Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldcatepf98    09/11/2023    1 recensioni
[SPOILER sul finale del manga - JeanKasa (JeanxMikasa) - fortemente ispirato da Piccole donne]
Rose e peonie sono due fiori affascinanti che hanno finito col simboleggiare l'amore, ma solo uno dei due ferisce chi lo tocca.
In definitiva sono, semplicemente, due fiori diversi. Non si può stabilire quale sia più bello, solo quale fa meno male.
Mikasa, tornata a Paradise dopo il boato della terra, lascia che la vita le scorra davanti senza prenderne le redini, lacerata dalla perdita di Eren. Messa davanti a nuovi stimoli si chiede: è amore quello che può provare senza di lui?
Genere: Hurt/Comfort, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Armin Arlart, Conny Springer, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SPOILERONI SUL FINALE A SEGUIRE, non leggete la one-shot se non siete in pari!
 
Disclaimer: la storia è fortemente ispirata a Piccole Donne, in particolare al film, e a questo disegno di Taru_dabbles su Instagram. Ovviamente tutto ciò che leggerete sono miei headcanon su Jean e Mikasa, so questo essere uno scenario preso e ripreso tante volte ma ho voluto inserirmi anche io nel coro e dare una mia prospettiva alla loro probabile (mai confermata) relazione.
Viste le aggiunte dell’anime al finale, ho dovuto cambiare e aggiustare alcune cose, ho comunque tenuto conto del panel nel manga in cui Levi è con Onyankopon nella sua nazione, quindi ho fatto “un mix” tra le cose. Ho eliminato la scena del gabbiano e della sciarpa perché gli eventi narrati si svolgono un anno dopo il boato, spero me lo perdonerete (anche se comunque è forse l’unica scena che non ho apprezzato a fondo del finale, quindi è probabile che avessi un desiderio recondito di eliminarla, non odiatemi ahahah).
La storia è uno slice of life (molto alla Orgoglio e pregiudizio, lo aggiungo post-scrittum, niente azione e sangue, mi dispiace!), come specificato nelle caratteristiche della storia, e chi mi ha già letta in passato saprà quanto mi trovi meglio a raccontare slow-burn, ergo troverete scene non solo riguardanti Jean e Mikasa, ma anche tutta la combriccola (eh sì, anche Levi, ma su di lui apro una piccola parentesi alla fine) + è venuta fuori chiaramente un po’ lunga per farvi “immergere” nella vicenda.
Buona lettura!
 

Parte 1: Un posto che possa chiamare casa

 
Vista dalla collina, la pianura non le era parsa più sconfinata prima di allora. I confini delle mura erano ancora visibili, segnati dalle macerie delle case di poveri innocenti che quel giorno avevano perso la loro casa, i lavori di bonifica e ricostruzione procedevano lentamente ma a distanza di un anno erano ormai a un buon punto.
Mikasa abbassò lo sguardo sulla sua gonna rosso scuro, macchiata da piccole e deformi macchie di luce dei raggi solari, che penetravano dalla grossa chioma dell’albero sotto cui era seduta. Da settimane sentiva una strana sensazione al petto, una pesantezza che dapprima le era parso come un leggero fastidio, ma che col tempo si era acuito fino a sembrarle un macigno. Non era dolore. Quello aveva riempito le sue giornate per un anno intero, avrebbe saputo riconoscerlo.
Era una sensazione completamente nuova. Apatia.
Non sentiva nulla: non piangeva, non sorrideva, a volte le sembrava di non riuscire a sentire nemmeno il calore sulla sua pelle. Fece un respiro profondo e non le sembrò né che i suoi polmoni si fossero riempiti né di sentire, come in passato, l’odore dei fiori di campo, fino ad un anno prima uno dei suoi preferiti. 
Accettò l’invito di Armin a raggiungerla al porto senza pensarci molto, senza considerare l’idea davvero allettante. Decise di andarci quasi per inerzia. I suoi amici erano rimasti sul continente per più di un anno e approfittavano del discorso che avrebbero dovuto tenere a Paradise per portare anche una nave carica di macchinari provenienti dalla nazione di Onyankopon, una delle poche scampate al massacro e in cui il volontario e Levi si erano rifugiati.
Sul treno verso il porto, Mikasa non fece altro che guardare fuori dal finestrino il paesaggio che cambiava e si modificava sotto i numerosi ed incessanti cantieri. Parevano spuntare come funghi, un’invasione di case e palazzi che riempivano di vita quei territori brulli e incolti. Quando arrivò al molo, ebbe la sensazione di essere in un posto totalmente nuovo: ci era stata appena un anno prima e stupidamente si era aspettata di trovare i segni della loro battaglia contro di Yeageristi. 
La stazione era ricolma non solo di Eldiani, ma soprattutto di persone provenienti dalla nazione di Onyankopon che si dirigevano alla piattaforma per salire sul treno che li avrebbe portati in città. Uscì dalla stazione e si parò gli occhi dal sole caldo e accecante del mezzogiorno, la banchina era pulita e affollata di operatori portuali e persone appena sbarcate, da una parte del molo erano attraccate le navi dei pescatori, dall’altra grosse navi da crociera e da guerra. Mikasa mise sulla testa il cappello dalla larga visiera che si era portata, strinse sotto l’ascella la piccola borsetta con lo stretto necessario e iniziò a camminare verso le navi da crociera.
Il profumo pungente della salsedine e il verso stridulo dei gabbiani la riportarono indietro nel tempo, a ricordi piacevoli ma che non teneva a riportare alla luce. Si concentrò sulle mattonelle grigie e le punte dei suoi stivaletti che spuntavano oltre la gonna ad ogni passo e si sorprese come quanto poco quei ricordi la facessero soffrire, avvolta da quell’apatia stringente com’era, il dolore le sembrava un eco lontano.
- Mikasa!
La ragazza alzò lo sguardo e incrociò quello caldo e solare di Connie che sventolava il braccio per aria.
