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Autore: Magica Emy    26/09/2023    4 recensioni
«Akane, si può sapere dov’eri finita? Credevo dovessimo tornare a casa insieme…ehi, ma cosa…che stai facendo?»
La giovane piegò le labbra in un sorrisetto sornione senza smettere di armeggiare freneticamente con i bottoni della sua camicia che, in poco tempo, scivolò ai loro piedi, mettendo in mostra i magnifici pettorali scolpiti da anni di intensi allenamenti quotidiani.
«Cos’è, non ci arrivi da solo? Vuoi che ti faccia un disegno, per caso?»
In questa nuova storia, i caratteri dei personaggi potrebbero essere un po' diversi da ciò a cui siamo abituati, ma...niente paura! E se lo desiderate, continuate a seguirmi, mi raccomando!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: ranma/akane, Ukyo Kuonji
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7
 
Scese dabbasso, raggiungendo il ristorante col chiaro intento di difendere l’insegna dalle minacciose grinfie del tifone in agguato, quando una piccola fitta dolorosa all’altezza del ventre la costrinse ad accasciarsi su se stessa, di colpo incapace di muoversi. Accidenti, cos’era? Capitava già da un po’, ora che ci pensava.
E se…
No, era decisamente troppo presto. Mancavano ancora un paio di settimane, giusto? Fece un respiro profondo, tentando di placare i battiti impazziti del proprio cuore, ancora agitato al pensiero di ciò che stava per accadere appena qualche momento prima, quando era ancora in camera con Ranma. Kami, per poco non gli aveva confessato la verità. Sicuro. Mancava tanto così e si sarebbe praticamente auto sabotata, mandando all’aria tutti gli sforzi fatti fino a quel momento per avere la vita che desiderava, al fianco del ragazzo che amava. Che stupida.
Sarai sempre la mia Ucchan, la persona più sincera e leale che conosca.
Si fidava di lei ed ecco come lo stava ripagando, rifilandogli un mucchio di orribili menzogne che non meritava affatto. Portare avanti quella patetica messinscena stava diventando sempre più difficile e, ogni volta che lui le piantava in faccia quei meravigliosi occhi color del cielo, doveva chiamare a raccolta ogni singola goccia di autocontrollo rimastole per impedirsi di vuotare il sacco. Lo amava. Lo amava disperatamente, e disperatamente lottava ogni giorno per non farsi schiacciare dal senso di colpa, ormai talmente ingombrante da pesarle addosso più di un macigno. Immersa com’era in quegli angoscianti pensieri, si accorse della presenza dell’altro inquilino della casa solo quando lo sentì parlare.
«Cosa ci faceva questa nel tuo cassetto?»
Il tono usato, anche se calmo e controllato, fin troppo forse, non parve tuttavia presagire nulla di buono. Fu per questo motivo che, di colpo, le parve quasi di sentire una grossa mano artigliarle la nuca in una morsa glaciale e dolorosa? O la colpa era di quel pezzo di carta, muta minaccia intrisa d’inchiostro e di emozioni che le dita sventolavano ora proprio sotto il suo naso, gelandole il sangue nelle vene?
 
***
 
Come poteva l’umore di un uomo mutare in maniera tanto drastica e senza alcun preavviso, attraversando varie fasi così diverse tra loro in soli pochi istanti, fino a trasformare la sua mente in qualcosa di spaventosamente simile a una giostra vorticosa, piena zeppa di ragazzini urlanti? A lui era appena successo. Era passato dal sospetto, poiché nutriva qualche dubbio riguardo alla veridicità della lettera, alla gioia più grande e totalizzante che il suo cuore potesse provare nel realizzare che sì, certo che quella era la scrittura di Akane e sì, lei lo ricambiava. Akane, la sua Akane lo ricambiava. Anche lei lo amava. Quindi, non si era sbagliato. Le sue sensazioni erano giuste. Allora perché, perché gli aveva sempre urlato in faccia di non provare nulla di romantico per lui?
Sgomento. Confusione. Turbamento.
