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Autore: Soul of Paper    26/11/2023    3 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 83 - Fratelli e Sorelle


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


“Non potete stare qui!”

 

Si svegliò di colpo: il battito di Calogiuri sotto l’orecchio, mezza abbracciata a lui, come si erano addormentati dopo averlo sistemato per bene, finalmente. Che le ci sarebbe voluto un po’ per potergli fare il trattamento completo ma, per quanto avrebbe rivissuto tutto mille volte per quella piccola meravigliosa idrovora, le era mancato troppo sentirsi una donna e non solo un’incubatrice - peraltro precaria. E mo una mucca da latte.

 

E ci mancava solo che Calogiuri ci si abituasse e la angelicasse. Ma col cavolo! Altro che angelicata! Il tocco ancora ce l’aveva e pure il resto.

 

Solo che mo si era svegliata di colpo ed il battito era accelerato e non solo per la vicinanza di un certo capitano.

 

Le voci della scorta le facevano temere un bis della signora Maria Carmela. E sarebbe stato un po’ troppo per i suoi gusti.

 

“Ma no, aspettate, la riconosco a lei!”

 

Il toscano, come sempre il più sveglio. E si augurò che, in quanto tale, non avrebbe incitato al lasciar passare quella scassatutto di sua suocera.

 

“Ma che succede?”

 

Calogiuri, sveglio e pronto all’azione, la strinse più forte.

 

“Scusate ma ci hanno detto che l’orario di visita cominciava mo e, sapete, siamo venuti apposta da Matera, ma non vogliamo disturbare, è solo che Imma poverina ne ha passate tante e volevamo vederla, che lei anche se sta male non dice mai niente, e capire se la bimba sta bene come dicevano i giornali e-”

 

Diana.

 

Le stava già salendo il mal di testa, mentre Calogiuri le rideva nell’orecchio. Lo guardò, con un ma che ho fatto di male? e lui le rispose con un “dai che lo so che non vedevi l’ora di rivederla!” che sì, la conosceva alla perfezione ormai.

 

E il bussare era di Diana, lo avrebbe riconosciuto tra mille, ancor prima di quel “Imma?”

 

Guardò un attimo l’orologio: erano le nove passate, avevano dormito fin troppo dopo la performance e li avevano lasciati dormire. Chissà se Modesto era ancora vivo e se aveva ancora scorte per Vittoria. Se non l’avevano sentita ululare probabilmente sì.

 

“Avanti!” urlò di proposito, proprio come faceva a Matera.

 

La porta si aprì e incontrò quei due occhi azzurri che la sopportavano da una vita e che… forse solo Calogiuri la conosceva meglio. Era già commossa, mannaggia a lei, e sorrideva in un modo che le rendeva difficile mantenere il tono.

 

“Imma!”

 

Senza quasi capire come, se la trovò abbracciata addosso, dall’altro lato rispetto a Calogiuri che, con uno sguardo imbarazzato a lei e uno a Capozza, si stava alzando al letto per lasciare loro spazio.

 

“Su, su, su!” provò a consolarla, come sempre le toccava fare con Diana, con qualche pacca sulla spalla, “ho partorito, mica sono morta!”

 

“Ma prima del previsto, guarda, mi è preso un colpo quando l’ho saputo! Ma non potevo chiedere ferie prima, scusami, ma c’avevamo un’udienza e poi la D’Antonio chi la sente, anzi tanti saluti da Vitali e-”

 

“Diana, Diana, va bene. Non ti preoccupare, anzi, almeno mi trovi più riposata e con un poco più di pazienza che negli ultimi giorni. Ma non troppa, intesi? E c’ho mal di testa, quindi puoi abbassare i decibel?”

 

Per tutta risposta, Diana annuì e la stritolò di nuovo. Sospirò, sì, ormai sapeva tradurla fin troppo bene.

 

“Ma dov’è Vittoria?” chiese poi, staccandosi ma solo per prenderle le spalle, alternando lo sguardo tra lei e Calogiuri.

 

“Sta con lo zio… il fratello di Calogiuri,” chiarì, allo sguardo perplesso di Diana, “non certo Angelo Latronico, per carità di dio!”

 

“Vado a chiamarlo,” proclamò Calogiuri ma proprio in quel momento si sentì un’altra bussata. Questa invece, quasi identica a quella di Calogiuri.

 

Modesto, con Vittoria in braccio che, come la vide, cominciò a fare vagiti e ad agitarsi.

 

“Ma sei stata buona fino a mo, Vittò!” sospirò lui, con un sorriso, “ma ho sentito che avevate visite e allora…”

 

“Vittoria!”

 

Diana, che non perdeva tempo come sempre, l’aveva chiamata e se la ammirava come fosse un nuovo cappottino di Anna Cecere.

