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Autore: Flying_lotus95    22/10/2023    2 recensioni
"Non avrei mai pensato che avrei rivisto Zoro Roronoa dopo cinque anni.
Quando lo rividi entrare dalla porta della taverna, con le sue solite spade, i suoi soliti capelli verdi e quella sua solita presenza silenziosa e indisponente di chi ha visto il mondo, lo conosce e pensa di poterlo avere tra le mani in modo da plasmarlo a proprio piacimento, fu come se quei cinque anni non fossero mai del tutto trascorsi. Fu come se quella distanza tra noi non fosse mai esistita…"

[Questa storia partecipa al Writober 2023 indotto da Fanwriter.it]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Z
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: Promessa
 
Note iniziali: Con questo prompt arrivo un po' in ritardo, ma tra me e me mi sono detta "adesso o mai più" 😅
Questa one shot sarebbe da collocare temporalmente, almeno nel passato, ai primi episodi di One Piece, e nel presente da allora sono trascorsi cinque anni.
Avevo in mente un'idea migliore, ma alla fine mi è uscita così, e spero possiate apprezzare questo Zoro così intraprendente. 
Non è chissà cosa, prendetela per quello che è, un esercizio di scrittura (e in questo caso lo è stato davvero, siccome ho sperimentato per la prima volta la prima persona).
Buona lettura 🤗

 

Lost in illusion.

 

"Ando manejando por las calles que me besaste
Oyendo las canciones que un día me dedicaste"

 
Non avrei mai pensato che avrei rivisto Zoro Roronoa dopo cinque anni.
Quando lo rividi entrare dalla porta della taverna, con le sue solite spade, i suoi soliti capelli verdi e quella sua solita presenza silenziosa e indisponente di chi ha visto il mondo, lo conosce e pensa di poterlo avere tra le mani in modo da plasmarlo a proprio piacimento, fu come se quei cinque anni non fossero mai del tutto trascorsi. Fu come se quella distanza tra noi non fosse mai esistita…
«Virna! Virna, ci sei?».
Il mio cliente mi richiamò alla sua attenzione, stringendomi il fianco. Ero seduta sulle sue gambe, abbracciata a lui. Avevo ascoltato per ore i discorsi sconclusionati suoi e dei suoi compagni di viaggio, discorsi su rotte marittime, tesori, avventure… 
Quei discorsi mi avevano stancata. Il solo sentire ancora qualcuno che nominava punti cardinali, la rotta Maggiore o il tesoro di Gold Roger mi provocava una nausea e una rabbia indicibile. E la colpa era tutta di quello spadaccino che era appena entrato da quella porta, guardandosi intorno come se stesse cercando qualcosa che per lui valesse molto.
Un ennesimo tesoro, o semplicemente una birra. Sapevo che ne andava matto.
Tuttavia, lo ignorai. Non era da solo.
Un tizio con un cappello di paglia e una ragazza dai capelli ramati gli facevano compagnia. Poco più indietro vi erano altri due tizi, uno più strambo dell'altro.
Si era scelto proprio una bella ciurma, pensai sarcastica. La pizzicata sul fianco mi fece sussultare. Trattenni a stento un'imprecazione.
«Visto che sei poco attenta, tesoro, sarebbe meglio se ci portassi altre birre! Così almeno prendi un po' d'aria!» mi fece Beff, il mio cliente. Mi alzai senza dire una parola, e ricevetti una pacca sul sedere bella forte,  che voleva sembrare un incoraggiamento. Peccato che di incoraggiante in quel gesto avessi avvertito ben poco. 
Ingoiai il disgusto che provai sul momento e mi allontanai, tra le risate sue e dei suoi amici.
Lamentarmi non era contemplato, il padrone della bettola si sarebbe indispettito, anche se poi sapeva perfettamente che ero nella ragione più totale. Passai di fianco al tavolo di Zoro e compagni, lo feci anche un po' apposta. Volevo che mi guardasse, che provasse anche solo un minimo di nostalgia…
Gli passai dietro le spalle, me ne pentii seduta stante. Quel suo odore di salsedine e menta mi aveva attanagliato il cuore e la mente, creando una fitta allo stomaco non indifferente. Quella vecchia ferita faceva ancora troppo male…
Presa dai miei pensieri, non mi accorsi del fatto che poggiai la mano proprio sullo schienale della sua sedia. Non fu un gesto calcolato, né premeditato.
Gli ero passata accanto, e sentii il bisogno di appoggiarmi a qualcosa, come un aiuto per oltrepassare un ostacolo. Non lo guardai, ma il suo sguardo addosso lo sentii tutto. Ne ebbi la conferma quando sentii la donna dai capelli ramati richiamare più volte la sua attenzione.
«Che ti succede, Zoro? Sei rimasto incantato da quella cameriera?» avvertii forte e chiaro il commento del tizio col cappello di paglia. Non vi era malizia o presa in giro nella sua invettiva, ma semplice e pura curiosità. Mi fermai un istante, in trepida attesa di una sua qualunque risposta. Mi sentii una sciocca immediatamente. 
Zoro non disse nulla, non ebbi il coraggio di controllare se mi stesse fissando o meno. Se lo avessi colto in flagrante, mi sarei avvicinata al suo tavolo e lo avrei schiaffeggiato, accusandolo di avermi molestata. Così almeno sarebbe stato cacciato fuori dalla locanda, e non sarei più stata costretta a vederlo o ad interagire con lui. Avrei avuto una schiera di clienti disposti ad aiutarmi, non mi sarebbe costato nulla. O quasi…
Ma se invece mi fossi accorta che in realtà non stava guardando me ma qualcun'altra, il mio cuore si sarebbe lasciato cadere al suolo, frantumandosi in tanti piccoli pezzettini, che avrei provveduto a calpestare io stessa, per punirli della mia inettitudine.
«Virna, insomma! Le nostre birre!».
Beff sbraitò tutto il suo disappunto per il ritardo, appoggiato dagli sghignazzi dei suoi compagni. Proseguii dritta, cercando di dimenticare che stessi condividendo ancora una volta il mio spazio vitale con quello spadaccino.
«Cinque anni…» mormorai a me stessa.
«Sono passati cinque anni. Non sei più niente per me, Roronoa Zoro».
 
