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Autore: Magica Emy    16/09/2023    4 recensioni
«Akane, si può sapere dov’eri finita? Credevo dovessimo tornare a casa insieme…ehi, ma cosa…che stai facendo?»
La giovane piegò le labbra in un sorrisetto sornione senza smettere di armeggiare freneticamente con i bottoni della sua camicia che, in poco tempo, scivolò ai loro piedi, mettendo in mostra i magnifici pettorali scolpiti da anni di intensi allenamenti quotidiani.
«Cos’è, non ci arrivi da solo? Vuoi che ti faccia un disegno, per caso?»
In questa nuova storia, i caratteri dei personaggi potrebbero essere un po' diversi da ciò a cui siamo abituati, ma...niente paura! E se lo desiderate, continuate a seguirmi, mi raccomando!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: ranma/akane, Ukyo Kuonji
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti!
Perdonate l’immenso ritardo ma ora sono qui, pronta a proseguire le avventure dei miei due baka preferiti, perciò…felice lettura a chi vorrà. A presto, con un nuovo capitolo.
Ilenia
 
 
 
Capitolo 6
 
«Ecco fatto. Ti senti meglio adesso, vero?» gli sussurrò, tamponandolo con delicatezza con un asciugamano colorato. L’angolo della bocca si piegò ben presto in una smorfia che tanto assomigliava a un sorriso mentre lo osservava muoversi giocosamente tra le sue mani, finché un minuscolo musetto nero sbucò fuori dalla morbida stoffa, seguito da due adorabili occhietti che parevano ora scrutarla curiosi. Akane sospirò, scuotendo la testa con aria divertita. Per fortuna stava bene. Si era preoccupata quando lo aveva trovato a vagare tutto solo sotto la pioggia torrenziale di quel tardo pomeriggio, ma una veloce occhiata le aveva tolto ogni dubbio: non era ferito, forse solo un po’ spaventato.
«Si può sapere dove sei stato per tutto questo tempo?» lo rimbrottò, senza troppa enfasi «ero così in pena per te, credevo che non ti avrei più rivisto.»
Lo accarezzò sulla testa, lasciando che le dita affondassero a lungo su quella soffice pelliccia scura ancora umida, accigliandosi all’improvviso nel notare i suoi piccoli occhi lacrimosi.
«Cosa c’è cucciolo, ti senti male per caso?» mormorò, intenerita «O forse sei soltanto triste. Coraggio, dillo alla tua amica, che ti è successo? Hai per caso incontrato una piccola P-Chan che non vuol saperne di te e adesso hai il mal d’amore? Credimi, posso capirti molto bene. Sto soffrendo tanto anch’io, lo sai?»
Fece una piccola pausa, rimettendo in ordine i pensieri e il porcellino si accucciò sulle candide lenzuola del letto con aria attenta, quasi pendesse dalle sue labbra. Possibile fosse davvero capace di comprenderla?
«Dopo che papà ha rotto il mio fidanzamento con Ranma» proseguì la giovane, prendendosi la testa tra le mani con espressione malinconica «mi sembra quasi di essere precipitata in un terribile incubo. Un incubo in cui quel mastodontico imbecille ha pensato bene di mettere incinta la sua più cara amica, col risultato che ora quei due fanno coppia fissa, mentre io…io l’ho perso per sempre. Vorrei solo non amarlo così tanto, forse farebbe meno male.»
P-Chan si esibì in una serie di buffi e strani versi, sempre più affranto.
«Già, hai indovinato piccolo mio, l’incubo è realtà. Ukyo metterà al mondo il bambino di Ranma e io ho il cuore a pezzi…» mormorò in un soffio, sforzandosi di ricacciare indietro le lacrime. A quelle ultime parole il simpatico animaletto parve di colpo riscuotersi dal suo torpore per cominciare a dimenarsi con rabbia. Poi, proprio come se lo avesse morso una tarantola balzò giù dal letto, ansioso di raggiungere la finestra aperta per saltarla con uno scatto deciso e sparire così definitivamente dalla vista della minore delle Tendo che, per tutto il tempo lo aveva osservato a bocca aperta, stupita da quell’insolito comportamento.
