Evil within
C’era una storia che gli ronzava in testa, quella mattina, da quando si era reso conto che Tiziano non si era presentato a lavoro.
A dire il vero ci era voluto un bel po’ perché qualcuno si accorgesse effettivamente della sua assenza. Nei primi minuti, a ridosso della campana di inizio turno, nessuno ci aveva fatto caso: ancora assorti nei propri pensieri di prima mattina, fiaccati dal sonno non del tutto smaltito, era difficile guardare cosa c’era intorno.
Quasi un’ora dopo, il capo del personale era piombato in ufficio chiedendo spiegazioni.
All’inizio avevano pensato ad un semplice ritardo. Messaggi e chiamate si susseguirono nella mezz’ora successiva. Non era ammissibile che un dipendente si assentasse da lavoro senza una valida giustificazione. E soprattutto, non solo non si era fatto vedere, ma non aveva nemmeno avvisato nessuno.
Perché anche se fosse successo qualcosa, qualcuno doveva saperlo.
E se fosse davvero successo qualcosa? Si era chiesto Leo, mentre osservava il capo reparto borbottare contro il telefono che non stava riportando risposte da Tiziano.
La questione fu chiusa a metà mattina con la promessa di un richiamo per assenza ingiustificata. Per Leo, che aveva assistito alla scena, anche troppo rapidamente.
Perché le domande erano diventate troppe per essere lasciate senza risposta. Perché anche Leo aveva provato a scrivergli, ma come aveva immaginato, l’esito non era stato differente.
E soprattutto perché a Leo non era sfuggito l’atteggiamento di Tiziano nell’ultima settimana.
Che non stesse passando un periodo semplice era piuttosto chiaro, per chi avesse voluto guardare. C’era ma era come se non ci fosse. Era come se a presentarsi in azienda fosse una controfigura di facciata, uno stuntman messo lì come un fantoccio, ad emulare solo la superficie della persona.
Aveva sempre lo sguardo basso e triste, quasi avesse paura di guardare in faccia la gente, oppure di farsi guardare. Ad una domanda corrispondeva una risposta masticata e ancor più confusionaria. Andava avanti per stimoli e per inerzia. Se c’era da fare qualcosa che gli piaceva, la faceva volentieri. Altrimenti, tanto valeva coinvolgere qualcun altro.
Leo aveva provato a tenerlo d’occhio nell’ultimo periodo. Quell’atteggiamento lo aveva prima incuriosito, poi insospettito, e infine, da quella mattina, preoccupato.
C’era ancora quella storia che gli ronzava in testa. Da quando Tiziano gliene aveva parlato, sentiva che prima o poi qualcosa sarebbe tornato a bussare.
E quel qualcosa era esattamente ciò a cui stava pensando Leo quella sera, mentre guidava per tornare a casa.
***
Tiziano si era confidato con lui un tardo pomeriggio di un paio di settimana prima, quando si erano incontrati nel parcheggio, alla fine del turno, e ad attenderli c’era già il buio.
Già dall’inizio si era rivelato un momento particolare. Infatti mentre raggiungevano le proprie auto, una pattuglia dei carabinieri li aveva affiancati per un controllo documenti. La zona non era delle più tranquille e non era la prima volta che accadeva.
Ovviamente era tutto ok, ma quei minuti di pressione avevano contribuito ad abbattere la luce negli occhi di Tiziano.
- Tutto a posto, Tizi? - gli aveva domandato.
- No, Leo, no. - aveva risposto immediatamente, con dolorosa sincerità.
- E’ per loro? - alludendo ancora alla pattuglia dei carabinieri, ormai ripartita e lontana.
- No, figurati... E’ che sto male. -
Quella frase aveva lasciato Leo senza parole. Come poteva o doveva reagire al sentirsi dire all’improvviso una cosa del genere?
- Non so come fare, non so che cosa fare. - Tiziano aveva ripreso, in realtà senza nemmeno guardarlo. In quel preciso momento, se Leo non fosse stato lì, probabilmente Tiziano avrebbe continuato a parlare anche da solo.
Leo aveva aggrottato la fronte, mentre l’altro continuava a camminare a capo chino. - Che è successo? -
Tiziano aveva atteso di aver raggiunto le macchine, per rispondere. Aveva infine scelto una parola. Una sola, perché non ne servivano altre. - Manuela. -
Leo aveva già preso le chiavi dell’auto dalla tasca. Si era seduto sul cofano e si era messo a giocarci con le dita. La sensazione era che non se ne sarebbe andato tanto presto.
- Amo quella ragazza. - aveva esordito nuovamente Tiziano, piegando la bocca in un triste sorrisetto. - La amo davvero. Sono stato davvero fortunato a trovare una come lei. E’ stato un colpo di fulmine, oltre che di fortuna. In mezzo al gruppo di amici con cui uscivamo, a un certo punto c’era solo lei. Mi ha fatto impazzire, Leo. All’inizio siamo usciti insieme un sacco di volte, tutte ravvicinate, praticamente tutti i giorni. Hai presente quando non restavo a fare straordinari? Ecco, andavo da lei. E’ la persona con cui sono stato meglio da sempre. -
Leo aveva annuito. Non poteva esprimersi di più, dato che non conosceva di persona Manuela. Aveva visto alcune foto sui social di Tiziano, perciò doveva fidarsi di quelle per capire come la coppia stesse molto bene insieme.
