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Autore: Master Chopper    18/10/2023    2 recensioni
[STORIA AD OC - ISCRIZIONI APERTE]
Nell'epoca degli Stati Combattenti, il regno di Fiore si difende dai tentativi di invasione dell'Impero di Alvarez. In questo mondo immerso nel caos, giovani soldati si fanno largo mossi da grandi aspirazioni.
-Esperimento per vedere se si riescono a riportare in auge le storie ad OC-
-Fanfiction tributo a Lord_Ainz_Ooal_Gown-
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Prefazione: A causa del tempo passato dall’ultimo capitolo, vi consiglio di rileggere il precedente capitolo prima della lettura di quest’ultimo per avere ben freschi gli ultimi eventi. Ci vediamo nell’angolo autore.


GUERRA DI SPIE

Ormai da tre anni, quelle miglia di campagna sterrata che separavano la vecchia capitale di Fiore dal confine con Alvarez erano diventate terra di nessuno. Nemmeno i banditi osavano avvicinarsi, temendo di venir travolti da qualche spedizione alvareziana diretta verso Crocus, o di venir fermati dalle ronde dei cavalieri reali che cercavano di tenere sotto controllo quel territorio fin troppo vasto e selvaggio.

Una sera il cielo in cui il cielo era gonfio di nuvole, togliendo ogni chiarore della volta celeste sul mare nero d'erba, una carovana affiancata da due armature a cavallo proseguiva come noncurante della mala fama di quel luogo. Due vagoni erano collegati ad un carro in testa, trainato da sei muli col capo chino, stanchi per la traversata. Stanchi erano anche i passeggeri, un'accozzaglia di famigliole vestite di stracci, troppo in allerta per chiudere occhio nonostante l'ora tarda. Venivano dal mare, qualche porto nella Fiore settentrionale che accoglieva profughi di guerra dei paesi dominati da Alvarez, a costo di un'ingente somma di denaro spartita tra i cavalieri reali che facevano loro da scorta. 

In quel viaggio però, sia i soldati che il traghettatore avevano notato qualcosa di diverso: la routine dei soliti sguardi dei disperati, degli affamati e dei miserabili era stata spezzata dalla partecipazione di tre individui dall'aria diversa. Due di loro erano fin troppo robusti per aver sopportato un viaggio di stenti in mare, mentre il terzo era un ragazzino dai capelli puliti e curati. Nient'altro di loro era dato sapere, siccome si erano presentati alla frontiera con le monete in mano, avvolti in pesanti cappe e da allora non avevano proferito parola con nessuno. Solo quando tutto era avvolto nell'oscurità della notte era possibile sentire il ragazzino bisbigliare al suo orsetto peluche.

Arrivata la terza notte di quel viaggio della speranza, iniziarono di colpo a parlare fitti tra di loro, formando una cupola sopra le teste con i loro mantelli.

"Che succede?" Julia non aveva la benché minima idea di cosa stessero facendo.

Thrax le tirò una testata, non sortendo però alcun effetto "Già te ne sei dimenticata? Siamo arrivati al punto di raccolta delle informazioni."

La bionda rise "Mi sa che ho dormito così a lungo da essermi cancellata la memoria."

"Hai dormito per tre giorni di fila…" Daisuke la guardò con un misto di ammirazione e preoccupazione "Effettivamente era l'unica spiegazione sul perché tu sia stata così calma durante il viaggio."

Lo spadaccino dai capelli viola sibilò, trattenendosi per non far scoppiare un massacro sulla carovana: "Dicevo… appena ci avvicineranno a delle rovine dovremo scendere e trovare una bandiera conficcata nel terreno."

"E se… e se il vento l'ha fatta cadere? O peggio, se la pioggia ha ammorbidito il terreno tanto da farla cadere, e poi il vento l'ha fatta rotolare via?" Il piccolo soldato ricominciò con le paranoie delle ultime settantadue ore "E se qualcuno se l'è portata via?"

"Se… e dico se, non dovessimo trovarla…" Il ragazzo lo guardò come se potesse incenerirlo con lo sguardo "La cercherò tutta la notte, dovessimo pure far saltare la missione, e quando la troverò ve la ficcherò su per-"

"Odore di rovine" Julia uscì allo scoperto, dirigendosi a passo pesante verso il fondo del carro, dove solo un telo li separava dall'esterno. Gli altri passeggeri si ritrassero, spaventati.

"Che cazzo significa "odore di rovine"?"

"Credo di aver visto un profumo con questo nome che costava un miliardo di jewel in un negozio a Vistarion."

I due agenti raggiunsero la loro collega non più tanto sotto copertura, e oltre il tendone poterono ammirare il paesaggio: la campagna brulla era alternata da larghe macchie, rimasugli di campi ormai incolti, e da qualche ombra massiccia e squadrata. Grazie al loro allenamento notturno avevano affinato i sensi al punto da riuscire a distinguere le forme di quei ruderi anche nell'oscurità.

"Va bene, scendiamo." l'impatto con il freddo fece arricciare il naso a Thrax, che si sfregò sbrigativamente una mano attorno al torace prima di scendere. L'altra rimaneva da tre giorni salda a Grecale, nascosta tra le pieghe del mantello.

 

*** 

 

"Faceva caldo quel giorno. La primavera era scoppiata dopo un inverno interminabile. Quando faceva freddo dormivo stretta tra mia madre e mio padre, e ciò mi faceva sentire ancora piccola e indifesa. Una fragilità rassicurante, quella tra le braccia dei genitori, indipendentemente dall'età. Di notte mi accoccolavo tra loro nell'unico letto che potevamo permetterci nel centro rifugiati, mentre di giorno giocavo con gli altri bambini correndo per strada. Era così bello guardare il tramonto dai tetti di Crocus. I fiori erano morti, ma nella speranza che tornassero a sbocciare si cercava la bellezza altrove, nella campagna forestiera dove nessuno si poteva spingere. Non trovavo negli altri la stessa felicità che covavo in me per il solo fatto di essere viva, o per l'impossibilità di metabolizzare la perdita di mio fratello. Lo scontento era sommato alla fame per i viveri razionati, e la paura di quello stato precario tra la vita e la morte era alimentata da voci minaccianti scontri sempre più brutali al confine. Quando mio padre fu costretto ad arruolarsi e partire si oppose, così gli dissero che se si fosse rifiutato avrebbero buttato fuori dalle mura anche me e mia madre. Non tornò mai più, e a fine inverno mandarono al fronte anche mia madre, siccome aveva competenze mediche. Sono orfana da due anni ormai. Quel giorno faceva caldo dicevo, o forse era solo l'inferno in cui ero piombata."

Nonostante a decine di metri più in basso, tra le strade di Crocus stesse esplodendo la guerra, lassù nella torre più alta del palazzo reale c'era un'insolita calma.

Rea parlava a bassa voce, come se stesse pregando tra sè e sè, e non si muoveva di un centimetro. D'altronde le sarebbe stato difficile fare altrimenti: la lama dell'assassino chiamato Sunse minacciava di sfiorarle il mento. Il suo kopesh Calamity l'avrebbe ridotta in una poltiglia di carne decomposta se solo avesse esercitato più pressione verso l'alto, eppure l'alvareziano ascoltava il racconto e ne aspettava il termine pazientemente.

"E ora mi trovo davanti a te: tutto ciò che si frappone tra di me e la rivincita!" Con quelle ultime parole l’albina sollevò lo sguardo da terra, sfidando con un paio di occhi colmi di determinazione quelli invece inespressivi del ragazzo.