«Torna qui P-Chan, che ti prende?» lo chiamò a gran voce, pur nutrendo ben poche speranze di rivederlo tanto presto «Resta con me, ti prego, non lasciarmi anche tu.»
Strinse forte i pugni, lottando nuovamente con se stessa affinché una lacrima incastrata tra le ciglia socchiuse non rotolasse giù lungo la sua guancia. Era di nuovo sola.
«Non lasciarmi anche tu.» ripeté angosciata, prima che una voce familiare ne catturasse d’un tratto tutta l’attenzione.
«Ahi! Dannata palla di pelo, c’è mancato poco che perdessi l’equilibrio. Accidenti!»
Ma cosa…
Si avvicinò furtiva alla finestra, imprecando sottovoce quando riconobbe la figura minuta ed elegante che ora, proprio di fronte a lei, la scrutava con un odioso sorrisetto sardonico stampato su quella faccia da schiaffi.
«Kamisama…che diavolo ci fai tu qui, si può sapere? Fuori dalla mia camera. Subito!»
Indietreggiò di qualche passo, afferrando saldamente la mazza da baseball che teneva sempre vicino al letto per ogni evenienza e puntandogliela contro con fare minaccioso, mentre la rivale sollevava le mani in segno di resa.
«Calmati, ragazzina» squittì, insolitamente sulla difensiva «metti giù quell’affare, ti assicuro che non ho cattive intenzioni. Non ancora, almeno. Kami, devo dire che vederti maneggiare quel coso in maniera tanto sgraziata è uno spettacolo davvero deprimente e conferma ancora una volta quanto tu sia priva di fascino femminile. Hai dei modi talmente mascolini e la stessa delicatezza di un pachiderma…»
«Che cosa vuoi, Shampoo?» tagliò corto, spazientita «mi sembra evidente che tu non sia piombata qui di punto in bianco solo per insultarmi.»
La graziosa cinesina sorrise compiaciuta, incrociando entrambe le braccia al petto.
«In effetti no, mia cara» rispose «Però! Devo ammettere che sei un tipo sveglio e questo è esattamente ciò che farà di te una perfetta alleata. Che poi è il motivo per cui sono passata a trovarti.»
«Che diavolo vai farneticando?»
Shampoo si ravviò i lunghi capelli viola, poi mosse qualche passo verso di lei, l’aria di chi la sapeva lunga.
Questa, poi!
«Bene, non ci girerò ancora intorno, perciò andrò dritta al punto: mi serve il tuo aiuto, Akane. Insieme potremo finalmente sconfiggerla. Non che io non possa farlo da sola, intendiamoci, ma se uniamo le forze renderemo la cosa molto più velo…»
«Ti spiacerebbe spiegarmi di chi accidenti stai parlando?» la incalzò di nuovo, decisa più che mai a non abbassare la guardia.
«Ma di Ukyo, mi sembra ovvio!» spiegò finalmente l’altra, scandendo le parole come se stesse parlando a una perfetta imbecille «quella stupida oca senza cervello ci ha già causato abbastanza problemi. Coi suoi ridicoli piagnistei si diverte a farci la guerra continuando a tenere Ranma sotto scacco, ma sai che c’è? Ha finito con i giochetti. La gravidanza è già agli sgoccioli. Ormai non dovrebbe mancare molto, giusto?»
