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Autore: Ariadirose    21/11/2023    4 recensioni
Però, come era stata brava la nonna, come sapeva che la sua bambina l’avrebbe tanto bene riempito quel vestito, l’avrebbe fatto brillare con la tutta sua poderosa bellezza. E quanta grazia, aveva, Oscar in cima alla scala... I capelli raccolti scoprivano il suo collo elegantissimo e due spalle perfette, scolpite… quanto vi avrebbe fatto scorrere le labbra su quella strada di splendore e di bianchezza. “Un sogno…”. Ed era per quel sogno che André, combattuto tra la visione di lei e la rabbia di non poter essere il destinatario di tanta avvenenza, non si dava pace. E decise di non bere perché avrebbe annacquato la memoria di quel sogno che lei era, insieme a tutta la gelosia che provava.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo mezzanotte

 

Si era sentita molto confusa, a tratti guardandosi dentro o vedendo da fuori se stessa.

Tutta quella serata sembrava avere qualcosa di sbagliato. Forse era lei quella sbagliata, o forse aveva davvero sbagliato il Padreterno facendola nascere donna, proprio come Hans le aveva detto una volta.

Assumendo le sembianze di una misteriosa contessa, Oscar si era recata al gran ballo… Ma non aveva perso una scarpetta di cristallo, era stato il suo passo falso ad aveva tradita, facendola sentire a disagio, e come smascherata davanti agli occhi increduli di Fersen. Quegli occhi che avrebbe voluto sedurre, magari trovandosi persino spiata e denudata, questo è vero; ma mai come lei fosse una creatura distante, dalla specie estinta o di un genere fuori dal mondo.

Mentre faceva ritorno a casa in carrozza, rimuginava su se stessa. L’abito fa il monaco, eccome. E infatti, con i suoi vestiti, si sarebbe sentita sicura, protetta, non sarebbe caduta nel ridicolo, come le era accaduto inciampando. E ce l’aveva con sé per questo. Ma pure con lui ce l’aveva, perché era rimasto di sasso di fronte a quella specie di rivelazione: “Ma non è possibile… voi non potere essere...”, lui aveva detto.

“E perché poi?”, pensava tra sé, “Cosa credete, che maneggiare la spada o comandare uomini, mi abbia trasformato? Che cosa sarei, io, un tipo di femmina bislacca? Equivoca? Sospetta? Non ho forse tutto quello che possiedono le altre ragazze, al loro posto? Ho sbagliato e adesso vi eviterò per sempre, Fersen. André aveva anche tentato di distogliermi da certi pensieri. Lui e il suo vantaggio di avere sempre ragione! Deve aver capito, lui, cosa sento… Menomale che a corte nessuno mi ha riconosciuto... e perché avrebbero dovuto? Io sono il comandante delle guardie, certo, mica una dama”. Tutte quelle riflessioni, mescolate alle parole del conte,“Il mio migliore amico”, le picchiavano in testa come fossero delle martellate.

Nel frattempo a palazzo Jarjayes, André era sprofondato nella poltrona di solito occupata da Oscar, durante le serate dedicate a leggere o a bere davanti al camino. “Ha pensato bene di andare senza di me, questa sera, la signorina. Ovvio, sarei stato d’intralcio alle sue fantasie romantiche con il conte… quel frivolo zuccone. Solo un idiota potrebbe dirle che doveva nascere uomo, un idiota bello e buono. E se lei fosse un uomo, conte dei miei stivali, io allora che cosa dovrei essere? Ma non vedi la meraviglia che è? Avessi modo io di dirle ciò che provo. Potessi stringerla io tra le mie braccia, invidiato da tutta la corte. Chissà se riuscirà a baciarla oppure… No!, non ci posso pensare”. André si metteva la testa tra le mani, torchiandosi il cervello. Non aveva nemmeno voglia di bere, non ce la faceva ad alzarsi e raggiungere la bottiglia. E comunque l’avrebbe spaccata, pensando che lei, nello stesso momento, probabilmente si lasciava ammaliare da quell’uomo che neanche si era degnato mai di avvicinarla e trattarla come una femmina. “Certo, doveva prima aspettare che fosse lei a esporre la mercanzia, incipriarsi il naso e adescarlo con quel suo ventaglio di piume! Che velasse e sfoggiasse al contempo, il suo amabilissimo seno, sodo e candido, sull’apertura dell’abito”, supponeva tra sé. E pure la nonna, però, perché lo aveva dovuto fare così scollato!? “Dannazione”. Però, come era stata brava la nonna, come sapeva che la sua bambina l’avrebbe tanto bene riempito quel vestito, l’avrebbe fatto brillare con la tutta sua poderosa bellezza. E quanta grazia, aveva, Oscar in cima alla scala... I capelli raccolti scoprivano il suo collo elegantissimo e due spalle perfette, scolpite… quanto vi avrebbe fatto scorrere le labbra su quella strada di splendore e di bianchezza. “Un sogno…”. Ed era per quel sogno che André, combattuto tra la visione di lei e la rabbia di non poter essere il destinatario di tanta avvenenza, non si dava pace. E decise di non bere perché avrebbe annacquato la memoria di quel sogno che lei era, insieme a tutta la gelosia che provava. E preferiva tenere viva la seconda, per non perdere anche l’estasi della prima. Lui, anche se moriva al pensiero che fosse andata al ballo in incognita, e ne sospettava lo scopo, nello stesso tempo non stava nella pelle dell’aver potuto godere così liberamente della vista di lei, femmina come poche, di altezza ben superiore alle più raffinate nobildonne di Francia.

