Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Greenleaf    31/10/2023    1 recensioni
Levi era spaparanzato sul divano quando suonarono alla porta. Non poteva immaginare di essere la vittima di una catastrofe.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman, Sasha Braus
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Dolcetto o scherzetto? Meglio il primo

Premetti la schiena contro il divano di pelle, afferrai il telecomando e schiacciai tutti i pulsanti per vedere qualche programma decente in TV. Ovviamente faceva tutto cagare, così, per tipo trenta secondi, adocchiai facce assurde o pubblicità snervanti che mi fecero salire l’omicidio. Era il mio giorno libero. Lavoravo come insegnante alla scuola elementare di Mitras, e finalmente potevo concedermi un po’ di pace. La mia personalissima idea di pace era: salotto pulito, bagno pulito, cucina pulita e un buon documentario da vedere. Ma qualcuno lassù in cielo non era del mio stesso parere, e non mi riferivo ai programmi schifosi in TV.

Ding Dong.

Serrai le palpebre come per nascondermi dai miei doveri.

Ding Dong.

Non funzionò, ovviamente. Così mi alzai e mi avvicinai alla porta. Dal vetro blu intravidi tante piccole sagome e sentii un vociare crescente. Per questo strinsi le palpebre riducendo gli occhi a due fessure.

Ding Dong. Ding Dong. Ding Dong.

"E che cazzo, arrivo." Abbassai la maniglia e spalancai la porta. Sul pianerottolo di casa mia, sopra lo zerbino con la scritta Welcome, c’erano undici mocciosi travestiti da… cosa cazzo avevano addosso? Se non fossero stati miei studenti, gli avrei sbattuto la porta in faccia e tanti saluti. Forse per questo continuai a fissarli.

Loro un po’ ansiosi risposero allo sguardo prima di riprendersi dal momento di shock e gridare in coro:

"Dolcetto o scherzetto?"

"Scherzetto o berretto?"

"Dolcetto o dolcetto?"

"Dolcetto o…"

"Cosa dovevamo dire?" Chiese Armin sistemandosi le orecchie finte sulla testa.

"Ragazzi è: dolcetto o scherzetto. Ve l’ho già spiegato quando abbiamo lasciato la casa del professor Erwin." Eren, con addosso una tutina imbottita per simulare dei muscoli rimbrottò il suo gruppetto. Respirai profondamente e li guardai con occhio clinico per capire la situazione: Annie era travestita da mietitore con tanto di falce, Reiner da una specie di gigante corazzato, Bertholdt aveva una tutina simile a quella di Eren con i muscoli rossi in bella vista. Mikasa era vestita da strega, Connie da scheletro, Jean da cavallo, Sasha da cappuccetto rosso, Christa da sposa cadavere, Ymir da ghostbuster e Armin… da gatto.

"Perché hai scelto quel costume da pidocchioso randagio?" Gli chiesi incrociando le braccia.

"Sono vestito come Doja Cat al Met gala."

"Chi?"

"Ma il Met gala mica fa paura!" Lo rimproverò Ymir, mano ai fianchi e manette finte che dondolavano dal suo polso.

"A me ha fatto troppa paura." Armin quando sbatté le palpebre sembrò sul serio un gattino indifeso.

 Santo cielo! Posai gli occhi su Sasha che si scaccolava e ripuliva le dita sul braccio di Jean.

"E che schifo, mi rovini il pelo. Lo stai facendo solo perché sei gelosa del mio costume visto che è il migliore."

"Ma se ti sei vestito da cavallo!" Lo schernì Eren.

"Non è vero, sono vestito da licantropo."

Si sollevò un Oh di sopresa e tutti i bambini fissarono Jean sotto un’altra luce. "Io credevo che fossi un cavallo." Spiegò Connie.

"Anch’io."

"Anch’io." Squittirono Christa e Reiner contemporaneamente.

Bè, anch’io. Ma ovviamente non fiatai o si sarebbero agitati così tanto da far precipitare a terra le caramelle custodite nelle loro zucche intagliate. Mi pizzicai il ponte del naso. "Andate a giocare da un’altra parte."

"Non siamo venuti qui per giocare professore. Siamo venuti per i dolci."

"Già, tira fuori i chupa chups." Ymir alzò un dito con espressione accusatoria, conquistandosi uno sguardo di trepidazione da parte di Christa.

"I dolci vi faranno venire le carie ai denti."