- Ricordi quando, tempo fa, ti ho chiesto consigli sul mutuo? -
Leo aveva annuito di nuovo.
- Stavamo pensando di andare a vivere insieme, e di prendere una casa tutta per noi. -
- Davvero? - aveva esclamato Leo con aria abbastanza stupita. - Ma scusa, da quant’è che state insieme? -
- Un po’ più di un anno. E dirai “è presto”. Lo so, il tempo non è molto. Ma il tempo non c’entra niente. Siamo sempre stati così bene insieme che abbiamo bruciato tutte le tappe. Poi, fortunatamente, è entrato in gioco suo padre. Lei è di famiglia benestante, il padre è un pezzo grosso. Ci ha dato un’enorme mano. Dato che io, con lo stipendio che ho, riuscivo a fare da garante solo fino a una certa cifra, ha deciso di accollarsi lui il mutuo. L’ha fatto a nome di Manuela, ma in pratica lo paga lui. Abbiamo preso proprio un bell’appartamento. -
Arrivato a quel punto, la voce aveva iniziato a cambiare. A incrinarsi come un vetro colpito dalla grandine. Le iridi castane di Tiziano, anche al buio, stavano tremando.
- E io non so come siamo arrivati a questo punto. Non so che diavolo è successo, come o perché. Non riesco a spiegarmelo. Non lo capisco, giuro. Non so che cosa ci sia stato di sbagliato. -
Si era fermato un attimo per bere un sorso d’acqua. Lo aveva fatto con rabbia, quasi a volersela rifare con la bottiglietta.
- Ho parlato con Irene, una decina di giorni fa. Non ci volevo credere... -
- Chi è Irene? - aveva domandato Leo, confuso.
- E’ un’amica di entrambi, è sempre uscita con noi e con il gruppo. Ha voluto essere sincera con tutti e due. Ma mi sono rifiutato di ascoltarla. Sono tornato a casa e sono andato avanti, come se non mi avesse detto niente. -
Leo lo fissava sempre più scuro in volto. Tiziano stava combattendo con tutte le forze il groppo che aveva in gola, pur di continuare a parlare.
- Irene mi ha detto che Manuela si stava vedendo con un altro. -
Leo aveva sentito schizzare il sopracciglio destro verso l’alto, colto di sorpresa. - Sul serio? - gli era sfuggito il commento.
- Mi ero rifiutato di crederci, era impossibile. - aveva ripetuto. - Fino all’altro pomeriggio. Non ero a lavoro, ero fuori per un’altra faccenda, e mi arriva un messaggio da Irene. Non ascoltare chi ti dice una cosa è un conto. Ma vederla per iscritto, è un altro.
“Ora è con lui a casa vostra”.
C’era scritto nel messaggio di Irene. “Mi dispiace”, c’era scritto invece nel secondo, poco dopo. Te li farei vedere, Leo, ma li ho cancellati. Facevano troppo male, soprattutto perché la cosa cominciava a sembrare vera. -
Aveva estratto per un istante lo smartphone dalla tasca, per poi rimetterlo via subito. Un altro gesto che sembrava voler alleviare lo stress. Adesso faceva davvero fatica a parlare.
- Allora sono corso a casa. C’era la macchina di Manuela. E una Ford grigia. Conoscevo quella macchina, Leo. La conoscevo, cazzo. Non ci volevo credere. Era Filippo, un altro del nostro gruppo. Che cazzo stava succedendo? Li ho visti dalla finestra. Erano insieme. Non ci ho capito più niente. Sarei potuto entrare in casa e fare una scenata, ma non ce l’ho fatta. Mi sembrava di impazzire. Sono tornato alla macchina e me ne sono andato. E so cosa stai pensando. Stai pensando che sono stato un coglione a non fare nulla, a lasciarli lì. Ma non sapevo davvero che fare. Mi sono sentito come sotto a un treno.
Poi però ci ho ripensato e sono tornato indietro. Ho aspettato che lui se ne andasse. Ho aspettato che Manuela fosse rimasta da sola. Ho visto quella cazzo di Ford grigia ripartire da casa mia.
Avevo le chiavi, ma ho suonato il campanello. Non mi ha risposto subito, Manuela. Ha risposto dopo un po’. Quando ha aperto la porta, non si aspettava di vedermi lì.
A quel punto anche l’ultima resistenza, che mi faceva tenere tutto dentro, era crollata. Non sono più riuscito a stare zitto. Le ho detto che sapevo tutto, che avevo anche visto Filippo poco prima. E soprattutto le ho chiesto perché.
