Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Ricorda la storia  |      
Autore: Sunnyfox    22/10/2023    2 recensioni
«Mi auguro che tu abbia preso tutto quello che ti serve, Roronoa Zoro» la voce dell'invincibile spadaccino arrivò forte e amplificata dal silenzio di quell'ora del mattino.
Zoro picchiettò le sue tre spade, assicurate alla sua nuova fusciacca color del sangue.
«Tutto ciò di cui ho bisogno è qui» gli rispose. [...]
Dopotutto non era andata poi così male. Aveva accumulato esperienza. Pagandola a caro prezzo: un pezzetto del suo orgoglio e la vista di uno dei suoi occhi. Gliene restava uno buono, aperto sul futuro. E chissà che non gli servisse da lezione, guardare il mondo da una prospettiva diversa.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Drakul Mihawk, Perona, Roronoa Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The Pirate's new clothes

 

 

Impacchetta le tue cose spadaccino, da domani non ne voglio più sapere di trovarne in giro.

La verità era Zoro che non aveva la più pallida idea di cosa potesse portarsi via dall'isola Kuraigana, dalle rovine del regno di Shikkearu. Il luogo che aveva lo aveva ospitato per due lunghi anni.

Era finito lì senza niente, avrebbe dovuto andarsene con... niente.

I pochi vestiti racimolati erano stati il generoso e sofferto omaggio da parte di un eccentrico spadaccino, che di gentile non aveva nulla. Un uomo con un armadio troppo vasto, uno stile troppo gotico e camice piene di inutili fronzoli. Un nemico giurato che gli aveva concesso magnanima ospitalità e lo aveva mantenuto, sostenendolo a cibo, vino sofisticato e metaforici calci in bocca, considerata la natura degli allenamenti cui lo aveva sottoposto.

 

Sul letto, Zoro, teneva aperta una valigia che non sapeva come riempire. La teneva aperta da ore come se magicamente, per merito di un non ben specificato incantesimo, avrebbe potuto riempirsi di tutto ciò che aveva accumulato in quei due anni. Non delle camice di Mihawk però. Quelle non le avrebbe indossate mai. Non tanto per una questione d'orgoglio, quanto per una questione di stile.

Non aveva mai nemmeno saputo di possederlo, uno stile. Finché quella sciocca Perona che gli svolazzava attorno tutti i santi giorni, più fastidiosa di una mosca, gli aveva fatto notare che non avrebbe potuto continuare a girare per il castello vestito di bende sbrindellate e i vestiti lerci con cui era precipitato sull'isola.

«Fai schifo e puzzi» gli aveva urlato con quella sua vocetta stridula, in sospensione, a qualche centimetro dal soffitto. Zoro aveva straordinariamente incassato il colpo e valutato la possibilità di avere un cambio, almeno. Perché in fondo era vero, puzzava e ben presto si sarebbe ritrovato a vagare con le chiappe al vento, tanto i suoi abiti erano lisi.

Ma si era categoricamente rifiutato di indossare dei pantaloni di pelle e delle camicie di raso con orli a balze che Perona gli aveva presentato, ripescati da chissà quale fondo di baule di Mihawk. Una carnevalata a cui non intendeva prendere parte. Assolutamente contrario a diventare la parte mancante del trio degli orrori emo.

Alla frustratissima domanda di Perona su cosa volesse indossare, la risposta era stata piuttosto fulminea: qualcosa di comodo, che assorbisse il colore del sangue.

La ragazzina aveva stronfiato qualche imprecazione sull'inutile e noiosa esistenza di Zoro sul pianeta, e preso quella richiesta come una missione.

Il giorno dopo si era presentata con degli abiti neri. Nere le camicie, nere le magliette, neri i pantaloni.

Abiti che Zoro aveva consumato, nel corso di quei due anni. Abiti che erano stati maltrattati, strappati, macchiati e che avevano a malapena superato il test delle serate sofisticate di Mihawk. Quelle in cui cercava di insegnare ai molesti e affatto preventivati ospiti, la musica, l'arte, la letteratura. Cose di cui, a Zoro, non importava davvero nulla.

