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Autore: Sunnyfox    09/11/2023    2 recensioni
Le mani che si erano sporcate di sangue la prima volta, ora grondavano. Era diventato più scaltro, più rigoroso, più esigente nello scegliere le sue vittime.
Ne studiava i profili, il vissuto, le gesta, come se conoscere il proprio bersaglio, sapere di togliere di mezzo odiosi peccatori, assassini, predatori, potesse in qualche modo placare i suoi sensi di colpa. La verità era che i sensi di colpa non si sopivano mai per davvero, solo trovavano sfogo in una sorta di autoassoluzione, quando si convinceva che cercare avversari sempre più forti, imbattibili, apparentemente non alla sua portata, fosse uno dei modi in cui sarebbe riuscito a raggiungere il suo obiettivo.
La promessa che aveva fatto a Kuina, che non aveva certo dimenticato.
Genere: Azione, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Roronoa Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Maledizioni

 


La prima volta che Zoro aveva ucciso un uomo aveva vomitato.

 

Nessuno gli aveva detto cosa significava privare un essere umano della vita. Il suo maestro, giù al villaggio Shimotsuki, gli aveva insegnato a maneggiare la spada contro nemici invisibili, non ad uccidere. Lo aveva ammonito dicendo che la prima volta che la lama della tua spada assaggia il sapore del sangue, poi non riesce più a fermarsi. Ne diventa ebbra, ne reclama sempre di più. Si trasforma in una maledizione.

Zoro invece non era così sicuro sarebbe riuscito a rifarlo, dopo quella prima, tragica volta.

Non era stato niente altro che un incidente di percorso. Questo continuava a ripetersi, nel buio del vicolo dove ancora giaceva la sua vittima. Gli tremavano le mani e la lama della sua spada gocciolava lacrime scarlatte. Ad accompagnarlo solo il suono affannoso del suo respiro, il tumulto del suo cuore in piena e lo stillicidio del sangue nella pozza che andava ad allargarsi ai suoi piedi.

 

Inseguiva da giorni un uomo, un pirata o così dicevano, così riportavano i manifesti che aveva raccattato in giro. Proviamoci, aveva ostinatamente pensato.

Aveva fame, disperatamente fame. Lo stomaco reclamava cibo come i suoi muscoli avevano bisogno di carburante per muoversi. I vestiti gli danzavano addosso e non era certo che ben presto non ci sarebbe sparito dentro. Nessuno sembrava disposto a dargli niente, gratis. Nessuno lo conosceva tanto da fargli credito. Nessuno si fidava di un poveraccio che andava in giro con tre spade, legate alla cintola. Una sottospecie di vagabondo, senza arte né parte.

L'elemosina dopotutto non era esattamente il modo in cui si era ripromesso di vivere, una volta lontano dal suo villaggio, alla ricerca della sua strada come spadaccino. Era convinto sarebbe riuscito a sopravvivere con decenza almeno, ma i soldi che aveva portato con sé erano finiti in fretta e non c'era niente di dignitoso nel vagare da un'isola all'altra, osservando le vetrine dei negozi e le bancarelle del cibo, con l'aria di chi sarebbe stato capace di minacciare il mondo per un tozzo di pane.

«Che sai fare, ragazzo?» gli chiese un giorno un tizio di una taverna a cui Zoro aveva chiesto un lavoro.

Sapeva solo usare le spade.

Lo aveva aiutato a scaricare un carro di provviste e aveva guadagnato un pasto, ma non poteva bastare. Non era finito lì per restarci, in ogni caso.

«Se davvero sai usare quelle» disse quello stesso locandiere, mentre osservava le sue spade come se fossero un giocattolo particolarmente divertente, «perché non lo fai per qualcosa di buono?»

Abbatté sul bancone di fronte a lui alcune locandine. Una più consunta dell'altra.

Zoro scostò il piatto con il cibo ormai consumato, ripulito come fosse stato lavato, e quei fogli li fece passare, uno per uno, solo per rendersi conto che non erano altro che manifesti di ricercati. Per lo più pirati, gentaglia che aveva fatto della criminalità, della predazione, il proprio credo. Zoro non ne sapeva molto, conosceva la fama dei pirati: farabutti, ladri, avventurieri, spavaldi figli di puttana con il grilletto e la lama facile. Conosceva quello che aveva scatenato Gold D. Roger con le sue dichiarazioni, ma non era mai stato davvero affar suo. Non fino a quando non vide le taglie sotto alcuni di quei nomi. Soldi che gli avrebbero permesso di sopravvivere dignitosamente per un po'.

«Pagano davvero tutti questi Berry?»