"Hai finito di lamentarti?" La noia di Sunse era palese "Devi ringraziare di essere diventata orfana di padre prima che prendessimo Crocus, o saresti stata impiccata a Vistarion, come tutti gli altri prigionieri della vecchia capitale. Adesso però basta farmi perdere tempo e rispondi alla domanda: cosa ci facevi qui?"

La ragazza era stata legata ad una colonna con la sua stessa arma, la corda di Laplace. I segni dello scontro erano evidenti in tutta la sala, tra squarci che avevano deteriorato la pietra e gli arazzi, e fori che avevano reso un colabrodo le pareti. Rea non aveva riportato ferite, a differenza di Sunse, ma era intuibile che l'unica motivazione di questo fosse che l'assassino necessitava di interrogarla. Un solo colpo del suo Tesoro Oscuro e non ne avrebbe più ricavato alcuna risposta.

Con un piede lui premette ancor di più sulla balestra che componeva Laplace, asserendo la sua superiorità ma anche per mantenere la corda d'acciaio ben tesa, per non lasciar scappare la ragazza.

"Rispondi!"

"Intendi: che cosa sto facendo ora, in questo preciso istante in questo posto? Bhe, sto parlando con te, mi pare ovvio."

"Mi stai facendo perdere tempo…"

La mente dell'assassino andava alla missione assegnatagli dalla stratega imperiale. Avrebbe dovuto infiltrarsi a Crocus senza farsi vedere da nessuno, nemmeno i suoi compatrioti, e rapire un ostaggio prezioso. Secondo le predizioni di Amasia, l'assalto di quella notte non sarebbe andato a buon fine, così avevano bisogno di assicurarsi un contentino per l'Imperatore Zeref. Il piano era di massima segretezza, onde evitare un plateale insulto alle alte cariche dell'esercito di Alvarez, e alla loro affidabilità.

Soltanto la squadra di raccolta, incaricata di agevolare la sua fuga da Crocus, era stato informata e probabilmente lo stava per raggiungere. Ma non sarebbero stati necessari.

No, quel compito era stato assegnato a una spia nata come lui, e non poteva…

"Esatto."

"Cosa?"

"Ti sto facendo perdere tempo. Era il mio scopo."

Prima ancora di ascoltare le ultime sillabe di quella frase, Sunse spalancò gli occhi quando il pericolo gli si palesò di fronte, sotto forma di un sorriso smagliante sulla faccia di Rea. Quel sorriso lo distrasse abbastanza da non fargli mettere a fuoco un proiettile scintillante diretto verso di lui.

Con un movimento millimetrico, ringraziando l'arma rimasta frapposta tra lui e Rea (ovvero la stessa origine del colpo), scartò con il piatto qualunque cosa gli fosse balzata contro. Non fu abbastanza veloce da risparmiarsi uno sfregio bruciante lungo tutta la guancia destra, ma si sentì comunque grato di non essersi ritrovato con un buco in fronte.

"Che cazzo è stato?!" Non volendo voltarsi, né rischiare con un attacco, balzò di lato per distanziarsi di qualche metro dalla ragazza.

Intanto il cavo si slegò dalla carne di Rea, senza che lei avesse mosso un muscolo.

"Mi ci vuole molta concentrazione per controllare Laplace con il pensiero" tirò fuori la lingua, fingendo di darsi una botta in testa "Oh. Ma non te l'avevo mai detto prima che io potessi farlo. Che sbadata, scusa."

Immerso nelle ombre del palazzo, l'assassino si sentì travolgere da quella stessa oscurità: non amava mostrare le sue emozioni, o mostrarsi debole, eppure quella ragazza per ben due volte lo aveva costretto a mostrarsi sorpreso, e per di più, spaventato. Non le avrebbe concesso un'altra volta di umiliarlo, si promise mentre stringeva con tutta la forza che aveva il suo Tesoro Oscuro.

"Dai, non prendertela. Tengo sempre un pezzo di Laplace sottopelle per quando deve cogliere alla sprovvista un nemico in un combattimento ravvicinato." Rea ormai sorrideva, senza più la necessità di fingersi arrabbiata, o in difficoltà.

Sin dall'inizio di quella sfida, che non faceva altro che sommarsi alla tensione generale della battaglia scoppiata in città, l'eccitazione le aveva inebriato il cervello. Non era più semplicemente la notte in cui avrebbe compiuto la sua vendetta, ma anche la notte in cui avrebbe rischiato la sua vita pur di ottenerla.

Dopo aver impugnato il marchingegno che aveva finito di riavvolgere Laplace, se lo poggiò alla fronte, traendo un gran sospiro. La sua spalla sanguinava e le sue mani tremavano, ma non riusciva più a smettere di sorridere.

Sunse agì per primo, correndo tra il colonnato per nascondersi alla vista ad intermittenza. Quando Rea puntò l'arma punto dove credeva sarebbe apparso, si ritrovò a guardare l'oscurità. Sparò comunque il cavo argenteo che si perse tra le ombre. 

L'assassino, che aveva scalato la colonna, la aggirò e balzò dall'alto in un attacco discendente. A quel punto Rea, che aveva solo finto di colpire a vuoto, richiamò a sè il cavo di Laplace per farlo spuntare alle spalle dell'assassino.

Sunse non si lasciò intimidire, e vibrò un colpo per intercettare la punta affilata del cavo. Questo, come già sapeva, si dimostrò immune alla disintegrazione del Tesoro Oscuro, ma l'impatto fu sufficiente a spedirlo ancor più velocemente contro Rea.

Quella si irrigidì, ma poco prima che l'assassino la travolgesse gettò ai suoi piedi un sacchetto che stringeva in mano. Ci fu un'esplosione di fumo bianco e denso, una vera e propria nuvola fosforescente pur nel buio della notte. Sunse ci piombò inevitabilmente contro, senza sapere più dove mirare. Sferzò a vuoto non appena toccò terra, cercando di captare i passi della ragazza. Udì ben altro: molteplici sibili tra il fumo. Come un serpente inferocito, Laplace si abbatté a più riprese per cercare di trafiggerlo. Quel cavo, all’apparenza sottile, era capace di spaccare la pietra quando rimbalzava sul pavimento e bucare le colonne come un ago fa con il tessuto, senza perdere velocità. Sunse diede il meglio di sé per schivare quella tempesta che lo assaliva da ogni direzione, avendo inoltre la vista annebbiata e potendo vedere gli attacchi solo quando si trovavano a pochi centimetri da lui. Schivava di lato, scivolava, respingeva con il kopesh, saltava…

-Merda!- pensò quando, dopo l’ennesimo salto, sentì qualcosa premergli contro la schiena.

Non si trattava di Rea o di una colonna, bensì del cavo di Laplace ben teso. In quel momento i suoi occhi si erano abituati a scorgere oltre la coltre, e realizzò di trovarsi al centro di un’enorme ragnatela di acciaio.

I suoi sensi si attutirono, percependo la morte sulla pelle. Uno spostamento d’aria lasciava presagire che l’ennesimo colpo sarebbe arrivato frontalmente, impalandolo al centro del petto. Essendo bloccato a mezz’aria non aveva modo, né tempo, per schivare.

Sorrise amareggiato: -Devo farle i complimenti…- 

Nel combattimento all’arma bianca era stato reputato dalla stessa Stratega Amasia come imbattibile, capace poter di eliminare in uno scontro senza inganni anche un Comandante.  Quella ragazza doveva aver avuto la stessa intuizione della stratega imperiale, e così l’aveva spinto in un territorio a lui sfavorevole, riducendo sempre di più il suo spazio di manovra e al contempo tenendolo lontano.