Stava comunque scritto lì, nero su bianco. E firmato, anche.
Sollievo.
Era reale.
Conforto.
 Ignorava però il motivo per il quale quella lettera si trovasse a casa dell’amica d’infanzia.
Sconcerto.
Vuoi vedere che…
Paura. No, non poteva crederci. Ukyo non avrebbe mai…
Terrore.
Invece sì, certo che l’ha fatto.
Sdegno. Rammarico.
Con quale diritto gli aveva taciuto una cosa così importante, negandogli la possibilità di un confronto con la ragazza di cui era follemente innamorato e che ora sapeva ricambiarlo con uguale intensità?
Collera.
E adesso se ne stava lì, in religioso silenzio a fissarlo come se, d’improvviso, si fosse trasformato in chissà quale strana creatura aliena.
Rabbia. Feroce.
«Rispondi alla domanda, maledizione! Cosa diavolo ci faceva questa lettera in uno dei cassetti della tua camera? L’hai nascosta affinché non la trovassi, vero?» gridò perdendo, di fatto, l’ultimo barlume di self-control che con tanta fatica aveva cercato di mantenere, il volto trasfigurato dall’ira.
«Che fai, ti metti a rovistare tra le mie cose, adesso?»
La sentì rispondere, chiaramente sulla difensiva e questo non fece che peggiorare lo stato d’animo del giovane, che ora non poteva fare a meno di guardarla con occhi pieni di livore.
«Non provarci, Ukyo! Non provare nemmeno a rigirare il discorso in tuo favore, perché non funzionerà. Non con me. Perciò te lo chiederò un’ultima volta: per quale cazzo di motivo, una lettera in cui Akane mi confessa di amarmi dovrebbe trovarsi nelle tue mani? Voglio la verità e la voglio adesso!»
Batté un violento pugno sul tavolo, facendola sussultare e quando vide i suoi occhi riempirsi pian piano di lacrime il cuore non registrò nessuna emozione. Era troppo arrabbiato perché gli importasse. Troppo furioso per curarsi anche dei suoi sentimenti. Abbassò lo sguardo sulla lettera, mordendosi a lungo le labbra fin quasi a farle sanguinare.
 
***
 
«Quando l’ho trovata, non avevo idea fosse una dichiarazione d’amore nei tuoi confronti» spiegò, ormai perduta e con la voce ridotta a un flebile sussurro, cercando con tutte le forze di smettere di singhiozzare «ma essendo indirizzata a te, doveva senz’altro trattarsi di qualcosa…»
«Dove? Dove l’hai trovata e da quanto tempo, soprattutto?»
L’aveva interrotta sempre più avido di informazioni, che continuava ad attendere ormai al limite della pazienza e senza neppure guardarla in faccia. Il brusco gesto di prima l’aveva messa in allarme, scombussolandola non poco e ora esitava ancora mentre una nuova fitta, l’ennesima, tornava ad artigliarle il basso ventre con forza crescente, facendola gemere di dolore.
«Ukyo!»
La esortò, riportando velocemente altrove la sua attenzione. Si asciugò in fretta le lacrime, poi proseguì. Non aveva scampo. Era finita.
«L’ho raccolta da terra il giorno in cui sono venuta a casa Tendo per parlarti della gravidanza. Tu e Akane eravate troppo occupati a litigare per accorgervi che, probabilmente scivolata via dalle sue tasche se ne stava lì, in bella vista ai vostri piedi, così l’ho presa. Non vado fiera di ciò che ho fatto.»
Ranma scoppiò a ridere e la sua risata amara la fece trasalire. Sospirò con forza, tirando su col naso.
«So che non mi credi, ma è così. Ho pensato e ripensato a quale fosse la cosa giusta da fare…»
«La cosa giusta da fare era consegnarmela immediatamente!» la incalzò di nuovo, lasciandola per un po’ a fare i conti con la propria coscienza. Era vero. La cosa più sensata sarebbe stata quella, senza alcun dubbio. Ma come avrebbe mai potuto farla così, a cuor leggero, sapendo bene che lo avrebbe perso per sempre?