Ad un tratto sentì il rumore della carrozza e poco dopo aprire la porta d’ingresso: era lei, che rientrava irritata e correndo si dirigeva proprio nel salotto, immaginandolo un luogo a quell’ora disabitato.

“André sei ancora in piedi...”.

Lui cercò di contenere la sua emozione, trovandosela sola, bellissima, lì di fronte. Era magnifica, ancora di più rispetto all’immagine che aveva cercato di conservare sobria nella sua mente. “Non è poi tanto tardi: appena dopo mezzanotte. Pensavo tu ti trattenessi molto di più a corte”, disse fingendosi spudoratamente disinteressato alla cosa.

“No, ho messo fine al ricevimento prima del previsto”.

Lei sembrava delusa, e questo quasi rassicurava André, che aveva ben altre preoccupazioni a riguardo della serata! Ma non poté comunque fare a meno di domandarle se qualcosa l’avesse infastidita.

“C’è qualcosa che non va? Ti è stato fatto del male?”.

“No, sono solo inciampata”.

“...E ti sei sentita in imbarazzo. Posso capirlo, nel caso la faccenda abbia attirato molto l’attenzione degli astanti…”.

“No, non se ne accorto quasi nessuno, ma ha dato fastidio a me”.

“Lo so: so bene quanto sei orgogliosa. Ma credo che stasera la tua eleganza debba certamente aver affascinato tutti, e l’incidente in sé non può minimamente aver destato scompiglio”.

André fu onesto nel dire quella sua opinione apertamente, e senza la benché minima affettazione. Sincero, come lui era sempre con lei. O quasi...

Si sentiva già un po’ più nel suo, Oscar, alla presenza di quel compagno familiare e rispettoso. Anche lei si sedette al buio, illuminata solo dal camino, nella poltroncina accanto a quella di lui. E dopo solo un istante:

“Oscar”.

“Sì?”.

“Mi concedi l’onore di questo ballo?”.

Lei lo guardò meravigliata, non sapendo cosa rispondere.

Così lui proseguì senza incertezza: “In definitiva abbiamo svolto tantissime mansioni insieme, condiviso zuffe e bevute, ti ho persino visto un po’ alticcia qualche volta, e ci sfidiamo quasi quotidianamente a duello. A questo punto perché non potremmo anche ballare insieme, per una volta. Infondo non se ne accorgerà nessuno”.

Risentita nella sua femminilità ferita, lei rispose a tono: “E perché, se qualcuno ci vedesse, che intendi dire? Ah, certo, il problema sarebbe ballare con un colonnello delle guardie reali”.

“No, Oscar. Saresti tu a dover motivare il perché, se stessi ballando con il tuo servo”.

Lei rimase colpita. André seguitò a parlare: “Per me sei la persona che sei. Sei sempre tu, Oscar. Non è il vestito: è il modo in cui si indossa a fare la differenza. E tu sai distinguerti in ogni maniera. In abiti da dama e da ufficiale. Ma hai ragione, io non sarei all’altezza di ballare con un colonnello, non con tutte quelle medaglie che luccicano sul tuo petto” - proseguiva mentre lei un po’ arrossiva - “poiché in definitiva altri non sono che il tuo attendente. Solo un servo”.

“Perché dici questo. Tu sei André a prescindere dal compito che svolgi per la mia famiglia. Per me non sei certo il ruolo che ricopri”.

“Nemmeno tu”. S’inchinò e attese che gli concedesse il suo ballo, aspettando o forse solo sperando che lei non dicesse di no.

Oscar tentennava, da una parte, ma dall’altra sapeva che doveva danzare con lui, nulla vietava loro di farlo.

Così si alzò, allungo il braccio per farsi condurre, e André l’afferrò prontamente. Per lui era un sogno che si avverava. Un sogno che lei ancora non comprendeva. Per una sera soltanto, va bene, ma in quel momento si poteva comportare come il suo cavaliere. Poteva illudersi di essere il suo uomo, o un pretendente: poter aspirare a lei, e non a portale solo il cavallo.

“Non abbiamo la musica, però possiamo immaginarla: vieni”. Oscar si faceva portare, e non sentiva di sbagliare. Aveva un leggero imbarazzo tra le braccia di André, questo è vero, e non perché lui la toccasse: piuttosto non si rendeva conto del tutto del perché mai si trovasse lì, con lui in quel momento.