"E fanno male al pancino." Armin si massaggiò lo stomaco con due occhioni tristi. Mikasa fissò Eren che, a sua volta, mi guardava con aria di sfida.

"Dolcetto o scherzetto. Due sono le opzioni." La sua voce bassa risultò più come una minaccia che come una richiesta. Sollevai un sopracciglio. Niente male lo stronzetto.

"Eren, il professore Levi ha ragione. Hai la cagarella da quando hai iniziato a mangiare i dolcetti che ti ha dato Hanji."

Sul volto di Eren calò una maschera di vergogna. La sua pelle cambiò colore almeno tre volte in meno di sessanta secondi, da far invidia a un camaleonte. Dietro loro, gli altri bambini se la risero sotto i baffi. Specie Reiner che si era tappato la bocca per non sghignazzare.

"Ma stai zitta Mikasa," si scrollò dalla bambina con uno strattone e mosse un passo verso di me. "Ci dà i dolci: sì o no?"

Scossi la testa e dei ciuffi neri mi coprirono gli zigomi. "Che palle questi mocciosi."

"Oh! Il professore ha detto la parolaccia che inizia per P e finisce per E. E in mezzo ci sono le lettere: a-l-l. P-a-l-l-e.” Armin mi scoccò un rapido sguardo, come se gli avessi strappato il cesto di dolciumi dalle mani.

"Armin ha detto una parolaccia." Lo accusò Sasha.

"Non è così. Ho solo spiegato ciò che ha detto il professore."

"Non è vero, hai detto palle.” La gonnellina con le pieghette si agitò quando Sasha, con la fronte increspata, mosse un passo in avanti.

"Sasha ha detto palle.”

"Non è vero, sei stato tu a dire palle, Jean"

"Jean e Sasha hanno detto palle.” Si aggiunse al coro anche Connie. E quel ritornello proseguì incessantemente per i prossimi due minuti, minando alla mia pazienza già precaria.

"Basta. Via dalle scatole o domani vi farò fare quattro giri di campo."

"Ma…"

"Niente ma." Chiusi la porta in faccia agli undici ragazzini e, undici paia di occhi mi seguirono disperati fino a che, con uno scatto secco, serrai il passaggio. Tornai finalmente alla pace di casa mia. Immacolata casa mia.

"Già vi devo sopportare tutti i giorni, figuriamoci anche oggi che sto per i cazzi miei!" Superai l’entrata e i quadri che avevo appeso alle pareti. Diciamo che non avevo assai roba in giro, giusto lo stretto necessario per mantenere l’ambiente pulito: un comodo sofà di pelle, la televisione sopra un mobiletto con cinque cassetti, una cassapanca, un tavolino in vetro molto bello che avevo acquistato in un negozio d'antiquariato. Infondo all’angolo c'era un mini bar e la piccola cucina separata da un arco rivestito in pietra.

Tutto perfettamente igienizzato, ovviamente.

Mi accasciai ancora una volta sul divano, sentendomi risucchiato dai cuscini. Passai distrattamente le dita tra i capelli e, speranzoso, accesi la TV.

Tutto noioso.

Telegiornali. Pubblicità. Niente di interessante. Le mie dita continuarono a schiacciare i pulsanti di gomma per cambiare i canali.

Spostai gli occhi appena udii un crack sospetto.

Notai che la finestra che di solito lasciavo schiusa per far circolare l’aria, era completamente spalancata. Le tende erano incastrate all’asta di ottone e rischiarate dal sole pomeridiano.

"Chi riesce a saltare?"

"Vi siete travestiti da giganti e non riuscite nemmeno a entrare dentro una casa? Stupidi!" Una voce che pareva quella di Ymir rimproverò probabilmente gli altri mocciosi.

"Io ci riesco."

"Vai avanti tu, Jean."

"E allora spostati Eren."

"Non posso, altrimenti spacco il vaso di fiori; passami di fianco."

Ma che cazzo…

"Fammi da supporto con le mani."

"Come?"

"Incrociale."

"No. Sei grassottello come un cavallo, mi spezzerai le dita."

"Io sono un licantropo!"

"No, tu sei una mucca!"

"Non più un cavallo?"

"Sposatevi."

Annie, come in una scena di un film coreano, apparve sul mio davanzale. Perfettamente in piedi. Capelli sistemati in una crocchia e un lungo ciuffo a coprirle mezzo viso. Scivolò da lì con sinuosità, quasi fosse Mulan intenta a salvare la Cina dagli Unni. Atterrò sul pavimento e si guardò alle spalle.