Lei ha cominciato ad urlare, gli occhi le stavano prendendo fuoco mentre i miei si stavano sbriciolando in cenere. Ha urlato qualcosa sul fatto che non le davo e non le potevo dare quello di cui aveva bisogno. Ma ero talmente fuori di me che non ricordo nemmeno bene che cosa mi abbia detto.
Ha iniziato a piovere a dirotto. Le ho chiesto di farmi entrare. Ero fradicio. Le ho chiesto di farmi entrare, così potevamo parlare con calma. Ma lei non ha voluto. Mi ha fatto rimanere fuori dalla porta, sotto l’acqua, mentre continuava a gridarmi contro.
Non la riconoscevo più. Non era la stessa ragazza con cui ero stato fino al giorno prima. Non riuscivo a capire che cosa potesse essere successo.
Ho provato ad insistere. Le ho chiesto di farmi entrare, così potevamo parlarne, senza che ci sentissero tutti i vicini. Ma lei continuava a dire di no. Era un no categorico. Non voleva farmi rientrare in casa mia.
Siamo andati avanti… siamo andati avanti per quasi un’ora.
Alla fine me ne sono andato io. Sono risalito in macchina e ho guidato per un po’. Ero stanco morto, bagnato fradicio. Stavo impazzendo dal freddo. Non sapevo dove andare. Mi sono fermato fuori da un parco. Era buio. Stavo morendo dal freddo. Non avevo neanche niente da mettermi addosso. Avevo solo la maglietta, ed era bagnata fradicia.
Ho passato la notte… ho passato la notte in macchina. Non so nemmeno se ho dormito, o se sono rimasto sveglio. Non mi ricordo altro, Leo. Non mi ricordo altro. Ho passato la notte in macchina, ma non mi ricordo altro. -
***
Diverse volte si era domandato che cosa avesse spinto Tiziano ad aprirsi con lui, in quell’occasione. E se lo stava domandando anche quella sera, mentre era al volante verso casa, dopo essere stato a cena fuori.
Non poteva dire che avessero chissà quale rapporto di amicizia. Lavoravano per la stessa azienda da quasi 5 anni, seppur in reparti diversi. Era capitato che si interfacciassero, quando avevano affrontato gli stessi progetti. Si erano scambiati opinioni, e in alcuni casi, condiviso aneddoti. Tutto sommato si erano sempre trovati bene, ma esclusivamente a lavoro. Al di fuori, vivevano due vite separate. Erano usciti insieme una sola volta, ed era per un evento legato all’azienda. Per il resto, ognuno aveva le proprie amicizie e il proprio gruppo con cui uscire. Mai avevano raggiunto un tale livello di confidenza.
Quella storia, però, sentiva che li aveva avvicinati.
Di Tiziano, Leo conosceva più cose di quanto lui stesso immaginasse.
Tiziano era un bravo ragazzo. Volenteroso, sempre pronto a dare una mano. Aveva spirito d’iniziativa e voglia di risolvere i problemi. A volte anche troppo, e finiva per valicare limiti che non gli competevano. Per questo, gli scontri con i superiori non erano mai mancati.
Leo sospirò ridendo, mentre percorreva l’ultimo chilometro che gli mancava per raggiungere casa.
Da oggi, alla lunga lista, avrebbe aggiunto anche un richiamo per assenza ingiustificata.
E mentre i responsabili avevano derubricato il tutto dopo poche ore, lui aveva provato a contattare Tiziano anche durante il resto del giorno. Inutilmente. Quel silenzio assoluto lo preoccupava un po’.
E se avesse avuto davvero a che fare con quello che gli aveva raccontato?
Non riusciva a non pensarci, arrivato al parcheggio ai piedi del complesso che conteneva il suo appartamento. Scese dall’auto e si incamminò su per le scale esterne che portavano al primo piano.
Aveva superato l’ultimo scalino, quando il telefono prese a squillargli in tasca. Sembrava uno scherzo.
Tiziano.
Per quanto fosse tardi, si sentì quantomeno sollevato che si stesse facendo vivo.
Ma appena girato l’angolo che portava alla fila di porte del primo piano, tra cui la sua, si arrestò, impietrito. E con in mano ancora il telefono che squillava, capì che non c’era più bisogno di rispondere.
Era già lì per Tiziano. O meglio, Tiziano era già lì per lui.
Lo vide seduto per terra, con la schiena contro la porta e le gambe distese in avanti. Aveva le palpebre socchiuse, e teneva lo smartphone con entrambe le mani in una debole stretta.
Quando Leo riagganciò, da lontano poté vedere tutta la delusione sulla faccia di Tiziano. La delusione di chi non riesce ad ottenere risposta ad una chiamata importante, di chi crede di essere evitato, di essere rimasto solo, e di non poter ottenere più nulla. Adesso aveva gli occhi chiusi, le braccia crollate in mezzo alle gambe e il capo chino che scuoteva stancamente.
- Tizi. -
Alla voce di Leo, ebbe un sussulto e si voltò lentamente. Aveva l’aria distrutta e lo fissava con sguardo spento e vitreo. Aveva gli occhi arrossati e lucidi, e non solo perché si vedeva che aveva pianto molto. Probabilmente aveva esagerato anche con qualcos’altro.