Cinque anni prima, il mio destino si era incrociato con quello di Roronoa Zoro, l'intrepido spadaccino cacciatore di pirati.
Era giunto alla taverna dove lavoravo, aveva intascato l'ennesima taglia ed era giustamente venuto a festeggiare la sua impresa riuscita. 
Aveva ancora la bandana in testa, gli copriva quasi gli occhi, emanava un'aura minacciosa. Ricordo che mi ci avvicinai servendolo senza che lui lo avesse richiesto. Dopotutto, era il mio mestiere. Lo faccio dall'età di quindici anni. Quando cresci con un padre ubriacone e senza madre, fai quello che puoi per mantenerti e sperare di racimolare qualche soldo per andare via. 
Per un lungo periodo ci avevo creduto alle fesserie che ruotavano sulla rotta del Grande Blu. Non che desiderassi diventare un pirata, ma il solo pensiero di allontanarmi da quel buco di mondo e visitare posti nuovi, conoscere gente diversa, era stato come respirare aria pulita, incontaminata.
Gli avevo anche offerto una sigaretta, ma lui aveva rifiutato. Non aveva spiccicato parola, eppure non mi aveva dato l'impressione che mi volesse lontana o che gli stessi dando fastidio. 
Lui sorseggiava in silenzio il suo Brandy e io gli riempivo la testa di chiacchiere frivole. 
Poi aveva pagato il suo drink, e chiesto al locandiere se avesse una stanza per quella notte. 
Si era alzato dal bancone con una scioltezza che mi aveva lasciato interdetta. Era agile, nonostante l'ingombro delle sue tre spade. Non mi salutò, e fu inevitabile che ci rimanessi male.
Qualche sera dopo, mi aveva vista seduta sola alle spalle del bancone, a fumare in silenzio. Il mio solito vestito rosso scollato mi iniziava a stringere sul seno. Avrei dovuto farmelo allargare.
Si sedette accanto a me senza chiedermi alcun permesso, e stavolta toccò a lui parlare. Parlò tanto, e per la prima volta in vita mia, non mi era venuta quella strana sensazione di mollarlo lì su due piedi, come succedeva spesso con quasi tutti i clienti che richiedevano la mia compagnia.
Parlava in modo così pacato delle cose più banali, che ogni sillaba, ogni parola, ogni accento, sembravano risuonare come una carezza addosso.
Lui parlava e nel frattempo avevo poggiato la testa sulla sua spalla forte e muscolosa. Non lo guardavo negli occhi, ma presi a stringergli la mano. La mia in confronto sembrava piccolissima e ben curata. Lui aveva le nocche screpolate e i duroni sulle dita. La pelle del suo palmo era tesa, ma sorprendentemente calda. 
Siamo rimasti in quella posizione molto a lungo, Zoro non aveva accennato ad allontanarsi, ed io non avevo accennato a mandarlo via.
Gli avevo sistemato una ciocca verde dietro l'orecchio destro. Ci era bastato un solo sguardo reciproco per decidere la mossa successiva.
Qualche attimo dopo, mi sono ritrovata stesa sotto di lui, con le mie gambe avvinghiate alla sua schiena, stesi tra le lenzuola sfatte del suo letto.
 
