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Autore: YellowSherlock    14/11/2023    2 recensioni
Aziraphale chiede a Crowly la danza delle scuse.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Non-con
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Era fermo nell’atrio della libreria, Crowley, quando un lampo illuminò le vetrate ad angolo di quel negozio così esposto a tutti gli incroci delle vie laterali.
In una sola frazione di secondi, la caffetteria di fronte mostrò le vivide insegne blu oltremare, il ristorante accanto il rosso scarlatto, ed il negozio di dischi più avanti,  l’aranciato ramato.
Dopo quel solo istante di luce, tutto ritornò ad una colorazione molto più scura:
quella della Londra piovigginosa, dalle nubi grigie che opacizzano ogni colore.
Della Londra bagnata ed umida che mai smette di riversare sui suoi manti d’asfalto, le lacrime di quelli che dietro le nuvole, sembravano essere gli occhi degli angeli.

Lo stesso flash di luce colpì il demone, il quale mai rinunciava ai suoi occhiali scuri, anche in giornate in cui indossarli era più patetico che affascinante. Almeno per gli umani.
La gente della sua specie, sapeva che doveva nascondere le pupille arancioni da serpente, le quali si incendiavano ad ogni stimolazione di punti deboli del suo essere, che si curava quotidianamente di evitare.
 E Aziraphale, era uno di questi.
Se non il punto debole in assoluto.

Il profilo serpentino, dal naso aguzzo e labbra serrate, si esponeva al gioco di luci ed ombre con estrema grazia, ma l’angelo bianco, seduto alla scrivania un po’ più avanti, sembrava non curarsi di quella tela del Caravaggio che si era snocciolata dinnanzi a lui.
Forse ne era abituato, o forse lo evitava con cura anche lui, per mantenere il famoso equilibrio sul filo dei punti deboli.

Il piano concerto n. 2 di Shostakovich risuonava su un giradischi gracchiante, poggiato sul bordo di quella scrivania ricoperta di libri e carte a sua volta immersa in un gioco di librerie ancor più disordinate; si poteva dare la colpa a Gabriele di tutto quel baccano, ma la verità è che non vendere e non regalare libri, aveva reso quel posto, un tempio le cui pareti si reggevano su cellulosa impressa d’inchiostro.

Il cristallino risuonare degli acuti di quel dolce pianoforte, combatteva con il ticchettio delle gocce di pioggia sui vetri, e Crowley continuò a fissare l’angelo, il quale era intento ad ignorarlo con maestria.

“Sono tornato.”
Disse, spezzando la voce e tirando giù gli occhiali, mostrando all’amico il colore ambrato di due occhi calmi ed intenzionati a mettere da parte ogni questione.

“Mh, si, lo posso vedere.” Disse l’angelo, continuando ad ignorarlo tra le scartoffie.

Il Demone decise di giocare alle regole dell’Angelo e iniziò a parlargli in modo quasi indifferente ed annoiato:

“Vuoi che ti chieda perdono per qualcosa, una specie di scusa o possiamo semplicemente smetterla?” disse, spostando lo sguardo sul buio che calava attorno, cercando di non cedere alle imprecazioni.

L’angelo continuò a tenerlo sulle spine.
“Sì, mi piacerebbero delle scuse, adesso. Credo siano necessarie.”
Continuò con fare altezzoso, con inattaccabile fierezza leonina.

“Hai ragione.” Disse Crowley, cercando di combattere l’orgoglio che gli si annodava tra la gola e il palato, inspirando tra i denti per evitare di portare la rabbia alla punta delle dita e fargliele finire addosso.

Aziraphale tolse i suoi occhiali, e guardò un punto indefinito fisso. Poi si girò sulla sedia, verso il demone, e con sospiro rassegnato di chi si sta per giocare il tutto per il tutto, disse:

“Non è abbastanza,  Crowley. Io voglio delle vere scuse...”
Abbassò lo sguardo accennando agli angoli della bocca un lievissimo sorriso.

“…delle scuse, con una piccola…danza.”

“NO!” rispose Crowley secco e visibilmente irritato. Dall’ambrato, le sue pupille presero una colorazione cremisi, inaugurando un crescendo cromatico pari a quello della sua rabbia.

“Io ho fatto! IO” alzò la voce l’angelo.

“NO!” continuò il demone “Non farò la danza…!”