E alla ragazzina nemmeno. A lei piacevano le storie dell'orrore, le piaceva raccontarle, le piaceva leggerle. Zoro l'ascoltava recitarle con voce lugubre alla luce di qualche candela tremolante, quando Mihawk, stufo di dover fare da baby sitter a due ragazzini troppo pigri e annoiati, si ritirava nelle sue stanze, vinto dalla frustrazione. A volte Perona raccontava di streghe, fantasmi ed esseri ultraterreni che risultavano solo molto tristi, molto solitari e molto poco minacciosi. A volte gli raccontava della sua vita precedente, ma lui si addormentava sempre sul più bello e aveva il sospetto non avrebbe sentito mai quale era la sua triste storia.

 

«Si può sapere a cosa stai pensando con quella faccia da scemo?»

Zoro, lo sguardo ancora fisso sulla valigia vuota, aveva fatto il gesto come a scacciare una zanzara, facendole perdere quota.

Perona era rotolata sul letto, cadendo dall'alto con tanto di cigolio di molle.

«Sei un cafone! Maleducato!»

«Sta' zitta. Mi deconcentri», le disse. Era di nuovo entrata nella sua stanza senza invito e gli veniva a parlare di maleducazione? Nemmeno Rufy era solito invadere così il suo spazio personale, nel tempo in cui avevano navigato assieme. Gliene aveva combinate altre sì, ma non lo aveva mai sbirciato di nascosto.

«Deconcentri a far cosa? A riflettere sul vuoto universale che hai nella testa?»

«Mihawk vuole che porti via le mie cose…»

Perona osservò all’interno della valigia vuota.

«A me sembra che tu abbia già preso tutte le cose che ti appartengono»

«Infatti»

La ragazzina richiuse la valigia con un gran tonfo.

«Voilà, fatto. Adesso possiamo andare.»

«Andare dove?»

«Ti accompagno, che razza di domande?»

Zoro, le braccia conserte, la fissò accigliato.

«Tu non mi accompagni proprio da nessuna parte.»

Perona si sedette sulla valigia chiusa, fissandolo a sua volta con i suoi occhi a palla. Sembrava sempre gli stesse leggendo fin nelle interiora con quello sguardo. Aveva imparato a dissimulare l’inquietudine.

«Guarda che fosse per me potresti pure attaccarti» gli disse «Ma il nostro ospite mi ha chiesto di assicurarmi che arrivassi a destinazione senza incidenti.»

Da quando in qua Mihawk si preoccupava per lui? Si chiese se non fosse una mera iniziativa della ragazzina che lo riteneva un incapace.

«Io arriverò senza incidenti»

Perona rilasciò una di quelle sue risatine agghiaccianti.

«Devo ricordarti quella volta che hai vagato un’intera settimana per il castello in cerca della tua stanza?»

Aveva dovuto segnare il percorso con delle candele per non rischiare di ripetere l’esperienza.

«O quando sei finito nelle segrete e hai scavato un tunnel per uscire in superficie, ritrovandoti praticamente dall’altra parte dell’isola?»

Grazie al cielo aveva con sé le sue spade, quella volta, e gli erano stati sufficienti solo tre giorni di lavoro matto e disperatissimo.

«Oppure quella volta che ti sei perso nella foresta e…»

«È sufficiente. Ho capito. Finiscila»

«Non sarà un viaggio molto lungo. Ti mollo all’arcipelago di Sabaody e me ne vado subito. Non ho intenzione di tenerti compagnia mentre aspetti i tuoi… compagni» aveva sentito male o gli era parso di percepire un po’ di sconforto nel suo tono?

Al solo nominare i ragazzi invece, il suo cuore aveva avuto un'accelerata imprevista.

Solo adesso che la possibilità si concretizzava sentiva quanto profondamente gli fossero mancati. E realizzato quanto il pensiero del suo Capitano in pena lo avesse straziato. Solo il suo messaggio fotografico ai giornali, tanto teatrale quanto enigmatico, lo aveva frenato dal prendere l'iniziativa di salpare comunque. La coscienza, nascosta da qualche parte, in fondo gli diceva che sì, forse si sarebbe ritrovato a navigare per mari oscuri e completamente sconosciuti se fosse partito immediatamente e solo. E nonostante la vivre card avrebbe mancato il luogo.

