saperla lì vicina a sé, sempre.
Si sentiva fortunata per avere il ragazzo migliore del mondo, per avere una famiglia felice, con dei genitori che non le avevano mai fatto mancare niente e con un fratello un po’ burbero ma premuroso; si sentiva felice per poter ridere ogni giorno insieme ai suoi amici, per avere un buon posto di lavoro come insegnante in una scuola vicina a casa. Per poter vedere quei bambini spensierati sorridere, per poter insegnare loro qualcosa, per poterli proteggere dai pericoli del mondo, per poterli aiutare a non prendere una cattiva strada.
Si sentiva fortunata per essere ancora viva.
Hinata lo sapeva che non avrebbe dovuto essere dove si trovava adesso.
Takemichi e Naoto le avevano rivelato tutto: non dovrebbe vivere in un appartamento di Saitama insieme al suo ragazzo, in procinto di sposarsi e di tornare a Tokyo; non dovrebbe svegliarsi ogni mattina con il sole che illuminava la sua stanza e gli uccellini che cinguettavano; non dovrebbe camminare per le strade, sorridere, passare del tempo con gli amici e con la famiglia.
Non dovrebbe bere il te al limone e mangiare i suoi biscotti con le gocce di cioccolato a colazione, non dovrebbe andare a scuola ogni giorno, vedere i bambini, preparare le lezioni e chiacchierare con i colleghi tra un’ora e l’altra. Non dovrebbe andare al bowling il sabato sera con Takemichi, andare al cinema o a fare un aperitivo al bar con Emma e Yuzuha, o con le sue amiche del liceo e dell’università. Non dovrebbe sorridere, o piangere, o arrabbiarsi, o avere paura.
Non dovrebbe provare niente, non dovrebbe fare niente. Perché, invece, dovrebbe essere a qualche metro sotto terra, sepolta in un cimitero di Shibuya. Sulla lapide dovrebbe essere inciso il suo nome, la data di nascita e di morte, e dovrebbe essere affissa la sua fotografia (era stata scelta quella in cui sorrideva in prima piano, scattata il giorno del suo venticinquesimo compleanno, così le aveva raccontato Naoto), sua madre, suo padre e suo fratello dovrebbero andare in quel cimitero a trovarla, ogni tanto, piangendo sulla sua tomba.
Per questo Hinata ringraziava Takemichi, Naoto e qualunque dio avesse permesso loro di fare ciò che avevano fatto. Era grata tutte le mattine quando si alzava e tutte le sere quando andava a dormire. Era grata quando era felice, ma persino quando era triste. Era grata quando poteva assaporare anche i più piccoli e, apparentemente, insignificanti piaceri della vita.
La consapevolezza di essere già morta più e più volte, il corpo lacerato e in seguito bruciato da un camion lanciato a tutta velocità contro di lei, le aveva fatto amare la vita ancor più di prima. E le aveva fatto amare di più Takemichi, che aveva collezionato una gran numero di cicatrici pur di proteggerla. Per proteggere lei, che, nella linea temporale originale, non vedeva da circa dieci anni. Hinata adorava baciargli quelle cicatrici dopo aver fatto l’amore, una ad una, come in una sorta di ringraziamento, come se le sue labbra potessero, in qualche modo, guarire il dolore che il ragazzo era stato costretto a sopportare.
Hinata non era una di quelle ragazze che sognava una specie di principe azzurro che la venisse a salvare nei momenti di difficoltà, non l’aveva mai desiderato nemmeno da piccola. Ma era contenta di aver comunque un principe azzurro, e che il principe in questione fosse Takemichi.
“Hina-chan, ci sei?” La voce di Emma interruppe i suoi pensieri. Hinata si riscosse e aprì leggermente la porta della sua stanza.
Attraverso la fessura, vide il volto della sua amica sporgersi verso di lei, gli occhi spalancati per l’eccitazione.
“Forza, forza!” La esortò con entusiasmo. “Che aspetti a farti vedere?”