Fu così che nacque la nostra strana amicizia. Io restavo quella che ero, e lui il solito spadaccino, che ad ogni missione tornava assetato di Brandy e di me.
Mandavo al diavolo qualsiasi altro cliente per lui, non esisteva più niente e nessuno quando Zoro varcava la porta di quella locanda. 
 
Fino all'avvento di quella sera.
 
«Virna, io parto».
Me lo aveva detto così, a bruciapelo, con ancora il fiatone per l'amore appena consumato con me. 
Tenevo la testa appoggiata sul suo petto, assonnata. Avevo temuto di averlo perso nei giorni precedenti: era stato arrestato dalla Marina per uno screzio avvenuto con il figlio del capitano Morgan, un bamboccio allampanato che sapeva soltanto farsi detestare dalla gente del posto. 
Fu una doccia fredda quella confessione. Strinsi convulsamente le dita sul lenzuolo che gli copriva il busto.
«Me lo dici così, dopo una cavalcata come questa?» lo punzecchiai, sforzandomi di sorridere. Ma il mio cuore non sorrideva affatto. Se ne avesse avuto la facoltà, avrebbe urlato. 
Sentii la sua mano scostarmi una ciocca da dietro l'orecchio. 
«Quel tipo strano, Luffy… vuole che faccia parte della sua ciurma di pirati!».
A quella frase, mi scappò una risata genuina, spontanea.
«Ma tu i pirati li cacci, Zoro! Non ti perdi certo dietro a stronzate come la ricerca del Grande Blu o cose del genere!?». Pensavo che avrebbe riso con me, che mi avrebbe risposto con un'altra battuta. Invece Zoro rimase serio, fermo nelle sue parole.
«Stavolta è diverso» dichiarò, e lo vidi portarsi due dita sulle labbra, intento a fissare il panorama oltre le tende della stanza.
«Luffy è diverso… Gli devo la mia vita. È un po' svampito, ma sembra un bravo ragazzo. Diciamo che parto per guardargli le spalle. Poi occasioni così si presentano poche volte nella vita, giusto? Si devono afferrare al volo prima che sfuggano!».
Mi alzai di scatto, arrabbiata. Gli diedi le spalle, non gli avrei dato la soddisfazione di guardarmi in faccia mentre ero sul punto di scoppiare in lacrime.
«E allora parti!» dissi incolore, stringendomi le ginocchia coperte dal lenzuolo al petto. Zoro provò a toccarmi una spalla, ma lo scostai, facendogli credere che stessi cercando una sigaretta nel cassetto del comodino. La sorte mi fu d'aiuto, perchè la trovai quasi subito lì dentro. Non gli rivolsi più lo sguardo quella sera.
Lo sentii alzarsi alle mie spalle, un fruscio di vestiti e artiglieria, movimenti lenti e ponderati. Poi seguì un leggero sprofondamento e avvertii le sue labbra a pochi centimetri di distanza dal mio orecchio sinistro.
«Tornerò Virna, è una promessa».
«Va' al diavolo!» sibilai, e una lacrima traditrice mi solcò la guancia, mentre il fumo della sigaretta si disperse in tanti leggerissimi filamenti grigio biancastri.
Mi lasciò un bacio sulla spalla, e non opposi resistenza. Realizzai in quel momento che mi sarebbe mancato da morire, e che non ci sarebbe stato giorno in cui non avrei maledetto il suo nome tra le braccia di qualcuno che non gli sarebbe somigliato neanche lontanamente. 
Lo sentii chiudere la porta e fu in quel momento che diedi libero sfogo alla mia tristezza e frustrazione più nera. In quel momento lo odiavo da morire, gli avevo augurato i peggiori avvenimenti, e forse fu allora che uno dei più brutali e terribili, per riflesso, mi si ritorse contro, indelebilmente.
 