Lo hai già perso per sempre.
Cantilenò la sua voce interiore che da tempo si divertiva a tormentarla senza pietà, facendola piombare nello sconforto. Se solo avesse nascosto meglio quella stupida lettera. Se l’avesse gettata via dopo averla fatta a pezzi, come si era ripromessa tante volte di fare, senza tuttavia riuscire mai ad adempiere alle sue intenzioni, tutto questo…tutto questo, forse, non sarebbe mai accaduto.
«Perché?» esclamò con rinnovata determinazione, ritrovando d’un tratto la voce «Per permetterti di correre da lei e coronare così il vostro sogno amoroso alle mie spalle? Conoscevo perfettamente i tuoi sentimenti per Akane e sapevo che tra voi due c’era qualcosa, è sempre stato più che evidente ma, di qualsiasi natura fosse il vostro rapporto, non potevo più permettervi di continuare ad alimentarlo. Non dopo aver scoperto il mio stato. Io ho avuto…paura.»
Lo vide fissarla a lungo, chiaramente sconcertato.
«Anche stando con Akane, sai benissimo che non avrei mai abbandonato né te né il bambino!»
«Sì, l’avresti fatto.»
«Non è così!»
«Sì, invece!» insistette, frustrata, le guance ormai inondate di lacrime.
«Dannazione, come fai a essere così sicura che vi avrei voltato le spalle?»
Era in buona fede, lei lo sapeva. Ma non poteva bastare.
«Perché il bambino che aspetto non è tuo figlio!» si ritrovò a gridare in preda alla disperazione e prima ancora di riuscire a rendersene conto, singhiozzando senza alcun freno.
 
***
 
Lasciò che quelle parole, dure come rocce sedimentassero dentro di lui e a un tratto fu come se un peso insopportabile che gli opprimeva il petto si sciogliesse pian piano come neve al sole, lasciandolo finalmente libero di tornare a respirare.
«C…Cosa?» balbettò, confuso, non appena riprese il controllo delle proprie corde vocali.
«Hai sentito bene. Sei libero da ogni responsabilità nei nostri confronti.»
«Mi stai dicendo che noi, noi non…» si interruppe di colpo, incapace di proseguire mentre la vedeva annuire nella sua direzione, disfatta dal pianto e talmente pallida da non sembrare quasi più lei. La seguì con lo sguardo dirigersi verso il suo banco da lavoro, chinandosi a fatica a rovistare in un cassetto per tirarne fuori poco dopo un piccolo fazzoletto di carta, che usò per tamponarsi il volto.
«Non è mai successo niente tra me e te» mormorò, infine «ho solo lasciato che lo credessi possibile. Quando ho scoperto di essere incinta ero talmente terrorizzata da non sapere proprio che cosa fare. Poi, quel giorno sei venuto a trovarmi e a chiedermi di cucinare per te, come al solito, e io…ho avuto come un’illuminazione improvvisa e, vedendo la tua presenza come un’opportunità da usare in mio favore…»
A quel punto si coprì la bocca con una mano, riprendendo a singhiozzare sommessamente. Nonostante la gravità di quelle parole il giovane Saotome provò, per la prima volta da quando quella lunga confessione aveva avuto inizio, l’irrefrenabile impulso di correre da lei per abbracciarla. Tuttavia, quell’improvviso moto di empatica tenerezza nei confronti della ragazza fragile e minuta che gli stava di fronte e che avrebbe solo voluto proteggere da ogni male, si dissolse ben presto nell’aria, lasciando al profondo malessere interiore che fino a quel momento lo aveva accompagnato, tutto lo spazio necessario per riemergere. Cupo e doloroso. Forte e inesorabile. Esattamente come prima.
Lo aveva raggirato.
Ingannato.
Ferito. E non era neppure la parte peggiore.