- Mikasa! Sei arrivata finalmente! – Connie corse verso di lei, mentre a lei spuntava un placido sorriso sulle labbra. 
- Connie, da quanto tempo. – gli rispose, l’amico le aveva afferrato le braccia e la fissava raggiante – Mi fa piacere vederti.
- Ciao Mikasa. – Jean era spuntato dietro di lui, non sprizzava di gioia, ma sembrava altrettanto sorpreso di vedere Mikasa.
- Ciao Jean.
Il ragazzo rimase un momento in silenzio, era molto tempo che non la vedeva e si prese un momento per guardarla, colpito dalla sua bellezza. Quindi si schiarì la voce e si voltò verso una nave.
- Armin ci sta aspettando, dovremmo… incamminarci.
Connie e Mikasa si avviarono dietro Jean, mentre le spiegavano che loro erano arrivati una settimana prima sull’isola per riposare e preparare l’arrivo di Onyankopon. Camminarono fino a quando non si fermarono alla poppa aperta di una nave da cui gli operai stavano facendo scivolare enormi carichi lungo una passerella, giù sulla banchina. Un clacson suonò due volte e li fece girare in direzione di una macchina col tettuccio abbassato, parcheggiata poco lontano: Armin era alla guida e si stava sporgendo oltre lo sportello, accanto a lui, fuori dalla vettura, Onyankopon teneva i manici di una sedia a rotelle su cui era seduto il capitano Levi che si era girato appena verso di loro.
I tre si avvicinarono e Armin, rimasto dentro la macchina, sorrise raggiante.
- Mikasa! Che bello vederti!
Onyankopon salutò tutti con un largo sorriso, mentre Levi si limitò a osservarli, dedicando una lunga occhiata a Mikasa che, quasi a sentire il gelo del suo sguardo, si rivolse a lui.
- Capitano Levi, la trovo bene.
- Tch, non c’è più bisogno che mi lecchiate il culo.
Connie e Jean trattennero un risolino, Connie poi disse all’altro sottovoce: - Ha il suo buonumore di sempre.
A quanto pare non lo disse abbastanza piano da non farsi sentire dal capitano che lo fulminò con lo sguardo, Armin prese subito la parola.
- Bene, quindi è deciso, ci vedremo di nuovo a pranzo. – disse riferendosi ad Onyankopon.
- Oh, sì, credo…
- Ve lo scordate. – gli interruppe Levi perentorio.
Jean, Connie e Mikasa guardarono gli altri interrogativi, quindi Armin tentò di spiegare loro di cosa stessero parlando.
- Ho proposto al capitano Levi di andar-
- Vuole farmi ricoverare come un inutile relitto.
Armin fece una faccia sconsolata: - Non la metterei in questi termini…
- Tch.
Onyankopon sorrise: - Armin ci ha proposto di far visitare il capitano alla clinica nella nuova città qui sul mare, ha un occhio particolare per i reduci di guerra.
Armin annuì: - La dottoressa caporeparto è tra le migliori che abbia mai conosciuto, potrebbe migliorare di molto la qualità di vita del capitano.
Levi si sollevò dalla sedia a rotelle facendo peso con le braccia, Onyankopon, sorpreso, si accostò per aiutarlo e non appena lo fece, Levi lo spinse per allontanarlo, ma quando barcollò su un lato il suo orgoglio cedette e si tenne all’avambraccio che il suo accompagnatore gli aveva offerto. Onyankopon poi, con un sorriso condiscendente, gli passò la stampella che aveva lasciato incastrata nella sedia a rotelle. 
Non appena Levi riuscì a rimanere in piedi da solo, Armin sorrise e si risedette composto al volante: - A meno che, capitano, non preferisce venire con noi in macchina.
Il viso di Levi fu attraversato da puro orrore: - Venderò cara la pelle prima di fare una stronzata del genere. Ci vediamo a pranzo. – si voltò e iniziò a camminare in direzione della stazione, Onyankopon guardò Armin raggiante e alzò i pollici in segno di vittoria, poi prese la sedia a rotelle e seguì l’altro a ruota.
Jean saltò sul veicolo dal lato del passeggero: - Come al solito sei molto convincente, ma ti vedo comunque abbastanza pensieroso.
Armin aprì lo sportello, scese e tirò avanti il suo sedile per far sedere Connie e Mikasa su quelli posteriori: - Beh, è vero che quella clinica è tra le più avanzate sull’isola, ma la dottoressa di cui vi parlavo… come dire… ha un carattere particolare. Non sono sicuro andrà molto d’accordo col capitano, insomma, l’avete visto.
Connie si spaparanzò sul sedile: - Il capitano non le manda a dire, questo è sicuro. Anche con lui ci vuole pazienza.
Jean si voltò: - Senti chi parla! Quando ti ci metti sei una vera spina nel fianco, per non parlare delle cose che combinavi quando eravamo soldati!
- Chi ha avuto un calcio dal capitano tra noi due? Eh, Jean-bo?!
Armin si risedette e si voltò per calmarli.
- Se ci fosse un premio per l’idiota più… – Jean si bloccò improvvisamente quando notò che Mikasa, seduta dietro di lui, aveva portato una mano sulla bocca per trattenersi dal ridere. A ruota lo seguì Armin che la guardò stupito e per ultimo si unì anche Connie che smise di parlare sopra Jean. Quest’ultimo arrossì e, lasciato senza parole, abbassò il cappello più in basso sulla fronte e si rimise composto, dando le spalle a Mikasa: - Direi che abbiamo perso abbastanza tempo in chiacchiere…
Partirono poco dopo, Armin guidava ad una velocità sostenuta, la brezza era fresca ma piacevole sotto il calore del sole, il paesaggio che cambiava veloce attorno a loro tenne tutti con gli occhi incollati sul panorama e in un silenzio confortevole. Mikasa poggiò la guancia sul dorso della mano che teneva sullo sportello, anche se quella gita la faceva sentire meglio non riusciva a liberarsi di quella sensazione pesante nel petto.
