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Autore: CedroContento    11/10/2023    0 recensioni
[Thilbo Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Ecco il punto: noi nani non siamo eroi, bensì una razza calcolatrice con un gran concetto del valore del denaro; ce ne sono di scaltri, infidi e sleali; altri, invece, sono tipi abbastanza ammodo, come Thorin e noi della Compagnia, purché non ci si aspetti troppo da noi”.
 
Balin (1)
 
 
 Nei giorni che seguirono la morte di Smaug e la distruzione di Esgaroth, i sopravvissuti della Città del Lago confluirono a Dale a centinaia. Bilbo li poteva vedere dai bastioni di Erebor. Una fila sottile e interminabile di povere persone che risaliva il sentiero che portava fin là su dal lago. Si trascinavano su gambe stanche, le braccia strette attorno alle poche cose che erano riusciti a salvare dalle fiamme; i bambini più piccoli caricati sulle spalle e gli anziani e i feriti trascinati su barelle improvvisate. 
 
Era uno spettacolo che spezzava il cuore. 
 
Spesso Bilbo sentì l'impulso di correre ad aiutare come poteva. Ma oltre non avere lui stesso nulla da offrire, si era ritrovato assieme agli altri nani della compagnia segregato dentro la Montagna. Da Thorin. 
 
Non appena il Re Sotto la Montagna era venuto a conoscenza dell'arrivo dei rifugiati, aveva convocato tutti loro alla porta principale. Diede l'ordine di sigillarla in modo permanente con un muro di pietra; quella e ogni altro singolo accesso che non era già stato bloccato da Smaug. Nessuno poteva entrare e nessuno sarebbe uscito. 
 
“Questa Montagna è appena stata ripresa, non permetterò che venga riconquistata,” dichiarò, camminando attorno ai nani che si erano messi subito all'opera, nonostante lo scetticismo generale con il quale era stata accolta la decisione del Re. 
 
“Quelli di Pontelagolungo hanno perso tutto, sono qui per bisogno, non per cercare di derubarci. Sono povere persone a cui non è rimasto più nulla,” tentò di far notare Kili, a cui fin da subito la richiesta di Thorin era sembrata del tutto inaccettabile e non si era mai sforzato di nascondere la rabbia che provava. 
 
“Non venire a dire a me cosa significa perdere tutto,” scattò Thorin rabbiosamente. 
 
Bilbo sobbalzò. 
 
Thorin era sempre così arrabbiato e perdeva la pazienza per un nonnulla; rendeva l'atmosfera così tesa che l'aria era diventata pesante e irrespirabile. Bilbo si sentiva costantemente sull'orlo di un crollo nervoso. Qualche volta, durante le ore più buie della notte, si rannicchiava in disparte e lasciava scorrere liberamente le lacrime. Era stanco, sfinito nel profondo. 
 
Kili invece non si scompose. Alzò il mento in segno di sfida, pur non osando aggiungere altro. 
 
Thorin lo fissò a lungo, poi, con grande sollievo di tutti, decise di non raccogliere la provocazione del nipote. Si voltò e sparì a grandi passi lungo il corridoio buio che portava alla Sala del Trono. 
 
Passava molto tempo chiuso lì dentro, Bilbo non aveva idea di cosa gli passasse per la testa nelle ore interminabili che stava da solo, e fino a quel momento si era guardato bene dall'indagare. 
 
Cercava di tenersi il più lontano possibile da Thorin. Non aveva ancora capito se lui se ne fosse accorto o meno. Non era certo che gli importasse se anche se ne fosse accorto. 
 
“Stai più attento a come parli, ragazzo. Quella testaccia calda ti metterà nei guai” bisbigliò Balin. 
 
“Non ho paura di dire ciò che penso,” ribatté con ostinazione Kili, la collera a stento contenuta nella voce. 
 
Fili gli si avvicinò e gli diede delle vigorose pacche sulla schiena. “Troveremo una soluzione per farlo ragionare, cerca di stare calmo”. 
 