Leo gli si accovacciò di fianco. - Che ci fai qui? -
Tiziano riportò lo sguardo di fronte a sé, sempre nel nulla, e affidò la risposta ad una strana risata. Un filo di risata, che sembrava voler mascherare tutti i singhiozzi.
Leo gli mise una mano sulla spalla. - Vieni dentro, ci prendiamo un caffè. -
***
Una coperta sulle spalle, un comodo divano e una tazza di caffè fumante restituirono a Tiziano la capacità di parlare.
Teneva gli occhi semichiusi, e si sentiva che la voce, ancora un po’ confusa e impastata, si portava dietro un gran peso. Forse tutto il peso che non riusciva a tenere sulle spalle.
- Mi dispiace, Leo. - sussurrò infine, sotto lo sguardo attento dell’altro.
- Per cosa? -
- Per esserti piombato in casa così. Ma non sapevo dove andare. Non sapevo da chi andare. -
Seduto al tavolo alle spalle del divano, Leo pensò che un sorriso potesse servire a qualcosa. - Grazie, eh. -
Tiziano in qualche modo si accorse della gaffe. - No, nel senso… non potevo ripresentarmi così da chi… da chi mi aveva già visto in queste condizioni. Non potevo tornare dagli altri, che sanno cos’è successo. Anche loro sono amici di Manuela, e non avrei ottenuto niente. -
Leo aveva aggrottato la fronte, data la fatica che faceva a seguirlo. - Poi sei riuscito a riparlare con lei? -
L’altro scosse lentamente il capo. - Quando sono tornato il giorno dopo, ho scoperto che aveva già fatto cambiare la serratura. E’ stata velocissima. Le chiavi che avevo non servivano più a nulla. Gliele ho lanciate nel giardino e l’ho lasciate lì. Erano inutili. -
Per quanto sembrasse ancora debole, la presa intorno alla tazza si fece più serrata. E Leo se ne accorse.
- Le ho scritto dei messaggi, li leggeva ma non ha mai risposto. Ho provato a chiamarla, ma continuava a squillare a vuoto. Sono sicuro che vedesse che ero io. Un paio di sere dopo, sono tornato lì, quando doveva aver già staccato da lavoro. Infatti era lì, solo che c’era anche Filippo con lei. Mi hanno sbraitato contro, mi hanno ordinato di andarmene. Per poco non mi facevo mettere le mani addosso. -
Leo trasse un lungo sospiro. Nonostante tutto, faticava ancora a trovare anche solo uno spiraglio per poterlo aiutare. Sentiva di avere le mani piuttosto legate.
Si domandava ancora che cosa avesse spinto Tiziano a presentarsi a casa sua, quella sera. Si lasciò andare allora ad una riflessione ad alta voce. - Ma che cazzo è successo, Tizi? Insomma, perché Manuela ha fatto tutto questo casino? Che è successo tra voi? Perché qualcosa dev’essere successo, qualcosa che non mi hai ancora raccontato. Da un giorno all’altro ti tradisce, non sai da quanto, e senza nemmeno dare una spiegazione? -
Tiziano buttò giù un groppo alla gola e posò la tazza sul tavolo. - Non ce l’ho una spiegazione. -
- Davvero? - insistette, spingendo forse anche più del dovuto.
- Non ho una spiegazione. - ripeté Tiziano con la voce roca.
- Ma i tuoi amici, almeno? Hanno provato a parlare con lei, a darti una mano? -
E fu a quel punto, al sottolineare la parola tradimento, a menzionare chi non c’era, a cercare un senso a tutto quanto, che vide Tiziano crollare definitivamente. Sotterrato da una slavina di rabbia, ansie e dolori, per i quali non riuscì più a trattenere le lacrime.
- Non ho fatto niente… non ho una spiegazione… non ho nessuno… non ho più un cazzo, Leo! - urlò tanto da far sobbalzare anche l’altro. - So che mi manca da impazzire, anche se non dovrebbe, anche se sta con un altro e mi ha cacciato via di casa. Io non ci sto capendo più niente! I miei amici sono anche amici di Manuela, e stanno dalla sua parte. Non ho idea del perché. Non posso chiedere aiuto a nessuno. Con me fanno finta di nulla, e lei invece la trattano come se non avesse fatto niente di male. Sono spariti tutti, anche quelli su cui credevo di poter contare. Non me lo merito, Leo. -
Sì interruppe per passarsi una mano sul petto, che gli stava martellando all’impazzata. - E non ho più una casa, lo sai? Non posso più entrare da Manuela, ma anche se lo facessi, potrebbe tranquillamente chiamare la polizia. Quella non è casa mia. Non c’è il mio nome da nessuna parte. La casa è intestata a lei, il mutuo è intestato a lei e il garante è suo padre. Che cazzo di fregatura, eh? Non mi dovevo preoccupare, pensava lui ai soldi e a tutto quanto. E guarda com’è andata. Sono finito per strada. Sono dovuto tornare a vivere coi miei, perché non ho un posto dove stare. All’inizio non avevo il coraggio di chiederglielo, mi vergognavo troppo. Ma mi hanno riaccolto, senza neanche farmi troppe domande. Sono a quasi 40 km da lavoro tutti i giorni e non ho altra scelta, te ne rendi conto? Che cazzo faccio? -
Leo lo osservava attonito, conscio che una tempesta del genere non si sarebbe placata facilmente, e che la situazione era molto più complicata del previsto. Anche Tiziano si era voltato a guardarlo, ma era di nuovo quello sguardo spento che aveva sul pianerottolo. C’era veramente poco da dire, e ogni parola che Leo avrebbe potuto tirare fuori, rischiava di avere un peso tale da frantumare anche le ultime fragilità di Tiziano.
