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Autore: musa07    24/11/2023    0 recensioni
[KageHina][Time!Skip]
"Eccola dov’era finita!
Tobio era certo di non averla restituita né tanto meno persa, molto più semplicemente gli era stata sottratta. “Presa in prestito a tempo indeterminato” gli avrebbe detto Shoyo ridendo quando lui l’avrebbe messo di fronte alla scoperta del misfatto.
- Kags, per favore andresti giù in lavanderia a vedere se la lavatrice ha finito? – gli aveva chiesto Shoyo, mentre questi era impegnato a preparare la colazione per entrambi[...]
Aveva voluto, fin dall’inizio – sei mesi prima ormai – che Shoyo non avvertisse la sua presenza come ingombrante ma più una presenza discreta, essere la rete di sicurezza di quella corda da funambolo sulla quale Shoyo aveva imparato a destreggiarsi alla meraviglia.
Questo almeno fino a quando non scese giù, nella lavanderia che si trovava nel seminterrato del condominio dove si trovava il micro appartamento di Shoyo, e tirando fuori i panni dall’asciugatrice, e la vide.
La sua felpa del Karasuno dell’ultimo anno[...]"
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccola dov’era finita!
Tobio era certo di non averla restituita né tanto meno persa, molto più semplicemente gli era stata sottratta. “Presa in prestito a tempo indeterminato” gli avrebbe detto Shoyo ridendo quando lui l’avrebbe messo di fronte alla scoperta del misfatto.
 
 
- Kags, per favore andresti giù in lavanderia a vedere se la lavatrice ha finito? – gli aveva chiesto Shoyo, mentre questi era impegnato a preparare la colazione per entrambi.
Lui era ancora scombussolato non in sé dal jet-lag, ma dall’implacabile sole brasiliano. Era a dir poco accecante, non si placava mai, non lasciava mai tregua, neppure alle sette del mattino. Così come il vociare allegro delle persone giù in strada, già piene di vigore ed energia anche all’inizio della giornata.
Rio de Janeiro non si zittiva mai. Non si fermava mai…
Era sempre in grado di sorprenderti.
Ecco perché Rio era veramente la città giusta per Shoyo, perché lo rappresentava perfettamente.
Tobio, guardandolo quando si muoveva ora con sicurezza per quelle strade, quelle viuzze ora per lui amiche, aveva l’impressione che fiorissero l’uno per l’altra. Shoyo insieme a Rio e Rio insieme a Shoyo. E si era ritrovato a pensare più di qualche volta di non sentirsi parte di quel quadro, e che non fosse neanche giusto volerci entrare a forza, ma restare nelle retrovie.
Quello era qualcosa che apparteneva a Shoyo, si ritrova a pensare, e Shoyo lo condivideva con lui attraverso i racconti, gli aneddoti, i ricordi… e lui aveva sempre pensato di esserne uno spettatore. Uno che sta dietro alle quinte e interviene in caso di necessità, di bisogno. Aveva voluto, fin dall’inizio – sei mesi prima ormai – che Shoyo non avvertisse la sua presenza come ingombrante ma più una presenza discreta, essere la rete di sicurezza di quella corda da funambolo sulla quale Shoyo aveva imparato a destreggiarsi alla meraviglia.
 
Questo almeno fino a quando non scese giù, nella lavanderia che si trovava nel seminterrato del condominio dove si trovava il micro appartamento di Shoyo, e tirando fuori i panni dall’asciugatrice, e la vide.
La sua felpa del Karasuno dell’ultimo anno.
Spalancò gli occhi blu per un istante, prendendola delicatamente.
Era la sua, ne era più che certo e non solo perché nell’etichetta interna c’era il suo nome scritto. ma perché era troppo grande per essere quella di Shoyo.
E allora Tobio capì che Shoyo aveva bisogno di lui. Che non doveva essere spettatore di quella sua avventura brasiliana ma parte attiva. Che non doveva essere la rete del funambolo, ma (anche) la sua asta, quello strumento che gli dà l’equilibrio necessario per proseguire con passo fermo e sicuro anche a centro metri di altezza.
- Non volevo intrometterti… - sussurrò appena, stringendo la felpa tra le mani, provando un senso di malinconia tenerezza. E sentendosi terribilmente in colpa.
 