Hinata annuì, aprendo la porta del tutto e mostrandosi agli sguardi stupefatti di Emma e Senju, che affollavano il corridoio di casa sua, insieme a Yuzuha si limitava a sorridere con approvazione, dato che aveva già avuto modo di ammirare lo spettacolo.
Si udirono dei passi veloci provenire dalla cucina. In men che non si dica, la madre di Hinata giunse di fronte alla stanza della figlia, rischiando di scivolare sul parquet lucido.
“Mamma, fai attenzione!” La rimproverò Hinata.
Tuttavia, la donna non parve averla sentita, né sembrò essersi accorta di aver rischiato di finire per terra davanti a tutti.
“Allora?” Disse infatti allargando ancor di più proprio sorriso. “Non è meravigliosa?! Oh, non ci posso credere, mia figlia…” S’interruppe, la voce tremante, mentre stringeva tra le mani i lembi della propria gonna color crema, guardando la figlia come se fosse un angelo sceso in terra.
Le guance di Hinata si tinsero leggermente di rosa. “Dai, mamma, non fare così…! Mi hai già vista un milione di volte ormai!”
“Che ci posso fare? Ogni volta è come se fosse la prima… Proprio non riesco a trattenere l’emozione!” Esclamò, mentre gli occhi cominciavano a farsi lucidi.
“Girati un po’, voglio vederlo bene!” Disse Senju, che aveva abbandonato la sua precedente posizione, con la schiena appoggiata al muro e le braccia conserte, per sporgersi verso la futura sposa.
Hinata sollevò la lunga gonna dell’abito e fece una lenta giravolta sul posto, in modo da mostrare il capolavoro che indossava a trecentosessanta gradi. Udì dei versetti stupiti da parte di Emma e Senju, e anche un piccolo singhiozzo provenire da sua madre, la quale però cercò immediatamente di trattenerlo.
L’abito calzava perfettamente. D’altronde era stato realizzato su misura per lei da Mitsuya, il quale, subito dopo aver saputo dell’imminente matrimonio tra Takemichi e Hinata, era piombato in casa loro, annunciando che sarebbe stato lui a confezionare i loro abiti da cerimonia, e nessun altro.
I due futuri sposi non avevano avuto modo di opporsi (non che lo volessero), e così Mitsuya aveva portato avanti il proprio titanico lavoro per mesi interi, fino a quando, qualche giorno prima, aveva finalmente presentato loro, con pacato orgoglio, gli abiti che avrebbero indossato.
Quello di Hinata era un classico abito da sposa, lungo e di colore bianco, ma di una classe ed eleganza che solo Mitsuya avrebbe potuto trasmettere: la parte superiore fasciava perfettamente il corpo della ragazza, esaltandone le forme, senza però risultare inappropriato; la vaporosa gonna, che permetteva tuttavia a Hinata di muoversi liberamente, era attraversata per tutta la sua lunghezza da una sequenza di rose dal candido colore, che trasmettevano un senso di purezza e delicatezza, caratteristiche che si addicevano perfettamente a Hinata.
“Sei bellissima, Hina-chan! Io… Davvero, non so che cosa dire.” Emma le si avvicinò, carezzando con estrema delicatezza la gonna, quasi avesse il terrore di gualcirla con il suo solo tocco. Anche Senju le si avvicinò, tastando con un dito le piccole rose che le si arrampicavano attorno all’abito.
Hinata sorrideva, un po’ imbarazzata per tutte quelle attenzioni, mentre sua madre scoppiava ufficialmente a piangere per quella che era… Beh, forse la dodicesima o tredicesima volta in quegli ultimi giorni. Fortunatamente, decise che sarebbe stato meglio allontanarsi, dunque sgattaiolò nuovamente in cucina.
La ragazza sentì una leggera pressione sulla spalla sinistra, e si voltò. Yuzuha le sorrideva serenamente, i suoi occhi color nocciola erano agganciati ai suoi e la guardavano amorevolmente, intrisi di affetto e orgoglio, proprio come fa un madre.
“Quando ho visto per la prima volta te e Takemichi, quel giorno al bowling, ho davvero sperato che poteste stare insieme per sempre. E’ raro trovare coppie in cui le due persone sono così devote l’una all’altra. Penso che il vostro sia la definizione di vero amore.”