Balin sospirò e lanciò una lunga occhiata a Bilbo, il che gli ricordò che forse evitare Thorin era un lusso che non avrebbe più potuto permettersi a lungo. 
 
Erano passati ormai due giorni da quando il vecchio nano gli aveva chiesto di cercare di parlargli, e ora ogni istante avrebbe fatto la differenza tra la vita e la morte per qualcuno lì fuori. C'erano persone che stavano morendo di freddo e di fame solo perché lui non riusciva a tollerare di sostenere lo sguardo di Thorin. 
 
Aveva già causato tanto dolore alla povera gente di Esgaroth aizzando contro di loro la furia di un drago sputa fiamme. Doveva loro almeno il tentativo di convincere Thorin ad aiutarli nel momento del bisogno, o se non altro almeno ad onorare la parola data. 
 
Prima di darsi del tempo per cambiare idea, raccolse il proprio coraggio e imboccò il corridoio lungo il quale era sparito Thorin. 
 
Come previsto, lo trovò in piedi, perfettamente immobile, davanti al suo trono di pietra; fissava il punto in cui avrebbe dovuto esserci il Cuore della Montagna. 
 
Gli dava le spalle, ma Bilbo sapeva che si era accorto del suo arrivo, e difatti non mostrò segni di sorpresa quando lui si schiarì la voce. 
 
Il Re Sotto la Montagna si voltò a guardarlo mentre faceva gli ultimi passi verso di lui. Teneva il mento alto e le spalle larghe dritte. Il suo volto era senza espressione, imperscrutabile; gli occhi gelidi. 
 
Nelle sue ricche vesti e l'aspetto fiero aveva tutto l'aspetto di un Re. Un Re bello e crudele. 
 
Bilbo cercò di soffocare la sensazione di essere piccolo e insignificante a confronto. In fondo era sempre di Thorin che si trattava, avevano mangiato l'uno a fianco all'altro, dormito assieme. Di Thorin non aveva mai avuto paura. Almeno, non fino a quando… 
 
Aveva ripercorso centinaia di volte l'istante in cui lo aveva minacciato, quando lo aveva guardato negli occhi e, per un motivo del tutto inspiegabile, aveva puntato la lama della sua spada dritta sul suo cuore. 
 
In quel momento gli era sembrato che Thorin non fosse nemmeno lì, che non fosse in sé. Immediatamente dopo aveva pensato di averlo solo immaginato, ma più passavano i giorni e più capiva che non era così. 
 
Lo avrebbe fatto, anche ora, a distanza di tempo, Bilbo era certo che lo avrebbe ucciso. 
 
“Non dovrebbe andare in testa quella?” chiese, riferendosi alla corona che Thorin spesso si rigirava tra le mani, ma che ancora non aveva mai indossato. 
 
Thorin lo guardò a lungo, impassibile. 
 
Poi, d'improvviso, le sue spalle si rilassarono e sorrise amaramente. “Mio nonno ha indossato questa corona. Spetterebbe a mio padre ora. Se ora la metto io e mi faccio chiamare 'Re Sotto la Montagna' vorrebbe dire che Thrain è morto. Non so se sono pronto a farlo.”
 
Quella confessione inaspettata colpì Bilbo dritto al cuore. Qualcosa in lui si spezzò, si sentì quasi sul punto di piangere. 
 
Forse si era arreso troppo presto. Forse c'era ancora speranza, perché quello era decisamente un pensiero del Thorin che conosceva - nonché uno dei motivi per cui lo amava così tanto. 
 
Thorin non aveva mai bramato il potere per il mero gusto di averlo, se n'era sempre fatto carico per senso del dovere e di certo, pur essendo inflessibile nelle sue decisioni, non ne aveva mai abusato. 
 
“Tu invece cos'hai lì?” gli chiese d'un tratto, notando che Bilbo giocherellava con qualcosa nella tasca. 
 