-Peccato che…- spinse indietro il busto, sdraiandosi sul filo e ruotando le gambe verso l’alto -Ho visto di peggio!-

Tenendo ben saldo Calamity dall’impugnatura, ne afferrò la punta con la mano libera. Avvertì il guanto sfrigolare a contatto con la lama maledetta del Tesoro Oscuro, ma il dolore del cuoio che gli si scioglieva nella carne non fu nemmeno contemplato. Grazie all’inclinazione del corpo poté lasciarsi sorvolare dal cavo, ma non prima di aver sollevato la sua arma sopra di esso: così, sfruttò l’arma come perno per lasciarsi scivolare lungo il basso, seguendo la stessa traiettoria del colpo. Slittò attraverso l’insuperabile tela, e agli occhi di Rea fuoriuscì dal fumo come un pesce che salta fuori dall’acqua. 

La mente dell’albina registrò quell’evento impossibile a rallentatore. Il corpo del ragazzo che nuovamente le balzava contro, stavolta però troppo velocemente per essere intercettato. La sua arma scintillante. Un ghigno di vittoria. Indietreggiò di un passo, rischiando di inciampare sulle sue stesse gambe. 

Forse avrebbe urlato, se la sorpresa non fosse stata così soverchiante: Sunse atterrò aggraziatamente davanti a lei e le sferrò un rapidissimo taglio. Rea non avvertì alcun dolore, e rimase per qualche secondo persa negli occhi sottili e incurvati in un sorriso diabolico dell’assassino. Poi chinò la testa, e vide un minuscolo taglio sull’avambraccio. A quel punto sopraggiunse il dolore.

“Aaah!” la carne del braccio destro perse colore, per poi tingersi di un nero pece mentre la pelle in superfice si spaccava e crepava come un intonaco. La sofferenza era inimmaginabile, avvertiva le sue ossa frantumarsi in più punti, mentre la carne si squarciava dall’interno.

Mentre urlava a squarciagola, collassando in ginocchio, il suo troneggiante avversario scoppiò a ridere.

“Pe-Perdonami… ahah! Non ho gusto di solito a torturare le persone, ma è il mio personale modo di onorarti per avermi dato tante grane.” Le assestò un calcio sul mento, riversandola a terra.

Evidentemente non le aveva rotto la mascella, perché dopo un paio di grugniti lei ricominciò ad urlare, mentre ormai l’estremità del braccio si sgretolava.

 “Se mi avessi ferito anche solo un minimo, non penso sarei stato nelle condizioni di catturare quel tuo amico, il Capitano Florence.” L’assassino dai capelli blu ripensò al capitano che attualmente stava combattendo dei semplici fanti ai piedi del castello. 

In tutto quel tempo doveva essersi stancato e indebolito, ma non sapeva se sarebbe stato sufficiente per smussare la forza di quell’uomo, la quale aveva testato lui stesso giorni addietro. A causa della sua estrema cautela si era così rintanato tra le sale del palazzo, preparando delle trappole per quando l’avrebbe attirato lì, fino a quando non aveva percepito un altro intruso.

“Stavo anche pensando di usarti come esca per attirarlo qui, ma ormai… ops!” scrollò le spalle, ma tutto ciò che gli rispose fu ancora una volta quell’interminabile agonizzare spaccatimpani.

“La vuoi finire? Non riesco neanche a sentire le mie paro-”

La vista gli si annebbiò per un attimo, e i contorni delle cose sbiadirono, come se fosse stato accecato per una frazione di secondo. Le sue orecchie smisero captare suoni, ma anche quello durò un istante, perché poi lo assordò un boato molto più fragoroso di ciò che aveva sentito fino ad allora. Per ultimo giunse il dolore.

Rea era riuscita, sopportando la tortura, a richiamare il cavo di Laplace annodato tra le pareti e le colonne in un’unica matassa a forma di sfera. Infine, gridando sempre più forte per coprirne il suono, aveva attirato a sé quel maglio di acciaio. O meglio, più che verso sé, l’aveva indirizzato contro il suo nemico. 

“Vattene a fanculo!” per sovrastare il dolore la ragazza sferrò una testata al suolo, nel mentre un ghigno si faceva strada tra le smorfie di sofferenza. 

Ormai aveva perso il braccio fino all’altezza dell’avambraccio, ma prima che la deteriorazione procedesse usò la punta di Laplace per tranciarsi a metà l’omero. Stavolta non urlò, ma si morse il labbro inferiore così forte da sentire il sangue riempirle la bocca. Una scarica di adrenalina la travolse d’improvviso, e così iniziò a prendere a calci in faccia Sunse.

Questo, travolto dal macigno formato da Laplace, era stato incassato nel terreno, con soltanto un braccio e dal collo in su lasciati all’aria. Il Tesoro Oscuro era volato lontano, nell’ombra. Mentre gli pestava con forza le tempie con il suo stivale, Rea si sentì impossessare nuovamente dallo stesso sentimento che l’avevano condotta fin lì: l’odio.

“Per colpa tua…” calciò “ho rischiato…” schiacciò “di non realizzare la mia vendetta!”

Gli sollevò il mento con la punta del piede, fissando in due occhi che non avevano ancora perso la voglia di lottare. Il ragazzo le afferrò la caviglia, ma la stretta non fu sufficientemente forte. Con un altro calcio Rea gli fece saltare un paio di denti.

Nonostante fosse così intenta da massacrare il ragazzo, quando un rumore sconosciuto risuonò in quella stanza lei balzò in allerta. 

“Chi è?!” stava tremando. Era sia l’eccitazione della battaglia che piano piano scemava, ma anche il dolore e la paura che impossessavano quel suo corpo mutilato. Un corpo colmo di forza esplosiva, ma anche fragile, e ora più che mai disarmato.

“Rea?” una voce familiare la richiamò.

Apparteneva ad uno in un gruppo di persone che stava emergendo dal buio. Non era di qualcuno della sua gilda Path of Hope, né di Florence, bensì di una persona che non incontrava da tempo.

L’aveva conosciuto quando era piccola, e così come la gente che lo circondava rappresentava un eroe per lei, nonché un caro amico per suo fratello.

“Che ci fai qui?” sorrise l’uomo dai folti capelli rosa.

Il Cavaliere Natsu, della ex-gilda di Fairy Tail, le venne incontro assieme a Gajeel, Gray e la Generalessa Erza.

 

***

 

“Non ti azzardare mai più… a toccare la gente di Fiore!!” ruggì Edra Star, confermando il suo soprannome di Fata Demoniaca “Schifoso rifiuto umano!”

Jun le aveva da poco ridato la calma e la concentrazione necessaria per affrontare quella battaglia, piuttosto che scappare da essa. Lo aveva dimostrato salvando la bambina che quel mostruoso e gigantesco Capitano di Alvarez stava per dare in pasto al suo coccodrillo levriero. E lo aveva dimostrato annullando la paura di perdere per sempre il suo amico e commilitone, pur di fare la cosa giusta.

Il colpo della sua lancia Sleipnir aveva risuonato nell’aria dopo aver cozzato contro l’alabarda alvareziana, ma ciò non era bastato per vincere la forza dell’uomo. Egli, infatti, non solo parve resistere bene all’affondo, ma diede addirittura la parvenza di non esserne stato impensierito affatto.

“Rimpinzerai tu i miei cuccioli, allora!” sbraitò in risposta, e con tutto il suo peso spazzò di lato.