Emma e Senju annuirono, Hinata le sorrise, sentendo le lacrime cominciare a formarsi attorno agli occhi.
Non sia quanto sia vero.
“Sono sicura che sarai un’ottima moglie, Hina.” Concluse Yuzuha.
Lo sarò. Lo giuro.


Una leggera brezza le scompigliò i capelli, donandole un po’ di tregua dalla calura estiva. Hinata aveva guardato l’orologio poco prima di uscire sul balcone: era da poco passata la mezzanotte, ma il caldo che aveva caratterizzato l’intera giornata non se n’era ancora andato a riposo.
Spero che non sia così anche domani, si disse. Non sarebbe bello arrivare all’altare tutta sudata.
Era in piedi, la schiena ricurva e le sue braccia erano incrociate sul davanzale, il mento poggiato pesantemente su di esse. Fissava le abitazioni di fronte a lei, fatiscenti esattamente come il condominio in cui vivevano lei e Takemichi: i muri scrostati, le tapparelle danneggiate, il tetto mancava di diverse tegole.
Takemichi aveva protestato quando lei gli aveva chiesto se avesse potuto trasferirsi lì da lui.
“Hai visto dove abito?” Aveva detto il ragazzo, imbarazzato. “Stai lì dai tuoi. E’ molto meglio che qui, non ti pare? Poi, quando ci saremo sposati, prometto che ci trasferiremo in una casa migliore.”
“Voglio restare con te.” Aveva ribattuto decisa Hinata. “Non mi importa dove abiti. Potrebbero chiedermi di trasferirmi in una reggia con tutti i comfort, ma non lo farei se non ci fossi tu. Voglio restare qui, punto e basta. La nuova casa la compreremo insieme.”
Una nuova casa… L’avevano scelta da poco, anche grazie all’aiuto finanziario delle rispettive famiglie: una modesta villetta in un quartiere residenziale di Shibuya, non troppo lontana dalla casa della famiglia Sano, dove di recente si era trasferito anche Draken. In questo modo, avrebbero potuto vedere i loro amici e le loro famiglie molto più spesso. Sarebbero stati tutti uniti e felici, finalmente.
“Ancora in piedi?”
La voce di Takemichi la colse di sorpresa, facendola sussultare.
“Takemichi…” Mormorò la ragazza, voltandosi verso di lui. I morbidi capelli neri erano leggermente arruffati, e le facevano venire voglia di affondarci le dita, scompigliandoglieli ancora di più. Indossava solo una maxi maglia bianca, mettendo in mostra le gambe lisce e sottili, e teneva in ciascuna mano una tazza di tè caldo. I suoi occhi celesti e il suo sorriso erano dolci come sempre.
“Non è che sia facile mettersi a dormire.” Rispose lei, distogliendo lo sguardo. “Domani è il grande giorno.”
“Lo so, è proprio per questo che anch’io sono qui.” Rispose Takemichi, porgendole la tazza. “E ti ho portato questo.”
Hinata la accettò con un sorriso. Ne bevve un sorso, ma poi, di fronte allo sguardo preoccupato del suo futuro marito, il quale aveva subito colto che qualcosa non andava, decise di parlare.
“Io non so che cosa posso fare.”
“Che vuoi dire?”
“Io… Non sono sicura di poter essere abbastanza.”
“Oh no, non dirmi che stai avendo una crisi!” Takemichi ridacchiò nervosamente, tanto per allentare la tensione che aveva portato quella frase, ma si notava la sua apprensione. “Mica ti starai pentendo… Non è vero?”
“Cosa? No, stupido!” Esclamò Hinata, ridacchiando a sua volta e tirandogli un leggero pugnetto sulla spalla. La precedente tensione si alleggerì.
“Non sono mai stata tanto convinta di una cosa come lo sono adesso, credimi. Quello che intendo dire è che non sono sicura di poter essere abbastanza per te. Non so proprio cosa fare per dirti grazie per… Beh, per tutto.”