Lo hobbit trasalì. 
 
Si era reso conto di cercare spesso quella piccola ghianda senza accorgersene. Semplicemente se la ritrovava in mano. Era arrivato a preferirla perfino a quel suo anello. Il fatto era che ogni volta che la stringeva si ricordava del suo intento di piantarla nel suo amato giardino, e in qualche modo aveva finito per ricordargli Casa Baggins. 
 
“Me l'ha regalata Beorn, ricordi?” disse, mostrando a Thorin il suo piccolo tesoro. 
 
“Ricordo, purtroppo.” Thorin storse il naso quando Bilbo nominò il mutaforma. La cosa lo fece sorridere. 
 
Inconsapevolmente si erano avvicinati fino a sfiorarsi. Bilbo non si era nemmeno reso conto di quanto gli mancasse la sua vicinanza, del disperato impulso che sentiva di rintanarsi tra le sue braccia e farsi consolare, fosse anche solo per un attimino. 
 
“L'hai portata fino a qui,” osservò Thorin, prendendogli la mano, avvolgendola tra le sue. 
 
“La pianterò nel mio giardino,” disse piano Bilbo, sentendo gli occhi pizzicare. 
Gli fece male essere toccato con tanta dolcezza.
 
“Un misero premio da riportare nella Contea.”
 
“Un giorno crescerà, diventerà una forte quercia, e ogni volta che la guarderò, ricorderò. Ricorderò quello che è successo, il brutto e il bello, e la fortuna che ho avuto a tornare a casa”. 
 
Thorin chinò leggermente la testa e si portò le dita di Bilbo alle labbra. “Il mio dolce hobbit”. 
 
Gli sorrise e per un attimo Bilbo seppe con certezza che era lì, il suo Thorin era proprio lì. Sentì il cuore battere all'impazzata, alimentato da quella piccola speranza. 
 
Gli accarezzò dolcemente la barba morbida. Non riuscì a fermare in tempo una lacrima che gli sfuggì lungo la guancia. “Thorin…” la voce gli tremò, ma non importava. 
 
“Sono qui,” disse lui, e qualcosa dietro ai suoi occhi grigi tremolò. “Resta con me. Non lasciarmi, promettilo”. 
 
“Non lo farò. Hai la mia parola”. 
 
Thorin gli sorrise e gli accarezzò il viso, asciugandogli le guance con le dita. 
 
Il senso di colpa si riversò su Bilbo come una secchiata d'acqua gelida. 
 
Thorin stava combattendo la battaglia della sua vita contro la malattia che aveva distrutto la sua famiglia, e lui lo stava lasciando a combattere da solo. Avrebbe dovuto stargli accanto, cercare di aiutarlo, non correre a nascondersi in un angolino buio. 
 
Se Thorin era lì, Bilbo avrebbe provato ad aiutarlo, perché forse il suo amore poteva farlo. Forse il suo amore sarebbe stato abbastanza forte da combattere la follia che tentava di portarsi via quel nano zuccone che amava così tanto; anche se amarlo e stare con lui era diventato doloroso. 
 
Non voleva accadesse, non voleva che Thorin scivolasse via senza che lui provasse il tutto per tutto per sostenerlo, per indicargli la via. 
 
Quel pensiero gli ricordò anche perché lo aveva cercato. “Thorin, penso che dovremmo aiutare gli abitanti di Esgaroth. Quelle persone hanno perso ogni cosa…” 
 
“Voglio che tu ti tolga questi stracci di dosso,” lo interruppe improvvisamente Thorin, indietreggiando di un passo per osservarlo con aria contrariata. “Non ne posso più di vederti girare così, con questi stracci addosso. Ho trovato qualcosa di più adeguato. Vieni con me,” disse afferrandogli una mano. 
 
Bilbo non riuscì più a parlare molto, mentre Thorin gli faceva strada attraverso le sale buie e polverose di Erebor. Sembrava impaziente di dirgli il nome di ogni salone, di ogni corridoio, di ogni statua, e sembrava anche avere un aneddoto per ogni posto. 
 
