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Autore: BabaYagaIsBack    09/10/2023    0 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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"How did I read the stars so wrong
I'm wide awake

And now it's clear to me
That everything you see
Ain't always what it seems"

Wide Awake, Katy Perry



 

Fuori dalla finestra il suono della brezza autunnale si faceva strada tra le fronde dei pochi alberi e i fili d'erba intorno alla casa, mentre il gracchiare di gabbiani stanchi balzava alle orecchie come un allarme. All'interno, invece, il silenzio faceva da padrone. Nel percorrere pigramente il solito corridoio e le scale che conducevano alla cucina, Noah si scoprì stranamente preoccupato. Un'agitazione inusuale gli pizzicò le piante dei piedi facendolo avanzare con circospezione mentre, dal piano inferiore, non arrivava nemmeno il suono familiare di Zenas ai fornelli.
L'Hagufah tese le orecchie provando a cogliere il minimo suono fuori posto - o un qualsiasi suono, a dire il vero -, perché non credeva possibile che fossero usciti tutti senza premurarsi di avvertirlo; non era da loro. Certo, la probabilità che avessero preferito non disturbarlo era plausibile, ma sicuramente conoscendo le Chimere dovevano avergli lasciato da qualche parte un bigliettino per rassicurarlo.
Entrò in cucina mozzando uno sbadiglio incontrollato e sperando vivamente di aver ragione, ma né sul tavolo né sul frigorifero trovò note a lui indirizzate. Nella stanza aleggiava solo il profumo di una tisana e della torta di mele abbandonata sul top del bancone, intonsa. La sfiorò con un dito, scoprendola calda. Ma come poteva essere possibile? Era stata lasciata lì senza che qualcuno si premurasse di tagliarla o metterla in un punto sicuro, lontana dalla minaccia delle mosche - che fosse successo qualcosa? Realizzandolo quell'ipotesi, Noah corrugò le sopracciglia. Qualcosa non andava, ne era sempre più certo, e una tenaglia gli strinse lo stomaco costringendolo a immaginare cosa potesse aver fatto allontanare le Chimere con tanta fretta. E le opzioni, come di consuetudine, erano ben poche.
«Ti prego,» soffiò rivolgendosi a un'entità astratta, avvertendo il prurito ai piedi aumentare: «fa che non sia successo nulla...» L'ipotesi più probabile che gli saltò alla mente fu quella che i membri del Cultus fossero nelle vicinanze. E non gli piacque, affatto, così si morse forte la lingua.
No, pensò dopo qualche secondo scrollando il capo, non doveva tirare conclusioni affrettate. Quelle creature avrebbero potuto stupirlo in un'infinità di modi, lo sapeva benissimo.

Alzò lo sguardo dalla torta, provando a mettere a tacere i pensieri peggiori.
Dietro al lavello la finestra dava sul retro della proprietà, deserta. Non vi era alcuna traccia di vita se non il gracchiare fastidioso dei gabbiani che gli diede ai nervi.
Doveva indagare meglio, si disse, doveva avere la certezza che non fosse accaduto qualcosa di grave e, in caso, prepararsi al peggio prima che questi potesse bussare alla porta.
Noah si volse, ritornando a grosse falcate nel corridoio e spingendosi fin dentro al salotto dove Colette aveva quasi ucciso il fratello.
Si guardò attorno. Il suo sguardo passò da una mensola all'altra, tra le copertine dei libri e cadde sul divano dove una rivista di interior design se ne stava aperta su un articolo riguardante la perfetta scelta delle tende. Sotto le sue pagine, la sagoma di un sedere.
Sì, i suoi coinquilini dovevano essere andati via in fretta, preoccupandosi poco di non lasciare tracce.

Un groppo di ansia gli si bloccò in gola.
E se il Cultus fosse davvero stato lì vicino? Come avrebbe dovuto comportarsi? E se le Chimere non avessero fatto ritorno? Se le cose fossero davvero andate per il verso peggiore. Il cuore accelerò senza preavviso, costringendolo ad afferrarsi il petto. Non voleva pensare a nessuna di quelle ipotesi, era sbagliato e nocivo, ma se non lo avesse fatto?