La sua alabarda sbalzò via Sleipnir, non riuscendo a disarmare la donna ma raggiungendo l’intento di aprirle la guardia. Con la mano libera allora il Capitano afferrò l’avversaria dal busto, stritolandola nella sua morsa gigantesca. La forza della sua mano si serrò attorno all’armatura leggera di lei, facendo cigolare l’acciaio e non solo. 

Edra digrignò i denti, ma non si fece strappare nemmeno un urlo di dolore. Davanti a sé aveva il volto del gigante che la sovrastava, una maschera che si beffava di lei. Con la coda dell’occhio riuscì a scorgere la gabbia di prigionieri legata dietro la sella. Riconobbe con orrore alcuni soldati dati per dispersi nel corso di quelle settimane, assieme a civili. Uomini e donne che aveva giurato di proteggere, e che ora smunti e affamati la guardavano implorando che adempiesse finalmente a quel giuramento.

La furia la travolse, guidando la sua mano in una scarica di rapidi affondi contro quel faccione. Crannogh non riuscì ad impedire che un colpo lo sfiorasse, ma dopodiché riuscì a difendersi con la sua lama.

“Cosa hai intenzione di fare? Salvarli tutti?” la derise, urlando per sovrastare il fragore dell’acciaio “Se fossi scappata forse avresti avuto una chance di salvarti stanotte! Invece sarai solo l’ennesima testa di Fiore che faremo saltare!”

L’urlo feroce di Edra lo travolse, mentre i suoi capelli rossi impazzivano lungo la schiena, su per il collo e poi sollevandosi contro il cielo nero. Un’aureola di fiamme, complice della sua fama di “Donna Demone”.

La Donna Demone vide però smorzare la sua furia in un batter d’occhio. Avvenne quando, il coccodrillo levriero che fino ad allora aveva svolto il semplice ruolo di cavalcatura per l’alvareziano, le addentò la parte inferiore del corpo che sporgeva dalla mano di Crannogh. La mascella della belva si serrò attorno all’addome di lei, sollevando spruzzi di sangue che andarono a tingere sia la strada che gli edifici adiacenti.

La donna si arrestò, paralizzata, con gli occhi sbarrati e la bocca ancora aperta nell’atto di urlare. Solo un filo di voce aleggiò debolmente fino alle orecchie del Capitano nemico, ampliando ancor di più il suo sorriso perverso.

“Non dirmi che non ti avevo avvisata.” Accarezzando il capo della sua bestiolina addolcì all’inverosimile quel suo vocione “Puppy, da brava, mangia tutto. Non lasciare avanzi.” 

Una scarica di dolore risalì il corpo di Edra Star fino all’attaccatura dei capelli, ma non riuscì a muoversi. 

 

La bocca del coccodrillo si spalancò, e lei cadde nel vuoto per quello che le sembrò l’infinito. Il buio l’avvolse, e solo uno spiraglio di luce proveniente dalle torce accese per le strade la illuminò, filtrando tra la dentatura aguzza che già si serrava sopra di lei.

Ricordò l’ultima volta che si era sentita così, strappata via in un luogo dove il sole non batteva più. Quando era uscita da quella dannata grotta, e si era lavata nel mare dal sangue dei suoi aguzzini. Poi ricordò la prima volta che le erano state messe delle catene. Non aveva provato così tanta paura, perché con lei c’erano i suoi genitori. 

Ancora una volta un invasore di Alvarez l’aveva trascinata nel buio.

 

Intanto, dall’esterno Crannogh si godeva la scena: vide la sua Puppy serrare le fauci attorno al suo pasto, e ne fu incredibilmente fiero.

“Bravissima, tesorino! Te lo sei proprio meritato” e via di carezzine e grattini sulla nuca “Adesso se papà riesce ad accoppare anche quel brutto lupacchiotto e quel ragazzo ferito avrai un altro snack…”

Guardò in fondo alla strada alla ricerca della sua prossima preda, nonché preannunciato pasto per Puppy. Trovò solo l’oscurità in fondo alla quale si perdeva la via.

Poi Puppy abbassò la testa, sottraendosi alle sue carezze. Questo lo sorprese ancora di più: non era mai successo prima. Guardò preoccupato il suo animale, trovandolo con la testa sollevata come prima, tuttavia ora più distante dalla sua mano. 

Un fragoroso rumore lo spaventò: era lo scroscio di un liquido che si abbatteva al suolo. Quando portò l’attenzione al suolo realizzò che quel liquido non fosse altro che una cascata di sangue, la quale era sfociata nientemeno che dalla testa strappata di netto dal collo di Puppy, ora impugnata tra le fauci del gigantesco lupo.

Wolfie era stato più veloce del vento, e utilizzando la sua mascella più piccola di quella del coccodrillo levriero, ma decisamente più forte, ne aveva mozzato la testa appena in tempo: infatti dal collo squarciato della bestia scivolò giù, fradicia di sangue e bile, il corpo esanime di Edra con ancora l’arma in pugno.

Il ragazzo che montava Wolfie, ancora in sé nonostante la ferita che sanguinava copiosamente, accarezzò rapidamente le orecchie del compagno mentre si teneva saldo a lui, ringraziandolo mentalmente per quel salvataggio in extremis.

“Maledetto bastardo!” ma Jun fu insensibile a quell’urlo disumano dell’alvareziano, e piuttosto si tenne in guardia per il prossimo attacco.

L’alabarda di un Crannogh ormai fuori di sé dipinse un arco in cielo, per poi calarsi con la determinazione di tranciare in due lupo e ninja. Vista la spietatezza del colpo probabilmente ci sarebbe riuscito, se prima non avesse agito qualcuno di più veloce di lui. Infatti, non appena il Capitano si sporse in avanti sul suo destriero morto per raggiungere il bersaglio, la lancia Sleipnir sferzò in verticale. Come un fulmine scaturito da terra, quel colpo rapido perforò la carne come fosse burro, dividendo in due la faccia del gigante dal mento fino alla fronte. 

Jun guardò in basso, felicitandosi nel vedere una Edra ritornata in sé, che però si manteneva a stento in piedi a causa delle ferite. I denti del coccodrillo le avevano perforato l’armatura all’altezza dei fianchi, debilitandone le gambe, ma almeno le sue forti braccia con cui brandiva il Tesoro Oscuro erano rimaste intatte.

I capelli della Capitana erano appiattiti sul volto dal sangue, dipingendole un’ombra scarlatta attorno agli occhi blu.

“Non vi lascerò più alzare un dito sulle persone che ho a cuore.” La sua voce non parlava più soltanto al semplice soldato di Alvarez davanti a lei, ma all’Impero crudele che per anni aveva schiavizzato la sua famiglia e poi gliel’aveva portata via.

Crannogh si era portato una mano a ciò che gli rimaneva della faccia, ovvero un pezzo di carne separato perfettamente al centro, senza più naso né mento. Avrebbe probabilmente detto qualcosa, se non gli fosse stato reso impossibile parlare. Cercò di falciare la donna, che continuava a sovrastare nonostante fosse sceso a terra.

A Edra bastò sollevare la lancia, puntandola contro il nemico: “Sleipnir!” e tutto il sangue rappreso sul suo corpo, magicamente, si sollevò ed iniziò a turbinare attorno al Tesoro Oscuro. 

Sleipnir, ovvero l’arma del leggendario Re dei Mari con il quale causava tempeste e maremoti e amministrava sul suo creato. Il mito voleva che un pirata gliel’avesse rubata, e solo così fu in grado di sconfiggerlo, ma ciò portò a una disastrosa lotta tra il popolo delle profondità e gli umani. Per porre fine alla distruzione di entrambe le specie fu necessario sigillare quel tesoro, il quale avrebbe potuto portare all’inabissarsi del mondo intero, se finito in mani sbagliate.