“Questi erano i miei appartamenti,” annunciò quando furono arrivati a destinazione. 
 
Entrò e si mise a frugare in diversi bauli, scacciando distrattamente polvere e ragnatele, prima di trovare ciò che cercava. 
 
Bilbo lo seguì nella stanza semibuia con qualche esitazione. 
 
“Ecco, li indossavo quando ero ancora praticamente solo un ragazzino, ma credo che dovrebbero andarti bene”. 
 
Tirò fuori degli indumenti di stoffa fine e pregiata, molto probabilmente il solo mantello foderato di pelliccia valeva quanto tutta la mobilia di casa Baggins. 
 
“Forza, spogliati,” lo esortò Thorin, chiudendo la porta alle loro spalle. 
 
Bilbo registrò distrattamente che aveva dato anche un giro di chiave. 
 
Rimase immobile. L'ultima cosa che voleva era rimanere nudo e vulnerabile davanti a lui. Sapeva perfettamente dove avrebbe portato quella strada. 
 
Ma Thorin, che improvvisamente negli occhi aveva uno sguardo da cacciatore che non gli aveva mai visto, non era di certo disposto ad accettare un 'no' come risposta. 
 
Il suo viso si indurì e muovendosi con studiata lentezza, si mise di fronte a lui. Gli posò una mano sul collo e per un attimo Bilbo fu terribilmente consapevole di quanto facilmente avrebbe potuto stringere il pugno e serrargli la gola. Cosa che - ovviamente? - Thorin non aveva intenzione di fare e non fece. 
 
Bilbo avrebbe tanto voluto non accorgersi di quel qualcosa che si era perso di nuovo in lui, del calore che improvvisamente gli aveva lasciato gli occhi. C'era una parte di Thorin era stata spinta di nuovo in basso, nel profondo; fatta annegare sotto uno strato di calcolata freddezza. 
 
Le sue dita ruvide gli accarezzarono la pelle. Usò il pollice per sollevargli il mento e costringerlo a porgergli le labbra. Si piegò su di lui, fermandosi un soffio prima di sfiorarle con le proprie. 
 
“Il Re Sotto la Montagna ti ha appena chiesto di spogliarti, Mastro Scassinatore,” sussurrò, e a quel punto Bilbo non avrebbe trovato la forza di obbedire nemmeno se avesse voluto farlo. 
 
Stava accadendo di nuovo, stava permettendo a Thorin di fare di lui ciò che voleva. Si pentì di aver abbassato la guardia al punto di ritrovarsi di nuovo da solo con lui. 
 
Thorin sospirò spazientito davanti alla sua caparbietà, ma sembrò anche trovare la cosa divertente, più intrigante. Cominciò a sbottonargli da sé la casacca. 
 
E per un istante, Bilbo sperò la trovasse veramente, una volta per tutte, quella stupita gemma. 
 
Cosa avrebbe detto scoprendo che l'aveva lui, la cosa che desiderava sopra ogni altra? Cosa avrebbe fatto una volta scoperto che gli stava mentendo? 
 
Thorin, tuttavia, non badò a ciò che Bilbo poteva o non poteva avere nelle tasche. Era troppo determinato a vincere un'altra battaglia tra loro due. 
 
Tolse strato dopo strato di stoffa, fino a quando Bilbo non rimase con la sola vestaglia addosso. Sentiva le gambe tremare, ma si costrinse a rimanere fermo, la testa alta. 
 
Thorin si mise alle sue spalle e gli baciò il collo esattamente nel punto in cui fino a poco prima c'era stata la sua mano. Quella la fece scorrere lungo la sua schiena, facendo scivolare a terra anche gli ultimi indumenti. 
 
Ogni singolo bacio di Thorin si imprimeva sulla sua pelle come se lo stesse marchiando con il fuoco; bruciavano allo stesso modo. 
 