"Entrate!" Porse la mano ai compagni e, uno a uno i mocciosi riempirono la cucina. Sembravano tantissimi nanetti da giardino. Entusiasti canticchiavano per il successo della loro missione, ignari di me. Mi ero alzato pronto per prenderli dalle orecchie e lanciarli via come dei sacchetti dell’immondizia.

"Che cavolo state combinando?" Sbottai.

Si voltarono con disinvoltura, ma erano troppo esilaranti per essere presi sul serio, con addosso quei costumi fosforescenti e le facce pitturate alla cazzo di cane.

"Poco fa lei ha scelto lo scherzetto, professore." Mi spiegò Eren.

Strinsi le palpebre. Quel ragionamento non era logico, perciò gli offrii lo sguardo più micidiale che mi uscii al momento. Senza risultati.

Erano ormai entrati tutti eccetto Reiner e Bertholdt.

Christa invece, con gli occhioni colmi di lacrime stile cartone animato, si teneva al telaio come se ne andasse della propria vita. La luce del giorno schiarii i contorni del suo corpicino minuto, regalandole l’aspetto di un angioletto.

"Io non ce la faccio a saltare." Frignò diventando tutta rossa.

Schiacciai una mano sugli occhi. Chi avrebbe dovuto risolvere la cosa? Già, io. Che palle!

Mi spostai e allungai le braccia per evitare che la mocciosa cadesse a faccia in giù sul pavimento, anche se Ymir mi spostò con una spinta e protese le braccia in avanti, facendo scivolare Christa sul suo petto. Stile Titanic, o film mielosi di quel genere.

"Mia dolce sposina, non piangere più." Magicamente la sposina smise di frignare e posò i piedini sporchi di fango sul mio pavimento. Sul mio pavimento appena lavato con il detersivo; e che cazzo!

Una vena pulsò sulla mia fronte. La percepivo, era pronta a esplodere.

"Ma davvero non hai dolci, prof?" Una manina mi agguantò i pantaloni e, oltre alle dita grassottelle vidi il visino speranzoso di Sasha e la sua coda che dondolava come quella di un cane.

"No. Via da qui. Immediatamente!" Con una falcata raggiunsi Eren. Lo afferrai sfidando i suoi occhioni verdi da volpe.

"E vabbè, che sarà mai, ce li facciamo noi i dolci. Vero ragazze?" Trotterellando come se fosse davvero nel bosco, cappuccetto rosso, alias Sasha, raggiunse a passo di danza i pensili e li aprì come se fosse a casa sua. Agguantò una ciotola, una padella, la teglia per le lasagne e il mattarello. "Annie, tu prendi le uova."

"Ricevuto." L’interpellata si spostò con aria strafottente.

"Cosa cucinate?"

"Niente." Fulminai Jean con lo sguardo, lasciandomi sfuggire Eren dalla mia presa.

"Io avrei bisogno della toilette. Continuate pure voi." Si premette le mani contro il sedere e sgattaiolò lungo il corridoio, guardandosi a destra e sinistra.

"Ma anch’io devo fare la pipì, Eren. Fammi andare per primo, altrimenti poi il bagno puzza."

"No Connie, lascialo andare. Sta male." Mikasa, come una fiera crocerossina, posò la mano sulla spalla di Connie e sgusciò in avanti per raggiungere il suo Eren.

"Va a cagare fuori." Avevo la bocca secca per via del nervoso.

"Me la sto facendo nel salotto!" Mi spiegò con una faccia che non prometteva nulla di buono.

Le sopracciglia mi schizzarono fino all’attaccatura dei capelli.

Sasha con la gonnellina svolazzante, più simile a un tutù di danza che a un costume di Halloween, trascinò una sedia vicino al piano cottura. Ci salì sopra, con le suole sporche. Rovesciò il latte nella ciotola che aveva recuperato.

"Aspetta, facciamo un tik tok." Propose Ymir armeggiando con il suo smartphone.

"Si. Io amo tik tok." Christa ondeggiò pimpante con le treccine che le colpivano la schiena e gli occhioni spalancanti, azzurrissimi. Bambine di quanto? Nove anni? Iniziarono a twerkare così bene da far impallidire le migliori spogliarelliste dei nightclub qua in zona. E io ero con la bocca schiusa, non potendo credere che i mocciosetti ai tempi d’oggi fossero veramente in quel modo.