E proprio come diceva la leggenda, l’arma era capace di amministrare la giustizia in mare, o ovunque si trovasse uno specchio d’acqua. Nel caso di un campo di battaglia, il liquido più facilmente reperibile era il sangue, e così la Fata Demoniaca non era mai sprovvista di colpi. 

“Red River!” 

Uno spruzzo di sangue venne eiettato ad alta velocità, scontrandosi con l’alabarda. La quantità del liquido fu tale da rendere il proiettile sanguineo abbastanza massiccio da spezzare la lama avversaria. Dopo aver infranto l’acciaio perse potenza, ma comunque non si arrestò, se non quando colpì su di un fianco Crannogh.

L’uomo lasciò cadere il manico dell’arma resa inutile, abbracciandosi il punto colpito mentre ululava dal dolore.

“Ti ho rotto una costola, vero?” Edra avanzò. Era stata ripulita dal sangue, persino dal proprio, ma altro ricominciava a fuoriuscirle dalle ferite. 

Non aveva molto altro tempo per concludere la battaglia, eppure sentiva il desiderio di prolungare la sofferenza del suo nemico.

“Scommetto che ti fa molto male.”

Approfittò del fatto che il Capitano era ricurvo su se stesso per alzarsi sulle punte e raggiungerlo sul volto con un calcio rotante. Il collo del suo piede, rivestito dallo stivale dell’armatura, schioccò come una frusta contro l’occhio dell’uomo. Il bulbo esplose al colpo, rilasciando umor vitreo e sangue.

Crannogh urlò come avrebbe ruggito una belva sofferente, ma il suo volto contorto dal dolore camuffò alla donna le sue vere intenzioni: in un batter d’occhio l’agguantò di nuovo, stavolta talmente forte da schiantarla al suolo.

“Edra!” gridò spaventato Jun, avendo visto la sua capitana sparire nella pavimentazione della strada.

Wolfie balzò prontamente alla gola dell’alvareziano, ma questo aveva già previsto l’intervento e afferrò il lupo dalle fauci, serrandogliele.

“Voi… avete idea di chi io sia?! Sarò forse solo un Capitano, ma… sono il Capitano dell’Impero più grande e maestoso della storia! Io sono uno degli uomini più forti del creato!”

Forse era questo ciò che Crannogh avrebbe voluto dire, ma il dolore e la furia facevano muovere la sua bocca producendo solo latrati selvaggi e sconclusionati, sputando sangue ad ogni parola. Infine, spiccò un balzo verso l’alto, superando persino i tetti delle case più alte nei paraggi. Si stagliò contro la luna, e sollevò le braccia per poi portarle in basso mentre incominciava la discesa. 

Edra riprese i sensi mentre precipitava, accorgendosi di non aver più la sua arma. Era finita chissà dove quando era stata presa, e ciò la terrorizzò: non aveva nulla per evitare di venir spiaccicata al suolo. 

Anche Wolfie si ritrovò impotente, siccome a causa della mascella serrata non era in grado di usare i suoi latrati. Pur essendo un Tesoro Oscuro, era dotato di un intelletto elevato, persino superiore a quello dell’animale cui assomigliava, e così comprese il mortale pericolo che stava correndo: se quell’uomo era stato capace di immobilizzarlo e persino di sollevarlo in volo, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a rompergli il collo data tale forza sovrumana. Il terreno lo stava raggiungendo troppo in fretta per permettergli di espandere la sua coda ed attutire la caduta. In poche parole, il Tesoro Oscuro biologico Silver Wolf, rinominato amichevolmente Wolfie dal suo padrone, era stato neutralizzato da un essere umano a mani nude. 

Ormai i due al servizio di Fiore, e persino il soldato alvareziano, in quel momento disperato tra la vita e la morte, sembravano aver totalmente scordato la presenza di un quarto individuo.

Seppur Jun Inoue fosse ferito e debilitato, il fatto che Crannogh avesse afferrato Wolfie e per giunta avesse entrambe le mani impegnate, gli garantì di agire indisturbato. Silenzioso ed impeccabile, come solo un vero ninja quale era avrebbe saputo fare, scalò il corpo del lupo e raggiunse il suo obbiettivo: due lame di kodachi si incrociarono, trapassando la gola dell’uomo.

Uno spruzzo di sangue macchiò il volto del ragazzo, ma i suoi occhi lilla, apparentemente distanti anni luce, rimasero inespressivi. A quel punto fece forza sulle braccia per ruotare le spade corte ed estrarle, come era solito fare per causare ferite mortali.

Non ci riuscì, e a quel punto sbatté le palpebre esterrefatto. I muscoli del collo di quell’uomo mostravano una resistenza spaventosa, impedendo di muovere le armi. La bocca di Crannogh si spalancò nuovamente per lanciare un grido, e a quel punto ruotò su se stesso per travolgere Jun usando Edra e Wolfie come arma. 

I tre membri di Path of Hope vennero scagliati al suolo all’unisono, atterrando poco lontani dall’alvareziano.

-Non sono stato abbastanza forte… di nuovo.- Il cielo era tutto ciò che vedeva. Niente stelle.

Il ragazzo sentiva sulla schiena la morbida pelliccia della coda di Wolfie, la quale si era ingrandita per fargli da cuscino. Sentì un gemito accanto a sé, e riconobbe la voce della Capitana Star.

Perfino quello al momento non importava, perché si stava ritagliando un egoistico momento per concentrarsi solo su ciò che provava. Rimorso, vergogna. Rabbia, perlopiù, ma incentrata verso di sé e verso tutto ciò che avrebbe potuto essere e che sarebbe servito per salvare la vita ai suoi compagni di gilda.

Sollevò i kodachi, vedendo come le lame si fossero spezzate. 

“Capitana…” tentò di alzarsi, o almeno rimettersi seduto per raggiungere la donna, ma un capogiro lo rimise al tappeto.

Un lago di sangue gli aveva ormai inondato le gambe, fuoriuscito dalla ferita allargata ancor di più a causa degli sforzi e del recente colpo subito.

Edra aveva gli occhi aperti già da un po’ e lo guardava, rimanendo in silenzio. Una placida oscurità le riempiva gli occhi, e dopo aver atteso che Jun si fosse rilassato da disteso, gli allungò una mano.

“Grazie, Jun. Attendi ancora un attimo, poi ti porterò da un medico.”

Si alzò da Wolfie e sputò per terra un grumo di sangue. La testa le girava da impazzire e ad ogni passo sentiva di perdere sempre più il contatto con la realtà. La sua mente voleva rimanere sveglia, ma il suo corpo aveva un bisogno impellente di fluttuare, cadere, dormire e morire.

Il grande lupo, disteso in modo scomposto sotto di loro, guaì per richiamare la sua attenzione. Sembrava implorarla di attenderla prima di ritornare in campo, ma lui stesso era palesemente troppo ammaccato per riprendere a combattere. La rossa tranquillizzò anche lui con uno sguardo che non ammetteva repliche.

Anche Crannogh si era rialzato da un cratere di mattonelle spaccate. L’aspetto era quello di un cadavere post autopsia ma, ciò nonostante, ancora colmo di energia vitale. Due rettangoli di acciaio sporgevano dal suo collo. Biascicò qualche parola, ondeggiando e sbavando sangue, per poi balzare in avanti con rinnovata ferocia.

Edra vide il suo gigantesco pugno arrivare. Respirò ed inspirò.

“Per i tuoi crimini… io ti condanno.”