Sul serio? Era già passato tutto quel tempo? Sì, doveva aver ragione. Ora che ci pensava, infatti, Ukyo non frequentava più la scuola ormai da settimane e l’ex fidanzato aveva finalmente smesso di importunarla. Probabilmente entrambi si preparavano all’arrivo del nascituro e, i suoi patetici tentativi di ignorare il tempo che scorreva inesorabile, non sarebbero certo serviti a cancellare quella realtà. Anche se era dura da accettare. Anche se il solo pensiero che presto, molto presto, quei due – quei tre – si sarebbero trasformati nella nuova famiglia cuore, le provocava delle stilettate al petto talmente violente da farla quasi capitolare ogni volta.  Fece un respiro profondo, provando a concentrare l’attenzione sulle parole della squinternata avversaria, poiché qualunque altra cosa sarebbe stata meglio che continuare ad alimentare quel grande, infinito dolore.
«…noi la terremo d’occhio e una volta che il bambino sarà nato…la toglieremo di mezzo.»
Per un attimo credette di non aver capito bene.
«Prego?»
A quel punto la vide toccarsi la fronte, esasperata.
«Le faremo rimpiangere di essere al mondo» chiarì, con tutta la calma che le riuscì di trovare « La uccideremo, insomma.»
La naturalezza con cui lo disse lasciò la ragazza senza parole. Quell’assordante silenzio durato solo qualche secondo, tuttavia, fu ben presto sostituito da una incontrollabile rabbia che, proprio come lava bollente sotto la pelle distorse progressivamente quei lineamenti delicati, esplodendo in tutta la sua potenza.
«Fuori!» gridò minacciosa, scattando in avanti con tutto il corpo in tensione e brandendo pericolosamente in aria la fedele arma, che per tutto il tempo aveva stretto forte tra le mani «Fuori da casa mia, psicopatica che non sei altro! Come osi venire qui a propormi una cosa del genere?»
«Andiamo, non fare tanto la schizzinosa» replicò l’intrepida amazzone, che di arrendersi proprio non ne voleva sapere «so bene che desideri tanto quanto me vedere Ranma finalmente libero da quelle luride grinfie.»
«Tu non sai niente di me e comunque no, non certo a queste condizioni!»
«Ma scusa, pensaci un attimo» proseguì «quando tutto sarà finito noi due potremmo lottare per contendercelo e a quel punto entrambe avremmo un’avversaria di meno. Vantaggioso, non credi?»
Esplose in una sonora risata, pura carta vetrata sui suoi nervi già provati.
«Ranma non è un giocattolo, non fai che parlare di lui come se fosse un premio in palio. Non asseconderò mai il tuo folle piano, maledetta pazza! Come puoi anche solo pensare di togliere la madre a un bimbo appena nato?»
«Oh, non preoccuparti per questo» la sentì ribattere con decisione e i suoi occhi si accesero di malizia «poiché sarò io a fare da madre al bambino. Il mio Lanma si renderà presto conto che sono la donna della sua vita e a quel punto mi supplicherà di sposarlo.»
«Tu da piccola devi essere caduta dal seggiolone! Se pensi che Ranma possa arrivare a chiederti una cosa del genere sei davvero una povera illusa. Lui ha fatto la sua scelta e tu dovresti solo farti da parte e lasciarlo in pace. E adesso vattene, prima che ti faccia davvero male!»
Si lanciò al suo inseguimento, tenendo la mazza da baseball in bella vista mentre Shampoo correva da una parte all’altra della stanza, schivando con magistrale abilità  ogni suo colpo e tentando inutilmente di rabbonirla.
«Capisco che tu sia arrabbiata, in fondo non abbiamo ancora parlato di cosa ci guadagneresti tu in tutta questa storia, ma lascia che ti spieghi. Tanto per cominciare ti permetterei di fare da baby-sitter al moccioso tutte le volte che noi due saremo impegnati in camera da letto. Poi, dopo aver fatto appassionatamente l’amore per tutta la notte, tu ci serviresti la colazione tra lenzuola di seta…»
Ok. Questo era veramente troppo.
«Te la do io la colazione, brutta sciroccata! Vieni qui che ti faccio a pezzi e poi ne riparliamo!»