Tiziano che nel frattempo cercava di riprendere fiato, asciugandosi gli occhi con la manica della maglia.
Anche il tono della voce era calato, rassegnato, come se non avesse più nessuno contro cui gridare. - Non ho neanche le mie cose. Non ho un soldo e quello che avevo, è rimasto a casa di Manuela. Ero tornato per chiederle di farmi riprendere almeno le mie cose, ma non voleva né parlarmi né ascoltarmi. Quando ha minacciato di lanciarle dalla finestra, ho pensato che fosse meglio lasciarle lì, per il momento. Sarei tornato un’altra volta, ma non ce l’ho fatta. Non ce la faccio, Leo. Non ce la faccio a tornare lì di nuovo e vederla magari con Filippo, che mi urla contro, che mi manda a fanculo e che butta via tutto quello che avevamo insieme. -
- Lasci tutto lì, allora? - gli domandò Leo, più che altro per interrompere il soliloquio.
Tiziano fece un lieve cenno con la testa. - Ho chiesto a mio fratello di andare da lei. Non sapevo a chi altro rivolgermi. Però anche lui lavora, e sta abbastanza lontano. E’ un casino anche per lui. Mi ha detto che appena ha una serata libera, ci va. Dovrebbe andarci dopodomani. Spero non gli facciano troppe storie. Mi dispiace un sacco coinvolgerlo. A dire il vero, mi preoccupo anche per lui e per come lo possono trattare, o per quello che può trovare. -
- Ma perché non vai con lui? Andate insieme, così hai un appoggio e ti senti più tranquillo. Magari se non sei da solo, hai modo di riuscire a parlare con lei. -
Tiziano chinò lo sguardo. - Te l’ho detto, non ce la faccio. Vorrei, ma non riesco a togliermi questa cosa dalla testa. Mi fa troppo male. -
Leo continuava a fissarlo assorto. In casa sua, e davanti ad un racconto tanto disperato, si sentiva in dovere di aiutare, o almeno cercare un modo per farlo. Era tutto tranne che facile, però. Era come se gli mancasse una leva da azionare, data la sua estraneità ai fatti e nei confronti di praticamente tutti i soggetti nella vita di Tiziano. A un certo punto, ebbe la sensazione di sentirsi quasi un intruso, in tutto questo. Ma ciò che c’era in ballo era troppo, per poter essere vissuto con distacco.
- Fammi sapere come va. Se hai bisogno di un’altra mano, chiamami. - gli propose infine, pensando di fare la cosa giusta. In realtà, nel profondo dei suoi pensieri, non sapeva nemmeno come avrebbe potuto dargliela, quella mano.
Tiziano annuì, poco convinto, forse per la stanchezza, forse per effettiva poca fiducia.
Leo se ne accorse, e le domande che si faceva dall’inizio tornarono a punzecchiarlo. Lo facevano in silenzio, ma lo facevano. C’era una linea di demarcazione molto labile, che si sfocava sempre più, via via che la storia di Tiziano andava avanti. C’era qualcosa in tutto questo che non gli tornava, eppure non riusciva ancora a mettere a fuoco cosa. Per il momento, poteva solo ascoltare e attendere.
- Vuoi restare qui stasera? Ti eviti il viaggio di ritorno. - gli domandò Leo. Era buio da un pezzo, e lo aveva visto molto stanco e provato. Sapeva quanti chilometri avrebbe dovuto fare per rientrare a casa, e sapeva anche che lo stato in cui era non poteva essere solo stanchezza.
Tiziano scosse il capo. - No, va bene così, tranquillo. -
- Sicuro? -
- Sicuro. Grazie di tutto, Leo, e scusa se ti ho disturbato stasera. - gli sussurrò Tiziano fissandolo negli occhi.
Era uno sguardo strano quello che Leo stava osservando. Quelle scuse sembravano un’ammissione di colpa che non c’era, e non ce n’era neanche il motivo. Gli occhi di Tiziano non erano soltanto lì, ma anche da tante altre parti. E non avevano ancora abbandonato quell’ombra che avevano fuori dal pianerottolo, quando lo aveva trovato raggomitolato su se stesso.
La notte era ancora giovane, pensò.
