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Autore: Sunnyfox    08/10/2023    1 recensioni
«Lascialo in pace... non vedi che non sa nemmeno come si chiama?» Gambia dondolava su una delle sedie di quella bettola di periferia. Un cliché piuttosto scontato quello di un locale malfamato, in una periferia malfamata, di una città malfamata...
Persino il locale puzzava di malfamato. Esisteva, in effetti, un odore molto specifico per quel tipo di atmosfera: sudore e urina. A contrastare il profumo di carne alla griglia e olio bruciato che arrivava a zaffate dal retro del locale.
«No no...» Bartolomeo afferrò il volto del malcapitato, prendendolo per il mento: in effetti non mostrava uno sguardo molto lucido «deve rimangiarsi quello che ha detto...»
«Mai...» sillabò il tizio con voce spezzata, probabilmente persino un principio di enfisema.
Genere: Azione, Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Bartolomeo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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IL MIGNOLO

 

 

Dedicato al dito più sottovalutato.

 

 

«Dillo un'altra volta»

Bartolomeo sorrideva beffardo, i canini sporgenti, la postura sfacciata e lo sguardo un po' folle. Di solito bastavano questi elementi a far capitolare un avversario.

Ma quel piccolo taverniere da strapazzo era riuscito a tener testa a tutti i tentativi di conversione.

Sedeva legato a una sedia per il busto. La testa calva, le labbra gonfie, gli occhi a mezz'asta e sul volto un colorito giallognolo. Gli mancavano persino dei denti, davanti. Forse un principio di scorbuto o vattelappesca.

L'accanimento sembrava impietoso.

«Lascialo in pace... non vedi che non sa nemmeno come si chiama?» Gambia dondolava su una delle sedie di quella bettola di periferia. Un cliché piuttosto scontato quello di un locale malfamato, in una periferia malfamata, di una città malfamata...

Persino il locale puzzava di malfamato. Esisteva, in effetti, un odore molto specifico per quel tipo di atmosfera: sudore e urina. A contrastare il profumo di carne alla griglia e olio bruciato che arrivava a zaffate dal retro del locale.

«No no...» Bartolomeo afferrò il volto del malcapitato, prendendolo per il mento: in effetti non mostrava uno sguardo molto lucido «deve rimangiarsi quello che ha detto...»

«Mai...» sillabò il tizio con voce spezzata, probabilmente persino un principio di enfisema.

«Eddai, basta così... ho fame. E non ho intenzione di mangiare in questo posto schifoso» ribadì Gambia alzando le braccia verso il cielo, in un gesto esasperato.

«Sei stato tu a voler venire con me! Adesso non rompere il cazzo» lasciò andare il viso del caso umano, che si ritrasse, senza avere la forza o la voglia di elaborare un tentativo di fuga.

«Siamo tutti d'accordo che finché il vostro proprietario qui non si rimangia quello che ha detto, non se ne va nessuno, da nessuna parte?»

Si volse solo per rendersi conto che la maggior parte dei clienti del locale si erano ritratti sulle pareti, o sotto i tavoli, nemmeno fossero vittime di un terremoto. Non li aveva minacciati, né tenuti in ostaggio, semplicemente avevano preso la situazione per quella che era.

La questione si faceva interessante. Forse un po' fastidiosa, ma se non altro interessante. Era stata una mattinata piuttosto noiosa fino a quel momento e il cielo solo sapeva quanto avesse bisogno di un po' di movimento, dopo giorni e giorni... e ancora giorni di navigazione.

«Va bene, cerchiamo di alleggerire l'atmosfera»

Gambia seguì con lo sguardo il suo capitano, convinto che la giornata non sarebbe finita tanto presto. E che alla fine avrebbe davvero dovuto accontentarsi di leccare le pentole rancide della cucina. Si chiese perché non fosse rimasto sulla nave, con gli altri. Sapeva che quella stupida isola non aveva niente di interessante da offrire.

Bartolomeo raggiunse quello che sembrava un vecchio pianoforte meccanico. Era cosparso di polvere, dovevano essere passate settimane, se non mesi dall'ultima volta che era stato usato, o toccato.

Si piegò sullo spartito o quel diavolo che era, fingendo grande interesse.

Non aveva davvero la più pallida idea di come funzionasse.

«Ma non vi siete accorti che lo spartito è bucato?!» sbottò, scagliando lontano uno dei bicchieri impolverati, dimenticati lì sopra. Per poco non prese in faccia un ragazzotto dall'aria da hippy che strillò acuto, facendo prendere una testata per lo spavento a un altro tizio nascosto sotto a uno sgabello «come facciamo a mettere su un po' di musica?»