«Sono disarmata, non è leale!»
«Vediamo che sai fare senza i tuoi preziosi bombori!»
Con un’elevazione fuori dal comune la giovane guerriera balzò d’un tratto fuori dalla finestra, lanciandosi nel vuoto e sparendo così tra gli alberi in un turbinio di capelli viola, desiderosa di mettersi in salvo al più presto e prima che accadesse l’irreparabile. Kamisama, quando ci si metteva Akane sapeva essere davvero una furia, ma non c’era da preoccuparsi. A tempo debito si sarebbe occupata anche di lei.
«Non provare mai più a farti rivedere!» urlò la piccola Tendo a polmoni spiegati, scrutando a lungo il giardino con aria concentrata prima di tirare un sospiro di sollievo. Se ne era andata davvero, alla fine. Bene. La situazione era già abbastanza complicata senza che quella matta da legare decidesse di mettersi in mezzo con tutte le sue assurdità, maledizione. Si accasciò a terra e, affondando la testa fra le ginocchia, lasciò che le calde lacrime che per tutto il tempo si era sforzata di trattenere le rigassero impudicamente le guance paonazze, spingendo fuori tutto il suo dolore. A quel punto represse a stento un singhiozzo disperato, chiedendosi per quanto tempo ancora avrebbe avuto la forza di sopportare quell’intensa altalena di emozioni che le frustavano violentemente il cuore, lasciandola ogni volta senza fiato. Ranma. Ukyo e il bambino. Shampoo, la scuola e tutto il resto. Quando, quando avrebbe finalmente avuto la pace che meritava? Ma, soprattutto, perché non riusciva a lasciarsi tutto quanto alle spalle e andare avanti con la propria vita, come era giusto che fosse?
 
***
 
 
 
Grosse nuvole grigie si addensarono via via in una muta minaccia sotto il suo sguardo attento, ricoprendo ben presto il cielo e pesandogli sul cuore come enormi, impietosi macigni. L’estate era alle porte, ma non era esattamente così che l’aveva immaginata.
«Sta arrivando.» considerò a voce bassa. I telegiornali ne parlavano ormai da un paio di giorni e lui aveva preso tutte le precauzioni del caso, come rinforzare le porte, ad esempio, sperando che l’impegno messo nel farlo sarebbe servito a garantir loro la sicurezza necessaria. Riuscire a tenere a bada la violenza di un tifone, come quello che fra qualche ora si sarebbe abbattuto sulla città di Nerima non era di certo cosa facile, ne era ben consapevole. A proposito, chissà come se la stavano cavando a casa Tendo. Accidenti, il tetto della palestra era talmente malandato che sarebbe potuto venir giù al minimo soffio di vento, figuriamoci in presenza di una calamità come quella a cui stavano per assistere. Forse poteva fare qualcosa. Forse, se li avesse aiutati a ripararlo…
No, non doveva pensarci. Ciò che accadeva in quella casa non era più affar suo. Anche se, dannazione, con molta probabilità suo padre viveva ancora lì. E poi…Akane. Sarebbe davvero stata al sicuro? Sospirò appoggiando la fronte contro il vetro freddo della finestra, ritrovandosi a sperare che quel semplice gesto potesse aiutarlo a rimettere ordine in quell’insopportabile caos che era diventato la sua mente, ma non c’era nulla da fare. Per quanti sforzi facesse, infatti, non era proprio capace di smettere di pensare ad Akane. La loro ultima conversazione sul tetto della scuola, avvenuta ormai mesi prima, continuava a tormentarlo come un bisturi su una ferita, rinnovando ogni volta di più la sua disperazione. Da allora non aveva più provato ad avvicinarla, né a rivolgerle la parola. Del resto, era stata chiara riguardo ai suoi sentimenti. Non lo amava, né mai lo avrebbe amato. Insieme a un mucchio