 

Modesto la mise in grembo ad Imma e Vittoria subito cominciò a cercare il seno, tra un gorgoglio e l’altro.

 

“Avevi finito il latte, piccolè?”

 

“No, no, ma mangia sempre…”

 

“Eccallà, questa è Vittoria, la nostra piccola idrovora, anzi lattivora. Vittò, hai visto chi c’è? Sentito di sicuro che per come parla Diana… se ti troverai un’amica quando andrai a scuola, cercala più silenziosa, va bene?”

 

“Imma…” sospirò Diana, mettendole lo stesso una mano sulla spalla per sporgersi in avanti, “ciao Vittoria…”

 

Vittoria smise per un attimo di cercare la fonte e spalancò gli occhioni verso Diana. Amava proprio le voci… penetranti.

 

“Posso?” chiese Diana, prima di allungare una mano per accarezzare la schiena di Vittoria, che fece un paio di risolini e provò a mettersi di schiena, quindi Imma ce la piazzò e Vittoria scalciava mentre Diana le faceva solletico alla pancia, felice come una pasqua.

 

“Ma è stupenda! Sei proprio bella tu, eh? C’hai qualcosa della tua mamma, tra il viso e i ricci, ma sei buona come il papà tuo!”

 

“Grazie Dià…” sospirò Imma, dopo l’ennesimo scambio di sguardi con Calogiuri, che le osservava orgogliosissimo.

 

Modesto e Capozza stavano in un angolo, imbarazzati.

 

“E dai, Imma, lo sai che voglio dire. Che anche tu sei tanto buona, ma prima ti devi aprire e ce ne metti di tempo ad aprirti, figlia mia, che in confronto a te il muro di Berlino era un guard rail. Di quelli bassi”

 

E che poteva dire? C’aveva ragione.

 

“Comunque lei è bellissima proprio, una meraviglia, guarda!” proseguì, mentre ballicchiava con le manine di Vittoria che si stava divertendo un mondo, “quasi quasi… mi stai facendo venire una voglia signorina… se non ci fosse già Assuntina, mannaggia a me!”

 

Un attacco di tosse: Capozza. A cui Modesto diede un paio di pacche sulle spalle, goffe come quelle di Calogiuri degli inizi.

 

Come si faceva a non volergli bene?

 

“Comunque tutto bene Vittoria? Anche se è arrivata in anticipo, che quello lo ha preso da te, Imma. Non hai pazienza neanche tu, vero?”

 

Vittoria gorgogliò più forte.

 

“Tranquilla, come vedi è sana come un pesciolino e-”


“Scorpione!”

 

“Eh?”

 

“Vittoria è uno scorpione, come te. All’ultimo giorno utile proprio. C’avrà un bel caratterino, pure se mo non sembra. Ma forse perché doveva nascere del capricorno, come te, invece, giusto, Ippazio? Che i capricorno hanno la testa dura ma sono più prudenti e pazienti, introversi. E quindi magari ha preso più da lui, che qua è buonissima, altro che te che urli sempre e-”

 

“Capozza!” la interruppe, perché un poco le veniva da ridere, con la sua passione per quelle scemenze dei segni zodiacali, un po’ si stava scocciando e un poco si voleva divertire.

 

“Sì, dottoressa.”


“Le andrebbe di prenderla in braccio?”


Capozza la guardò come se le avesse detto che gli concedeva un mese di ferie, ai tempi andati.

 

“A me? Ma è sicura? Cioè, a me fa piacere, ma non me l’aspettavo, ecco…”

 

“Mo un po’ di esperienza ce l’ha, no, Capozza? Non stia lì impalato, la prenda, la prenda.”

 

Diana era basita quanto Capozza, Modesto confuso, mentre Calogiuri stava trattenendosi dal ridere, come lei, e la guardava con quel suo sei tremenda! non verbale.

 

Capozza, con una delicatezza estrema, gli andava riconosciuto, provò a prenderle Vittoria dal grembo e-

 

WEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE

 

“Lo sapevo! C’hai ottimi gusti, c’hai! Brava Vittò!” rise, mentre Capozza ritrasse subito le mani e Diana si tappò le orecchie, guardandola tra lo sconvolto e il divertito.

 

“Scorpione! Decisamente scorpione! Madonna della Bruna, aiutaci tu!”

 

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“Vittoria… allora sei contenta che forse oggi si esce? Eh? Eh sì, eh!”

 

“Diana, non serve che fai la vocetta, quella che è appena nata è lei, non te!”

 

“E dai, Imma, ma come fai a non intenerirti? Sei così bella, Vittò… poi con questi occhioni… conquisti tutti…”

 

Vittoria agitò i pugnetti, con aria soddisfatta.

 

“Ruffiana come papà suo ma solo con chi vuole lei.”