Arrivati ad un’altura di una piccola foresta, Armin fermò la macchina e invitò gli altri a sedersi alle radici di un albero di pioppo.
Connie appena si sedette si stiracchiò: - Mi stavo per addormentare. Hai preso seriamente le lezioni di guida di Onyankopon, Armin.
- Non impegnarmi a dovere mi sarebbe sembrato poco rispettoso verso di lui.
L’altro sorrise: - Il solito! – quindi presero a parlare fittamente delle auto e dei progetti in cui erano stati coinvolti per l’aiuto dei rifugiati, Mikasa, seppure poco coinvolta, si sentiva comunque a casa sentendo le loro voci, indubbiamente la faceva sentire meglio: rimase semplicemente a godersi il momento osservando l’orizzonte.
- Vuoi? – la voce di Jean le arrivò all’orecchio quasi come un sussurro. Lei abbassò lo sguardo su di un fazzoletto candido che teneva aperto nella mano: dentro vi erano dei biscotti alla cannella.
I miei preferiti, pensò lei.
Mikasa annuì e ne prese uno, non appena lo morse il sapore dolce e la consistenza fragrante furono così intensi che non potette trattenersi, le caddero le spalle, prima irrigidite. Era da così tanto che il cibo non aveva sapore, che quel biscotto le parve essere la cosa più buona che avesse mai mangiato.
- È buonissimo.
- Non fare complimenti, – le posò il fazzoletto in una mano – mangiane quanti ne vuoi.
- No. – lei fece per restituirle i biscotti – Sono tuoi. Sarà stato difficile trovarne di così buoni.
- È una fortuna allora che sia proprio io a farli.
Lei si voltò a guardarlo sorpresa, le ci volle qualche secondo per ricordarsi che lui in effetti era un ottimo cuoco. Abbassò lo sguardo sui biscotti e ne prese un altro.
- Sei davvero bravo.
Lui si grattò la nuca: - Possono fartene quanti ne vuoi. – sgranò gli occhi e aggiunse subito – Sai, non so darmi una misura e ad ogni infornata ne faccio sempre troppi.
Mikasa si pulì un angolo della bocca dalle briciole: - Come?
- Sai, non è facile, esagero sempre perché…
- No. Come faresti a darmeli? Dopo questa visita dovrete ripartire presto.
- Oh. Giusto, come potevi saperlo… – lei lo guardò interrogativa – Ho preso una casa nella nuova città sul mare, quella in cui Levi e Onyankopon sono stamattina.
Jean si fermò per guardarla e si rese conto che lei era in attesa che le raccontasse altro. Trovò davvero molto triste il fatto che pensasse a lei della sua vita non interessasse poi così tanto. Era un pensiero triste, perché la riduceva al sentimento che provava per lei, quando in realtà, lui lo sapeva bene, anche se non era ricambiato, Mikasa era dotata di mille splendide sfaccettature. Era affezionata ai suoi amici e coraggiosa e se non lo amava non significava che non volesse saperne niente di lui: questo doveva ripeterselo spesso perché l’amore che provava riusciva a renderlo illogico, tanto da pensare che alla sua amica, che aveva sacrificato l’amore della sua vita anche per lui, non importasse nulla degli altri.
- Tornerò qui spesso, qui è rimasta mia madre che voglio tornare a trovare, ovviamente. Ad ogni modo… – Mikasa gli offrì un biscotto che lui prese e spezzò in due metà – Ho sempre voluto creare un posto che possa chiamare casa.
Non seppe spiegarsi il perché, ma Mikasa sentì un tonfo al cuore.
- Non che quella dove sono cresciuto non lo sia, però vorrei crearne una tutta mia. Mi piace l’idea di un posto dove possa tornare quando voglio. E che sia vicina al porto, per le partenze. – scosse la testa – Scusami, ti avrò annoiata.
- No, assolutamente. Non sapevo aveste intenzione di rimanere. Sarà bello avere degli amici sull’isola.
- Già. Mikasa… – la ragazza alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di Jean – Non… Non vorremmo che tu rimanessi sola. Per qualsiasi cosa noi ci siamo per te.
- Non sarà così. – Mikasa piegò il fazzoletto ormai vuoto e glielo restituì – Verrò a chiederti altri biscotti allora.
Jean arrossì leggermente, quindi si voltò. Avrebbe tanto voluto nascondere meglio il suo interesse per lei, ma trovava la cosa di una difficoltà tale da essere imbarazzante.
- Sì, beh, la casa non è ancora pronta, ma nel frattempo Historia mi lascia usare uno studio per dipingere… se vuoi venire a vedere…
- Oh sì! – Connie, appena finito il discorso con Armin, aveva sentito le ultime parole di Jean e si era inserito sporgendosi oltre la sua spalla per guardare l’amica – Devi assolutamente venire a vedere i quadri di Jean!
Anche Armin si sporse oltre Connie: - È così bravo che anche Historia gli ha commissionato un dipinto.
- Non sono certo propenso a nascondere la mia bravura, ma tutti questi complimenti da voi due mi sembrano una presa in giro!
- Effettivamente a volte devi stare attento a concentrarti più sul dipinto che sul tuo aspetto per non farlo venire male… – lo stuzzicò Connie.
- Ci risiamo, non ti stanchi mai di fare il cretino?! – l’espressione annoiata di Jean virò subito ad un sogghigno – E poi se pensi che sia più bello di te basta semplicemente ammetterlo.
I due continuarono a bisticciare anche quando salirono in macchina per tornare al molo, in direzione del ristorante dove si erano dati appuntamento con Levi e Onyankopon. Questo, diede modo a Mikasa durante il viaggio di ritorno di riflettere sulle parole di Jean. L’avevano colpita in maniera particolare, prima di allora non aveva mai avuto modo di riflettere sulla sua vita, c’era solo stato spazio per la perdita. Quello che voleva Jean era qualcosa che tutti desiderano e lui si stava impegnando per ottenerlo, certo, pensò, per lui deve essere più facile perché non ha perso l’unica persona che reputava “casa”. Ma ci pensò ancora più attentamente e si chiese se costruirne una tutta nuova per sé stessa fosse possibile e arrivò alla conclusione che probabilmente lo era.