Takemichi socchiuse le labbra per dire qualcosa, ma Hinata lo interruppe prima che potesse intervenire.
“Lo sai, io non faccio altro che pensare al fatto che non dovrei essere qui. Posso essere qui adesso, su questo balcone, con questa tazza in mano, solo grazie a te. Altrimenti adesso sarei a marcire sotto terra. Insomma, hai idea di che cosa significhi questo?”
Gli prese entrambe le mani, dove albergavano i segni bianchi delle cicatrici che aveva collezionato durante tutte le sue disavventure. Le esaminò, come se non le avesse già viste milioni di volte, tracciando il percorso di ciascuna con i pollici.
“Queste cicatrici, tutte queste cicatrici… Gli incubi che ti svegliano nel bel mezzo della notte, quello sguardo che hai ogni tanto… Sì, quello sguardo, quello di chi ha visto di tutto e di più nella vita e non si sorprende più di niente.”
Alzò lo sguardo verso di lui, gli occhi inumiditi. “Io non so proprio come fare a ripagarti per tutto questo, lo capisci? Per questo ho deciso che sarò la moglie perfetta, te lo giuro. Farò di tutto pur di renderti felice, e-”
“Hina.” Takemichi, che era rimasto in silenzio ad ascoltare, la interruppe improvvisamente. Il suo sorriso ritornò splendente come prima.
“Ho fatto tutto questo perché lo volevo, Hina. Ho attraversato l’inferno.” L’ultima frase, detta con così tanta crudezza e sincerità, la colpì come una doccia gelata, ma non ebbe il tempo di replicare. “Ci sono state volte in cui mi sono detto: “Basta, non ce la faccio più. Non posso continuare.” E invece, ho continuato ad andare avanti perché desideravo che tutti noi fossimo felici. Desideravo poter essere felice con te. E’ questa motivazione che mi ha spinto a non mollare mai: poter avere a fianco tutti voi. Poter avere a fianco te, Hina. Quindi, per favore, io ti chiedo solo questo: resta accanto a me. Riattraverserei l’inferno infinite volte, pur di averti al mio fianco per un altro giorno ancora.”
“Takemichi…”
Il ragazzo inclinò leggermente la testa, mentre allungava una mano verso i capelli della sua fidanzata. Le scostò un ciuffo dal viso, accompagnandolo con delicatezza dietro l’orecchio. “A me basta solo questo.”
Tranquillo, non ti lascerò mai, pensò lei, mentre si gettava tra le sue braccia.


Il sacerdote stava parlando, ma alle orecchie Hinata non giungeva alcun suono che non fosse il battito del suo cuore, il quale pareva stesse per scoppiarle a causa dell’emozione.
Non vedeva bene Takemichi, era oscurato dal velo bianco che le copriva il viso. Quando il prete smise di parlare, le dita tramanti del ragazzo afferrarono i lembi del velo, sollevandolo oltre la sua testa.
Takemichi sorrise, le lacrime che minacciavano di scendere da un momento all’altro, come sempre. Ma Hinata non poteva certo permettersi di giudicare, dato che si trovava nella stessa identica situazione.
“Rendimi felice, okay?”
Dopo il tanto atteso bacio, la piccola chiesa, la stessa in cui anni prima Takemichi aveva combattuto contro Taiju per il bene di tutti, esplose in un boato di esultanze e applausi fragorosi.
I due sposi si guardarono negli occhi per qualche secondo prima di voltarsi verso gli invitati. Non c’era bisogno di parole tra loro, quello sguardo bastava per comunicarsi quello che provavano: farei di tutto pur di stare con te, per un altro giorno ancora.
 




Note: Nonostante il finale di Tokyo Revengers non mi sia piaciuto, la scena del matrimonio tra Takemichi e Hinata è stata una tra le più belle ed emozionanti che abbia mai letto in un manga. E finalmente che sto matrimonio è arrivato! Amo i personaggi di Takemichi e Hinata, amo la loro coppia, e sono tanto contenta per loro. Ora si meritano la felicità di cui sono stati privati per così tanto tempo!
   
 
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