 

“Non me lo dire, povero Capozza! Che poi è tanto buono, ma perché voi di famiglia Tataranni ce l’avete tutte con lui?”

 

Vittoria gorgogliò, imperturbabile.

 

“E dai, che Vittò con chi le sta proprio sul gozzo fa pure di peggio. Alla fine ormai non strilla quasi più quando Capozza le si avvicina troppo. Comunque ti ringrazio, Dià: almeno Modesto è riuscito a riposarsi qualche ora, che gli ho fatto fare gli straordinari in questi giorni.”

 

“Ma figurati! A me fa piacere! E poi Vittoria apprezza i miei abbracci a differenza di te. Tranne quando vuole il latte.”

 

Sospirò ma le sorrise. E poi lo sapeva anche Diana che non era vero. Tranne quando le scaricava tutto il peso addosso, tipo orso bruno.

 

“Ma a proposito… Calogiù quanto ci mette a comprarsi da mangiare? Che va bene tutto ma mo è da un po’ che è via…”

 

“E dai, Imma, quel povero ragazzo sono giorni che non si ferma un minuto e altro che straordinari! Magari si è fatto un pisolino e avrebbe fatto bene, che è importante che stia in forze per darti il giusto sostegno e-”

 

Bussarono.

 

Calogiuri.

 

“Ma che bussi? E che fai, origli?”

 

La porta si aprì e apparvero gli occhioni originali, confusi.

 

“Eh? In che senso?”

 

“Che lupus in fabula, Calogiuri, ma dove sei stato?”

 

Calogiuri arrossì in un modo che, non fosse stato Calogiuri, avrebbe come minimo pensato che si fosse infrattato con una delle infermiere che, quando lo vedevano, solo o con Vittoria, se lo guardavano come Noemi i leccalecca.

 

Ma Calogiuri richiuse la porta e notò in quel momento che aveva in mano un sacchetto di carta.

 

“Hai fatto spesa, Calogiù?” domandò, anche se il sacchetto non era da cibo, anzi, pareva quasi da boutique.

 

“Più o meno… in previsione della buona uscita, se ce la concedono…” ironizzò, porgendole il sacchetto.

 

Lo guardò, perplessa, e pure Vittoria e Diana, curiose come due scimmie, si voltarono a guardare, anche se una non poteva vedere.

 

Calogiuri le fece cenno di aprire e Imma staccò l’adesivo che teneva chiuso il sacchettino bianco, trovandoci dentro della carta velina. La scostò e…

 

Un nodo in gola alla vista di tessuto leopardato e, appena sotto, zebrato.

 

Due tutine, stupende, con tanto di cappucci, quello leopardato pure con le orecchie. Le ricordavano un poco una tutona peluchosa a forma di orsetto che indossava ironicamente d’inverno, quando era nei giorni di riposo dal poter praticare con Calogiuri. Anche se lui piaceva pure conciata in quel modo, mannaggia a lui.

 

“Deve essere pronta, no? Poi le altre gliele comprerai tu, a tuo gusto e-”

 

Lo interruppe con un bacio, perché altro non avrebbe potuto fare, toccata com’era da quel gesto.

 

Sentì una porta chiudersi e si avvide che Diana era uscita con Vittoria. Quando voleva sapeva essere discreta pure lei.

 

“Mo la richiamiamo che gliele voglio far provare, ma prima…”

 

“Ma prima c’è ancora una cosa.”

 

“E cioè?”

 

“Guarda meglio.”

 

Svuotò il sacchetto e trovò una scatolina e una busta.


“Calogiù…” sospirò, perché già sapeva che sarebbe stato costoso.

 

“E dai, apri. Che in questi mesi di spese nostre ne abbiamo avute poche.”

 

Levò il coperchio e trovò un braccialetto, sottile e bellissimo, che si adattava a tutti i gioielli che le aveva regalato Calogiuri in precedenza. Ma dentro c’erano incisi il nome Vittoria e la data di nascita.

 

“Calogiù…”

 

“Se non ti piace e se per te è troppo semplice possiamo farlo cambiare. O lasciarlo poi a Vittoria, ma almeno ho pensato che non ti è di impiccio e puoi metterlo più spesso e-”

 

Altro bacio.

 

“E che devo fare con te? Va benissimo, Calogiù, mannaggia a te. Ma pure il bigliettino? Mi vuoi proprio viziare?”

 

“Sempre! Che mo c’è la piccoletta ma… prima ci sei sempre tu.”

 

Stava per fare una battuta su quanto fosse ruffiano quando, aprendo il biglietto, trovò un buono per un parrucchiere e uno per una spa.

 

“Mi stai suggerendo che sto messa uno straccio, Calogiù?”

 

Si godette come lui iniziò a tossire e impanicò, finché non capì che lo stava prendendo in giro.