Valente, composto, corretto, André era a suo agio nei movimenti e negli sguardi che poteva scambiarsi con la sua contessa, nella semioscurità. Le afferrava la vita a quella giusta distanza, stringendola con convinzione ma senza forzature. Sorridendo le parlava mentre si muovevano, e la guardava dritto negli occhi, non osando poggiare lo sguardo sulla sua scollatura, la cui sporgenza era più in ombra o più in luce a seconda della posizione, rispetto alla radiazione proveniente dalle fiamme del camino; ma era pago e rapito al solo pensiero che la punta del suo seno quasi gli sfiorasse il torace, sprigionando un accogliente tepore, mentre lui poteva assaggiare il nerbo femminile dei suoi sguardi.

“Danzi molto bene, Oscar. Del resto sai muoverti con leggerezza, io questo lo so: scattante e agile. Anche nel duello, tu sai spiccare per eleganza, io non riuscirei a raggiungere il tuo stile. Credo che, se non sapessi di ballare con te adesso, in casa tua, comunque non potrei mai dubitarne. E non solo perché anche con il volto dipinto e i capelli acconciati i tuoi lineamenti restano inconfondibili, ma perché persino il tuo portamento parlerebbe in tua vece, Oscar”.

A quelle considerazioni su di lei, che senza contraddizione facevano coesistere la contessa e il militare, il pensiero di Oscar aveva sovrapposto invece le parole pronunciate dal conte, e per un istante, stentando a proseguire, fu indotta a bloccarsi, rischiando di far inciampare André in un orlo delle sue gonne e di farselo cadere addosso. L’arresto improvviso metteva fine alla fluidità dei passi del ballo, ma anziché far perdere l’equilibrio a entrambi, portò i due a sorreggersi a vicenda: André le teneva forte la schiena per non farla cadere indietro, e lei, nell’aggrapparsi alla spalla di lui, gli imprimeva anche il giusto sostegno per favorire la sua postura bilanciata.

“Riconosco che sei proprio forte, sai, stavo perdendo l’equilibrio e potevamo finire a terra tutti e due...”, disse stupito dell’abilità di lei, ma forse ancor più di averla tenuta così stretta tra le braccia.

“Ma se sei stato tu ad avere i riflessi pronti, invece che inciampare nel vestito!”, risposte lei rilevando il tempismo di André.

“Non volevo rovinartelo... e mi auguro di non esservi riuscito”.

Lei lo rassicurò con un cenno delle mani che era tutto a posto.

“E spero di non averti fatto male”. Dentro di sé André temeva di averla stretta troppo per il desiderio ricolmo di lei. Era felice di averla potuta toccare, sentito il calore del suo fiato e trattenuto quelle braccia affusolate.

“Devo essermi un po’ confuso nel tenere il tempo: del resto siamo andati anche senza musica!”.

“Questo decisamente non è da tutti, ma per stasera credo sia sufficiente”, diceva lei, mentre pensava addirittura di aver avuto due cavalieri. “Forse ora è meglio che andiamo a dormire”.

“Come vuoi Oscar, e grazie per avermi concesso questo onore”. Con un leggero inchino le fece il baciamano, senza che le sue labbra neppure sfiorassero la pelle di lei. Si fece bastare, con il pretesto dell’etichetta, di averle potuto rubare il polso ancora per qualche istante.

“Buonanotte André”.

“Buonanotte”. La vedeva allontanarsi, mentre saliva le scale, e poteva godere ancora della sua schiena, che si lasciava intravedere attraverso lo scollo posteriore dell’abito, lungo tutto il busto. Poi aggiunse, “Ah Oscar, hai bisogno di aiuto per spogliarti?”.

A quella espressione screanzata, si voltò incredula, fulminandolo senza aggiungere una parola.

“Scusa se mi sono espresso male, non volevo essere frainteso. Intendevo dire se preferisci che salga mia nonna o una delle cameriere ad aiutarti. Per quel che ne so un abito del genere è piuttosto impegnativo da sfilare. Ed è meglio che tu non lo riduca in brandelli con la tua spada”.

Lei sorrise, comprendendo di essere stata azzardata nella reazione.

“Vedo se può venire mia nonna, ho capito. Sarebbe bello potessi essere libera di indossare ancora quel vestito, se ti fa piacere… senza doverlo gettarlo via questa notte”.

“Ma tua nonna sarà già a letto… puoi chiedere se una delle ragazze è così gentile da salire in camera mia. Grazie”.

“Grazie a te: per esser tanto bella”, commentò lui, abbastanza certo di non farsi sentire.

“Comincia a stringermi un po’ troppo questa stoffa”, borbottava dalla cima delle scale.

“E sapessi io come la invidio per questo”, da basso lui sospirava sottovoce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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