«Pare... ma non saprei dirti, sono solo un locandiere, non un cacciatore di pirati»

Zoro raccolse il manifesto con la taglia più interessante. Ci sarebbe campato più di un mese, con quella cifra.

«Come faccio a trovare questo tizio?»

«Bello mio, se lo sapessi, non saremmo qui a parlarne. Esci, parla con la gente, chiedi informazioni.»

Alzò uno sguardo perplesso sull'uomo. Chiedere, parlare con la gente, non era qualcosa che era abituato a fare.

«Tu ne sai qualcosa?»

«Forse...»

Il locandiere gli versò una corposa caraffa di birra.

«Me la pagherai con i primi soldi della taglia incassata.»

Zoro adocchiò la bevanda con sospetto, ma non aveva raccontato al tizio che quella era forse la prima volta che beveva per davvero. Che beveva da solo. Non contava il sakè a cui lo aveva iniziato il suo maestro Koshiro il giorno in cui non aveva avuto più niente da insegnargli. Il festeggiamento alla sua maturazione come guerriero.

Quella era un'intera pinta, tutta per lui.

Si leccò le labbra e preso la rincorsa, per poterne bere il più possibile. Ne emerse paonazzo in viso e con una lieve congestione.

«Quanto cazzo è amara!» sbottò con sdegno e il locandiere era scoppiato a ridere, alle lacrime.

«Dov'è che vuoi andare tu? A caccia di pirati? Oh ragazzino, sono pronto a vederne delle belle».

 

Con le poche informazioni in tasca e la promessa di tornare a pagargli la pinta fino all'ultimo Berry una volta incassata la taglia, Zoro era andato per la sua strada.

 

Il tizio lo trovò pochi giorni dopo. Seguendo informazioni, percorrendo strade sbagliate, per la maggior parte del tempo. Se solo non si fosse attardato a riconoscere luoghi in cui non faceva che girare in tondo, confuso e disorientato, probabilmente ci avrebbe messo la metà del tempo a rintracciarlo.

Un pirata con una taglia modesta, a detta di tutti, ma come primo lavoro poteva andare più che bene.

Peccato che con i pirati non si scherza. I pirati non vanno sottovalutati: una lezione che avrebbe imparato, col tempo, a sue spese.

 

Sfoderò la spada prima che potesse attaccarlo. Il colpo di pistola rimbombò nel vicolo, assordandolo. Il proiettile si era andato a incastrare alle sue spalle, sul muro che chiudeva la strada.

«Brutto bastardo!» l'uomo gridò la sua rabbia, o forse solo la sua angoscia. Era evidente che non era abituato ad essere inseguito o essere colto di sorpresa. Ci era voluto un po' per trovarlo solo. Prima in compagnia di alcuni membri poco interessanti della sua sgangherata ciurma, poi in compagnia di una prostituta che nonostante le apparenze non sembrava particolarmente coinvolta nelle sue operazioni. Lo aveva aspettato, con pazienza. E infine seguito in quel vicolo dove era andato a nascondersi per pisciare. Aveva rispettosamente aspettato che finisse. Non molto dignitoso atterrarlo con i pantaloni calati e il pisello al vento. Questo almeno glielo doveva.

Ma non aveva calcolato i rischi, non che quel delinquente non gli avrebbe certo riservato lo stesso trattamento, o atteso rassegnato che si compisse il suo destino.

Aveva reagito pressoché immediatamente. Zoro evidentemente non era stato così silenzioso o attento. E questi gli aveva sparato.

Zoro roteò la sua spada. E senza pensarci, senza discernimento alcuno sferrato il primo fendente. Il primo e unico perché l'uomo gli si lanciò addosso, andando incontro alla sua lama sguainata. Un affondo preciso, al ventre. Una vera e propria esecuzione.

 

L'uomo gli si accasciò addosso, la lama che sbucava dalla sua schiena, lucida di sangue e metallo. Zoro ci mise qualche istante a levarselo di dosso, a estrarre la lama con fatica, con un suono disgustoso che sapeva di ossa rotte e interiora recise.

Scivolò lontano dal suo cadavere, strisciando sul pavimento, portandosi via la spada.

Si levò in piedi, con le gambe tremanti e un sordo dolore allo stomaco. Osservò il suo operato come spettatore inconsapevole delle sue gesta.

L'uomo giaceva al suolo, senza vita. Lo sguardo che andava man mano spegnendosi, le labbra dischiuse, raffreddate in un silenzioso grido di stupore. Come non si aspettasse che la sua ingloriosa fine sarebbe arrivata proprio quel giorno, per mano di un ragazzino che impugnava la spada per la prima volta per lavoro.