 

“Voglio solo che ti rilassi, in tutta sicurezza, con la scorta e-”

 

“E sai te che rilassamento!”

 

“Va beh, mica entrano in spa con te. Almeno spero!”


“E manco tu ci puoi entrare come mia guardia del corpo personalissima?”

 

Calogiuri deglutì.

 

“Ma dovrebbe essere per rilassarti, dottoressa, e poi la SPA volendo tra due settimane la puoi fare ma il resto…”

 

“E il resto poi con comodo a casa… ma anche se Diana sarà tornata a Matera, Modesto può tenere la piccoletta qualche ora, no? E pure tu vieni prima, Calogiù, e mi servi in forze. In tutti i sensi.”

 

Un colpo di tosse. Approfittò della distrazione per piantargli un altro bacio e chiamare Diana, che sicuro aveva sentito tutto - da come era rossa in viso - per preparare la piccoletta alle prove generali di libertà.

 

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“Non ci posso credere… non ci speravo più…”

 

La porta era più che blindata, antisfondamento e antitutto, le finestre pure, anche se stavano ai piani alti, il cancello dell’ingresso non era più perennemente aperto ma ben sorvegliato ed era stato rinforzato. Si chiese se i vicini non ce li avrebbero mandati e per più di una ragione, perché mai come in quel momento non avrebbe voluto avere se stessa come condomina.

 

Ma rivedere quell’ingresso, quei mobili, scelti con tanta cura, amore ed entusiasmo della scoperta reciproca, quella statua a forma di leopardo, sopravvissuta ai lavori e alla sparatoria, era un miracolo.


Un primo ma fondamentale ritorno alla normalità.

 

Strinse la mano a Calogiuri, per reggersi meglio. Nonostante le scarpe da ginnastica multicolor delle baleari, le ci sarebbe voluta ancora un po’ di fisioterapia per camminare bene, dopo tanto tempo ferma, a parte le continue punture di eparina che stava gradualmente sospendendo.

 

Calogiuri ricambiò, raggiante, pure con indosso il marsupio leopardato che le avevano regalato Diana e Capozza, sicuramente su suggerimento di lui stesso.

 

Vittoria ci stava come una pasqua, godendosi il calore di papà suo e Calogiuri non ne sembrava affatto turbato, manco quando all’ospedale, uscendo, qualche altro neopapà lo aveva guardato strano.

 

Lui era orgoglioso, orgogliosissimo. E proprio per quello, per quel suo essere uomo senza dover essere macho, lo amava così tanto.

 

Per fortuna come ovetto e carrozzina avrebbero avuto quelli di Francesco, in caso di bisogno, che ormai a lui stavano stretti. E almeno quelli sarebbero stati sobri.

 

“Sorpresa!”

 

Fece un salto, che manco sulle buche a Roma in motorino, e quando vide Diana, Capozza, Valentina, Pietro e Rosa li avrebbe uccisi.

 

“Ma vi pare il caso di farci le sorprese con tutto quello che è successo? E su!”

 

Le parvero mortificati, poi Valentina corse ad abbracciarla, che per poco non cascavano entrambe, e Calogiuri le sorresse con un, “tua madre fa ancora fatica a camminare…” degno quasi della superiora.

 

Che non avevano ancora potuto salutare, perché sarebbero venute lì le suore - se la montagna non andava da Maometto - con Melita e l’assistente sociale, per l’inserimento. Melita avrebbe soggiornato da loro ancora per un po’, forse addirittura fino al trasferimento a Milano.

 

Sentì la porta chiudersi alle loro spalle: non era la scorta ma Modesto, che era meglio di un corazziere per davvero.

 

“Scusaci, Imma, ma volevamo darvi il bentornato a casa. Vi abbiamo anche fatto un poco di spesa, preso tutte le prime necessità. Poi se vuoi andare a fare shopping io sono disponibile,” chiarì Diana, verbosa come al suo solito.

 

“Sì, per la cucina se volete io e Rosa possiamo dare una mano. Cioè io tra un paio di giorni torno a Matera ma… se surgeliamo ce la facciamo.”

 

Pietro, in imbarazzo ma sempre gentile.


“Noemi?”

 

“Da Bianca. Che c’era già abbastanza casino così. Però abbiamo una sorpresa per voi…”

 

“Cioè?”

 

“Le suore non ce la facevano più e neanche Melita…”

 

Per un attimo pensò e sperò a Francesco ma poi un miagolio inconfondibile, seguito da un soffio.

 

“Ottà…” sospirò, che porella con tutti i posti che aveva cambiato negli ultimi mesi l’avrebbero dovuta fare santa.

 

Apparve un trasportino e la sentì graffiare ferocemente, per liberarsi.