di altre cose orribili che preferiva non ricordare. Ma…no, non lo amava affatto. Non provava per lui nulla di più che un odio profondo e non importava quanto ciò gli avesse spezzato il cuore, riducendolo in milioni di piccoli pezzettini ormai impossibili da ricomporre, poiché tutta la sofferenza del mondo non sarebbe servita a cambiare questa cosa. Doveva solo accettarlo, lasciarla in pace una volta per tutte. Ed era ciò che disperatamente si sforzava di fare, assecondando i desideri della ragazza mentre una parte di lui si spegneva pian piano, finendo per morire nel ricordo di ogni singolo abbraccio e nel tepore della sua pelle calda contro la propria. Era stato solo sesso. Puro e semplice sesso, niente di più. Poi uno dei due ci aveva messo il cuore, sbagliando tutto e complicando le cose. Che idiota. Del resto le regole erano sempre state chiare, ma…cavolo, quell’egocentrico, insopportabile maschiaccio gli mancava talmente tanto da non riuscire quasi a respirare. Fu allora che sentì due mani accarezzargli piano le spalle, premendo e spingendo con studiata lentezza sulla sua pelle fino a strappargli un piccolo gemito di piacere che lo spinse a chiudere gli occhi, godendosi la sensazione.
Akane…Akane, sei tu? Sei tornata da me?
Le mani, piccole e delicate si insinuarono sotto la maglietta, esplorando a lungo quell’ampio petto scultoreo in una lenta e instancabile tortura fino all’elastico dei pantaloncini, procurandogli un intenso brivido lungo la spina dorsale.
Continua. Mi piace.
A quel punto, labbra soffici e piene si posarono sul suo collo, percorrendolo in una scia di piccoli baci roventi che accelerarono i battiti del suo cuore, mozzandogli il fiato.
«Ti voglio così tanto, Ranma.»
Quella voce.
Lei non…
Lei non era…
Si irrigidì di colpo, voltandosi giusto in tempo per accorgersi dei vestiti che pian piano scivolavano giù lungo quelle caviglie sottili, lasciandola completamente nuda ed esposta di fronte a lui.
«U…Ukyo?» biascicò con la bocca impastata, deglutendo a vuoto più volte. Pur non riuscendo a negare a sé stesso l’incredibile avvenenza delle sue generose forme il ragazzo col codino la prese per le braccia, scostandola via con fermezza e quel tanto che bastava a impedirle di lanciarsi nell’ennesima mossa audace.
Stupido. Stupido deficiente. Talmente concentrato sull’ex fidanzata da credere che fosse davvero lì per lui, pronta a concederglisi di nuovo. Per amore, stavolta. Scosse la testa.
«Ukyo, no. Non posso. Non adesso.» sussurrò e un improvviso, fastidioso nodo in gola gli impedì di aggiungere altro.
«Quando, allora?» la sentì esclamare di rimando, trasalendo e osservandola contrito mentre, rossa in viso e quasi sul punto di piangere per l’umiliazione, raccoglieva con aria stizzita i suoi abiti da terra per indossarli velocemente, allontanandosi di qualche passo.
«Sembra che per te non sia mai il momento giusto!»
«Dammi solo un po’ di tempo, per favore.» replicò, sulla difensiva, non appena ritrovò la voce.
«Cosa? Che cos’è, uno scherzo per caso? Mi pare di avertene già concesso fin troppo, non credi? Di quanto altro tempo hai bisogno, maledizione!» urlò lei, avvilita.
«Mi dispiace.» fu tutto ciò che gli riuscì di dire, stringendo i pugni e le palpebre a un tempo. La bella cuoca si lasciò andare a un lungo sospiro rassegnato.
«Non fai che scusarti.» asserì con accento grave.
«Mi d…cioè, io…»
«È per via del pancione, vero? O forse perché cammino come una papera? Già, devo sembrarti un mostro in queste condizioni.»
Si asciugò una lacrima dalla guancia e Ranma la fissò, stupito.