Dopo aver portato le birre a Beff e compagni, con una scusa abbastanza credibile mi allontanai dal loro tavolo e girai un po' per la sala, con aria disinvolta. Il tavolo di Zoro lo tenni a debita distanza; la vicinanza che avevo ottenuto la ritenni abbastanza per quella sera. 
La banda del locale iniziò a suonare una mazurka, e iniziarono a formarsi le prime coppie di ballo.
Io rimasi in disparte, ad osservare la scena. Mi ritenni fortunata di non essere stata richiesta nuovamente da Beff, ma di balli quello lì non se ne interessava poi più di tanto. 
Colta da un'improvvisa stanchezza, dissi al proprietario che sarei andata a coricarmi presto. Dopo una smorfia di disappunto, mi concesse il permesso di andare.
Non provai alcun senso di colpa, dopotutto se non ero al pieno delle mie forze non potevo neanche fare bene il mio lavoro. Presi così la via delle scale, salendo verso il piano di sopra. Non mi accorsi che qualcun altro stava salendo le scale dietro di me.
 
Arrivata alla porta della mia stanza, per poco non urlai nel vedermi spuntare da dietro le spalle un braccio abbronzato, molto più muscoloso di quanto ricordassi. La sua mano coprì la mia, salda alla maniglia.
«Questo è il saluto che mi rivolgi, dopo cinque anni? La tua indifferenza?».
Avevo capito chi fosse, dal calore della sua mano. Rimasi ostinata a guardare davanti a me, perchè ero certa che avrei ceduto se mi fossi voltata e lo avessi fissato dritto negli occhi. 
Sentii la punta del suo naso affondare nei miei capelli, la voglia di girarmi e schiaffeggiarlo fu incontenibile. 
«Quanto mi è mancato questo profumo…» lo sentii mormorare, a pochi centimetri dal mio orecchio. Mi girai inaspettatamente, con tutta l'intenzione di lasciargli un manrovescio. Ma non solo Zoro ebbe la prontezza di bloccarmi il braccio, ma mi strinse a sé per la vita, così forte da farmi mancare il respiro.
«Che bella accoglienza mi stai riservando!». Quello stronzo sogghignava a pochi centimetri dal mio viso. Non ebbi altra scelta se non quella di guardarlo negli occhi. 
«Il tuo sarcasmo è peggiorato, spadaccino!» ribattei, sollevando un sopracciglio, mostrandomi risoluta. 
La mano che aveva usato per bloccarmi il braccio, lentamente scivolò verso il basso, seguendo con le dita il percorso dell'arto. Arrivò ad afferrarmi la mandibola, ma non strinse forte. Io però avvertii tutta la sua potenza, tutta la sua pressione addosso. Un brivido mi passò tra le gambe, a stento trattenni un sussulto. 
«Volevo ballare con te, Virna, ma tu sei andata via…». Schiacciata alla porta, sentii il suo braccio spostarsi da dietro i miei reni, per poi infilare lentamente la mano tra le mie gambe, da sopra la gonna.
«Che dici Virna? Me lo concedi questo ballo?» mi soffiò all'orecchio, ma non aveva nulla di seducente o mellifluo. Era un ordine mascherato da richiesta gentile. Iniziò a muovere la mano lentamente, sfregando nel mio interno coscia.
«Zoro, dai… smettila…» provai debolmente a difendermi, qualcuno avrebbe potuto scoprirci lì fermi in corridoio, avvolti in quell'abbraccio strano, soffocante. Avvertivo il tocco della sua mano da sopra la stoffa della gonna, mi era terribilmente mancato quel suo toccarmi. Amava farlo, prima del sesso. E io amavo lasciarglielo fare. Ma erano passati cinque anni, non potevo continuare a provare le stesse sensazioni, lo stesso piacere di allora… 
Volevo allontanarlo e allo stesso tempo trascinarlo in camera.
Quando arrivò il bacio, quel bacio tanto atteso e agognato, non vi fu più nessuna alternativa a trattenermi. 
La porta si spalancò alle mie spalle, e una volta entrati, il letto divenne il nostro miglior palcoscenico.
 