“Abbiamo dovuta tenerla qui perché se no distruggeva tutto, magari se la liberate voi…”

 

“Sì, che questa come minimo fa l’offesa, mo. Fai l’offesa, Ottà?” chiese, facendosi aiutare da Calogiuri a scendere a terra e a sedercisi, per provare ad aprire la gabbietta.

 

“Ottà, io ti libero mo, ma puoi non fare casino che siamo già abbastanza stremati così?”


Un miagolio. Niente fischi.

 

Il che la fece preoccupare ancora di più.

 

“Tieni al sicuro Vittò, che non si sa mai con la gelosona qua,” raccomandò a Calogiuri, prima di sganciare la porticina.

 

Una palla di pelo le si lanciò addosso, al petto, salendole sulle spalle per leccarla tutta, come solo Ottavia sapeva fare, facendola ridere dal solletico e poi-

 

E poi Ottavia abbassò la testolina e le guardò la pancia, che era sì più sporgente del solito ma decisamente vuota. La fissò con occhi interrogativi, un altro paio di miagolii tenerissimi e poi il musetto scattò verso Calogiuri.

 

Imma cercò di afferrarla, perché temeva saltasse sul marsupio, o facesse casino, ma Ottavia lo studiò incuriosita, come fosse un esemplare strano.


“Guarda che è sempre Calogiuri, non è diventato un canguro…”

 

Calogiuri rise ed allungò una mano, per accarezzarla sotto al mento. Ottavia prese a fare delle fusa schifosamente affettuose.

 

Poi, piano piano, si abbassò pure lui, con marsupio e tutto, portando la testolina di Vittò a livello di quella di Ottà, mentre lei la tratteneva per evitare zampate.

 

Ottavia prese ad annusare compulsivamente l’aria e si sporse leggermente, mentre Calogiuri levava Vittoria dal marsupio, tutta bardata nel suo completino leopardato e curiosissima, e la girava verso la micia.

 

Ottavia miagolò, una, due volte. Vittò gorgogliò e agitò le manine. Si aspettò una fuga per la libertà ma Ottavia era tranquilla e, quando Vittoria piantò gli occhi azzurri nei suoi, prese ad allungare il capo per strusciarsi su una sua gambetta. Poi si girò verso Imma e le si strusciò sopra la pancia, miagolando felice.

 

“L’hai riconosciuta?”

 

Ottavia le leccò una mano e poi si avvicinò di più a Vittoria, leccando le sue di ditina. Vittoria cominciò a ridere.

 

“Mi sa che pulisce pure a lei, dottoressa. Forse puoi lasciarla andare un poco?”

 

Ottavia saltò in grembo a Calogiuri con una grande delicatezza, atterrando esattamente nello spazio lasciato libero dalla piccoletta. La raggiunse e le diede una testatina lieve in petto. Vittoria si mosse, tanto che le cascò il cappuccetto. Ottavia ne approfittò per leccarle la testa, vicino all’orecchio, come si faceva coi micetti, poi una linguata alla guancia e fu lì che Vittoria, presa di sorpresa, spalancò gli occhioni e iniziò a strillare.

 

WEEEEEEEEEEEEEEEE

 

MEEEEEEOOOOWWWW

 

Ottavia balzò indietro e se la diede a zampe levate, fin sul tavolo. Ma, a differenza che con Francesco, sembrò guardare verso Imma in modo quasi colpevole, con le orecchie basse.

 

“Eh devi essere delicata con questa Ottà, è piccina. Vieni qua…” la esortò, dandole la sua razione di coccole quando Ottavia le si buttò in braccio, mentre Vittoria si calmava un poco.

 

Da come la guardava, sapeva per certo che Ottavia aveva capito tutto. Anche da come guardava la sorellina e da quanto fosse paziente, nonostante le sue orecchie sensibilissime.

 

L’avrà scambiata per sua sorella, signò, con tutto sto leopardo!

 

La voce del cameriere al loro ristorante al Portico d’Ottavia.


Chissà… magari anche quello aiuta - pensò, mentre Diana si prendeva Vittoria e Calogiuri la aiutava a tirarsi in piedi, le giunture che protestavano manco avesse ottant’anni.

 

Ma sarebbe tornata a sfrecciare sui tacchi, quanto era vero che si chiamava Imma Tataranni.

 

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“Prego, accomodatevi…”

 

Due parole che tradivano la tensione latente.

 

L’attesa su quel divano, di vederlo comparire, le sembrò eterna, anche se a percorrere l’ingresso bastavano pochi secondi.


E poi eccolo, in braccio a Calogiuri. Suor Elisabetta, l’assistente sociale e Melita dietro di loro, in una specie di strana processione. 

 

Fece appena in tempo a registrare i loro sguardi basiti, soprattutto quello della superiora, al notare la statua del leopardo ed il resto dell’arredamento, quando un urlo potentissimo riportò l’attenzione sul motivo di questa visita, tutt’altro che di cortesia.