Una donna dall'aria tutt'altro che coraggiosa, emerse con spalle e braccia da sotto a un tavolo. Persino lei non sembrava stare un fiore, la pelle era grigia come quella delle razze. O forse era solo paura.

«Non è bucato. È solo carta perforata. Il pianoforte è automatico...»

«Ding! La signora ha vinto un premio», disse raggiungendola a grandi falcate, offrendole la mano per aiutarla a venire fuori dal suo rifugio improvvisato. «Che dice, ce la facciamo una bella sudata su un brano allegro?»

La donna annuì intimorita. Che ne avesse voglia o meno era poco importante, la priorità era sopravvivere a quella giornata e a quei due pazzoidi che erano entrati lì dentro, portando scompiglio, un caldo mercoledì pomeriggio, di un giorno qualunque.

Azionò il meccanismo senza darsi la pena di lasciargli decidere il brano, e in men che non si dica l'aria si riempì dell'allegra melodia di una ballata marinaresca.

Bartolomeo sembrò piuttosto soddisfatto e lanciò uno sguardo al suo primo ufficiale, in cerca di approvazione.

Gambia si strinse nella spalle, molto più interessato al fumo che stava uscendo dalle cucine. Adesso c'era persino odore di carne... bruciata.

Bartolomeo leccò la mano della donna a mo' di baciamano, spingendola poi brutalmente su un lato, quando fu pronto per tornare al suo principale interesse.

Lo strattonò per la sedia, girandolo nella sua direzione. Era ancora assicurato per le spalle, le mani aggrappate ai braccioli, si sorreggeva a fatica.

«Ti piace?» gli chiese, apparentemente affabile, alludendo alla melodia ritmata, mimando anche un paio di mosse a tempo.

«No.» fu l'astiosa risposta. L'oste lo guardava da sotto in su, con aria di sfida. Probabilmente era diventata una questione di principio.

«E ma non ti va proprio bene niente!» sbottò, scagliandogli un calcio in faccia.

Per poco l'uomo non si ribaltò all'indietro.

Bartolomeo sembrò placarsi solo per un istante, portandosi una mano al viso, con aria grandemente concentrata.

«Barto... forse faremmo bene a-»

«Zitto, sto pensando»

«Pensa pure, ma io credo che stia andando a fuoco il-»

«Ho detto: taci! Sto pensando!»

Gambia allargò le braccia esasperato e si levò in piedi. Raggiunse il bancone con aria pigra, andando a sbirciare l'origine di tutto quel fumo. Possibile che il suo capitano non sentisse un bel niente? Eppure l'odore guasto dell'infezione al piercing al naso era guarita da un pezzo.

«Okay, ho pensato abbastanza» decise, allungandosi sull'uomo per afferrargli la mano.

La abbatté sul tavolo ed estrasse il coltello che nascondeva nei pantaloni.

«È la tua ultima possibilità, poi non dire che non sono magnanimo. Rinneghi le tue convinzioni e ti converti alla tua nuova religione?»

L'uomo lo guardò negli occhi, con fare rabbioso. E poi gli sputò in faccia. Una risposta inequivocabile.

«Ostinato» disse, prima di far calare la lama, mozzandogli di netto il mignolo.

«E uno!» dichiarò soddisfatto, mentre la falange rotolava per terra, dopo essere schizzata in volo planare sul pavimento.

Finì accanto al naso di uno dei tizi nascosti, a far compagnia a un'oliva dall'aria malsana.

Si elevò un gridolino isterico, seguito da quello della vittima dello sgradevole incidente.

Il sangue del mignolo mozzato schizzava un po' dappertutto: sul tavolo, per terra, sul volto stesso del malcapitato.

Bartolomeo osservò lo spettacolo, affascinato. C'era un che di scenografico, nell'intera faccenda.

«Questo non era mai successo», disse, reclinando il capo di lato, «ma voi eravate al corrente che dentro a un mignolo potessero esserci così tanti vasi sanguigni?»

Pulì il coltello sulla giacca dell'oste, e l'agitazione sembrò placarsi appena.

«Ed io che volevo solo impartire una pacifica lezione. Stavo cercando di smettere. Da quanto non lo facevo?» cercò il suo primo ufficiale con lo sguardo ma questo sembrava sparito.

«Gambia! Ma dove cazzo te ne sei andato?!»