 
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Shoyo, intento a non bruciare le tapioca che stava preparando, lo sentì solo nel momento in cui Tobio lo abbracciò da dietro.
- Scusami, Sho… -
- T-Tobio… che… che cosa sta succedendo? – domandò preoccupato, girandosi nell’abbraccio e vedendolo con la sua felpa in mano – A-ahhh… - ecco che sussurrò appena, sorridendo in imbarazzo, come se fosse stato colto a compiere qualcosa che avrebbe voluto tener nascosto.
- Sei stato tu una volta a dirmi che ti dovevo dire quello che mi passava per la testa altrimenti come avresti potuto aiutarmi. – gli sussurrò all’orecchio Tobio, stringendolo. E Shoyo semplicemente adorava il fatto che Tobio fosse sempre più alto di lui di un bel po' di centimetri, costringendolo a sollevarsi sulla punta delle dita, sentendosi avvolgere dalle sue braccia.
- Non volevo che pensassi che non fossi in grado di farcela da solo. O di non farcela punto. –
- Questo non l’ho mai pensato, Boke! – lo rimproverò Tobio, iniziando ad accarezzargli la schiena con lievi tocchi – Così come ho pensato che mi volessi fuori il più possibile da questa tua esperienza, che volessi che fosse qualcosa di solo tuo, una tua crescita personale pallavolistica e non solo. Ho sbagliato, scusami. –
- E poi hai il coraggio di dare a me dell’imb3cille, eh Kags? – ridacchiò Shoyo, uscendosene con quella battuta per alleggerire l’atmosfera.
- Tobio ascoltami – riprese a parlare Shoyo, staccandosi di poco dall’abbraccio per poterlo guardare negli occhi, prendendogli il volto tra le mani – Sei stato la prima persona con la quale ne ho parlato, di questa cosa, la prima persona a cui ho chiesto consiglio e quello che, tra tutti, mi hai sempre spronato ed incoraggiato, anche a tener duro ai primi tempi. Non ti voglio ai margini di questa cosa. Perché sarebbe impossibile, dato che sei parte della mia vita. –
E come gliela invidiava, Tobio, quella sua sorprendente capacità di esprimere così chiaramente e con poche parole ciò che sentiva dentro.
E Tobio si perse negli occhi dell’altro, accarezzandogli quel volto che il sole brasiliano aveva caramellato, mettendo in risalto quella piccola spruzzata di lentiggini sul naso, che mai c’erano state prima, ma era sempre e comunque il suo Shoyo. E Tobio lo voleva al suo fianco.
- La mia felpa…? – chiese, in una implicita domanda che Shoyo comprese.
- Era per sentirti e averti sempre con me. –
Tobio si sentì stritolare il cuore in una morsa. Lo strinse di nuovo a sé e Shoyo appoggiò la testa sul suo petto ad ascoltarne il battito del cuore, socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare. Come aveva fatto quella notte. E come avrebbe fatto negli anni a venire.
- Non ti devi giustificare con me, Sho. E se stai male, è giusto che tu me lo dimostri. Non ti sforzare di essere allegro, non c’è niente di male ad essere tristi. Anzi, ti dirò di più: tu hai il diritto di sentirti triste e confuso. Non ti rende meno forte o determinato. Voglio che tu sappia che anche qui, anche se siamo distanti, su di me puoi sempre contare. – gli disse, stringendoselo ancora di più, sussurrandogli due semplici parole all’orecchio.
- Non ho capito, Kags. – finse di non aver sentito Shoyo.
- Hai capito benissimo. E non te lo ripeterò, quindi fatelo bastare. – lo piccò Tobio, bofonchiando imbarazzato.
- Anch’io, Tobio… - non poté che essere la risposta di Shoyo mentre ridacchiava per l’imbarazzo dell’altro – Anch’io ti amo. -
 
 
 
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Io adoro troppo ‘sta cosa di uno dei due che indossa i vestiti dell’altro
   
 
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