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Autore: Cryblue    09/09/2023    2 recensioni
"Per te le amiche sono amiche, le colleghe sono colleghe e gli uomini sono tutti inutili"
Martina vive tutta la sua vita con questa filosofia, soprattutto ora che questo nuovo lavoro l'ha strappata dal dolore di una difficile rottura. Per lei è un vero disastro quando una RESPONSABILE cessa di essere "solamente" tale e diventa ai suoi occhi una Donna. Si, con la D maiuscola.
Genere: Commedia, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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ch.21 – Closing time.
 
 
“Il suo caffè macchiato.” Poggi la tazzina sul piattino e usi il manico per farla ruotare affinché sia perfettamente allineata con il cucchiaino.
“Grazie mille signorina.”
“Grazie a lei.” è la prima volta da quando hanno aperto le porte del negozio che non hai clienti al banco da servire. Non hai mai avuto la fila, ma non hai mai avuto nemmeno un momento di tregua, il fatto che l’uomo davanti a te sembri aver voglia di parlare, non ti dispiace poi tanto.
“Aaaah che bello vedere qualcuno gentile e sorridente ogni tanto in questo negozio.”
Aggrotti le sopracciglia perché non ti piace parlino male dei tuoi colleghi o meglio, ti piace e spesso sei d’accordo con chi lo fa, ma “Togetherness” è una delle parole chiave dell’Ikea, quindi devi difendere i tuoi colleghi, ma devi anche fare in modo che il cliente associ il marchio a qualcosa di positivo e lasci il negozio il più soddisfatto possibile.
Per dirla in breve: sei tra due fuochi.
“Oh mi dispiace abbia avuto un’esperienza negativa.” Quando parli così, sembri quasi professionale e ti daresti una pacca sulla spalla da sola. Il volto del cliente si illumina e capisci ti basterà una minuscola spinta per farlo andare via con il sorriso. “Se vuole posso offrirle…”
“Signor Lai…” Leila arriva a passo deciso e la testa alta verso di voi, i suoi occhi lanciano fiamme e non vorresti essere al posto del poveretto verso il quale si sta dirigendo.
Il signor Lai, ossia l’uomo al quale stavi per offrire un dolcetto al cocco, si gira ad affrontarla e sembra meno spavaldo di pochi secondi fa. “Si.”
“Ho saputo che si è lamentato del mio lavoro con i miei colleghi e vorrei chiarire le cose tra noi.”
L’omuncolo quindi stava parlando male di Leila, vorresti avergli sputato nel caffè e sei più che felice di non avergli dato il dolcetto al cocco.
“Lei non mi voleva accontentare e il cliente sono io.”
“Non è questione di accontentare o meno, è questione che quello che voleva fare lei era impossibile da realizzare. Se non sbaglio lei e sua moglie siete tornati oggi per ordinare quello che avevo progettato io, vero?”
Non vorresti ascoltare, ci stai provando con tutta te stessa, ma è impossibile perché la tua responsabile è un vero spettacolo, è una Donna come ce ne sono poche al mondo, ha una tale forza che attira l’attenzione senza esserne minimamente consapevole.
“No…io volevo ancora…” l’uomo diventa più piccolo ogni secondo che passa, una donna gli posa una mano sul braccio, ma sembra vergognarsi di lui, quindi supponi lo voglia fermare, non consolare.
“Si, è vero signora, siamo venuti qui per acquistare la soluzione proposta da lei.”
“Che era l’unica possibile.” Il tono della voce di Leila è molto più rilassato quando pronuncia questa frase, poi pero è di nuovo gelido. “Al piano inferiore c’è un computer in cui potete inserire lamentele e suggerimenti, il mio nome è Leila Ferrari e lei è liberissimo di lasciare una critica sui miei modi, ma non sul mio lavoro.”
Se prima avevi una cotta, ora è pura adorazione, e ovviamente il tuo corpo sta reagendo a quello che hai appena sentito.