Ma fu solo quando respirò l'acre, metallico odore del sangue che le sue viscere si ribellarono a quella vista, al grottesco accaduto. Non fece in tempo ad aggrapparsi alla parete alle sue spalle - proprio lì, dove il proiettile era andato a incastrarsi, dando il via a tutto quanto - che vomitò pranzo e bile e forse, anche un pezzetto della sua anima.

 

La Marina sganciò proprio un bel gruzzolo di soldi. Così tanti, tutti insieme, Zoro non ne aveva visti proprio mai. Vivo o morto, diceva il manifesto, non aveva fatto altro che eseguire.

«Hai reso un gran servizio a questo paese, ragazzo mio» la faccia del tizio della Marina somigliava a una tartaruga centenaria, possibile che le forze del mare orientale disponessero solo di individui tanto datati?

«Ha fatto fuori un sacco di gente e saccheggiato diversi villaggi, prima che arrivassi tu. Nessuno piangerà la morte di questo farabutto.»

Zoro incassò complimento e informazioni senza sentirsene particolarmente appagato. Sapere di aver tolto di mezzo un individuo che si era macchiato di atrocità, sminuiva il suo, di omicidio? Ancora aveva lo stomaco sottosopra e una grande emicrania ad avviluppargli le tempie.

«Sicuro di sentirti bene?»

Se ne andò con la promessa di rifarsi vivo.

 

E lo fece, molte volte. Le mani che si erano sporcate di sangue la prima volta, ora grondavano. Era diventato più scaltro, più rigoroso, più esigente nello scegliere le sue vittime.

Ne studiava i profili, il vissuto, le gesta, come se conoscere il proprio bersaglio, sapere di togliere di mezzo odiosi peccatori, assassini, predatori, potesse in qualche modo placare i suoi sensi di colpa. La verità era che i sensi di colpa non si sopivano mai per davvero, solo trovavano sfogo in una sorta di autoassoluzione, quando si convinceva che cercare avversari sempre più forti, imbattibili, apparentemente non alla sua portata, fosse uno dei modi in cui sarebbe riuscito a raggiungere il suo obiettivo.

La promessa che aveva fatto a Kuina, che non aveva certo dimenticato.

Non si era illuso di diventare il migliore tenendo immacolata la sua reputazione. Inviolate le lame delle sue spade.

Offriva sangue al suo demone interiore in cambio di forza, determinazione.

Le porte dell'inferno avevano cominciato ad aprirsi per lui, in placida attesa. Il giorno in cui lo avrebbero fagocitato le avrebbe affrontate con onore.

 

E poi, come acqua che passa sotto ai ponti, due anni erano passati.

Riconobbe un giorno la locanda dove tutto era cominciato, solo perché ci finì di fronte.

Sedette al bancone, osservando con curiosità i dintorni. L'atmosfera non era cambiata di una virgola; si chiese quanto, invece, fosse cambiato lui.

Il proprietario del locale chiese cosa desiderasse da bere, e gli ci volle un istante di troppo per riconoscerlo. Non che fosse così scontato lo facesse, una locanda portuale quanta gente vedeva passare ogni santissimo giorno?

Evidentemente Zoro gli era rimasto impresso.

«Non ci credo. Ce ne hai messo di tempo a tornare» gli disse, versandogli una pinta di birra, fresca e spumosa.

«Mi sembra tu non te la passi più così tanto male, o sbaglio?»

Zoro sorrise appena, recuperando la pinta e posando orgogliosamente due monete sul bancone.

«Una promessa è una promessa...»

«Quindi sei riuscito a catturarlo quel fottutissimo pirata»

Per tutta risposta Zoro si dissetò con un lungo sorso di quella bevanda ambrata che aveva preso ad apprezzare un po' troppo presto. Ma dissetava e sfamava allo stesso tempo. Non ne disdegnava, ormai, la compagnia. Ottenebrava i sensi e in fondo quella sensazione gli piaceva.

«E vedo anche che hai imparato a bere come un uomo, finalmente» lo squadrò dalla testa ai piedi, cercando di valutarne la maturazione. Certo ora i vestiti non gli ballavano più addosso e quell'Haramaki che sfoggiava senza vergogna non gli faceva il favore di sembrare più giovane. Portava al braccio una bandana nera, come in segno di lutto.

«È morto qualcuno?» gli chiese senza vergogna, abituato a trattare di argomenti sconvenienti come fosse prerogativa della professione.

«Più persone di quante immagini» rispose Zoro senza scomporsi.