«Sono qui!» disse l'uomo, emergendo dalla cucina, con uno stinco di maiale stretto fra le mani.

«E quello dove lo hai preso?»

«Sul retro. Te l'avevo detto che avevo fame.»

«Ma io stavo cercando di portare a termine una cosa qui! Possibile che non riesca mai ad avere po' di collaborazione?»

Gambia azzannò lo stinco di maiale.

«A me pareva te la stessi cavando benissimo anche da solo» mugugnò cercando di non sbrodolare carne e grasso ovunque.

«Lo so! Ma lo sai che mi piace avere del pubblico!»

Il primo ufficiale indicò tutte le persone che bene o male stavano assistendo impotenti allo show.

«Non è lo stesso!» Bartolomeo batté un piede a terra, stizzito come un ragazzino.

«Va bene, va bene...» superò il bancone, posando lo stinco di maiale su un vassoio piuttosto incrostato da vecchi residui di cibo.

«Adesso ti sto guardando», si leccò brevemente le dita e poi quello che restava di oli, grasso e saliva sulla giacca dell'oste, già imbrattata di sangue, e sudore... e chissà che altro.

Il pover'uomo sembrava non avere più coscienza di quello che gli stava accadendo attorno. Osservava il suo moncherino in stato di shock.

Il tavolo ora impregnato del suo stesso sangue, che non la finiva di fluire in rigoli ramificati.

«Ormai l'ho fatto...» lamentò Bartolomeo.

«Rifallo»

«Ah, dici che posso?»

«Fatto trenta...» si strinse nelle spalle con aria ovvia.

Bartolomeo recuperò di nuovo la mano del tizio che però adesso era piuttosto scivolosa, fra sangue e liquami di varia natura.

«Basta, per l'amor del cielo, basta!» gridò qualcuno nelle retrovie.

«Chi ha parlato?» chiese Gambia con aria da gradasso, ma gli era difficile capire dacché l'aria del locale si era fatta piuttosto fumosa.

Sì, forse avrebbe dovuto spegnere la griglia, ma non era certo un cuoco, lui. E di quel locale gli importava esattamente quanto, di solito, gli importava del gossip sulle riviste settimanali. Ovvero una volta all'anno. Più o meno. E solo se c'erano notizie della bella Silva. La cantante rap, famosa per quella canzone che faceva...

«Io! Io ho parlato», il flusso dei suoi intimi pensieri fu interrotto da quella che poteva sembrare... Silva?

«Ommioddio e tu che cosa ci fai qui?!» esclamò con aria ridicolmente beota, mentre Bartolomeo osservava la scena piuttosto perplesso. Ancora stringeva per il polso la mano menomata dell'oste.

«Ma si può sapere con chi cazzo stai parlando?»

«Con lei!» Gambia indicò un punto a caso, fra le nuvole di fumo nero che arrivavano dalla cucina.

Bartolomeo dovette constatate con stupore e preoccupazione che il suo primo ufficiale sembrava proprio essersi bevuto il cervello.

«Okay, forse stavolta ho esagerato. Gambia. Amico mio...»

Disse, mollando la presa all'oste che ancora non sembrava aver accettato che il suo mignolo fosse finito a far compagnia alla polvere del pavimento.

«Credo che sia arrivato il momento di levare le tende, e accompagnarti sulla nave e prendere le tue medicine»

«C-che medicine, Capitano? Non prendo medicine.»

«Ah no? Non eri tu quello che soffriva di allucinazioni?»
«Ma no, quello è Silver Coin.»

«Ooooooh giusto. Silver... e mo' chi cazzo è Silver Coin?» cominciò a sentirsi confuso a sua volta, e tossì un paio di volte, prima di rendersi conto che l'atmosfera in quella bettola si era fatta davvero pesante. Era diventato cieco o c'erano delle fiamme, ora, a lambire il bancone?

Qualcuno gridò di nuovo. E poi lo fecero anche gli altri. In men che non si dica si creò il caos.

«Ma che vi prende a tutti quanti?» disse, avvicinando il bancone, recuperando quella che gli sembrava una caraffa d'acqua.

«È solo un po' di fuoco... là!» esclamò lanciando la brocca diretta sul fuoco. Il boato che ne seguì e la fiammata che si propagò fin sulle tende delle finestre gli fece presente che non poteva trattarsi di acqua.

«Ops»

«Capitano, forse sarebbe il caso di telare.»

«Già, temo anche io» convenne Bartolomeo, guardandosi attorno con aria sconsolata «e dire che questa volta ero sicuro sarebbe stato facile.»