«La verità è che volevo una possibilità con te, Ranma, la volevo da tanto tempo e quando l’ho vista delinearsi a chiare lettere davanti a me ne ho subito approfittato. Così ho drogato il cibo che ti stavo offrendo, lasciando che ti ingozzassi senza freni fino a che non hai perso conoscenza. A quel punto ti ho trascinato di sopra, ti ho tolto i vestiti di dosso e ho atteso pazientemente che riaprissi gli occhi, solo per farti credere che eravamo stati insieme. E ha funzionato. Ti sei bevuto ogni parola e tutto è andato secondo i piani. Il resto lo sai. Io…mi dispiace. Mi dispiace davvero tantissimo.»
Già. Immaginava che in quelle okonomiyaki dovesse esserci ben più che semplice sakè, considerando la terribile emicrania di quel giorno e i presunti vuoti di memoria. Era stato incastrato per bene, insomma. Aveva avuto tanta fiducia in lei da lasciarsi abbindolare come un povero idiota.
Basta. Era veramente troppo.
«Come hai potuto farmi una cosa del genere?» esplose a quel punto, nauseato, ormai incapace di trattenersi oltre «Come hai fatto a guardarmi negli occhi per tanto tempo, sapendo bene di mentire non solo a me, ma anche a te stessa? La vita perfetta che con tanta cura ti sei impegnata a cucire addosso a entrambi non esiste, è solo una farsa, ma te la sei fatta andar bene comunque, perché sapevi che soltanto in questo modo avresti potuto avermi! Anche così però non sono mai stato tuo, né lo sarò in futuro! Kami, sei talmente patetica da farmi pena. Per tutto questo tempo, ogni singolo giorno non ho fatto che sentirmi in colpa per non essere capace di ricambiare i tuoi sentimenti per me, per non riuscire ad amarti come meritavi, credendo fossi la persona più gentile e onesta su questa terra. Invece…invece scopro che sei l’essere più misero e rivoltante che abbia mai conosciuto in vita mia.»
Come poteva non essersene accorto prima? Mentre lui era occupato a tesserne le lodi, quell’infame si divertiva a tramare alle sue spalle.
«So di aver fatto qualcosa di terribile e di essere completamente indifendibile, ma ti prego, non trattarmi in modo tanto meschino.»
Quando si sentì sfiorare il braccio il suo sdegno raggiunse il culmine e si ritrasse bruscamente, allontanandosi di qualche passo solo per raggelarla con un’occhiata sinistra e scatenare così una nuova ondata di pianto.
«Non toccarmi! Mi fai ribrezzo!» esclamò con rabbia, sputandole praticamente addosso le parole e sforzandosi di ignorare quegli insistenti, disperati singulti mentre la fissava, furioso e disorientato al tempo stesso.
«Chi è il padre del bambino?» chiese poi a bruciapelo, cedendo all’insistenza di quel fastidioso, quanto ormai ossessivo pensiero che già da un po’ gli girava in testa, divorandolo dall’interno come un maledetto tarlo. La bella cuoca abbassò lo sguardo, voltando la testa dall’altra parte.
«Ukyo, chi è il padre del bambino? Dimmelo? Lo conosco oppure no?» insistette, pungolandola senza pietà, deciso più che mai ad andare in fondo alla questione. Seguì un lungo momento di silenzio, rotto solo dall’insistente ticchettio dell’orologio da parete. Quando tornò a specchiarsi nei suoi grandi e inquieti occhi scuri, ancora pieni di lacrime, capì che era finalmente pronta a rivelarlo. Almeno questo glielo doveva.
«È…Ryoga.» sussurrò così, lasciandolo a bocca aperta.
«Ryoga? Hai fatto sesso con Ryoga?» indagò, non appena si riprese dallo choc.
«È successo una sola volta e non ha significato nulla. Non per me, almeno. Anche se è stato l’unico uomo al quale mi sia mai concessa e non so nemmeno il perché. Comunque…lo avevo visto vagare per strada nel cuore della notte. Si era perso come al solito e non so come fosse riuscito a tornare a Nerima, considerando il suo pessimo senso dell’orientamento, ma aveva l’aria triste e stanca e probabilmente non mangiava da giorni. Sembrava una specie di vagabondo, insomma. Non potevo certo abbandonarlo lì fuori al freddo, così gli ho offerto riparo. Ho lasciato che facesse una doccia e si riempisse lo stomaco, poi abbiamo parlato a lungo.»