Francesco.

 

Come l’aveva vista, aveva preso a gridare e a scalmanarsi, per cercare di raggiungerla, nonostante i metri di distanza. Calogiuri lo teneva a fatica, diventava sempre più forte e pesante il loro ululatore seriale.

 

“Francè…” le venne da sorridere, notando poi le occhiaie di Melita e pure della superiora: chissà quanto le aveva fatte dannare!

 

Stava per alzarsi in piedi lei stessa, per coprire la distanza - al diavolo le precauzioni! - quando un altro pianto, ancora più potente, si era unito in perfetto unisono.

 

Mannaggia a lei!

 

Uno sguardo con Calogiuri, un sorriso, pur in mezzo alla preoccupazione. Modesto era nella loro stanza con Vittoria, per dare loro il modo di riunirsi con Francesco prima da soli, almeno per qualche minuto, ma la piccoletta non lesinava in solidarietà nelle proteste.

 

E fu allora che Francesco si zittì, confuso, cercando l’origine del pianto, per poi concentrarsi di nuovo su di lei.

 

“A te le voci spaccatimpani piacciono proprio, eh, Francè? Almeno una cosa ce l’avete in comune.”

 

Francesco era sempre più spaesato, ma Imma fece segno a Calogiuri di porgerglielo, anche se avrebbero dovuto fare in fretta.

 

Un sorriso.

 

Il sorrisone di Francesco non appena le fu in braccio fu una mazzata di commozione che non si sarebbe mai scordata.

 

Un’altra mazzata, l’espressione di Melita, pure se cercava di nasconderla.

 

La capiva, eccome se la capiva, perché se Vittoria avesse fatto così con qualcuno che non fossero lei o Calogiuri…

 

“Im-ma! Im-ma?”

 

Non potè evitare di sciogliersi, accarezzandogli i capelli foltissimi e dandogli un bacio sulla fronte. Il piccoletto ne approfittò per attaccarsi al suo collo, in un abbraccio che annullò ogni tensione e la portò, un po’ egoisticamente forse, a concentrarsi solo su di lui.

 

Su quel profumo che le era tanto mancato. Sul fatto che, nonostante da lei non si volesse proprio staccare, non sembrava risentito per l’assenza, solo sollevato di essere di nuovo lì, che lei non se ne fosse andata.

 

Sì, avrebbero dovuto lavorarci e tanto, ma i bacini di Francesco sul collo e sulla guancia valevano tutto e non avrebbe voluto che finissero mai.

 

Almeno fino a che un altro pianto, che non si era mai interrotto, non si fece più forte e comparve dal corridoio Modesto, con l’aria mortificata dei Calogiuri.

 

“Scusate ma… non riesco più a trattener-”

 

Vittoria, nel vederla, strillò ancora più forte, calmandosi un poco solo quando papà suo se la prese in braccio.

 

Ma poi, quando si avvicinarono, si bloccò, probabilmente avendo notato, per quel poco che poteva vederlo, il koala che era Francesco.

 

“Eh… Vittò… qua c’è Francesco, chissà quante volte lo hai sentito in questi mesi! Francesco, questa è Vittoria, l’inquilina che stava nella mia pancia, hai presente?”

 

“Im-ma? Im-ma?”

 

Forse c’aveva pure presente ma la confusione prevaleva per entrambi, intenti a studiarsi, prima che Vittoria si sbilanciasse in avanti, mirando a una cosa sola.


La fonte, ovviamente!

 

“Vittò, un pozzo senza fondo sei!” sospirò, liberando però un braccio per portarsela al seno, mentre Calogiuri provava a prendere Francesco, che non ne voleva sapere di mollare la presa.

 

“Francé, devo darle da mangiare mo, ti metti un attimo sul divano?” gli chiese, facendo segno a uno dei cuscini, ma lui non si levava di lì.

 

Vittoria, così vicina eppure così lontana dall’agognato obiettivo, emise i vagiti incazzosi che precedevano il pianto e quindi, contando sulla presa di Francesco e sul fatto che al peggio le sarebbe finito in grembo, Imma usò l’altra mano per liberare il seno e farla attaccare.

 

La piccola idrovora non se lo fece ripetere due volte e si mise a ciucciare, bella tranquilla ora che poteva soddisfare il suo bisogno primario, limitandosi a lanciare qualche occhiata curiosa a Francesco.

 

Un “Im-ma!” perentorio più di lei, fece appena in tempo ad intercettare l’espressione di Francesco, che pareva avere la proverbiale lampadina illuminata in testa, che le braccia intorno al collo sparirono e lo sentì scivolare, e sia lei che Calogiuri si precipitarono a riacchiapparlo.