«Lo sarà la prossima volta...» Gambia gli diede una pacca incoraggiante sulla spalla come a sottolineare la sua solidarietà alla faccenda.

«Aspetta, dai, non posso lasciarlo così» disse, avvicinando quello che era stato il dito dell'oste, raccogliendolo da terra. Ci soffiò sopra, come a ripulirlo della polvere che si era accumulata un po' dappertutto. Chissà da quanto non lavavano i pavimenti, quei fannulloni.

«Mi sembra che la situazione ci sia sfuggita un tantino di mano» fece, con aria conciliatoria, riavvicinandolo. Tutt'intorno a lui: fumo, gente in fuga e le note stonate di un pianoforte automatico.

«Tieni» cercò pateticamente di riappiccicargli il mignolo che per quando fosse denso di sangue sembrava non volerne sapere di riattaccarsi.

«Sai, c'è un pirata, piuttosto famoso a dire il vero, che ha questo superpotere... di spezzettarsi e rimettersi in sesto, come niente fosse. Magari, che ne so, puoi andare a cercarlo, farlo fuori e mangiarti il suo frutto. Segnati il nome: Bagy il Clown»

Annuì felice, della sua soluzione.

«Anche io sto andando in un certo posto. Hanno messo in palio un frutto del diavolo appartenuto a un grande pirata. Perito eroicamente in battaglia, ormai due anni fa. Io sto andando a quel torneo per vincerlo. Recuperare quel frutto e farlo in dono a suo fratello. Niente di meno che il grande Monkey D. Rufy, Cappello di Paglia. Quello che tu stupidamente non hai voluto venerare» gli disse, passandogli un braccio attorno alle spalle.

«Volevo solo che appendessi un paio di poster. Niente di più. Ma... dato che temo che presto non avrai più un locale dove appenderli... credo mi tocchi perdonarti.» sorrise dandogli un'incoraggiante pacca sulla spalla. Si prese de tempo per frugare in una delle sue tasche e tirarne fuori una spilletta, recante il jolly roger della ciurma di Cappello di Paglia.

«Tiè. Un regalo. Sia mai che ti venga in mente di convertirti» disse applicandogliela sul gilet.

Dietro di loro cadde una parete.

«Capitano!» tossì Gambia, mentre il fumo ormai inghiottiva praticamente tutto.

«Arrivo, arrivo», lasciò andare l'uomo, portandosi un fazzoletto al viso.

Uscirono dal locale, così come vi erano entrati, portandosi dietro una gran nuvola di fumo.

«Non pensi che forse avremmo dovuto trascinare fuori anche l'oste?» domandò Gambia che aveva notato il suo magnanimo gesto, ma che forse Bartolomeo non aveva gestito nel modo migliore.

«Scherzi?» gli rispose questi indignato «Ha pur sempre dichiarato...»

«LUNGA VITA A BARBANERA!» esplose un grido all'interno del locale, prima che il tetto crollasse con gran fragore.

Bartolomeo lanciò un lungo sguardo al suo primo ufficiale, schivando un calcinaccio.

«Quando uno se le va a cercare...» commentò seraficamente, trascinandosi dietro il borsone stracolmo di poster che aveva abbandonato lì vicino.

«C'è un'altra isola prima di Dressrosa», dichiarò poi allontanandosi a passo lento accanto all'amico, mentre alle loro spalle si consumava la tragedia, con gran fragore e crepitio di fuoco «pensavo che sarebbe carino...»

«No» lo frenò sul nascere, intuendo dove volesse andare a parare quello stolto del capitano.

«Eddai! Una soltanto!»

«No!»

«Ma solo una. Piccola. Più piccola di questa! Ho ancora tanti poster!»

«Ho fame, cazzo. Non possiamo pensare prima a sfamarci?»

«Ma se hai mangiato un intero stinco di maiale! Non puoi avere sempre fame.»

«Sai chi altro ha sempre fame?»

Lo sguardo di Bartolomeo si fece improvvisamente sognante.

«Rufy-san?» si sciolse.

Se non altro Gambia era riuscito a convincere il suo capitano che mangiare era importante tanto quanto pensare alla conversione universale del verbo Cappello di Paglia.

Si diressero verso il porto, il veliero e alla prossima gatta da pelare.

La corrida al colosseo di Dressrosa era vicina.

 

Fine.

 

Nota:

Ho avuto una piccola ispirazione, l'ho messa per iscritto. Siamo tutti un po' Bartolomeo: vorremmo staccare mignoli. Ah... no.

   
 
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