Quella fu la prima volta che Mikasa prese in considerazione l’idea di avere un futuro, la prima volta che considerò allettante l’idea di andare avanti e tutte le nuove prospettive che le si paravano davanti.

 

Parte 2: Sentimenti vecchi e nuovi

 
Rinunciare ad Eren era stato difficile ma necessario, quando pensava fosse morto durante la battaglia di Trost, Mikasa si era lasciata andare, ma subito dopo aveva trovato quella sua decisione stupida e insensata. Indipendentemente da quello che Eren avrebbe voluto o meno, non poteva ignorare quanto il mondo, per quanto crudele, fosse meraviglioso.
In quell’ultimo anno non era riuscita a trovare ragioni per credere a quanto aveva sempre ripetuto a sé stessa e ad Eren, ma quando poi Jean e gli altri erano tornati nella sua vita qualcosa era cambiato e dentro di lei era nato il vorace desiderio di provare qualcosa. Avrebbe dovuto capire di dover stare attenta a non inghiottire tutto e tutti con esso.
Armin, dopo aver tenuto un discorso nel nuovo parlamento monarchico istituito da Historia, era tornato sul continente con Connie, preoccupandosi di portare i nuovi accordi ai governi delle nazioni rimaste e ai rifugiati, mentre Jean era rimasto a Paradise per poter stare ancora con sua madre e seguire gli ultimi lavori della sua nuova casa. Mikasa, ora sempre in contatto coi suoi amici, era ancora confusa da tutti questi nuovi stimoli e non riusciva a visualizzare con chiarezza cosa volesse veramente, sentiva solo il disperato bisogno di soddisfare quel desiderio di lasciarsi alle spalle l’apatia pressante.
Decise di andare a trovare Jean al suo studio in città, credendo che parlargli l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee come l’ultima volta. Prima di raggiungere la città vicino il molo si erano scambiati delle brevi lettere le settimane precedenti, lui le aveva inviato dei biscotti alla cannella e le aveva raccontato di come anche Levi ed Onyankopon erano rimasti sull’isola per seguire la cura che la dottoressa della clinica aveva consigliato al capitano. 
Al pranzo di qualche settimana prima alle domande dei suoi ex-sottoposti Levi si era mostrato titubante, molto seccato dal comportamento della dottoressa, ma non aveva rifiutato categoricamente le sue cure, un atteggiamento che aveva fatto ben sperare Onyankopon. Infatti alla fine erano rimasti e Jean le aveva accennato nelle sue lettere che tutto procedeva bene con le sue cure e che, anzi, aveva trovato il capitano in condizioni nettamente migliori. Condizioni che poi Mikasa potette constatare personalmente.
Non appena arrivò in città, prima di raggiungere lo studio, decise di passeggiare per le vie della nuova città trovandola non solo molto più all’avanguardia rispetto a Trost, dove viveva ancora in uno degli appartamenti militari, ma anche piena di cantieri e negozi che vendevano articoli di ogni genere che prima non aveva mai visto se non a Liberio. Tutto era così nuovo e sfavillante che persino alcuni tratti di marciapiede erano ancora in costruzione, la stessa parola “marciapiede” era nuova per lei visto che solo da poco tempo avevano iniziato a girare per l’isola le prime macchine.
Stava per attraversare la strada per raggiungere lo studio di Jean, soddisfatta del suo giro di esplorazione, quando le sembrò di vedere qualcosa oltre la vetrina di un fioraio alle sue spalle. Strabuzzò gli occhi e le parve di non aver visto bene, ma lui era proprio lì, in carne ed ossa: il capitano Levi, in piedi sulle proprie gambe con l’aiuto di una stampella, era all’interno del negozio e pareva stesse scegliendo attentamente dei fiori.
Mikasa entrò e gli si avvicinò. Quando lui la vide, si limitò a dedicarle solo una breve occhiata prima di tornare a tastare i fiori davanti a sé.
- Sono in pensione, eppure continuo ad avervi sempre tra i piedi.
- Capitano Levi. Che ci fa qui?
- Che ti sembra? Compro fiori.
Mikasa guardò i grossi fiori rosa che stava accarezzando: - È molto bello questo.
- È una peonia. – la corresse subito – La rosa senza spine. Simboleggia l’amore.
Detto a quel modo non trasmetteva certo quello di cui parlava, pensò lei divertita. Nonostante ciò, neanche il suo di tono lasciava tradire alcuna emozione.
- Non la credevo un appassionato di fiori.
Levi espirò: - Infatti. Sono qui per prendere della lavanda. – mise la mano in tasca – Mi aiuta a dormire.
Rimase in silenzio, quasi fosse un’ammissione di colpe, ma Mikasa pensò stesse solo aspettando che lei parlasse.
- Capisco. Ha già visto lo studio di Jean?
- Sì. – una commessa si avvicinò a loro e richiamò l’attenzione di Levi.
- Ecco a lei la sua lavanda signore!
- Grazie. – rispose lui porgendole il denaro e prendendo la busta in cartone.
- Grazie a lei! – la ragazza poi si rivolse a Mikasa – Desidera?
L’altra si aspettava che Levi la salutasse e andasse via ma, stranamente, si limitò ad allontanarsi e rimanere nei paraggi.
- Ehm, io veramente… – disse dubbiosa, poi si bloccò – Un mazzo di fiori per favore. Misto.
La commessa sorrise: - Subito!
Non appena ebbe pagato, Mikasa salutò Levi che fece altrettanto con un cenno, quando uscì gli dedicò un’ultima occhiata e notò non solo stesse ancora nel negozio ma che chiedeva dell’altro.