Il gruppo si allontana e tu stai valutando l’idea di entrare nella cella -20° per calmare i tuoi bollenti spiriti, ma non hai il tempo di agire perché Silvietta arriva saltellando verso il tuo bancone, ha appena rubato uno dei biscotti che hai messo in degustazione e i suoi occhi stanno brillando di gioia.
“Hai sentito?”
“No, cosa?”
Continua a infilare biscotti in bocca uno dietro l’altro e sotto sotto le sei grata, perché se li finisce potrai sbarazzare e lavare tutto, portandoti avanti per la chiusura.
“Leila e Alex hanno litigato tanto forte che si sentivano anche se avevano la porta chiusa.”
“Cosa? Perché?” Se fosse stato chiunque altro sarebbe stato un gossip succulento, ma a quanto pare Leila sta avendo una giornata pesante e ti dispiace per lei.
“Perché Alex vuole trasformare il negozio nel più grande recovery d’italia. Del mondo.”
“Nel più grande che?”
Ingoia i biscotti e si ripete. “Recovery.” Scuoti la testa per farle capire che non hai idea di cosa sia, lei si sente in dovere di continuare a mangiare, visto che non era quello il problema. “Tutti i resi e i mobili da esposizione verranno venduti scontati qui.”
Questa cosa ti suona sbagliata in molti, troppi modi diversi. “Ma questo non…non ci renderebbe una specie di negozio dell’usato? Una sorta di cinese-svedese.”
Silvia annuisce soddisfatta. “È esattamente quello che ha detto Leila, che così roviniamo l’idea del marchio ai sardi.”
“E ha ragionissima. Mi auguro Alex non riesca a…che è quella faccia?”
“Ha fatto partire le email ai capoccia, con il benestare di Fantabosco.”
La soddisfazione di aver appiccicato addosso alla vostra store manager quel soprannome dura molto poco, la preoccupazione impiega pochissimo a prendere il sopravvento.
“Ma come fa a pendere dalle labbra di quel cretino?”
“Non ne ho idea Martinettis, non ne ho idea.”
“Povera Leila.”
“Poveri noi.” Prende l’ultimo biscotto e mette il broncio, le dai un bicchierino di cioccolata calda, con il solo scopo di finire anche quella e lavare il macchinario, e lei ti dichiara il suo amore eterno e saltella oltre il muro che vi hanno issato davanti prima di Natale, verso il magico mondo della pianifica.
Sbuffi e scuoti ancora la testa perché stai vedendo una successione di scelte sbagliate e non ti piace, soprattutto non ti piace che ci sia una persona competente e capace che viene sistematicamente ignorata solo perché il cretino di turno è più bravo a vendersi, o forse semplicemente il cretino di turno è un uomo e come tale è più facile per lui risultare credibile agli occhi dei piani alti. Non lo sai e non ti fa differenza, tanto è comunque uno schifo e tu non puoi fare nulla per cambiarlo, puoi solo continuare a fare il tuo lavoro nel miglior modo possibile e sperare per il meglio.
Una nuova ondata di clienti ti trascina via dai tuoi pensieri, sono talmente tanti che tutto il resto sparisce dalla tua mente, probabilmente c’è una regola non scritta da qualche parte che invita le persone ad affollarsi davanti al tuo bancone nel preciso momento in cui devi iniziare le operazioni di chiusura, costringendoti a dividerti tra la pulizia dei macchinari e il servizio. Fortunatamente più vai avanti, meno macchinari rimangono utilizzabili, quindi ben presto ti ritrovi a doverti dividere tra le pulizie e il malcontento dei clienti, non ci perderai il sonno però, sei certa che possano sopravvivere senza il caffè delle 19:30.
Ti stupisce sempre quanto velocemente passi l’ultima ora, dopo aver pulito tutto, hai svuotato la vetrina, hai versato il cassetto dei soldi e hai letto le email, lasciando all’impresa di pulizie l’onore di finire il tuo operato.
Ora sei in bagno per fare pipì e ripercorri mentalmente tutto quello che hai fatto, stracerta di stare dimenticando qualcosa, ma finché non sei davanti allo specchio e ti stai lavando le mani, non ricordi di non aver controllato la maledettissima cella -20°: quella stronza ha la sgradevole tendenza a rimanere aperta se non si fa abbastanza pressione.