"Hey guys, benvenuti nella mia cucina." Sasha posizionò lo smartphone sulla mia cucina e mostrò il contenuto dentro la ciotola. "Oggi vi preparerò una ricetta che andrà sicuramente virale."

Di virale c’era solo la sporcizia ammassata sul mio splendido parquet; i germi sulle scarpe dei mocciosi, l’impasto che cappuccetto rosso stava lavorando con le mani imbrattate di terriccio. Ripresomi dallo shock, mi voltai e trovai Armin appiccicato alla piccola credenza. Aveva appena preso una tazza di porcellana bianca e blu, con un bellissimo disegno al centro e la stava porgendo a Connie che…

ASPETTAUNCAZZODIMOMENTO.

"Rimettiti immediatamente i pantaloni, Connie." Come un lupo affamato mi avvicinai ai bambini che ovviamente mi fissarono sbalorditi.

"E che devo proprio farla da qualche parte." Si tenne il piccolo bruchetto che aveva in mezzo alle gambe e, la sua pipì sciabordò dentro la tazza preziosissima che avevo ottenuto a un’asta in Inghilterra. Era una tazza da tè inglese e, adesso tracimò di piscio del mio allievo.

Come se nulla fosse, dalle sue labbra proruppe un bel Ah di soddisfazione. Prese la tazza dalle dita di Armin e me la porse. "La butto dentro il lavandino?"

Digrignai i denti. Se una sola goccia di quella schifezza fosse finita sul lavandino dove lavavo i piatti, lo avrei ammazzato. Sarei stato arrestato in seguito, ma con mio grande piacere. "Se osi te la faccio bere."

La minaccia funzionò. I due mocciosi impallidirono.

"Prof! Prof!" Squittì Sasha scivolando dalla sedia. Le mani impiastrate da una pastella giallognola. Studiò pensierosa il bordo della mia camicia e si asciugò lì, passando il tessuto tra le piccole dita. "Non è che per caso ha la fiamma ossidrica?"

Come no. Ma anche una cazzo di bomba a mano, così casa mia sarebbe stata disintegrata all’atto.

"Adesso basta. Non vi voglio più vedere." Mi chinai per afferrare la bimbetta dagli occhi color cioccolato, ma Annie, di cui mi ero scordato, tirò il mio braccio.

"Sono d’accordo con lei." Assottigliò le palpebre e mi condusse al centro del salotto, trascinandosi dietro Connie e Armin. Un po’ stupito la fissai, ma non dissi nulla. Quella bambina sembrava ragionare. Stava conducendo i mocciosi fuori dalle scatole, senza che io li prendessi a calci in culo. Forse stavolta sarei riuscito veramente a rilassarmi.

Aprì la porta e invece di spingere i suoi amici, mi tirò un calcio da vera esperta ninja, facendomi finire fuori, sul pianerottolo.

"Reiner, Bertholdt avete chiamato tutti gli altri bambini?"

L’intera classe giaceva sul cancello di casa mia. Venti bambini vestiti da mostriciattoli, con dei ceri dentro le fottute zucche arancioni. Riconobbi Marco, Falco, Gabi, Porco e gli altri.

"La festa ha inizio!" Esclamò Reiner e tutti insieme urlarono e corsero dentro casa mia. Io ero troppo meravigliato per poter fare qualcosa contro un esercito di bambini urlanti. Mi alzai, cercai di acciuffarli, ma riuscii a pescare solo un cappello da strega con le stelline argentate.

"Cazzo!" Esclamai guardando dentro casa, tra tutte le teste minuscole che c’erano.

La piccola Sasha si fece largo in mezzo alla folla e uscì fuori con il telefono custodito nelle manine. Si fermò vicino a me, puntò la fotocamera sulla mia faccia e schiacciò un pulsante, immortalandomi in una foto.

"Questa la posto su insta." Strillò smanettando sulla tastiera. "Mai lasciare i bimbi senza dolcetti il giorno di Halloween." Ripeté le parole mentre le incideva sullo schermo.

Già, sarebbe stata una lezione per i futuri anni.

 

N.D.A.

Ok, sono fuori di testa ma non potevo fare a meno di scriverla. Spero vi sia piaciuta e che non abbiate avuto una giornataccia come quella di Levi xD

Alla prossima<3
   
 
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