Quando Jean aprì la porta rimase a bocca aperta: i capelli di Mikasa neri e lucenti erano cresciuti ancora e lei li aveva raccolti in una coda bassa da cui sfuggivano dei ciuffi che le incorniciavano il viso roseo e liscio, la camicia sblusata in cotone che indossava pareva esserle stata cucita addosso e il mazzo di fiori che teneva tra le braccia le facevano risaltare ancora di più i suoi colori freddi, come fosse uscita da un dipinto perfettamente bilanciato nel contrasto. L’unico dettaglio che stonava era la sciarpa rossa logora e consumata, ma Jean non gliel’avrebbe mai recriminata.
Il ragazzo batté le palpebre e si fece da parte per farla entrare: - Mikasa! Grazie per essere venuta!
Lei entrò e si guardò attorno, curiosa. La stanza era piena di piante e statue, oltre che tele bianche poggiate sulle pareti, dipinti appesi e tavolini ricolmi di tavolozze e pennelli. Il soffitto alto più di due metri e le finestre lunghe e a lancia da cui entrava la luce fredda del mattino la lasciarono ammaliata.
- Vuoi del tè? – disse Jean, chiudendo la porta.
Mikasa si voltò verso di lui e gli porse il mazzo di fiori: - Per i tuoi dipinti.
Lui rimase sorpreso, ma poi prese il regalo con un largo sorriso: - Ti ringrazio. – si diresse ad un tavolo poco lontano dove c’era un vaso di cristallo azzurrino con dei fiori rinsecchiti dentro, che rimpiazzò coi fiori freschi dell’amica.
Sventolò i fiori seccati: - È stato un regalo perfetto, e questi fiori… – gettò via quelli secchi e prese a sistemare quelli nuovi – Sono meravigliosi.
Mikasa distese le labbra.
- Ti va del tè? Stavo per farne un po’. – lei annuì in risposta, prendendosi le mani.
Mentre lo guardava allontanarsi al piccolo fornello in un angolo della stanza si rese conto di avere ancora quel sorriso appena accennato sulle labbra e che il suo petto, per un momento, non le era sembrato più così pesante.
Riuscì ad intravederlo. Un barlume di spensieratezza.
Quella sensazione era così dolce, così piacevole quanto fugace, che durò appena qualche secondo, poi svanì, tenue, così come era comparsa. Era così immersa nella contemplazione di quanto era successo che a malapena si rese conto che Jean, piegato sui fornelli, le stava parlando.
- … e quindi il capitano è rimasto per attendere questa nuova protesi. È molto interessante, non trovi?
- Sì. – disse, facendo qualche passo verso di lui.
- Non abbiamo alimentato alcuna speranza, certo, ma ad ogni modo è una strada che vale la pena di percorrere. Il capitano Levi dopotutto non è uno che si arrende facilmente. – Jean si voltò verso di lei e le porse una tazza fumante – Oh, aspetta, ho altri biscotti alla cannella. Siediti pure.
Mikasa prese posto su una sedia dalla stoffa liscia e ornata, dalla fattura sembrava molto pregiata. Jean tornò con un piattino ricolmo di biscotti che lei posò sulle gambe.
- Posso vederti dipingere?
Le venne fuori così spontanea quella richiesta inaspettata che entrambi ne rimasero sorpresi. Jean la guardò disorientato ma accolse la richiesta con una certa soddisfazione e scelse di dipingere proprio i fiori che lei gli aveva appena regalato.
All’inizio fu quasi imbarazzante per Jean, ma non appena prese la mano col dipinto si abituarono l’uno alla presenza dell’altra. Il tè aveva scaldato Mikasa che, immersa in un torpore confortevole, aveva iniziato col guardare il dipinto che prendeva forma una pennellata alla volta, e aveva finito poi per concentrarsi sulle spalle di Jean che si contraevano in movimenti misurati e precisi, o che roteavano all’indietro per sgranchirsi.
Adagio, s’insinuò nella sua mente quel desiderio che l’aveva spinta ad uscire fuori dal guscio, provava un’immensa voglia, quasi irrefrenabile, di provare le stesse sensazioni appena provate, e anche di più, più intense e fino a quel momento era stata così bene che si convinse Jean fosse l’origine di quella leggerezza e che potesse soddisfare il suo desiderio.
Si alzò e posò senza fare alcun rumore la tazza e il piattino sulla sedia e, silenziosamente, gli si avvicinò. Quando gli fu subito alle spalle, lui la percepì dietro di sé ma continuò a dipingere concentrato. Fu nel momento in cui lei gli posò una mano sulla spalla che si voltò, pensando avesse bisogno di qualcosa.
Mikasa fissava i suoi occhi ambra così intensamente che Jean si sentì avvampare. Si abbassò su di lui lentamente, fino a quando i suoi ciuffi di capelli non gli sfiorarono gli zigomi. Era curiosa di scoprire cosa avrebbe provato e Jean era come creta tra le sue mani: impietrito sullo sgabello, col cuore che gli martellava nel petto furiosamente, la lasciò fare mentre gli prendeva il viso tra le mani e i suoi occhi diventavano più languidi.
Jean abbassò gli occhi sulle labbra della ragazza mentre si lasciava sollevare la mandibola verso l’alto, verso di lei. Chiuse gli occhi e assaporò quell’istante. Le sue labbra gli si posarono morbide e vellutate, prima lo baciò piano e lentamente, poi con più trasporto mentre le dita lisce e delicate dalle guance si spostavano all’indietro, approfondandosi nei capelli.
Lui aveva ancora pennello e tavolozza tra le mani, li lasciò cadere ad un altro movimento delle labbra di Mikasa che, con un rumore lieve e aspirato, si staccò per un istante per poi tornare a posarsi sul suo labbro inferiore. Jean l’accolse con desiderio, agiva però sempre con un certo riservo, come se se si fosse mosso troppo bruscamente l’avrebbe fatta scappare e fatto svanire quel momento per sempre. Coi polpastrelli Mikasa gli solleticò un lobo e Jean venne percorso da un brivido di piacere tale che inspirò dal naso con forza, inalando l’odore delicato della pelle di lei mentre approfondiva quel bacio con più passione. 