Non hai nessuna voglia di riattraversare il negozio e di andare a controllarla, ma il tuo senso del dovere è più forte della tua leggendaria pigrizia, in più questo dubbio è qualcosa che può davvero toglierti il sonno, giacché se la cella resta aperta, tutto quello che c’è dentro si scongela e avete tre giorni per venderlo prima che vada a male, passati i tre giorni la merce va buttata e tu non vuoi e non puoi essere la responsabile di tale spreco di soldi e ti cibo. Quindi metti le gambe in spalla e torni indietro.
Incroci la ragazza delle pulizie, che ti augura buona serata, e sbuffi mentre usi il tuo apriporte per entrare nel retrobar, non accendi la luce, perché ti piace la luce blu che fa l’orribile attira-insetti e perché così hai l’illusione di impiegarci meno tempo. Per lo stesso ridicolo motivo impedisci alla porta automatica di chiudersi, bloccandola con il carrello, ma finisci con il controllare non solo la cella -20°, ma anche le due celle frigorifere positive, non paga le apri e richiudi tutte, tanto per essere sicura.
Stai guardando i display delle temperature per vedere se c’è qualche cambiamento e qualcuno ti chiama.
“Pastorelli, sei qui?”
“Retrobar.” Spingi la maniglia della stronza -20° e la guardi con sospetto.
“Che fai?”
“Controllo che questa stronza sia ben chiusa.” Ti giri ad affrontare la nuova venuta e ti stupisci di non aver capito subito di chi si trattava. “Leila. Pensavo tu fossi andata via.” Come sempre non sai cosa dirle. Le prime frasi sono sempre le più difficili e il suo volto stanco e tirato di sicuro non aiuta in questo frangente.
Leila ti guarda solo molto intensamente, facendoti sentire sotto esame, anzi, facendoti sentire come se l’esame l’avessi appena fallito.
Ti ripeti che probabilmente è l’unica responsabile rimasta in negozio e sta facendo il suo dovere di referente della sicurezza, controllando che tutti abbiano finito il lavoro e siano pronti a lasciare l’edificio, ma è inutile, il suo sguardo è tanto intenso che ti senti avvampare. Il tuo corpo però da segni di bipolarismo perché mentre stai arrossendo come una cretina, i tuoi occhi scivolano a guardare le sue labbra e ripensi all’ultima volta che siete state sole in una stanza e hai un principio di eccitamento, non hai moltissimo tempo per badarci però, perché lei sposta il carrello e ti è addosso in pochi passi.
È un piacevolissimo dejà vu del giorno del tuo compleanno, con l’unica differenza che sei premuta contro la cella e non contro l’ascensore e che questo bacio non ha la benché minima traccia della dolcezza, al contrario questo è tanto aggressivo da essere quasi rabbioso.
Non ti sei mai illusa di avere il controllo della situazione, nemmeno per un solo istante, quindi lasci lei ti sfili la cuffietta dalla testa e infili la mano tra i tuoi capelli legati, ti limiti ad aggrapparti all’orribile felpa in pile che porta, non sapendo bene cosa fare delle tue stesse mani.
Lasciare che il tuo corpo risponda ai suoi baci istintivamente e senza l’aiuto del tuo cervello ti sembra l’unica cosa saggia da fare, anche perché al momento suddetto cervello è una vera e propria poltiglia di desiderio.
Continuate a baciarvi e l’eccitazione che hai provato sentendola discutere con il cliente è tornata a tutta forza, questa volta non c’è nulla tra le vostre labbra e puoi sentire con chiarezza ogni suo più piccolo movimento, ogni suo respiro e nemmeno nei tuoi sogni migliori i suo baci erano così carichi di desiderio.
Ti prende le mani e se le porta sotto la maglietta e tu accarezzi la sua pelle nuda, riconoscente di poter avere quell’onore e senza chiederti perché stia succedendo. Non te lo chiedi nemmeno quando senti il suono del suo cinto che viene slacciato, non ti chiedi nulla, inverti solo la situazione, la spingi contro il carrello, con il doppio intento di usarlo per rendere impossibile l’apertura della porta automatica dall’esterno e di darle qualcosa a cui sorreggersi in caso di bisogno.