- Fai attenzione, mi raccomando. - fu l’ultima cosa che si sentì di dirgli.
Non poté fare a meno di pensare e ripensare al suo stesso avvertimento, mentre lasciava che Tiziano uscisse dal suo appartamento per immergersi nel buio di una notte che sarebbe stata lunghissima.
Il tormento doveva avere tanti volti per Tiziano, non solo quello di Manuela. E quei volti lo avrebbero inseguito per tutta la notte.
Leo si accasciò sul divano, preda anche lui della stanchezza. Per l’ennesima volta, si ritrovò a domandarsi come fosse finito in quella storia, quale fosse il suo ruolo, cosa si aspettasse Tiziano da lui.
Perché nonostante tutto, non era affatto sicuro di averlo aiutato.
***
Tentò di tutto, ma non riuscì a prendere sonno. Continuava a vedere l’ora sulla sveglia sul comodino, sempre più stanco e con la testa sempre più pesante.
Si alzò dal letto quando erano da poco passate le 4. Troppo tardi per sperare di dormire abbastanza, e troppo presto per poter cominciare una nuova giornata. A lavoro avrebbe avuto un aspetto orribile e lo sapeva.
Quella storia in cui era finito a fare la comparsa, come in un film, lo stava disturbando più di quanto avesse previsto. Faceva fatica a lasciarsela scivolare addosso anche se a conti fatti non c’entrava niente con lui. A un certo punto, c’entrava poco anche Tiziano con lui. Lo aveva messo al corrente di tutto, eppure non gli aveva chiesto niente, se non un po’ di ascolto. Lui stesso era stato in grado di offrire molto poco a Tiziano, se non una solidarietà a tratti vuota e futile.
C’era qualcosa in quella vicenda però che non lo faceva stare tranquillo. E probabilmente, affidando il ragionamento ad una mente assonnata, era proprio la presenza di Tiziano. Non era sicuro che, se ci fosse stato un altro al posto suo, ci avrebbe rimuginato così tanto lo stesso.
Quella non era una storia da bar, raccontata davanti a una birra e passata come un qualsiasi aneddoto. Era una storia che nascondeva dei rischi e dei pericoli, specialmente per Tiziano.
Perché non era il cuore l’unica cosa di Tiziano che era andata in frantumi. C’era anche un lato oscuro in lui.
Le voci di corridoio purtroppo erano difficili da controllare, e qualche collega dalla bocca larga aveva il vizio di far trapelare informazioni che, in teoria, avrebbero dovuto rimanere nell’intimità dei fatti personali. Leo ne era venuto a conoscenza così, e ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Tiziano era un ragazzo problematico. Era un ragazzo che aveva scelto la strada più tortuosa per vivere. Che aveva ceduto troppe volte alle tentazioni e non aveva mai trovato la forza o lo spirito per sfuggirvi.
Conviveva con una dipendenza che lo metteva costantemente nei guai, che spesso mascherava dietro a bugie troppo facili da scoprire. E in alcuni casi, i segni che portava sul corpo erano ancora più difficili da nascondere.
Eppure andava avanti lo stesso, come se la qualità della sua vita non fosse intaccata da quegli stupefacenti.
Ora però c’era qualcosa di diverso. I demoni si erano annidati nei suoi angoli più bui, gli stavano urlando contro e si stavano moltiplicando a vista d’occhio. O quantomeno, alla vista degli altri, per quello che aveva notato Leo. Era estremamente difficile capire cosa stesse succedendo nella testa di Tiziano, adesso.
Ripensò al giorno appena terminato, nel quale non si era presentato a lavoro. Era sparito da tutti i radar per poi riapparire fuori da casa sua, in uno stato evidentemente alterato. Chissà se c’era qualcuno che sapeva cosa avesse fatto o dove fosse stato. Si rese conto, in quel momento, si essersi dimenticato di fargli quella domanda.
E per istinto, mentre osservava dalla finestra la città che ancora attendeva l’alba, gli venne da chiedersi dove potesse trovarsi Tiziano in quel momento. Se al caldo della casa dei suoi genitori, o se da qualche altra parte dove non poteva essere trovato.
Prese in mano lo smartphone, con l’intenzione di far partire una telefonata, ma cambiò idea subito dopo. E si maledì per non averci pensato prima, e per averlo lasciato andare forse troppo facilmente.
Ecco, ora si domandava seriamente se e cosa avrebbe potuto realmente fare per lui. Socchiuse gli occhi, con la fronte contro il vetro.
“Cerca di non fare niente di stupido.”, augurò a lui, e a se stesso.
***
La mattina dopo non lo vide arrivare a lavoro.
Prevedibile, visto com’era andata la sera prima. Leo aveva due occhiaie pesantissime per la mancanza di sonno, ma era comunque andato e cercava di cavarsela in qualche modo. Aveva immaginato però che per Tiziano sarebbe stato diverso. Gli scrisse un messaggio a metà mattinata, senza ricevere né risposta né lettura.
Non lo vide la mattina successiva. In azienda non ne sapevano di più. Evidentemente preferiva stare per i fatti suoi. Pensò che finalmente stesse sfruttando il suo tempo per qualcosa di utile.