Dopotutto non era andata poi così male. Aveva accumulato esperienza. Pagandola a caro prezzo: un pezzetto del suo orgoglio e la vista di uno dei suoi occhi. Gliene restava uno buono, aperto sul futuro. E chissà che non gli servisse da lezione, guardare il mondo da una prospettiva diversa.

 

«Sta bene» decretò infine, senza mostrare particolare emozione «resta però il dilemma di cosa portarmi via»

La ragazzina spiritata si guardò intorno, desolata. C'erano vestiti sparsi ovunque, nessuno dei quali avrebbe retto una rimpatriata in grande stile. Nessuno dei quali Zoro avrebbe davvero portato con sé, sulla Sunny.

La nave dove erano conservate le cose che gli erano appartenute. Chissà se, in due anni, avevano retto l'usura del tempo. I suoi libri sulle arti marziali, quelli sulle spade... gli unici che possedeva, che gli avevano regalato Nami e Robin. I vecchi poster di taglie di criminali che Zoro conservava come reliquie, senza contare quelle sue e quelle dei suoi compagni. I suoi pochi vestiti, stipati in uno degli armadietti della stanza dei ragazzi. I suoi attrezzi da allenamento che probabilmente avevano accumulato ruggine.

I locali della Sunny gli comparvero in un flash di diapositive sparse, impolverati e deserti. Solo gli echi delle chiacchiere, delle grida e delle risate a rimbalzare sulle pareti abbandonate.

Quanto diavolo gli mancava tutto quanto? La polena su cui si sistemava Rufy. Il giardino di mandarini di Nami. L'albero di vedetta di Usop. Persino il profumo che arrivava dalla cucina dove lavorava quello stupido cuoco. Lo studiolo dove Chopper lo rammendava. La biblioteca di Robin. La postazione di Franky e il suono del violino di uno scheletro.

La Sunny: l'unico vero luogo fisico (dopo la Merry) che aveva potuto chiamare casa, dopo tanto girovagare, senza meta, per l'East Blue. Gli indeboliva le ginocchia anche solo il pensiero di tornare a bordo di quella nave, assieme a tutti gli altri.

«Se mi dai un attimo ci penso io» si riscosse dai ricordi, distratto dalla voce della ragazzina che aveva parlato ambiguamente, riprendendo a fluttuare, per raccogliere qua e là vestiti ormai in disuso che Mihawk non avrebbe certo mai più voluto indietro.

«Ehi, non vorrai mica buttarli!» protestò Zoro, decidendo che dopotutto non poteva certo partire con la tuta maleodorante e irrigidita dal sangue rappreso di troppi scontri.

«Ho detto lasciami fare, fedifrago di uno spadaccino!» gli ringhiò contro, facendo sparire tutto ciò di cui si era circondato in quei mesi.

La ragazzina spettrale era sparita così come era comparsa, lasciandolo solo, in una stanza vuota.

«Che diavolo vuol dire fedifrago?»

 

Perona era tornata a sera inoltrata. Aveva mancato una cena a cui nemmeno Mihawk aveva partecipato. Non che gli importasse dei commiati, ma considerato che era l'ultima cena che avrebbe consumato al castello, una parte di sé quasi se l'aspettava. Invece aveva mangiato solo ed in silenzio. E si era trascinato di nuovo nella sua stanza, chiedendosi quale fosse la prassi per l'ultima sera come ospite.

La ragazzina lo fissava con l'espressione di chi sta aspettando un segno.

«Ti avevo detto di non entrare nella mia stanza senza permesso»

«Da domani non sarà più la tua stanza, perciò chi se ne frega!» gli fece una linguaccia, librandosi in volo, lasciando in bella vista un vestito, sistemato al bordo del letto.

«E quello cos'è?»

«Ti avevo detto che ci avrei pensato io. Cosa credi che abbia fatto per tutto il pomeriggio?»

«E io che diavolo ne so?»