“IO!” riprese l’angelo, con tutto l’elan vital che possedeva, “ Io…” riprese “…ho fatto per te la danza nel milleseicentocinquanta” e d in crescendo “ nel millesettecentonovantatreemillenovecentoquarantuno…

“VA BENE!” esclamò urlando il demone.

L’angelo, fiero di quel risultato che nel fondo del suo cuore, un po’ gli sembrava impossibile, si levò dalla sedia e si mise in piedi dinnanzi all’amico, dando una lieve sistemata al panciotto, poi al papillon, e posando le mani in grembo con fare d’attesa.

Il demone, arreso alla richiesta di quell’uomo a cui, chissà per quale astruso motivo, non riusciva a dire di no, dondolò leggero sulla gamba destra, e poi sulla gamba sinistra, agitando lento un braccio lungo il fianco, come a voler provare una coreografia che non poteva assolutamente permettersi di sbagliare.

In pochi attimi, il demone, intonò la voce, e tirò su una mano facendola esplodere nel gesto di una stella filante e cantando: “Avevi ragione…si, avevi ragione” oscillando tra destra e sinistra,

“Avevo torto!” continuò incrociando le gambe,

“Tu avevi ragione!” finì sciogliendo le cosce in una piroetta la quale, per non finire rovinosamente in una imbarazzante caduta, si trasformò in un inchino supplicante.

Nel momento in cui il demone capì di essersi giocato tutte le carte della credibilità, si raddrizzò immediatamente, incrociando lo sguardo di Aziraphale.


L’angelo per qualche secondo non fu pervenuto.
Il suo sguardo era fisso, con un sorriso accennato, ed i pensieri viaggiavano molto più lontani di quella semplice libreria che li rinchiudeva in una giornata di disastrosa pioggia.

Iniziò ad ammettere a se stesso che la richiesta fatta all’amico non era frutto di un desiderio di vendetta, quanto piuttosto ad un desiderio di vederlo ondeggiare ad ogni suo comando.
E se Aziraphale nei millenni, aveva desiderato ricevere ordini, in quell’istante scoprì di volerne anche dare.
E allora la sinuosità di quella figura demoniaca, che scivolava in dolci rotazioni dinnanzi al suo desiderio, lo fece incendiare nelle parti più nascoste del suo essere. Nelle parti più nascoste anche a se stesso.

Qualcosa dentro lui sembrava essere ignaro, e un’altra parte era pienamente certa di averlo intensamente desiderato.

Le mani di Crowley, per le quali aveva un debole, le aveva immaginate esplosive sul tocco della sua pelle, così come le punte delle dita dei pianisti sfiorano l’avorio durante un brano di Ravel.

Le gambe incrociate gli ricordavano un piacere a lungo sommesso, dando sfogo ad una giravolta che gli mise in risalto i glutei perfetti che in quell’istante tanto avrebbe voluto possedere, abbandonando ogni titolo di angelico animo.

E l’inchino, Dio, l’inchino.

In quella posizione così riverente, e così all’altezza dei suoi desideri più proibiti, gli fece saltare all’occhio l’istinto di voler prendere il suo viso tra le mani e portarselo in ogni parte del corpo.

Fu scosso, Aziraphale, da un tuono, sia del cuore che delle nuvole, e si ridestò da quei pensieri così impuri che mai avrebbe immaginato potessero risalire a galla.

La gola gli bruciava di piacere e dovette deglutire per poter riprendere un discorso senza sembrar esser uscito dall’inferno, letteralmente.

L’eccitazione si disperava in lui ma il rigetto di essa era più semplice della sua liberazione, perché anni interi dalla parte della giusta morale lo avevano reso un soldato di prima classe.
Ma benché le sue forze furono controllate e sommesse, il riso non riuscì ad esser ingabbiato, e la deglutizione venne sostituita da un malizioso ghigno che gli portò a schiudere le labbra umide con una frase:

“Molto carino, decisamente molto carino.”

Crowley fu ignaro di tutto quel caos che nel cuore di Aziraphale si era creato. Era solo felice di aver messo fine a una questione spinosa, e lieto di aver smesso di ballare la danza delle scuse.
Cosa che, in qualsiasi caso, avrebbe comunque legato al dito, cercando subito un modo per fargliela pagare.

E del debito da estinguere, Aziraphale, ne aveva già una chiara idea.

 
   
 
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