«Ma cosa dici?»
«È così!» insistette, il mento tremolante «sono un mostro, pallido e grasso, che cammina come una papera!»
«Ukyo, smettila» provò a rassicurarla, sentendosi tremendamente in colpa «tu non cammini affatto come una papera e sei tutt’altro che un mostro, te lo assicuro. Sai, in tutta sincerità, non credo di averti mai vista più bella di così.»
Ed era vero. La gravidanza pareva averle donato un’aura luminosa che la faceva risplendere come un gioiello prezioso, conferendole un fascino fuori dal comune che avrebbe incantato chiunque. Già, chiunque tranne lui, che a ogni singolo respiro scopriva una calda, seppur dolorosa impronta nel proprio cuore. Un graffio nel profondo dell’anima marchiata ormai a fuoco da lunghe lettere vermiglie, scavate a forza fino a farla sanguinare, che componevano un solo nome. Akane.
Akane.
Se solo…
Basta! Basta, ti prego, o non resisterò ancora a lungo.
Il giovane Saotome si concentrò sulla ragazza che aveva di fronte, prendendola per mano e guidandola con gentilezza verso il letto, dove l’aiutò a sedersi prima di chinarsi su di lei. Le scostò una ciocca di capelli dal viso, accompagnando il tenero gesto con un sorriso che, tuttavia, non arrivava agli occhi.
«Lo pensi davvero?»
La vide fissarlo, speranzosa.
«Certo.» rispose.
«Allora perché non vuoi fare l’amore con me? Per quale motivo mi rifiuti?» domandò d’un tratto, rabbuiandosi in volto. Ranma serrò le labbra in una linea dura, senza sapere cosa dire poiché, qualunque frase di senso compiuto si fosse impegnato a formulare, non avrebbe saputo descrivere i sentimenti che provava. La regina delle okonomiyaki si passò stancamente una mano sugli occhi, poi le dita scesero a sfiorarsi il ventre gonfio e le sue labbra si aprirono in un timido sorriso.
«Almeno a lui vuoi un po’ di bene?»
«Sai che voglio un bene dell’anima a entrambi.» mormorò con convinzione e stavolta le parole fluirono quiete e ordinate, permettendogli di riacquistare sicurezza mentre si perdeva ad accarezzare il pancione, ottenendone quasi in risposta un impercettibile movimento, come una piccola scossa contro il palmo della mano, che lo riempì di commozione. Suo figlio, l’unica certezza della propria vita, gli aveva appena tirato un calcetto. Gli occhi gli si inumidirono. Mancava ancora poco e presto avrebbe finalmente potuto conoscere quel piccolo, adorabile dispettoso che sentiva già di amare con ogni fibra del suo essere.
«Oh, ma guarda un po’, mi chiedevo giusto quanto tempo ci avrebbe messo a farsi risentire. Immagino ci tenesse tanto a salutare il suo papà.»
Le loro dita si sfiorarono a lungo, intrecciandosi sulla pancia ormai fin troppo prominente. Eccola, la sua famiglia. Era su di loro che avrebbe dovuto concentrarsi, d’ora in poi. Ukyo e il bambino che stava per nascere erano le sole persone importanti, il resto non contava. Convincendosi di questo, forse, Akane si sarebbe molto presto trasformata in un lontano ricordo.
«Dunque…sono ancora la tua Ucchan?» chiese Ukyo, rompendo per prima quel silenzio intriso di emozioni. Ranma rise, dandole un buffetto sulla guancia. Era così che la chiamava sempre quando erano ancora soltanto dei bambini. Quando la vita sembrava più semplice per loro.
«Sarai sempre la mia Ucchan, la persona più sincera e leale che conosca.»
Non seppe dire per quale motivo ma, quelle parole, anziché metterla di buonumore parvero invece rattristarla di colpo, alterandone i bei lineamenti fino a mutarli in una maschera di dolore.