«Dai, apri!» la voce familiare di Zenas squarciò il silenzio, facendolo sussultare come un "booh!" gridato nella notte. Senza realizzarlo Noah si buttò verso la finestra, afferrò i lati dell'infisso e sporse la testa fuori, sgranando gli occhi nella sorpresa e nella speranza di non essersi immaginato quel richiamo. Allungò il collo fin quasi a farsi male, i muscoli tesi e i polpastrelli sempre più premuti sull'alluminio del telaio, pronti a imprimervi la propria traccia - ed eccole, infine. Sedute intorno al tavolino di ferro, concentrate su qualcosa che dal punto in cui era non riusciva a distinguere, se ne stavano le Chimere. Come personaggi di un quadro occupavano lo spazio, catturando ogni suo battito di ciglia e dissipando i pensieri malevoli che lo avevano sopraffatto. Noah si sentì pervadere da una tranquillità che si poteva sperimentare solo nelle gallerie e sale dei musei e, involontariamente, sospirò. Erano lì, grazie al cielo, e nessun pericolo aveva osato portagliele via, pensò.
Incurante del fatto che non si fossero accorte della sua presenza - o che lo stessero volontariamente ignorando - l'Hagufah scavalcò infisso e davanzale, balzando coi piedi scalzi sull'erbetta isipida.
Il desiderio di richiamare la loro attenzione gli pizzicò la gola, peccato che a ogni passo la voce sembrasse venir meno, inghiottita fino al fondo del suo stomaco vuoto. In compenso, l'udito si fece attento, raccogliendo con chiarezza maggiore i discorsi delle sue creature.
Fu ovvio sin da subito che qualcosa le stesse turbando e il senso di preoccupazione provò ad agguantarlo nuovamente per le caviglie.

«Mi spieghi di cosa hai paura?» Alex si abbandonò sulla sedia, le braccia in grembo.
«Beh, chi ci assicura che non sia una trappola?» le chiese Colette indicando l'oggetto nascosto dalla schiena di Zenas.
Noah arrivò a ridosso del tavolino, coinvolto come una comara dal loro discorso. Soffiò un saluto timido che venne ricambiato da un "buongiorno" distratto da parte di tutte le Chimere che, ancora, non lo degnarono di uno sguardo.
Cosa diamine c'era di tanto importante da catturare tutta la loro attenzione?, si chiese, perché le poche volte che le aveva viste riunite a quel modo era stato prima di una fuga o in previsione di un agguato da parte dei nemici e, in tutta onestà, sperava vivamente che non si trattasse né di una né dell'altra opzione.
Mentre si sporgeva per dare finalmente una forma a ciò che stavano guardando con tanto sospetto e timore, l'Hagufah sentì Alexandria rispondere alla sorella: «Non lo sapremo mai se qualcuno non si decide ad aprirla! Siamo realisti, chi conosce l'indirizzo di questo posto? A parte gli enti statali, s'intende...» Un lampo passò nella mente di Noah. Che si trattasse di una raccomandata? Una multa? Si sporse maggiormente, ma prima che i suoi occhi potessero rivelargli l'identità dell'oggetto la voce di Z'év tornò a riempire le sue orecchie: «Facciamo fare il lavoro sporco a Noah, allora!» lo stava indicando col palmo della mano, un'espressione poco rassicurante in viso.

L'agitazione improvvisamente lo raggiunse, aggrappandoglisi alle caviglie; non era sicuro che la proposta fosse del tutto priva di rischi.

Colette si alzò di scatto, correndo subito in sua difesa come una mamma chioccia col suo piccolo: «Ma sei matta? E se fosse davvero una trappola? Non ti è bastato farlo morire già una volta?» le chiese, forse senza badare realmente alle proprie parole o forse ponderandole giustappunto per infastidirla. Non era la prima volta che succedeva e seppur dormissero ogni notte nella stessa stanza la tensione tra loro non era minimamente diminuita. Wòréb attaccava "quasi" apertamente Z'év e quest'ultima provava in tutti i modi a non reagire. Anche se le costava fatica. Noah se ne accorse persino in quel momento. La mascella di Alex si strinse nonostante sulle sue labbra continuasse a resistere l'espressione beffarda - perché rendere Colette vincitrice di quel match immaginario doveva pesarle più di subire tutti quei colpi. L'orgoglio, in fin dei conti, doveva essere un nemico crudele anche per le Chimere.
L'Hagufah fece per aprir bocca e stemperare il nervosismo crescente, ma, prima ancora che potesse iniziare, Levi si fece avanti al pari del paladino che era sempre stato sfoderando un: «Quasi, akoth, bada alle tue parole» e il modo con cui si rivolse a Wórèb fu sufficiente a farla ammutolire. Fu palese, anche con gli occhiali da sole a schermarlo, che la stesse fulminando con lo sguardo. Noah sentì l'effetto di quel rimprovero attraverso le dita di lei, che si strinsero sulle sue spalle facendogli storcere il naso. «In quei tuoi artigli stai stringendo carne calda, non un cadavere» sibilò ancora il fratello prima di schiacciare il mozzicone nel posacenere.
Il rumore della deglutizione di Colette accanto al suo orecchio parve terribilmente sordo, Noah quasi ebbe pietà di lei. Non avrebbe dovuto, lo sapeva, eppure ognuna di quelle persone gli sembrava, di tanto in tanto, un'estensione di sé. Dalla sera in cui Zenas e Alexandria erano stati attaccati le emozioni delle Chimere avevano preso a infilarglisi sotto pelle, diventando un po' sue; sentiva quindi l'attuale agitazione della donna che aveva accanto, la pace di Akràv quando ogni mattina si metteva ai fornelli, i dubbi di Levi che si alternavano a fiducia indiscussa e i sensi di colpa che assalivano Z'év senza preavviso, stringendole lo stomaco.
Si rese conto da solo che doveva dimostrare loro di non incolpare nessuno per ciò che non ricordava essergli accaduto, che in quel momento erano tutti dei pari, così in uno scatto si sporse. Le sue dita si strinsero sulla carta della busta che stavano osservando prima ancora che qualcuno potesse avere l'ardire o i riflessi per fermarlo e, persino lui, si stupì di quel gesto. Un senso di soddisfazione lo pervase lentamente, rallentando il battito di un cuore che non si era reso conto aver accelerato tanto.
In mano stringeva una lettera. La guardò con dubbio e stupore, incapace di capire come potesse un oggetto così insolito e innocuo mettere in allarme le Chimere. Sulla busta non vi era il nome di alcun mittente, solo un francobollo bianco dalle scritte cirilliche sui bordi. Tese le labbra in una smorfia che pareva sul punto di cedere e farlo scoppiare in una fragorosa risata. «Non penso che questa» la sventolò, spavaldo: «possa uccidermi.»