Si avvicinò al materasso, trovando il suo haramaki fresco di bucato. I suoi vecchi pantaloni, rammentati e altrettanto profumati. Ai piedi del letto un paio di lucidi stivali di cuoio. Sul materasso quello che sembrava una versione moderna di un kimono tradizionale di colore verde scuro.

«Stoffa nera non ne ho trovata»

Zoro accarezzò con lo sguardo la composizione, senza trovare qualcosa di intelligente da dire.

«Lo hai fatto tu?»

«No, un Umandrillo. Certo che sono stata io!»

Fece schioccare la lingua e le elargì un'occhiata valutativa.

«Perché?»

Perona allargò le braccia sconcertata da tanta stupidità.

«Perché sì. Non potevi andartene in giro vestito come uno straccione.»

«E a te che importa?»

«Ma sei veramente cretino o cosa? Perché sei mio amico!»

Non l'aveva mai guardata davvero sotto quella prospettiva, quella lunga frequentazione di due anni.

Erano solo due individui che si erano ritrovati a occupare lo stesso luogo per cause di forza maggiore, non pensava che Perona lo considerasse un amico.

«È il mio regalo d'addio. Magari ti ricorderai di me, quando tornerai dal Capello di Paglia e il resto della ciurma.»

Si umettò le labbra, adesso davvero a corto di parole. Non era granché bravo con questo tipo di cose e di certo non avrebbe mai detto di poter stringere amicizia con una persona tanto diversa. Però poteva dire il contrario? Si era presa cura di lui, gli aveva tenuto compagnia, molto più di quanto non avesse fatto quell'eccentrico di Mihawk. E sebbene spesso non fossero stati esattamente sulla stessa lunghezza d'onda, bé, era stata pur sempre colei che gli aveva impedito di perdere il senno o l'uso della parola in quei due anni.

Introverso era e introverso sarebbe rimasto. Due interi anni di solitudine possono cambiare in peggio una persona. Perona aveva impedito che accadesse. Con le sue manie e stranezze e le sue chiacchiere.

«E tutti gli altri vestiti che fine hanno fatto?»

«Te ne importa davvero?» chiese lei, guardando fuori dalla finestra, eludendo la domanda.

«Grazie...» dichiarò infine, perché dopotutto era davvero l'unica cosa da dire. E nel bene o nel male, le sue labbra si piegarono in quello che sembrava un sorriso.

L'unico probabilmente che riservava a chiunque, da due anni.

«Ommioddio!» esclamò Perona, portandosi le mani alle labbra, scioccata, «ero convinta che non li avessi i muscoli facciali!»

«Ma che stai dicendo?!»

«Hai sorriso, oddio, hai sorriso!» giubilò, svolazzando a destra e a sinistra senza posa.

«Piantala!»

«Zoro sa sorridere!»

«Finiscila o ti faccio scendere a forza!» brandì minacciosamente una delle sue spade, sventolandola per aria, a rendere reale la sua minaccia.

Perona si elevò più in alto, rilasciando una risatina compiaciuta.

«Domattina all'alba. Fatti trovare pronto, spadaccino da strapazzo» disse, mirando alla porta, per lasciarlo finalmente solo.

Zoro posò la spada giusto il tempo per osservare di nuovo i vestiti, confezionati di fresco.

Gli piacevano, dopotutto. Un nuovo stile per affrontare il nuovo mondo. Gli sembrava appropriato, dacché non si sentiva più la stessa persona che era due anni prima. Era successo anche agli altri? Chissà come se l'erano cavata tutti quanti.

Diede un ultimo sguardo alla sua fredda, immensa stanza, prima di decidersi a prepararsi per la notte. La sua ultima notte.

 

Il mattino successivo era già fuori ad osservare le rovine di una città scomparsa, quando Perona lo raggiunse, con gli occhi cisposi di sonno.

Non aveva dormitò granché, non che fosse una novità, per lui, dormire poco la notte, ma l'eccitazione di quello che sarebbe arrivato, aveva ritardato il torpore notturno. Si era vestito con calma, si era rimirato allo specchio, facendo quasi fatica a riconoscersi. Sperò non desse la stessa impressione agli altri. Non voleva sembrare diverso da quella che era.