Non lo vide il terzo giorno. Avrebbe voluto sapere se stava succedendo qualcosa di nuovo. Chissà se era riuscito a rivedere Manuela, a parlarci, o ad ottenere qualcosa da riportare a casa.
Nessuno aveva sentito niente. Nessuno faceva domande. Non era un argomento di interesse generale.
Lo divenne quella sera, quando la notizia cominciò a circolare e a squarciare i telefoni di tutti. Partì la corsa ai messaggi per chiedere se fosse vero. Purtroppo lo era.
Si parlava di un ragazzo che non tornava a casa da 4 giorni, dei suoi genitori che ne avevano denunciato la scomparsa, dei suoi amici, o presunti tali, che non lo sentivano da quasi una settimana. Avevano rintracciato la macchina fuori da un parco, non troppo lontano dalla casa in cui abitava con l’ormai ex fidanzata.
E ai margini di quel parco, nella radura, avevano ritrovato anche lui. Raggomitolato ai piedi di un albero, nascosto abbastanza da sfuggire ad un occhio disattento. Vicino a lui, per terra, lo smartphone ormai scarico e una bottiglia senza etichetta praticamente vuota. I vestiti erano sporchi di fango e vomito, e le foglie gli si erano attaccate persino sulle guance.
Non c’era scritto per quanto tempo fosse rimasto lì. Tanti altri dettagli, così come altre cose rinvenute insieme a lui, erano stati lasciati nell’oscuro.
Non lo avrebbe più visto. L’ultima sarebbe stata quella foto, scelta dal sito web che riportò l’accaduto, che almeno lo mostrava ancora sorridente.
***
Intorno alle 11 del mattino, Leo si ritrovò con dei colleghi fuori dalla chiesa.
Non c’erano tutti. Evidentemente, per alcuni, ciò che era successo non doveva essere degno di una presenza. Se gli avessero chiesto qualcosa il giorno dopo, avrebbero sicuramente bofonchiato che non se l’erano sentita. E a volerle notare, spiccavano anche le assenze di alcune figure di alto rango dell’azienda. Difficile discutere sull’interesse o sul criterio di ognuno, in un’occasione del genere.
Tra chi c’era, si vedevano tanti vestiti neri e occhiali scuri. Leo invece si era presentato senza preoccuparsi di colori o consuetudini. Si sentiva già abbastanza a disagio, per mettersi anche a rovistare nell’armadio a caccia di una giacca che non avrebbe trovato.
Teneva le mani strette in tasca, mentre osservava il parcheggio completamente pieno, con alcune macchine lasciate persino sulla strada. I genitori di Tiziano avevano scelto la chiesa più vicina a casa loro, e nonostante i quasi 40 km, probabilmente vi si erano recate più persone di quanto avessero immaginato.
Quei 40 km… ecco un’altra scusa da usare per non essere andati.
Leo rimase in disparte per tutta la durata della funzione. Non partecipò alle preghiere, alla comunione, alle strette di mano, ai saluti ai parenti. Tra le tante lacrime versate, non c’erano le sue. Lui le tenne tutte dentro, mentre con fatica ghiacciava il cuore nei confronti di ciò che aveva intorno. Non pronunciò una sola parola.
Fu uno dei primi ad uscire dalla chiesa. Nel piazzale, guardò scorrere il fiume di gente a lui estranea.
Poi, mentre il carro attendeva per il carico della bara, la vide. Nonostante i grandi occhiali da sole che le coprivano buona parte della faccia, pensò di averla riconosciuta. Non l’aveva mai incontrata di persona, perciò dovette fidarsi della sua memoria e delle foto. E sperò di non sbagliarsi.
Manuela.
Vicino a lei c’era un gruppetto di ragazze, evidentemente le sue amiche. Al suo fianco, un ragazzo alto e dal fisico asciutto ma prestante, le stava tenendo il braccio attorno alla vita. Quello doveva essere Filippo.
Le amiche stavano chiacchierando, mentre lei e Filippo erano rivolti verso il carro col portellone aperto.
L’istinto gli suggerì di andarle incontro. Una parte di lui, invece, continuava a ripetergli che non avrebbe dovuto, che non erano affari suoi.
Era vero, non erano affari suoi. Ma per qualche velenoso gioco del destino, lo erano diventati, e ora meritavano una conclusione migliore. Scelse di seguire l’istinto.
Gli sembrava strano vederla così, come una vedova inconsolabile, anzi, consolata da un altro. Non avrebbero dovuto essere affari suoi, ma ormai era troppo tardi. Magari sarebbe riuscito a mettere una toppa da qualche parte.
Avevano molto di cui parlare. Di quello che era accaduto tra lei e Tiziano, di quello che dopo era successo a Tiziano, del perché non gli avesse concesso possibilità di appello, o della crudeltà con cui aveva trattato un ragazzo disperato e in cerca di una seconda occasione. L’avrebbe messa di fronte alla verità che Tiziano aveva fatto quello che aveva fatto per causa sua.