Non sapeva dire quante volte aveva sognato quel momento, ma proprio per questo, quando le prese le braccia saldamente e stava per alzarsi per abbracciarla, e quindi avvolgerla tra le sue braccia, si tirò indietro bruscamente, per poi girare la testa verso la tela.
Mikasa aprì gli occhi e lo guardò confusa, mentre lui invece aveva abbassato la testa, il viso improvvisamente rabbuiato mentre si sfregava la fronte. Jean si alzò in silenzio dandole le spalle, mentre la ragazza lo guardava in attesa.
- Che cosa vuol dire, Mikasa? – le chiese senza voltarsi.
Lei continuò a fissare le sue spalle larghe e irrigidite che tiravano la camicia tesa: - Io… volevo davvero…
Jean si voltò di scatto: - No. No. – continuò a ripeterlo ad ogni tentativo dell’altra di giustificarsi – Adesso sei cattiva.
Mikasa sussultò.
- Hai idea da quant’è che mi piaci? – il suo tono era ferito – Certo che ne hai, non sei certo stupida, lo so perché ti conosco, ed è anche uno dei motivi per i quali non mi sei mai smessa di piacere.
Jean prese un lungo respiro.
- Mi hai sempre respinto e l’ho accettato, ma ho sempre avuto quella vana speranza che un giorno ti saresti resa conto del bene che ti voglio, di come apprezzo ogni sfaccettatura di te. E adesso che significa questo? – si morse le labbra per impedire loro di tremare e riprese a parlare, Mikasa lo guardava mortificata – Sono venuto dopo Eren per tutta la mia vita, come dovrei sentirmi all’idea di avere una possibilità con te soltanto perché Eren è…
Jean si voltò bruscamente per nascondere le lacrime, portò le mani alle orecchie e quel gesto la scosse facendole realizzare la gravità del suo gesto. Mikasa aveva il sangue freddo, ma non era certo senza cuore: si sentì un verme ad aver approfittato così meschinamente dei sentimenti di Jean, i sentimenti che nutriva verso di lei erano così puri, e di ricambio non avevo fatto altro che ferirlo, esattamente come aveva fatto Eren per allontanarla prima della marcia dei colossali. Se in passato l’aveva ignorato per il suo bene, per non fargli fraintendere nulla e permettergli di dimenticarla, adesso era stata egoista e si sentiva cattiva, indegna di un sentimento così grande che anche lei aveva provato a sua volta per qualcun’altro.
Jean si girò di nuovo verso di lei, aveva la voce rotta: - Non lo farò. Mi dispiace. Per quanto lo desideri, per quanto io ti… non mi merito questo. Non voglio essere il giocattolo con cui ti diverti, né il tuo premio di consolazione. Ti prego Mikasa, se non mi vuoi veramente, lasciami stare.
Veloce, si tolse il grembiule sporco di pittura e lo lanciò sul suo sgabellino, poi uscì dalla porta d’ingresso, lasciandola sola coi suoi dipinti.
Mikasa non riusciva a credere a quello che aveva appena fatto, di colpo, le era piombato sul petto il peso della sua apatia e nonostante sentisse di voler piangere, di aver bisogno di farlo, non poteva.
Aveva ragione, aveva bisogno di qualcosa per soddisfare quel suo desiderio ma per farlo non doveva di certo passare sulla felicità di Jean.

 

Parte 3: La mia rosa senza spine

 
Passarono altre settimane da quella volta nello studio d’arte e Mikasa non ebbe il coraggio di scrivere a Jean alcunché. Leggeva e rileggeva le precedenti che si erano scambiati e spesso si addormentava osservando la sua grafia ordinata. 
- È probabile che tu senta di aver bisogno di andare avanti ma che infondo tu non voglia. – Armin le versò dell’acqua nel bicchiere, il vino non erano mai riusciti a berlo. Lei era andata a trovarlo nell’hotel vicino al molo in cui alloggiava, ultimamente l’amico aveva preso a fare avanti e dietro dal continente e lei aveva approfittato per incontrarlo e farsi schiarire le idee.
Mikasa lo guardò contrariata: - Come? Non ha senso.
- Riflettici un attimo. Hai trovato in Jean quella che ti è sembrata serenità e ti sei spinta anche a baciarlo, per tenerlo più vicino possibile. – Armin si prese il mento tra le dita – Lui ha reagito come prevedibile per una persona che porta molto rispetto per sé stesso, e tu non gli hai detto nulla per rassicurarlo o fargli capire di provare qualcosa per lui. Quindi…
Il ragazzo arrivò alla sua conclusione ma guardò la migliore amica prima di continuare. Lei annuì per dargli il permesso, temeva le parole di Armin ma capiva che senza sapere ciò che onestamente pensava sulla faccenda non sarebbe mai riuscita a schiarirsi le idee.
- Io credo che tu ti senta in colpa… hai compreso quanto Jean tenga a te e ti piace come ti fa sentire amata, ma ti senti in colpa a provare dell’affetto per qualcuno che non sia Eren.
Mikasa rimase in silenzio, a digerire le parole di Armin fino a quando lui non le toccò il dorso di una mano: - Non so quanto dei tuoi sentimenti siano autentici, ma Jean non è senza cuore e sono sicuro che se gli parli, lui comprenderà. – lei annuì e finito il pranzo, lui l’accompagnò alla nuova casa di Jean, finalmente terminata.
Si fermarono davanti all’enorme portone intarsiato del condominio, sembrava avere appartamenti molto grandi e agiati.
Armin infilò la chiave nella toppa e lo aprì: - Ha dato a me la chiave di riserva… sai, Connie è un po’ sbadato a volte. – le porse il suo ombrello – Il tempo non promette bene. Il suo appartamento è al secondo piano.
Mikasa fece qualche passo all’interno e si fermò nell’ingresso. Armin le sorrise: - Ci vediamo.