Il pugno della donna, grande un decimo rispetto a quello dell’alvareziano, lo intercettò colpendolo precisamente sull’indice ripiegato.

“E ti giustizio…” la forza della Fata fu talmente travolgente da sfondargli la falange, accartocciando l’intero braccio dell’uomo all’indentro, per poi proseguire la sua traiettoria e colpirlo sul costato.

Lì, dove in precedenza aveva solo rotto una costola, adesso il suo pugno penetrò e si udì un raccapricciante suono di sbriciolarsi di ossa.

“…in nome del Regno di Fiore…” recuperò Sleipnir da terra, imbracciandola con la calma nell’anima.

Il suo avversario, rivolto a terra nel dolore, non poté assistere alla trasformazione che avvenne.

L’acciaio che costruiva la lancia si sciolse, e come un velo d’acqua rivestì la donna in tutto il corpo, eccezion fatta per il volto. Quando lei spalancò gli occhi, quel velo d’acqua si era solidificato in una armatura completa del colore del mare, con scaglie e placche simili a quelle di una bestia marina. La lancia non era del tutto sparita, bensì si era fusa con il braccio sinistro della donna, aumentando per altro in lunghezza ma assottigliandosi nel diametro. 

“… e della gilda Path of Hope.”

Crannogh, intanto, si era rialzato e provava a fuggire di lì inciampando, ma qualcosa di troppo veloce lo raggiunse. Con acuta precisione, quattro kunai gli si conficcarono nei tendini di polsi e caviglie, togliendogli le forze. I suoi arti caddero morti al suolo, e quando si voltò verso il responsabile trovò quel ninja che aveva recuperato lo stesso sguardo imperscrutabile di prima.

Poi l’alvareziano non vide, né provo, più nulla. La lancia di Sleipnir lo perforò nello sterno, e fluida come un liquido si trasformò in un mulinello d’acciaio. Quella trivella fu talmente rapida e implacabile da triturare il gigante in pochi secondi, non lasciandone altro che pittura rossa per le strade di Crocus.

Non degnando più quell’essere disumano che era stato di un solo pensiero, si rivolse a Wolfie.

“Ce la fai a portarci al campo base?” accarezzò il muso del lupo.

Ormai aveva preso una decisione: la missione non avrebbe avuto più senso di continuare, se Jun fosse morto tra le sue braccia in quel campo di battaglia straniero. Era una scelta azzardata, sapeva che intraprendere la ritirata sarebbe stata vista come una codardia da molti, ma in quel momento non le importava più di nulla.

“Adesso ti salvo io.”

Liberati i civili intrappolati nella gabbia di Crannogh, si allontanarono di lì grazie ai lunghi balzi dell’animale.

 

***

I soldati di Alvarez che circondavano Ilya non osavano fare un passo, nonostante la superiorità numerica. In dieci contro uno, ma con altri dieci dei loro commilitoni riversati al suolo con le armature sfondate a colpi di mazzafrusto.

“Ti ho chiesto di uscire allo scoperto.” Ripeté pacatamente il ragazzo, stavolta non riuscendo a trattenere un sorriso, verso il punto dove sapeva si fosse nascosta la sua avversaria.

“O te la stai facendo sotto, per caso?”

-Ecco, proprio ciò che non dovevi dire.- Seraphia Keller digrignò i denti, gioendo internamente che il suo nemico almeno avesse il senso dell’umorismo -Almeno sarà divertente.-

Quando uscì allo scoperto, mostrandosi sul balcone che si affacciava sulla piazza teatro del massacro, mantenne il fidato fucile poggiato su di una spalla.

“Capitano Sephia!” i suoi uomini dal basso si agitarono, pur mantenendo lo sguardo e le armi puntate sulla Fata “I vostri ordini?”

La donna sentì la paura nelle loro voci, riconoscendo la sfiducia nel fronteggiare quel singolo ragazzo. Come biasimarli, del resto? Un Tesoro Oscuro elevava anche un semplice umano al rango di semidio, ed andare contro uno di queste armi leggendarie con dei meri giocattoli era follia.

“Preferirei che vi deste alla macchia. Avrò dei rinforzi molto presto, e preferisco ritrovarvi vivi a Vistarion piuttosto che morti per queste strade.” Si attorcigliò il lungo ciuffo castano che lasciava scivolarle davanti al viso “Sappiamo tutti che non sopravvivereste, ma non voglio usarvi come carne da cannone o come scudo umano.”

I soldati la guardarono esterrefatti, aprirono bocca a più riprese per parlare ma non riuscirono a dir niente prima di incominciare a piangere.

“Capitano Sephiaaa!”

“Su, su, andate via. Tornate dalle vostre famiglie, fate l’amore e pensate a me. Potete fare le ultime due cose contemporaneamente.”  Lei li liquidò con un gesto della mano, e sorprendentemente Ilya non interruppe la loro fuga.

Il biondo li osservò sparire, per poi voltarsi nuovamente verso l’alvareziana “Figo. Sono questi trucchetti a renderti popolare, o sei anche forte, per caso?”

Non ritrovò niente più al suo posto. 

La donna era nuovamente sparita, e al contempo erano emersi dalla balaustra un manipolo di fucilieri con le armi puntate.

-Ok, quindi sei forte anche grazie ai trucchetti…-

Il ragazzo dovette rispondere prontamente alla pioggia di fuoco che gli venne scaricata addosso. Cinquanta, o forse cento proiettili esplosero al suolo, crepitando sul lastricato ed illuminando la piazza di scintille. Ilya era scattato verso l’unica via di fuga, quella alle sue spalle, inseguito da quella grandinata. Ma, una volta sul punto di uscire dalla piazza, vide qualcosa che lo fece sussultare.

Un gruppo di soldati di Fiore, feriti e sanguinanti, si stavano dirigendo nella sua direzione.

“Fuggite, sono in troppi!” tentò di farsi sentire urlando ad alta voce e scacciandoli con cenni delle mani, ma non ce ne fu bisogno: gli spari erano cessati.

I fucilieri dovevano star ricaricando, ed in quel momento di calma vide i suoi commilitoni armati anch’essi di armi da fuoco prepararsi a sparare. Sollevarono le bocche da fuoco davanti a loro.

-Vogliono coprirmi? - La perplessità del biondo aumentò quando vide le canne dei fucili non sollevarsi più in alto della sua testa -Ma come possono colpire i nemici se puntano a m…? -

I soldati di Fiore fecero fuoco su di lui, sbalzando il suo corpo a destra e a sinistra come in una danza macabra. Quando ebbero finito e ripiombò nuovamente il silenzio, del biondo era rimasto solo un corpo sbrindellato libero di piombare a terra nel suo sonno eterno.

I traditori del Regno non batterono ciglio, per nulla scalfiti alla vista della morte di un loro compagno. La realtà era molto più turpe di un semplice tradimento, e aveva il suo segreto nientemeno che nell’arma brandida dal Capitano Sephia.

La donna, ancora accovacciata al riparo nonostante si fosse accertata della riuscita del proprio piano strategico, si liberò con un profondo sospiro.

“Me la sono vista brutta: quel tizio sembrava forte.” Accarezzò in segno di ringraziamento Duvalier.

Quello era il Tesoro Oscuro Duvalier, detto il Ladro di Anime, com’era chiamato negli scritti dell’antica civiltà perduta che lo venerava come un dono degli dèi. Quell’arma era apparsa sul continente millenni prima dell’invenzione delle armi da fuoco, e una leggenda vuole che ne abbia ispirato la costruzione. Nei riti di un’epoca passata veniva usato per riportare i morti in vita per comunicare con loro, fin quando il capo di quel clan non provò a costruire un esercito di cadaveri per dominare il mondo allora conosciuto. Una congiura spezzò quel sogno sul nascere, e il tiranno venne murato vivo in una cripta assieme al tesoro.