Fece una piccola pausa, come a rimettere in ordine i pensieri. Più tardi, incerta e tremante, si accinse a proseguire.
«Mi ha aperto il cuore, raccontandomi del suo amore non corrisposto per Akane e di quanto questo lo facesse star male. Tu lo sapevi?»
Ranma annuì. Conosceva bene i sentimenti che Ryoga provava per l’ex fidanzata ma non se n’era mai preoccupato più di tanto, poiché sicuro che la minore delle Tendo sentisse per lui nient’altro che semplice e disinteressato affetto. Gli voleva bene, come si può voler bene a un animale domestico. Del resto, lo chiamava P-Chan mica per niente.
«Ritrovandomi a ricambiare quell’inaspettata sincerità, quindi, gli ho detto che anch’io soffrivo per qualcuno che non mi contraccambiava.»
L’occhiata eloquente che dopo quelle parole aveva lanciato nella sua direzione, non sfuggì certo alla sua attenzione.
«Una parola tira l’altra, a un certo punto, forse per consolarci a vicenda, ci siamo baciati e da lì…eravamo disperati entrambi e abbiamo trovato conforto l’uno nelle braccia dell’altra, ma è stato solo un momento di debolezza. Un errore. Il giorno dopo, infatti, l’ho respinto e costretto ad andarsene. Nonostante ciò è tornato più volte a cercarmi. Da allora non mi dà tregua. Non fa che ripetere di essersi innamorato di me e malgrado i miei continui tentativi di rifiuto trova sempre il modo di tornare alla carica. So che è colpa mia, l’ho illuso inutilmente, però non provo nulla e non desidero alcun legame con lui. È per questo che non posso dirgli del bambino.»
Concluse in un soffio e il ragazzo col codino scosse la testa con decisione.
«Devi farlo, invece. Ha il diritto di sapere la verità.»
«Ho sbagliato tutto. Sono stata cattiva ed egoista e col mio comportamento sconsiderato ho fatto soffrire sia lui che te. Ti ho fatto vivere in una prigione, usando una pietosa bugia per tenerti legato a me e fregandomene completamente dei tuoi desideri e sentimenti verso un’altra, allontanandoti, anzi, sempre più da lei. Devo aver reso la tua vita un vero inferno. Hai ragione tu, sai? Sono una persona orribile. Mi dispiace per averti taciuto l’esistenza di quella lettera e mi dispiace di averti mentito per mesi, solo ora comprendo davvero la gravità del modo in cui ho agito.»
Come poteva anche solo pensare che sarebbe tornato a crederle? Che sarebbe tornato a fidarsi e ad accogliere quel suo presunto pentimento, dopo ciò che gli aveva fatto?
«Non so che farmene delle tue stupide scuse, lo capisci? Guardarti adesso mi fa solo rivoltare lo stomaco! Io…»
Qualunque cosa stesse per dire fu ben presto interrotta dal sordo e potente boato provocato da un tuono che fece trasalire entrambi, costringendoli a riprendere in fretta il contatto con la realtà. Tutti i vetri del locale tintinnarono all’unisono e le luci si spensero di colpo per tornare a riaccendersi subito dopo, lasciandoli sgomenti e in preda a un’ansia crescente. La corrente era instabile. Il tifone era in arrivo. Maledizione, lo aveva totalmente rimosso.
«L’insegna. Devo rientrarla.» bofonchiò Ukyo e fece per raggiungere l’uscita ma bastò un’occhiata severa del giovane a raggelarla all’istante, costringendola a restare dov’era.
«Non muoverti di lì!» ringhiò, rabbioso. Non le avrebbe permesso di lanciarsi nella tempesta nelle sue condizioni. «Ci penso io.»
Poi si precipitò verso la porta, aprendola con uno scatto e una violenta folata di vento gelido lo investì subito da capo a piedi, facendolo annaspare. Fu allora che la vide.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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