Una bandana che considerava ormai un segno distintivo. Che indossava solo se la situazione si faceva spinosa, che ricordava ai suoi avversari che non prendeva mai sottogamba un combattimento. Un segno di rispetto, forse, o semplicemente un lutto programmato.

Non gli piaceva dare particolari simbologie agli oggetti.

Ne bastava uno. E stava agganciata alla sua cintola, candida e letale.

«Sei ancora interessato a fare qualche soldo?» l'uomo raccolse qualcosa da sotto al bancone e la pila di manifesti era, se possibile, raddoppiata dall'ultima volta che si erano visti.

«Sempre», gli rispose Zoro, sbirciando appena quella lista infinita di ricercati «Ma non sono più così interessato ai pesci piccoli»

«Pesci piccoli?» il locandiere, allargò le braccia «senti, senti, ci siamo fatti presuntuosi?» latrò una risata divertita «Lo sai, vero, che ora pullula di gente come te in giro? Con il proliferare della pirateria, è pieno di disgraziati che si improvvisano cacciatori di taglie, credendo di poter fare soldi facili. La competizione si fa serrata, ma c'è tanta facile selvaggina in giro, chi te lo fa fare di rischiare?»

Una volta aveva ucciso un uomo senza saperne abbastanza. Le sue mani si erano lordate del sangue di un criminale che, solo per sua fortuna, nessuno avrebbe pianto.

Ne aveva risparmiati tanti, in seguito.

La differenza con il primo, disastroso incidente, era che le volte successive si era concesso quantomeno il lusso di scegliere. E aveva intenzione di mantenerla, questa linea di condotta.

«Lasciamo i pesci piccoli a quei disgraziati che vogliono fare soldi facili», finì la sua birra, ripulendosi le labbra con il dorso della mano. Si mise in piedi, deciso ad andarsene.

«Ah, ma chi ti credi di essere?» rise di nuovo «Quel famoso cacciatore di taglie che sta terrorizzando il mare orientale? Come diavolo si chiamava... ?» il locandiere si portò un dito alla tempia, cercando di riportare alla mente quel nome che gli pizzicava la lingua.

«Chiunque sia, buon per lui»

La porta della locanda si spalancò all'improvviso, e due rozzi individui scandagliarono il locale con aria predatoria.

«Ah, ma sei qui, fratellone!» si illuminò il tizio con un buffo copricapo «Credevamo di averti perso, di nuovo!»

Zoro scese pigramente dallo sgabello e avvicinò i due individui, passandosi una mano sulla nuca.

«Quante volte devo dirvi di non chiamarmi così?»

«Così come? Fratellone

«Preferisci: Capo

«Ma quale capo?!» esclamò Zoro.

«Puzzi di alcool, hai bevuto?»

«Volete una birra?» offrì, guardandoli con aria interrogativa.

«Forse. Ma non so se ce n'è davvero il tempo» disse l'altro, quello con gli occhiali da sole.

Il tizio col buffo copricapo, che rispondeva al nome di Yosaku gli schiaffò sotto al naso il manifesto di un tizio dall'aria minacciosa.

«Siamo sicuri di averlo visto pochi istanti fa, proprio qui vicino», lo informò «ma non abbiamo osato fare niente, aspettavamo te»

Zoro squadrò la taglia, e il viso dell'uomo. Si erano informati su di lui. Lo avevano inseguito per settimane.

Era arrivato il momento di metterne al tappeto un altro. Possibilmente senza spargimenti di sangue.

Si volse per fare un cenno al locandiere, ancora preso a rammentare un nome che proprio non ne voleva sapere di emergere.

«Alla prossima» disse solo, prima di prendere la porta.

«Roronoa! Il tizio con cui devi fare i conti si chiama Roronoa Zoro!»

Fu l'ultima cosa che gli sentì dire, prima che la porta gli si richiudesse alle spalle.

Buffo, pensò Zoro. Il locandiere aveva espresso, in modo inconsapevole, quello che pensava da tempo.

Era quella la sua maledizione.

 


Note:

A me un po' fa rosicare il fatto che Zoro, nel manga, abbia poche misere paginette, dedicate al suo passato. E che il suo albero genealogico sia stato rivelato nelle sbs da Oda, solo perché non c'era spazio nella narrazione, altrimenti.

Quindi ogni tanto la mia immaginazione rigurgita cose del genere, per sopperire. Perché Zoro per me è un personaggio oscuro, che andrebbe sviscerato. Anzi, il suo passato da cacciatore di taglie avrebbe proprio bisogno di una saga a parte: le 'allegre' avventure con Johnny e Yosaku. Ma non è questo il giorno. Oggi solo una sbirciata.

   
 
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