Mihawk li stava osservando solenne e silenzioso da una delle torri del palazzo. Gli parve di vedere una tazza di tè fra le sue mani, come a godersi lo spettacolo dalla sua posizione privilegiata.

Mentore e nemico giurato. Una combinazione del tutto singolare. Chissà che non si fosse tenuto qualcuno dei suoi segreti, in vista del loro prossimo incontro. Era certo che avrebbe comunque saputo giocare bene le sue carte.

«Sei in ritardo» Zoro apostrofò la ragazzina che stava sbadigliando in maniera piuttosto infantile.

«Guarda che ti lascio partire da solo!» si rianimò tutto d'un tratto questa, voltandosi solo per salutare Mihawk con un cenno dell'ombrello.

L'uomo si limitò a fissarli, posando la tazza sul davanzale.

«Mi auguro che tu abbia preso tutto quello che ti serve, Roronoa Zoro» la voce dell'invincibile spadaccino arrivò forte e amplificata dal silenzio di quell'ora del mattino.

Zoro picchiettò le sue tre spade, assicurate alla sua nuova fusciacca color del sangue.

«Tutto ciò di cui ho bisogno è qui» gli rispose.

E tutto quello che mi porto via non è materiale, avrebbe voluto aggiungere, ma ringraziarlo per i suoi allenamenti, per la maturazione come guerriero e individuo in quegli anni gli parve scontato, banale. E non era nemmeno convinto che per Mihawk si fosse trattato di puro altruismo, più una mera questione d'opportunità. Un modo come un altro per scacciare la noia e sperare in un interessante scontro futuro.

«E allora vattene. La prossima volta che ci rivedremo non sarò gentile»

Zoro sorrise di nuovo, per la seconda volta in due giorni, praticamente un record.

La prossima volta sarebbero stati rivali. Si augurò solo di essere pronto a tenergli testa per davvero.

Si rese conto che in fondo, forse, un po' gli sarebbe mancato quel posto. La sua atmosfera spettrale, le mefitiche e lugubri esalazioni, l'ambiente ostile. Un po' gli sarebbe mancata quella routine fatta di allenamenti e attese. Gli sarebbe mancata quell'improvvisata e strampalata famiglia temporanea.

Ma era giunto il momento di andarsene. Era giunto il momento di affrontare un nuovo capitolo. E di rinnovare la promessa fatta al suo Capitano. Le nuove avventure che li attendevano, fino alla fine del mondo.

Fece a Mihawk un solo un cenno col capo, che non era certo sarebbe stato ricambiato, prima di voltarsi e seguire la strada verso il porticciolo con il cuore colmo di emozione e...

Si sentì strattonare per un braccio.

«Guarda che stai andando dalla parte sbagliata, santa pazienza!»

… deciso ad affrontare il viaggio con rinnovato entusiasmo.

 

Volse la testa quando udì le grida selvagge dell'esiguo gruppo di Umandrilli rimasti a popolare l'isola. Fermi sulla linea dell'orizzonte, rivolgevano loro gesti di scherno. Gli parve di adocchiarne almeno un paio indossare degli abiti neri. Scoccò un'occhiata a Perona che evitò il suo sguardo.

«Hai regalato i miei vestiti a quelle bestiacce?»

«Non sono mai stati i tuoi vestiti», rispose lei, spintonandolo verso la loro imbarcazione.

La nebbia dell'isola sembrava diradarsi come a segnare il passaggio, in un muto arrivederci.

Adesso si sentiva davvero pronto.

E grazie al cielo non era stato costretto a indossare una camicia di raso.

 

Fine.

 

 

Nota:

L'ispirazione è arrivata da una fanart, trovata per caso in rete: i nuovi vestiti di Zoro stesi sul letto, la notte prima di ripartire per tornare alla Sunny, dopo due anni lontano dai suoi compagni. Ho immaginato la sua impazienza, al fatto che sia arrivato prima di tutti gli altri, ci ho rimuginato un po' su ed è uscita questa storia, scritta di getto. Primo esperimento con un Mugiwara nel reale contesto One Piece. Spero vi piaccia.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Sunnyfox