Lei ricambiò il sorriso e chiuse il portone. Percorse un largo corridoio d’ingresso fino ad arrivare ad un cortile interno dagli alberi ben potati, adornato al centro da una grande fontana circolare. Voltò a destra e prese a percorrere la larga e marmorea rampa di scale, era tutto così bello e curato che a stento le sembrava un edificio destinato a dei semplici civili.
Quando arrivò alla porta bussò, decisa a sistemare le cose.
Non appena Jean aprì e la vide, richiuse la porta a uno spiraglio, lasciandole intravedere soltanto metà del suo viso.
- Mikasa… – disse a bassa voce – Che ci fai qui?
Lei lo guardò interdetta, nonostante l’evidente risentimento, più che legittimo, non demorse.
- Jean, ho bisogno di parlarti.
Lui lanciò un’occhiata alle sue spalle, poi le rispose nervoso: - Parliamo un’altra volta? Ho un po’ da fare al momento.
A quelle parole Mikasa s’indispettì e lo guardò male: - Ma che ti prende? Ho sbagliato, lo riconosco. Ma almeno permettimi di parlarti. Non ti avevo preso per un tipo così…
- Chi è alla porta tesoro?
Jean chiuse gli occhi e arrossì visibilmente mentre Mikasa si sporgeva oltre la sua spalla per vedere a chi appartenesse quella voce. Prese il pomello della porta e la spinse, spostando senza alcuno sforzo Jean dall’altra parte che tentava di bloccarla.
Una donna di mezza età dal viso paffuto e lo chignon ordinato era nel bel mezzo della cucina, mentre teneva tra le mani una grossa leccarda piena di biscotti al burro appena sfornati. Non appena vide la nuova arrivata la riconobbe subito e le sorrise.
- Ciao! Mi ricordo di te! Sei l’amichetta di Jean-bo dai tempi dell’accademia! Ehm… – posò la leccarda su un ripiano e si avvicinò all’ingresso – Mikasa, giusto?
La ragazza guardò Jean accanto a lei che aveva tanto l’aria di volersi sotterrare, per poi sorridere alla madre e annuire.
- Mikasa! Che bello averti qui! Jean non essere maleducato e non lasciare la tua amica sull’uscio della porta.
- Sì, mamma. – rispose lui docile, indicando all’amica il tavolo in soggiorno mentre chiudeva la porta.
Mikasa entrò ammirando la stanza grande e ammobiliata: - È grande. – disse semplicemente, Jean alle sue spalle la seguiva con le mani in tasca, non riuscendo a fare altro se non sperare che sua madre non le facesse il quarto grado.
- Accomodati! – la mamma di Jean si affacciò in soggiorno – Ma insomma, falla sedere!
- Stavo per farlo, mamma!
Mikasa sorrise, il suo amico era sempre così buffo quando era in compagnia della madre, che lei d’altro canto non poteva fare a meno di adorare sin dai tempi dell’accademia.
- Jean è sempre un po’ nervoso quando incontro i suoi amici, non farci caso cara!
- Mamma, puoi lasciarci soli per favore?
La donna li guardò disorientata: - Oh, va bene allora, fatemi solo… – uscì e poi tornò subito dopo con un piatto in porcellana bianca ricolmo di biscotti al burro fumanti – Ecco qua! Ora che c’è abbastanza materia prima si possono fare molte più cose in cucina, questa è una ricetta che Jean mi ha portato dal continente, lui è bravissimo a farli, oggi ha approfittato d’insegnarmi la ricetta, sono molto facili da fare in realtà, ma il mio Jean-bo è comunque bravissimo a cucinare anche le pietanze più difficili! Sai, una volta, tu forse non lo ricordi, ma…
- Mamma! Ti prego, a Mikasa non interessa!
- Va bene, va bene! – la donna lasciò il piatto sul tavolo e indietreggiò per andare via – Non vi disturbo più, se avete preferenze per la cena…
Jean chiuse la porta non appena la madre uscì. Tornò al tavolo e si sedette accanto a Mikasa con un lungo sospiro per allentare la tensione, era ancora rosso in volto. Le premure della mamma l’avevano messo in imbarazzo, mentre avevano sortito l’effetto contrario sulla ragazza che ora si sentiva perfettamente a suo agio.
- Non sapevo fossi in città. – esordì Jean, lo sguardo ancora basso.
- Sono venuta a trovare Armin. – intrecciò le dita – E te naturalmente.
- Che pensiero carino.
Gli concesse di essere arrabbiato. Infondo se lo meritava.
- Volevo parlarti, chiarire quello che è successo.
- Non è necessario. L’ho capito, va bene? È stato tutto un tragico errore, o come vuoi chiamarlo tu. Non serve davvero che tu…
- Jean puoi chiudere il becco e starmi a sentire per favore?
Lui sussultò e la guardò con gli occhi spalancati: - Va… Va bene.
Mikasa si sistemò sulla sedia: - Sono venuta qui per parlarti e dirti innanzitutto che mi dispiace. Perdonami per quello che ho fatto, non era mia intenzione ferirti ma l’ho fatto ugualmente. Ma non voglio che tu pensi che non fosse mia intenzione baciarti. Volevo farlo. Allo stesso tempo non posso dirti di provare gli stessi sentimenti che provi tu per me.
Jean distolse lo sguardo, stava per replicare quando Mikasa si affrettò a continuare: - Non provo quello che provi tu per me, ma provo qualcosa per te che va oltre l’affetto. Ma mi sento ancora… con te mi sento bene, mi piace stare con te. Ma ti mentirei se ti dicessi che ti amo già.
Calò il silenzio tra loro, fuori, non se n’erano resi conto fino ad allora, la pioggia aveva iniziato a cadere forte e copiosa. Mikasa attendeva una risposta che temeva non sarebbe stata così comprensiva come le aveva presagito Armin. 
Sospirò.
Con che faccia tosta era arrivata, l’aveva zittito e riversato addosso le sue incertezze. Gli ho persino detto chiudi il becco, pensò a testa bassa.
- Va bene.
Mikasa alzò lo sguardo, incredula: - Come? – disse quasi con un sussurro.