Degli archeologi di Alvarez avrebbero rinvenuto Duvalier mille anni più tardi, e per un altro centinaio nessuno sarebbe stato in grado di utilizzarne a pieno il potere. Questo fino all’arrivo di una giovane cadetta, disposta a rischiare di mettersi nei guai pur di guadagnare una posizione di prestigio nell’esercito.

“Capitano Sephia, c’è qualcosa di strano!” le voci dei suoi uomini la distrassero da quella storia di neanche troppi anni fa, ma che gli sembrava appartenente ad una vita precedente.

“Cosa?”

“Il Tesoro Oscuro di quel soldato…” al sol sentire queste parole lei si alzò per controllare di persona.

Non c’era più. Di fronte ai suoi zombie schiavizzati c’era il corpo lungo disteso di Ilya, con i vestiti forati di proiettili, ma un solo dettaglio non era al suo posto: l’assenza della grande sfera di acciaio nero puntellata di spunzoni che portava legata ad una catena. No, non era l’unico dettaglio.

“Non solo… dov’è il sangue?”

 

All’interno di quella dimensione lontana, che forse si trovava solamente all’interno della propria mente, Ilya Ivanov si sentiva sempre un estraneo. Nonostante la sensazione che avvolgeva il suo corpo lì era di piacere, una confortevole cura per i suoi nervi, non riusciva mai ad essere a proprio agio.

Doveva essere per colpa della bocca e degli occhi spalancati nel buio che lo fissavano a distanza ravvicinata.

“È successo di nuovo?” la domanda retorica suonò fastidiosa anche a se stesso.

Il dio oscuro Chernobog serrò i denti aguzzi, splendenti nel perfetto contrasto con quell’universo nero sullo sfondo.

“Sì, ti ho di nuovo dovuto salvare la vita. Non farmi pentire di averti scelto come mio vascello, umano.”

“Nah, sono stato solo colto alla sprovvista. Adesso che ho scoperto in cosa consiste quel potere non perderò più.”

“Avrò del sangue in sacrificio?”

Lo spazio a forma di sfera nera che li circondava si restrinse, attraversando Ilya e macchiandone i capelli biondissimi della stessa oscurità di cui era composto.

“Temo di sì.”

 

In contemporanea, nel mondo reale di quella notte violenta, una sfera di energia nera si espanse avendo come epicentro il corpo della Fata. Tutti i presenti osservarono con stupore quella sfera separare e poi allontanare dalla sua carne i proiettili ancora incandescenti precedentemente sparati. Man mano che cresceva la cupola sbiadiva, finché non scomparve del tutto.

Sephia, troppo incredula per impartire ordini ai suoi uomini, registrò in ritardo la rimessa in sesto del nemico e la riapparizione della sua arma.

“Atten-!” 

Il Tesoro Oscuro prodotto dal cuore di Chernobog, Molotok, sferzò nel buio. I soldati di Fiore non-morti vennero decapitati sul posto, e caddero all’unisono per non rialzarsi mai più.

Quando la sfera nera ricadde al suolo, Ilya voltò appena il capo per guardare di sottecchi i nemici sopraelevati alle sue spalle. Niente di ciò che era adesso poteva essere ricondotto all’Ilya di pochi secondi prima: oltre ai capelli, anche la sclera dei suoi occhi si era tinta di oscurità, evidenziando le iridi azzurre come il ghiaccio, ed infine delle scritte in una lingua perduta erano apparse sulla sua pelle nivea.

“Maledetto mostro!” Urlò a squarciagola un fuciliere alvareziano, in preda al terrore, e i suoi compagni lo seguirono in una nuova scarica di proiettili. 

Con una sola mano il ragazzo riuscì a scagliare la sua arma verso di loro, proteggendosi dai primi spari. I soldati saltarono via dal punto d’impatto di quel meteorite nero, ma lo schianto non arrivò mai.

-Ora è scomparso lui!- Sephia comprese troppo tardi il vero potere di quel potere di simbiosi.

Prima che il cuore di demone si scontrasse contro il balcone, da esso vi emerse Ilya con la stessa facilità con la quale si fuoriesce dall’acqua. Non appena fu all’esterno afferrò la corda dell’arma, ed avvitandosi in volo generò un tornado di frustate. Tutti i soldati nel raggio di cinque metri vennero tranciati dalla forza centrifuga, sollevando urla strazianti fino al cielo.

Non appena ebbe terminato il massacro, il ragazzo atterrò a piedi uniti sulla balaustra ed individuò l’unica superstite.

“Cosa sei?” improvvisamente tutta la sicurezza nella donna era svanita.

Non che non avesse mai visto la morte in vita sua, ma quella si trattava della sua prima missione sul campo e soprattutto della prima volta in cui avesse assistito alla morte dei suoi protetti.

“Non sono un maledetto mostro.” Ilya cominciò a camminare lentamente verso di lei, rimanendo in bilico.

Quando la testa di un soldato morto accasciato sulla balaustra gli capitò nel cammino, la schiacciò con nonchalance. Ad osservarlo attentamente i contorni del suo corpo erano sfumati e distorti, come se lo si stesse guardando riflesso su di uno specchio d’acqua increspata.

“Ho solo fatto un patto con uno demone imprigionato in quest’arma, e ogni tanto devo soddisfare la sua sete di sangue. In generale non mi piace molto la morte.”

“Neanche a me…” Sephia non osò sollevare il fucile, preferendo indietreggiare lentamente “Sono un’addestratrice a Vistarion, sai? È la mia prima spedizione in guerra.”

“Oh, mi dispiace, che sfortuna. Immagino tu voglia implorarmi di lasciarti in vita, vero?” un ghigno guizzò per un attimo sulle labbra del ragazzo, per poi tornare un volto inespressivo.

Stavolta Seraphia Keller non parlò. Le piaceva essere esuberante e giocare con l’ironia, ma era abbastanza intelligente da capire come sarebbe andata la conversazione, e che quella volta il suo charme non l’avrebbe salvata.

“Tu hai usato dei miei compagni come marionette, cara.” E lo sguardo spietato che assunse Ilya all’improvviso anticipò qualsiasi sua azione con intento omicida.

Scagliò Molotok in avanti, e Sephia si lanciò al pian terreno pur di evitarlo. Quel lato del balcone esplose, facendo schizzare frammenti di pietra ovunque.

“Duvalier! Alzati e combatti!” 

Non appena fu atterrata, la soldatessa rotolò e si rialzò con il fucile già puntato verso l’alto. Un proiettile violaceo dipinse una scia nell’aria.

“Non stavolta!” Ilya sollevò la sfera a mo’ di scudo per impedire al proiettile di raggiungere i cadaveri.

Sorprendentemente, prima di scontrarsi con la sfera il proiettile esplose, diramandosi in piccole copie scintillanti. Questi aggirarono il ragazzo, conficcandosi nei soldati ed illuminandoli di quella stessa energia viola.

-Duvalier è un fucile che non può ferire gli esseri viventi. Il suo unico scopo è quello di rianimare i morti, ma lo fa dannatamente bene e senza mai mancare il colpo!- Ignorando l’impazzire di colpi alle sue spalle, Sephia corse via, battendo la ritirata da lì.