 

Ma due manine ed una bocca al seno ormai non più libero arrivarono ben prima di loro. A parte le fitte ed il peso di gran lunga superiore a quello di una neonata, Francesco stava provando ad attaccarsi da sopra i vestiti, imitando la sorellina - sapeva che non doveva pensarli fratelli, che Francesco era figlio di Melita, ma quello erano per lei - che si staccò giusto per protestare veemente con un paio di vagiti dei suoi.

 

Pretendeva l’esclusiva, di famiglia proprio!

 

Francesco si fermò. Sì, le voci incazzose erano proprio l’arma segreta per conquistarlo o placarlo.

 

Ma ciò non gli impedì di rimanere ben attaccato alla fonte e fare un secondo tentativo. Un altro vagito di protesta di Vittoria a cui fece eco uno di Francesco, frustrato perché il suo maglione - chissà come mai - non produceva latte, fatto sta che cominciarono a piangere a decibel improponibili, in dolby surround.

 

“Francè! Vittò!” esclamò, lanciando uno sguardo appanicato a Calogiuri: chiunque riuscisse a partorire e poi a crescere dei gemelli aveva tutta la sua stima e il suo compatimento.

 

Il suo capitano, solerte più di sempre, provò a prendere prima Francesco e poi Vittoria, ma nessuno dei due mollava.


“Francesco…”

 

Melita aveva provato a intervenire, turbata, ma lui si rifiutava di lasciarle la maglia.

 

“E se provassimo a dare un po’ di latte a Francesco? Cioè col biberon? Anche se gli fa schifo ma…”

 

“Ma non è una questione di gusti, capitano. La regressione è un fenomeno abbastanza normale quando c’è un nuovo arrivo in famiglia. Francesco imita la- Vittoria.”

 

Persino l’assistente sociale si era quasi fatta sfuggire la parola sorella, ne era certa.

 

Melita pareva Cesare dopo la pugnalata.

 

“Allora preparo un biberon con il latte artificiale?”

 

Modesto, a cui avrebbe dovuto fare un monumento in ogni città italiana.

 

“Forse meglio due? Par condicio, no, dottoressa? Poi glieli scambiamo, così si rendono conto che stanno bevendo la stessa cosa. E poi, quando Francesco starà mangiando o se non vuole il latte, riattacchiamo Vittoria? E a lui diamo un po’ di cibo vero o gli facciamo le coccole e basta.”

 

Calogiuri. Rimase per un attimo a bocca spalancata, nonostante il dolore, perché quando faceva così lo avrebbe sposato non una ma mille volte.

 

“Ma hai fatto pure un corso di pedagogia o le strategie apprese al corso di capitano includono questo tipo di emergenze?”

 

“Diciamo che la condivisione delle risorse fa parte del lavoro di squadra, dottoressa…” si schernì lui ma vedeva benissimo il sorriso dell’assistente sociale e lo sguardo non disapprovante di suor Elisabetta.

 

Melita, invece, era come paralizzata.

 

Per sopravvivenza, in attesa del ritorno di Modesto, si mise distesa - almeno il peso dei due contendenti era meglio distribuito - e prese a fare solletico alla schiena di entrambi. Parve funzionare, almeno con Francesco, che cominciò a ridere. Vittoria invece si rifiutava di staccarsi dall’obiettivo: tra la testa dura sua e quella di Calogiuri stavano a posto stavano.

 

Finalmente la fonte doveva essersi esaurita perché Vittoria si staccò, agitandosi verso Francesco ed il lato ancora buono. Ma fu proprio in quel momento che Calogiuri la prese e cercò di tranquillizzarla come sapeva fare lui. Francesco, senza più concorrenza, smise di cercare il seno e si accontentò delle coccole, lasciandole tirare giù del tutto la maglia, per sicurezza.

 

“Ecco qua!”

 

Raramente era stata felice di vedere qualcuno come Modesto coi due biberon. Vittoria si attaccò subito alla tettarella di plastica, felicissima in braccio a papà suo. Francesco prese qualche sorso ma poi lo mollò lì, come da previsione. Voleva giocare e basta.

 

E quindi Imma riprese in braccio Vittoria, ignorando le proteste dell’ululatore e scambiando loro i biberon. Giusto qualche altro assaggio e Francesco, con aria schifata, levò la tettarella dalla bocca. Guardò Vittoria, che stava ciucciando avidamente ed allungò le braccina come per dirle tiè, tieni anche questo!

 

Scoppiarono tutti a ridere. Tutti tranne Melita, mogia mogia in un angolo. A maggior ragione quando Francesco le gattonò verso il collo per riempirla di bacini. L’idrovora non mollava un colpo e lo studiava con gli occhioni azzurri, stupiti ma non ostili. Finché Francesco stava lontano dalla fonte una convivenza era forse possibile. Lato Calogiuri quello: lei non era mai stata brava a condividere nulla, tantomeno gli affetti.