Jean strofinò i palmi sui pantaloni: - Va bene. – le sorrise mestamente per un lungo istante, poi guardò fuori dalla finestra oltre la sua spalla – C’è un tempaccio, ti va di rimanere qui a cena?
Lei si portò una mano sul petto, doveva tenerselo perché sentiva che il cuore le sarebbe schizzato via se non l’avesse fatto. Pronunciò un fievole: - Sì… – mentre lo vedeva aprire la porta del soggiorno.
- Perfetto, avviso mia madre, scusami già da ora… non ti lascerà un attimo in pace. – si grattò la nuca, poi si ricordò di una cosa e uscì veloce dalla stanza – Oh, aspetta qui, ho una cosa per te.
Mikasa guardava fisso il punto in cui era scomparso Jean e senza accorgersene vennero fuori le lacrime che cercava da tempo, ora stavano scorrendo lungo il suo viso senza sosta. Iniziò a respirare veloce, col cuore che sembrava un martello di ghisa contro lo sterno.
Si alzò, aveva bisogno di aria, doveva uscire.
Superò la porta d’ingresso, sotto gli occhi della mamma di Jean che la chiamò perplessa.
Scese le scale scossa dai singhiozzi, si fermò davanti al cortile e fece qualche passo avanti, lasciando che la pioggia la bagnasse da capo a piedi nel giro di pochi secondi.
Il peso che aveva nel petto era scomparso. Tutt’a un tratto era andato via e le emozioni annebbiate dall’apatia erano venute a galla tutte insieme.
S’inginocchiò per terra, devastata dal dolore che le stavano causando, i capelli sciolti le si appiccicarono sulla faccia completamente bagnata, e la pioggia si confondeva con le sue lacrime. Sotto il suono scrosciante della pioggia si lasciò andare in un grido di dolore.
Un singhiozzo più forte le fece prendere aria, e a bocca aperta emise un altro gemito pieno di tormento che la fece piegare su sé stessa.
Sentì presto lo scalpiccio delle suole di scarpe che si fermarono davanti a lei. Jean l’avvolse in un impermeabile, le s’inginocchiò di fronte e le accarezzò la testa. Mikasa alzò il busto e si accasciò sul suo petto, stringendosi l’impermeabile addosso. Affondò la faccia nel maglioncino di Jean per soffocare i suoi gemiti mentre lui non smetteva di accarezzarla e stringerla a sé.
Questo era l’amore di Jean, realizzò. Abituata com’era a rincorrere chi amava, si era sentita sopraffatta dal suo amore costante e presente. Ed era vero, si sentiva in colpa a volerlo e fare di tutto per ricambiarlo.
La peonia. La rosa senza spine. Le parole di Levi le attraversarono la mente. Jean era così, era un modo di amare che non avrebbe mai dovuto rincorrere, che non le avrebbe mai fatto male, così meraviglioso da farle mancare l’aria.
Non era Eren, non l’avrebbe mai paragonato a lui. Era semplicemente diverso.
Poco dopo, quando finalmente lei si fu calmata, lui la prese di peso tra le braccia e la riportò dentro casa dove la lasciò alle cure della madre nella camera degli ospiti. 
Quando il giorno dopo si svegliò tra le coperte profumate e calde della casa di Jean si sentiva indolenzita ma meglio, come non si sentiva da parecchio tempo. Accanto a lei, su una sedia, c’era proprio Jean addormentato con la testa poggiata al muro. Poco più lontano il regalo della sera prima, il quadro finito che ritraeva i fiori che lei gli aveva regalato.
Riportò gli occhi neri su Jean e rimase a fissarlo fino a quando non si svegliò anche lui.
- Avevamo paura ti sentissi male durante la notte. – si spiegò non appena si rese conto che era sveglia.
- Ho dormito benissimo. – lo rassicurò Mikasa, mettendosi a sedere. Lo guardò negli occhi e le sembrò di vederlo veramente per la prima volta.
Posò una mano su quella di lui mentre si sporgeva a raggiungerlo. Jean le venne incontro e si scambiarono un delicato e tiepido bacio sulle labbra.
Quello fu il loro primo vero bacio.

 
 
 
Angolino dell’autrice
Fresca fresca di ultimissimo episodio dell’ultimissima parte di AoT.
Una cosa che mi ha fatto sempre andare fuori dai gangheri quando si parla di questo anime/manga è quando si dice che Mikasa non potrà mai amare nessuno dopo Eren. Anche a me la loro storia ha spezzato il cuore, ma sarebbe un po’ irrealistico pensare una cosa del genere oltre che davvero ingiusto nei confronti di Mikasa come di qualsiasi altra persona. Che sia o non sia Jean, la nostra eroina merita di trovare la felicità e magari perché non proprio col ragazzo che l’ha sempre amata, che capisce le sue ferite meglio di chiunque altro?
Insomma, sono stata un po’ prolissa come al solito, ma proprio perché credo in un loro probabile avvicinamento ne avevo in mente uno proprio in punta di piedi, ma a quel punto avrei dovuto scrivere una storia in più capitoli e al momento non me la sento (data anche la “”pesantezza”” dei temi trattati, non sarebbe proprio una passeggiata di salute).
Grazie per essere passati!
 
Noticina su Levi (solo per chi ha letto la mia storia “Fino alla fine”): e chi sarà questa dottoressa misteriosa?!
Non ho fatto a meno di inserire qualche velato riferimento alla mia OC, un po’ perché mi manca scrivere la mia long, un po’ perché, che diamine, un po’ di amore anche per il capitano Levi perché se lo merita anche lui un lieto fine.
Vi dirò la verità, avevo iniziato a scrivere un what-if del mio what-if (quindi se fosse accaduto il boato della terra), ma ho abbandonato quel file word incompleto perché credevo venisse fuori qualcosa di troppo lungo e noioso, quindi vi lascio con questa storia tra Siri e Levi appena accennata a cui voi potete mettere i pezzi mancanti. Poi, chissà, magari mi andrà di scrivere e un giorno… non so!
  
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