«Cosa c’è?» domandò, preoccupato. Aveva forse detto qualcosa di sbagliato?
«Credo di non essere…quella che credi.»
Fu ciò che ottenne in risposta.
«Che vorresti dire con questo?»
Frugò a lungo nei suoi occhi scuri, avido di risposte, fino a costringerla a parlare.
«Beh…» cominciò la giovane cuoca con tutto il corpo in tensione, lasciando all’improvviso le sue mani e prendendo un profondo respiro, quasi si stesse preparando a rivelare chissà quale oscuro segreto di cui nessuno, eccetto lei, era a conoscenza  «No, nulla. È solo che non avrei dovuto alzare la voce, prima, tutto qui. Ti chiedo di perdonarmi. Prometto di non farti più pressioni di alcun genere e di concederti tutto il tempo che ti serve per abituarti a questa nuova situazione. So cosa provi, è difficile anche per me.»
Il ragazzo col codino scosse piano la testa, prendendole il volto fra le mani per tornare a specchiarsi nei suoi occhi, guardandola tanto intensamente da farla arrossire. Mentre lui continuava a struggersi per qualcuno che non lo ricambiava, la sua amica d’infanzia cresceva ogni giorno di più, trasformandosi pian piano in una saggia, piccola donna che meritava invece tutto l’amore del mondo. Sì, la sua Ucchan aveva davvero coraggio da vendere. Poteva solo imparare da una come lei e, per la prima volta da quando tutto aveva avuto inizio, provò un’immensa gratitudine nell’averla accanto.
«Sai una cosa? Sono sicuro che sarai una madre fantastica.»
«Solo se tu mi sarai vicino.»
Gli strizzò l’occhio giocosamente, baciandolo sulla guancia prima di rialzarsi in piedi, non senza un po’ di fatica. Sembrava comunque più serena adesso e questo bastò a tranquillizzarlo.
«Accidenti, questo bambino diventa sempre più grosso e pesante. Bene, meglio che vada a prepararmi per chiudere il locale. Se non mi affretto a rientrare l’insegna, quel maledetto tifone se la porterà via.»
«Non preoccuparti, ci penso io. Tu non fare troppi sforzi.»
«Alzarmi dal letto la mattina è già uno sforzo incredibile, mio caro, credimi.»
Ranma scoppiò a ridere.
«Parli come una novantenne!» la provocò per gioco.
«Chi sarebbe la novantenne, cafone che non sei altro? Provaci tu a portarti dentro un peso del genere e poi ne riparliamo!»
Si affrettò a seguirla, continuando a ridacchiare divertito, poi si bloccò all’improvviso a metà strada.
«Aspetta, hai preso le tue vitamine?»
«Lo farò dopo.»
La sentì rispondere con noncuranza e senza neppure voltarsi. Già, sempre la solita.
«No, lo farai adesso» ordinò, categorico «Dov’è che le conservi?»
Nessuna risposta. Ok, ci avrebbe pensato lui. Tornò in camera da letto, frugando velocemente tra i cassetti della biancheria, ma dell’ormai familiare flacone colorato non vi era alcuna traccia. Strano, eppure ricordava di averlo visto lì dentro, l’ultima volta. Al suo posto sbucò invece fuori una piccola busta bianca, completamente anonima se non fosse stato per l’unica, breve dicitura che riportava sul retro e che in un attimo catturò tutta l’attenzione del ragazzo.
“Da Akane, per Ranma.”
Ma cosa diavolo…
La rigirò tra le dita con gli occhi sgranati e l’amara sensazione di essersi perso qualcosa. Per quale strano, inspiegabile motivo Ukyo avrebbe dovuto tenere, o forse nascondere tra le sue cose, una lettera di Akane indirizzata a lui? Aprì la busta, deglutendo nervosamente mentre con mani tremanti dispiegava il foglietto contenuto al suo interno, per cominciare finalmente a leggere…
 
   
 
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