Ogni bacio era rivendicazione.  
 
La cosa peggiore era che Bilbo sotto quel tocco si sentì accendere. Aveva perso il conto delle volte in cui aveva sperato che le sue carezze e le sue parole sarebbero tornate dolci come lo erano prima. Non voleva altro che le mani di Thorin lo accarezzassero e lenissero il dolore che sentiva dentro, anche se per una buona parte era stato proprio lui a causarlo. 
 
Sapeva che era sbagliato, ma gli sembrava anche di aver esaurito tutta la forza e la volontà per sottrarsi, per dirgli di no. 
 
Stava scoprendo a sue spese che Thorin, quel Thorin che lo aveva fatto sentire come se avesse potuto conquistare il mondo, aveva anche il dono di farlo sentire estremamente fragile; sapeva con precisione in che punto premere per farlo sentire così. Sapeva esattamente come prendersi tutto ciò che voleva da lui. 
 
Odiò sentire l'eccitazione che prendeva il sopravvento su di lui, non riuscì a reprimerla. L'urgenza e la disperazione con cui si voltò cercando la sua bocca, come se ne andasse della sua vita. Si sentì crollare sulle gambe quando Thorin lo attirò a sé e lo baciò con prepotenza e una possessione del tutto nuove. 
 
Quando si ritrovò sul letto, sotto il dolce peso del corpo di Thorin, non riuscì a capire se ce l'avesse portato di forza, o se ci fosse entrato di sua spontanea volontà. 
 
Sentì le sue mani scorrere lungo le sue cosce, afferrargli le natiche per alzargli i fianchi, mentre premeva la propria erezione contro di lui. 
 
Bilbo si insinuò con le mani sotto la sua camicia e fece scorrere i palmi sui muscoli definiti, intrecciando le dita alla morbida peluria che gli ricopriva il petto e che, andando in basso, spariva in linea retta dentro i suoi pantaloni; ne seguì il tragitto con i polpastrelli. Perse la testa sentendo il respiro accelerato e irregolare di Thorin tra i capelli.
 
Era bello e maledetto come un demone, e Bilbo gli aveva venduto la propria anima. 
 
“Sei mio, Bilbo,” gli sussurrò Thorin all'orecchio, tutto il tempo. Mordendogli delicatamente le labbra, il collo, soffermandosi appena sopra la clavicola, sapendo che era il punto che lo avrebbe fatto gemere più forte.
 
Ed era vero, era suo, che lo volesse o meno non sarebbe mai riuscito a sottrarsi a lui. 
 
Non trovò nessuna resistenza da parte di Bilbo quando gli divaricò le gambe e affondò in lui con una spinta decisa. 
 
Quando tutto finì, nel cuore di Bilbo non c'era nessuna traccia del senso di appagamento, della cieca felicità, che aveva provato dopo la loro prima notte insieme a Pontelagolungo. 
 
Fu il senso di vergogna ad investirlo, perché lo aveva fatto di nuovo: si era lasciato usare come un giocattolino. 
 
Era chiaro che la volontà di Thorin era molto più forte, sopraffaceva sempre la sua. Come poteva illudersi di aiutarlo, se non era nemmeno in grado di farsi valere contro di lui? 
 
 
Thorin si era alzato prima dell'alba. Non aveva chiuso occhio nemmeno quella notte, non riusciva a prendere sonno da giorni, ma si sentiva abbastanza riposato. 
 
Bilbo dormiva accanto a lui e si era preso ancora un momento per ammirarlo; lo aveva osservato per ore, ma sembrava non essere mai abbastanza. 
 
Adorava guardare la sua pelle quasi bianca, le forme rotonde ed armoniose, i suoi riccioli ramati sparsi scompostamente sul cuscino e le sue labbra leggermente socchiuse nel sonno. L'espressione così seria, quella lo fece sorridere. 
 