Quando Leo si fermò a pochi passi, lei si accorse di essere osservata. In mezzo a tutto e tutti, e attraverso gli occhiali da sole di lei, si stavano scrutando come in un duello nel Vecchio West.
Solo che il caduto c’era già stato. E stava uscendo in quel momento dalla chiesa, chiuso in una bara lucida.
Si voltarono tutti rapidamente in quella direzione, verso la processione che portava al carro. Il dolore dei cari era straziante. Una vita che passava davanti agli occhi.
Quello fu abbastanza, per Leo.
Che cosa poteva ottenere di più? Anzi, aveva davvero pensato di ottenere qualcosa? Così come lui si era domandato tante, troppe volte perché Tiziano lo avesse coinvolto in quella storia, perché Manuela avrebbe dovuto accettare domande, o peggio ancora giudizi, da uno che non aveva idea di chi fosse?
La storia di Tiziano non avrebbe avvicinato tutte le persone, e il fatto che lui ne fosse a conoscenza non cambiava il finale. Tiziano non sarebbe tornato.
Fece un passo indietro, sempre sotto lo sguardo incuriosito di Manuela, e mentre anche Filippo si accorgeva di lui.
Sapeva di aver avuto la sua attenzione, ciò che Tiziano non era riuscito ad ottenere. Ma non aveva il diritto di andare oltre.
Con le mani in tasca e stretto nel giacchetto, chinò il capo e, dopo un ultimo sguardo a Manuela, scelse di abbandonare il campo. Poté chiaramente sentire alle sue spalle Filippo che chiedeva alla ragazza “chi era quello?”, e lei che gli rispondeva sinceramente confusa: “non lo so”.
Esatto, non lo poteva sapere. Anche lui avrebbe potuto non sapere tante cose, ma non era così che era andata.
***
Mille domande gli tempestavano la mente, durante il viaggio di ritorno. Nello stomaco gli frullavano tutte le immagini dei giorni precedenti. L’ultimo incontro con Tiziano, la sera in cui lo aveva lasciato andare, ignorando, forse, quella sensazione che non lo aveva fatto dormire la notte.
Stava odiando quella situazione.
- Perché lo hai fatto, Tizi? - sussurrò con un filo di voce, quasi rabbioso, e lo sguardo fisso sulla strada.
Questo lo sapeva solo lui. Impossibile anche solo immaginare che cosa gli fosse passato per la testa, in quei suoi ultimi istanti trascorsi ai piedi di quell’albero, per terra, al buio e da solo.
In una mente poco lucida e compromessa dalle sostanze, il dolore doveva essere stato talmente insopportabile e più forte della voglia di rimanere in piedi.
Parlare con Manuela non sarebbe servito a niente. Sì, avrebbe sfogato dei pensieri, ma lo avrebbe fatto solo per egoismo, per placare una malsana curiosità, per avere delle spiegazioni. Per riempire quei passaggi mancanti del racconto di Tiziano, destinati ormai a rimanere dei capitoli vuoti. E non era giusto andare a caccia da lei.
Niente di tutto ciò che era successo era giusto. Perché se ci fosse stata anche solo una cosa giusta, Tiziano non avrebbe dovuto portare quel peso, e non avrebbe finito per cedere un’ultima volta ai suoi demoni.
Rientrato a casa, Leo si ritrovò a fissare il soffitto. Non ne aveva ancora parlato con nessuno. Non sapeva che dire, non trovava un senso, anche se magari non stava a lui trovarlo. Però gli dava il disgusto, gli metteva paura, gli toglieva fiducia. Non era la sua storia, eppure continuava a sentirsela sulla pelle.
Dannazione, quanto era ingiusto. Così come lo era quel senso di colpa che stava provando, e che addossava anche a Manuela, a Filippo, ai suoi amici, ai colleghi e ai superiori, o a tutti quelli che gli erano stati intorno.
Non era giusto neanche dare la colpa a Tiziano. Non era colpa di nessuno.
Forse non era giusto neanche farsi certe domande. Era estremamente sfocata, quasi invisibile, la linea che indicava dove finivano le responsabilità di uno e cominciavano quelle di un altro. Ognuno avrebbe raccontato a se stesso quello che gli pareva, e ne avrebbe tratto le proprie verità.
Nel tempo Leo si era interrogato sul suo ruolo, ma forse valeva lo stesso anche per quello degli altri. Tutti avrebbero potuto avere una parte e fare di più, compreso Tiziano. A quel punto sarebbero rimasti soltanto dei “se” e dei “ma” che non avrebbero portato più niente a nessuno. Non era più nemmeno così sicuro che Tiziano lo avesse voluto davvero, il suo aiuto.
“Si poteva evitare?”
Ecco, questo probabilmente non lo avrebbe mai saputo nessuno.
Ma se l’ultima domanda era se, quella notte, quando ce n’era stato bisogno, lo avesse veramente aiutato, allora la sua risposta l’aveva trovata.
No, non lo aveva fatto.