Colette provò a schiaffeggiargli la mano per fargli mollare la presa, ma Noah si ritrasse con un movimento felino. Una ruga in mezzo alle sopracciglia tradiva qualsiasi suo tentativo di nascondere l'agitazione: «Questo lo dici ora! Potrebbe essere cosparsa di una mistura velenosa, oppure avere un qualche sigillo impresso sopra!» Gli fece notare, trasformando improvvisamente l'innocua cellulosa in un'arma di cui lui mai avrebbe sospettato. In effetti nemmeno gli era passato per la mente che quella lettera potesse essere un modo del Cultus per arrivare a lui o alle sue creature, cosa che, invece, ebbe la certezza loro avessero valutato.
L'istinto di lasciare la presa lo aggredì, eppure la paura che quella reazione potesse scatenare conseguenze peggiori lo fece desistere. «Quindi ora che faccio?» chiese senza rivolgersi a qualcuno in particolare, con la voce leggermente tremante e il battito nuovamente irregolare.
Zenas alzò lo sguardo su di lui. Stava abbozzando un sorriso rincuorante, ma Noah fu certo che fosse in ansia quanto lui. Chi non lo era? Se gli fosse accaduto qualcosa a chi si sarebbero potute rivolgere le Chimere? Dopotutto loro non potevano usare l'alchimia a proprio piacimento, le avrebbe divorate.
«La rimetti a posto e lasci fare a noi, okay?» Peccato che farlo avrebbe voluto mettere in pericolo loro e, in tutta onestà, gli sembrò un'idea persino peggiore. Non le avrebbe condannate, per alcun motivo. Dopo ciò che aveva appreso dai vecchi diari di Salomone non avrebbe permesso alle Chimere di sacrificarsi ancora per lui - anche se lo avrebbero fatto, forse fino alla fine del tempo.
Noah fece passare lo sguardo da Zenas alla busta, prima sul fronte e poi sul retro. A parte il francobollo riconducibile all'est Europa e una calligrafia particolarmente elegante non vi era alcun indizio che potesse tradire il mittente. Forse non si trattava del Cultus, forse era solo un vecchio conoscente di cui tutti si erano dimenticati - perché dare per scontato che qualcuno dovesse morire? Chiudendo gli occhi e ripetendosi che in ogni caso solo lui avrebbe potuto adempiere a quel compito, l'Hagufah fece un respiro profondo nel vano tentativo di calmarsi. Voleva restare positivo, credere che tutto si sarebbe risolto per il meglio, ma sotto sotto la preoccupazione che il pericolo lo stesse attendendo dentro quella busta non voleva dargli pace.
«Noah...» con una nota di fastidio ad alterargli la voce, Levi sembrò intuire i piani dell'amico e, soprattutto, disapprovarli. Per sfortuna della Chimera però, Noah non si fece intimorire e, infilando l'indice attraverso uno degli angoli privi di colla e sentendo la minaccia sia della carta che del suo Generale, aprì uno squarcio nella busta, mettendo fine alla questione.

 

 
   
 
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