I segni dei lividi sul suo viso, quelli che si era procurato a Pontelagolungo, invece gli fecero serrare lo stomaco per la rabbia. Chi gli aveva fatto del male però stava già pagando a caro prezzo quell'affronto, il che era in qualche modo rincuorante. 
 
Decise che lo avrebbe portato nella stanza del tesoro a scegliere qualcosa, quel pomeriggio.
Il suo bellissimo collo meritava di essere ornato dai diamanti più preziosi che aveva, alle sue dita e sui suoi polsi voleva vedere i gioielli più rari e pregiati che la Terra di Mezzo aveva da offrire. Voleva viziarlo. 
 
Gli era caro, più di ogni altra persona al mondo; era l'unico di cui poteva davvero fidarsi. Si sarebbe preso cura di lui, non avrebbe mai più permesso a nessuno nemmeno di sfiorarlo. Il suo Bilbo. 
 
Ed era per questo che doveva alzarsi e darsi da fare. I suoi tesori più cari erano rinchiusi tra le pareti di roccia della Montagna, e la Montagna andava protetta dagli uomini avari che si stavano radunando davanti alle porte di casa sua, pronti a qualsiasi sotterfugio pur di derubarlo e lasciarlo ancora una volta senza nulla. 
 
Ci era già passato, non avrebbe permesso che accadesse una seconda volta. 
 
Si vestì piano per non svegliare Bilbo. Prima di uscire si riempì un'ultima volta gli occhi di lui. Lo amava da far male. 
 
Uscì e si richiuse silenziosamente la porta alle spalle. Per sicurezza, dette due giri di chiave. Nessuno avrebbe mai osato entrare senza il suo permesso, ma preferiva esserne certo. Doveva tenerlo al sicuro. 
 
Ebbe appena il tempo di muovere pochi passi lungo il corridoio, che si scontrò con Balin.
 
“Come procedono i lavori per sigillare il cancello principale?” si informò immediatamente. 
 
“Da lì non potrà entrare più nemmeno una mosca,” rispose il nano. Ma subito la sua espressione cambiò, si accigliò. “Bilbo non era con te?” chiese, guardando la porta. “Se chiudi a chiave come farà ad uscire?”
 
Che sciocchezza, pensò tra sé e sé Thorin, non avrebbe mai rinchiuso deliberatamente Bilbo da qualche parte. Non avrebbe mai fatto qualcosa che poteva ferirlo. 
 
“No, io…” cominciò a dire, ma si rese conto di avere ancora in mano la chiave.
 
E di nuovo si sentì completamente smarrito, e stanco. Sfiancato. 
 
Vacillò per l'improvvisa debolezza. 
 
Gli sembrò di essersi appena risvegliato dopo una notte in cui aveva dormito troppo poco, dopo uno strano incubo. Un incubo così reale… 
 
Si sentiva così, alle volte, da quando erano arrivati ad Erebor. Non riusciva più a distinguere il confine tra ciò che era vero e ciò che non lo era. Era come se dovesse lottare costantemente per rimanere a galla, per rimanere presente a sé stesso. 
 
La parte più razionale di lui lo sapeva, sapeva cos'era, ma nella sua caparbietà si ostinava ancora e ancora a raccontarsi che lui sarebbe stato più forte. Più forte della Malattia del Drago. 
 
“Giurami che lo proteggerai…” disse, porgendo a Balin la chiave, approfittando di quell'attimo, terribile, di lucidità. Non sapeva quanti gliene sarebbero rimasti. 
 
La paura annidata in fondo alla sua coscienza lo sommerse all'improvviso, gli impedì di respirare. 
 
“Giurami che lo proteggerai da me,” implorò, imponendo alle gambe di mettere più distanza possibile tra lui e lo hobbit, prima che l'oscurità arrivasse di nuovo, prima di che lo spingesse a fare qualcosa di terribile, qualcosa che non si sarebbe mai perdonato.

 
 
  1. Lo Hobbit - Capitolo 12, Notizie dall'interno. (su)
   
 
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