Al momento non hai la lucidità di capire benissimo le implicazioni di questo tuo gesto istintivo.
“Blocca la…” la sua voce è più bassa di quello che sei abituata e ora sei solo un concentrato di desiderio.
“Già fatto.”
Ti afferra per il collo e ti riattira a sé, con una mano ti impedisce di allontanarti, con l’altra ti afferra il polso destro e ti guida fino ai suoi pantaloni ormai slacciati, ti blocchi e il tuo intero corpo diventa di marmo.
I baci sono un conto, quello che ti sta invitando a fare è tutto un’altra cosa e tu non sei una da una botta e via, hai bisogno di una base di fiducia, hai bisogno di sapere cosa sta succedendo, dove vi state dirigendo.
“Martina.” È un bisbiglio sulle tue labbra dischiuse, apri gli occhi e non sapevi nemmeno di averli chiusi. L’unica luce che vi illumina è ancora quella ultravioletta che attira gli insetti, al momento è una perfetta luce soffusa, tuttavia sufficiente affinché tu riesca a cogliere la sfumatura di bisogno che aleggia nei suoi occhi.
È più che sufficiente per riportarti alla sua mercé. 
Lasci che guidi la tua mano fin dentro ai suoi slip e l’ultimo pensiero coerente che hai è che non è possibile sia così eccitata per te, poi tutto quello che capisci e che hai una donna meravigliosa tra le dita e tutto quello che vuoi è farla godere.
Quando succede, preme le dita contro il tuo collo e sposta il volto, andando a nascondersi tra i tuoi capelli, che a un certo punto deve avere sciolto senza che tu te ne accorgessi, il suo fiato è bollente rispetto all’aria fredda del retrobar e tu sei pervasa da brividi e pelle d’oca. Rimanete così per diversi minuti, perfettamente immobili, fatta eccezione per i vostri petti, scossi da respiri veloci e profondi.
“Dovresti andare a cambiarti.” Malgrado la scelta delle parole, capisci che non sia una richiesta. Sfili molto lentamente la mano dai suoi pantaloni e lei cerca inutilmente di sopprimere l’ennesimo ansimo che le causi, non ti guarda e hai un’illuminazione su quello che è appena successo: era stanca e frustrata, sa che le muori dietro, si è trovata la scopata semplice e ora vuole solo tu vada via il più velocemente possibile.
Vorresti non ti desse così fastidio, vorresti essere in grado di avere questi rapporti occasionali e leggeri, ma le patate lesse non hanno rapporti occasionali, le patate lesse non sanno staccare corpo e anima.
Afferri il carello per farle capire che devi spostarlo per far aprire la porta, lei si avvicina a te e ti prende il volto tra le mani, ti sfiora le labbra con le sue e tu non sai trattenere un sospiro, si stacca e ti guarda e suoi meravigliosi occhi castani sono di nuovo un tripudio di malizia.
“Le tue labbra fanno davvero pena, Pastorellinetti.”
Non sicuramente la frase che ti aspetti di sentire dopo aver fatto sesso.
Ti afferra per il mento, estrae dalla tasca della felpa il suo burro cacao e lo applica sulle tue labbra, per tutto il tempo tu studi il suo viso che sembra ancora molto stanco e triste, ma meno teso di prima e la cosa ti riempie di orgoglio.
“Decisamente meglio.” Ti guarda con tenerezza e poi ti spinge via.  “Ora va’.”
Annuisci e premi il pulsante per aprire la porta. “Buona notte Leila.”
“Buona notte Martina.”  Ti sorride e più del pulsare tra le tue gambe, più del formicolio alle tue labbra e più del suo profumo che ti si è attaccato addosso, è quel sorriso meravigliosamente malizioso a convincerti che è davvero successo, che hai fatto sesso con lei nel freddo stanzino del retrobar.
Al momento solo una cosa è certa nella tua mente: la cella -20° è la tua preferita in assoluto.
 
   
 
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