«Ho mantenuto la mia promessa, hai visto?».
Eravamo distesi vicini, l'uno di fronte all'altra. Le coperte ci coprivano a malapena e il pavimento era disseminato dei nostri vestiti.
«Mi hai promesso che saresti tornato… Ma tu ripartirai» puntualizzai, cercando di non mostrarmi chissà quanto dispiaciuta. 
Era inutile che mi creassi speranze che sarebbero svanite nel giro di poco tempo. 
Zoro mi guardò senza lasciar trapelare cosa stesse realmente pensando. Lo considerai un bene.
«In effetti non potrò restare… ma potrò sempre tornare da te ogni volta che l'occasione si ripresenterà».
Sollevai un sopracciglio: cosa esattamente volesse intendere mi fu oscuro. O forse in realtà avevo già intuito cosa volesse dire, e mi sentii lievemente presa in giro. 
«Perchè ovviamente starò ad aspettarti in eterno, è questo ciò che vorresti, no?».
Ero sarcastica, e forse anche un po' offesa. Il sesso come sempre era stato bello, travolgente… ma lo avevo sentito.
Lo avevo percepito che con Zoro ormai le cose non sarebbero mai state uguali a prima.
Lui aveva esplorato nuove terre, vissuto nuove avventure… non si sarebbe mai più potuto accontentare di una strisciolina di terra sperduta in mezzo al mare, e passare il resto dei suoi giorni ancorato ad un suolo che non sentiva più casa.
Mi aveva fatto molto male rendermene conto, ma era una realtà che non potevo cambiare, neanche con tutti i sentimenti che avrei potuto mettere sul piatto della bilancia. 
Il suo desiderio di avventure avrebbe avuto più peso rispetto al mio egoismo.
«Allora stavolta sarò io a farti una promessa» dichiarai, e per la prima volta, non sentii rabbia sobbollire nello stomaco. Mi sentivo tranquilla, sicura, incurante dell'idea che quella sarebbe potuta essere anche l'ultima notte che avrei trascorso insieme a lui.
«Mi dimenticherò di te. Così che il mio odio non possa perseguitarti, ovunque andrai».
Sarà dura, ma ce la farò.
Ciò che pensavo e che avevo detto cozzava senza una logica specifica.
Ma il cuore si sarebbe abituato, prima o poi. Si sarebbe addomesticato a quel nuovo modo di vedere e sentire. Forse non subito, ma ci avrei provato.
Zoro non rispose, mi diede solo una carezza tra i capelli, aggiustandomi una ciocca dietro l'orecchio.
«Dovrai fare lo stesso anche tu, Zoro» gli dissi, e la mia voce non tradì alcuna emozione, nessun rimpianto.
Zoro continuò a restare chiuso nel suo mutismo, e in tutta risposta mi afferrò dolcemente il capo e mi strinse forte a sè, probabilmente non voleva che gli leggessi la risposta in viso. 
Lo assecondai, e in silenzio, mi preparai ad un ennesimo, e definitivo, addio.



 

"Te diría que volvieras pero eso no se pide
Mejor le pido a Dios que me cuide"

(Manuel Turizo - La Bachata)

   
 
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