-Forse un giorno ci rivedremo, ragazzo demone. Ma non oggi: non voglio affatto morire!-

Con le sue ultime forze Ilya afferrò Molotok da uno spuntone e la usò per schiacciare la testa di uno zombie contro il muro, ponendo fine alla sua seconda vita. Terminata quella distrazione volse uno sguardo a dove era fuggita la sua avversaria, pensando immediatamente di raggiungerla.

Non appena si mosse di un passo lo sforzo gli sembrò incalcolabile. Stramazzò al suolo, venendo abbandonato dalla coltre nera che fu assorbita dal Tesoro Oscuro. Il vantaggio messo a disposizione da Cernabogh era terminato, e con la debolezza tornò anche l’umiltà: gioì internamente che quella donna tanto viscida e astuta avesse preferito la fuga.

“Certo che ci rivedremo ancora, brutta vigliacca. Ma meglio che non sia oggi: non voglio affatto morire!”

 

***

 

“Natsu… Dragneel?”

Rea ripeté ancora quel nome, sperando che stavolta avesse più senso nel contesto in cui lo pronunciava. Non fu così.

“Oi, come mai così formale, piccolina?” sorrise il rosato, anticipando il suo arrivo con un saluto con la mano. 

Al suo fianco Gajeel e Gray erano seri e silenziosi, ma non quanto la Generalessa Erza Scarlett. La Regina delle Fate era infatti famosa per la sua indole intrattabile, ma la ragazza non avrebbe mai detto che anche nell’aspetto apparisse tanto spigolosa ed irraggiungibile.

Fatta eccezione per Natsu, che conosceva dall’infanzia, i leggendari membri di Fairy Tail le erano sempre sembrati delle leggende viventi, e la loro annessione nella cavalleria reale non aveva fatto altro che gonfiare quella fama a dismisura. Dopotutto loro erano gli invincibili guerrieri che tre anni prima avevano difeso il forte Shiranui, ed annientato otto dei dodici Generali Spriggan, i quali avrebbero sicuramente conquistato Fiore se non fosse stato per loro.

-Se avessero combattuto al fianco di mio fratello, forse lui si sarebbe salvato…-

I capelli bianchi, ora macchiati di sangue, erano la prima cosa che avesse in comune con suo fratello, assieme alla sua Laplace che aveva ereditato. Per il resto, di Corex non possedeva nulla, né il coraggio né la forza. Sentiva anzi che quei tre anni in cui aveva assistito ad ogni forma di crudeltà le avessero corrotto l’anima, costringendola a lottare costantemente per ricavare qualcosa di buono dal mondo per non farsi sommergere dal male. E vedeva quel male ovunque.

Si ritrasse non appena Natsu provò ad accarezzarle la testa.

“Cosa ci fate qui?”

“Ordine reale, siamo dei rinforzi alla difesa di Crocus” prese parola Gray, il Cavaliere di Ghiaccio “Le nostre spie hanno segnalato l’arrivo di un ex Spriggan Twelve, August.”

“Il Re dei Maghi” quel nome avrebbe fatto rabbrividire chiunque nel continente, e infatti Rea non fu immune alla pressione che portava la consapevolezza di trovarsi nella stessa città di quel potente Generale.

L’anziano guerriero aveva guidato la conquista di innumerevoli regni per volere dell’Imperatore Zeref, forte dei suoi poteri inarrestabili che nessun uomo, né bestia nel mondo aveva saputo contrastare.

“Non è un soprannome fighissimo?” questa volta Natsu riuscì ad avvolgere un braccio attorno alle spalle di Rea, nel mentre cercava di contagiarla con la sua risata.

Lei non ci riuscì, era troppo stanca.

“Ma principalmente siamo venuti qui per te, Rea Halfeti.” La voce poderosa di Erza la riscosse per un attimo dal torpore.

“Per… me?” ripeté a fatica l’albina. “Avete… per caso scoperto il mio piano?”

“Il tuo piano? Ma che dice questa?” Il Drago d’Acciaio Gajeel si crucciò, sperando che i suoi compagni lo aiutassero a trovare una risposta.

Natsu sorrise mestamente, guardando prima la ragazza stretta a sé, e poi la fiala stappata che le aveva avvicinato al naso di nascosto per farle inalare i suoi vapori. 

“Non ci pensare, forse sta farneticando per via della pozione.” Aspettò che si fosse rilassata del tutto, per poi caricarsela sulle spalle.

Gajeel scrollò le spalle, disinteressandosi del tutto alla faccenda, per poi avvicinarsi al corpo ancora schiacciato al suolo di Sunse.

“Oi, alvareziano. Sei vivo?” lo rianimò con un calcio sulla schiena.

L’assassino imprecò e tossì sangue, per poi sollevare lo sguardo verso i quattro cavalieri.

“Cosa… perché state rapendo lei? Il piano non era di consegnarci Florence?”

Gray lo guardò stizzito, non risparmiandosi dal mostrare tutto il suo disgusto verso quel ragazzo, e forse anche per l’azione che stava compiendo: “Ma guarda te se ci dobbiamo anche occupare di far fuggire questo catorcio. Ma non ci dovevano mandare un soldato esperto? Sai quanto rischiamo nel farci vedere con te, per giunta quando ti consegneremo ai tuoi amici fuori città?”

La generalessa Erza scostò i suoi compagni, raggiungendo Sunse per guardarlo con gli occhi assottigliati dall’odio.

“Il patto era di fornirvi un martire legato all’unica gilda rimasta a Fiore. Questa qui è la Master di Path of Hope, il che la rende l’unica Master di tutta Fiore.”  Dopodiché la rossa volse lo sguardo verso la balconata che si apriva sulla vista panoramica di Crocus.

“E poi Florence dovrebbe aver appena incontrato August in persona. Quel ragazzo è già morto.”

“E voi ora?” intervenne Natsu, non meno inflessibile della donna “Manterrete i patti?”

Sunse trovò la forza di ridere, anche se ciò che emise la sua bocca sembrò un gracchiare straziato.

“Fare un patto con la Stratega Amasia è come fare un patto con una divinità: lei è capace di azionare un minuscolo ingranaggio e portare allo scorrere del destino nella direzione che preferisce. Noi avremo il grande bottino, e voi avrete la vostra guerra civile… le gilde torneranno a comandare Fiore, se farete cadere la Regina Mavis.” 

 

Angolo Autore:

Welcome back (???)

Bho, sinceramente non pensavo che sarei mai tornato con questa storia. Chiunque la stesse aspettando (nessuno) deve dir grazie a chi mi ha rotto le palle per un anno, e per una stupida scommessa che mi ha portato a scrivere questo capitolo in una settimana.

Per fortuna sul file word della storia avevo scritto tutti gli appunti, le postille e le direzioni che avrebbe dovuto prendere la trama. Spero non sembri troppo un capitolo scritto dopo due anni, o forse sì, nel caso fosse scritto meglio.

Comunque sia chiedo scusa a chi si fosse sentito abbandonato da questa storia dopo averci riposto un po’ di fiducia. Fa ridere che la storia sia stata abbandonata proprio come il filone di Storie ad Oc su questo fandom dopo il 2017. O come la maggior parte di quelle storie. No, sul serio, mi rivolgo ai veterani: qualcuno di voi ha mai visto una storia ad Oc CONCLUSA? 

Non voglio far promesse a vuoto, ma mi conosco e so che ora il mio interesse nel continuarla è zero, ma poi al minimo feedback positivo divento un brodo di giuggiole e inizio a sfornare capitoli su capitoli nonostante università, lavoro e la scrittura del mio romanzo.

Mio dio… quanto amo scrivere fanfiction. Questo non posso negarlo, mi fa proprio bene all’anima.

Bye bye! Alla prossima!

 
   
 
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