 

“Se proviamo a riattaccarla dall’altra parte? O è troppo presto?” domandò: anche se era solo che felice di demandare un po’ di fabbisogno al biberon, non voleva avere problemi ogni volta che la piccoletta voleva mangiare - cioè quasi sempre.

 

“Va bene. Gli diamo i suoi biscotti preferiti intanto?” propose Calogiuri e l’assistente sociale annuì, “Melita, perché non mi dai una mano a dargli da mangiare? Lo lasciamo in braccio ad Imma, ma almeno magari si distrae.”

 

Di nuovo, l’assistente sociale sorrise. Suor Elisabetta parve quasi impressionata.

 

“Ci sa fare coi bambini il carabiniere… e pure il fratello…” le sussurrò, quando Melita, Modesto e Calogiuri erano impegnati nell’area cucina.

 

Un’esclamazione quasi giovanile, che suonava così strana su quel volto austero: Vittoria aveva approfittato della vicinanza della superiora per infilare le braccia nella parte finale del velo e, quando la suora si era rialzata, per poco non le cascava, mezzo impigliato com’era nella piccoletta.

 

Rise. Vittoria tornò a ciucciare il suo biberon e suor Elisabetta riuscì infine a riappropriarsi del tutto del copricapo.

 

Ma non sembrava arrabbiata, anzi, specie quando commentò, “somiglia a vostra nipote, Noemi, giusto?”


“Lasciano il segno sì,” sorrise, una carezza a Vittoria mentre con l’altra mano continuava col solletico a Francesco, “vuole tenerla lei un po’?”

 

La superiora la guardò come se le avesse annunciato di voler entrare in clausura ma poi, inaspettatamente - o forse no - non solo afferrò Vittoria con un’abilità rara, di chi di bambini se ne era sorbiti a centinaia, per anni ed anni, ma Vittoria non protestò, anzi. E non era solo perché aveva il biberon e mo una fonte valeva l’altra.

 

A pelle le piaceva, o si sarebbe esibita in ululati degni dell’ultimo dei Mohicani. Come lei. Solo che a Vittoria a pelle piacevano molte più persone che a lei. Come a papà suo.

 

Il trio tornò coi biscotti. Melita ne porse uno a Francesco che lo afferrò, per mangiarselo da solo, come il piccolo lord che era.

 

Forse il tempo passato con Irene, Bianca e quella santa di Maria?

 

In ogni caso, Melita era sempre più provata.

 

A chi troppo e a chi niente.

 

Francesco era infilato sotto al suo braccio, a rivendicare la posizione. Con un cenno di intesa Calogiuri prese Vittoria dalla superiora e gliela piazzò sul seno ancora pieno e subito lei si attivò, meglio di un cane da tartufo.

 

Come riuscì ad attaccarsi, Francesco protestò e provò a raggiungerla. Calogiuri lo intercettò con un altro biscotto, mentre lei lo teneva nell’incavo del braccio e gli accarezzava il pancino.

 

Alla fine, forse furono i biscotti, forse le coccole ma si tranquillizzò e Vittò potè avere il suo agognato pasto.

 

Melita provò a dargli da mangiare ma Francesco accettava i biscotti, sì, ma da lei non si voleva proprio staccare.

 

“Melì…” sospirò, vedendola disperata.

 

“Lo… lo so che è tanto legato a te ma… dopo tutti questi giorni insieme, speravo che…”

 

“Ma proprio perché è qualche giorno che non la vede è ancora più attaccato a lei. Come ho già detto ci vorrà molto tempo e pazienza, al momento la dottoressa resta la sua figura materna principale. E ora c’è anche la gelosia di dover dividere le sue attenzioni. Piano piano.”

 

L’assistente sociale.

 

Melita si morse il labbro e dagli occhioni scuri le scesero due lacrime.

 

“Tenete…”

 

Modesto. Le aveva portato un fazzoletto. Era proprio un Calogiuri, sia in quello che nel voi.

 

Melita scoppiò a piangere, mettendolo ancora più in crisi, peggio che il fratellino nelle stesse circostanze.

 

Stavano messi proprio bene, stavano.

 

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“Ah, eccola qua, la nostra regina della fuga. Beata te, guarda!”

 

Ottavia, sparita durante la visita, come al suo solito, ricomparsa ora che erano rimasti solo lei, Calogiuri, Modesto, l’idrovora ed il piccolo koala incazzoso.

 

Si produsse un lungo miagolio, come a dire non sono mica scema! e i due piccoletti, ancora spalmati su di lei, mezza reclinata sul famoso divano, si voltarono verso la micia, producendo un duetto di richiami.

 

Ottavia saltò sulla spalla di Calogiuri, facendogli le fusa, come per sottolineare che ai marmocchi ed alle loro manine col cavolo che si sarebbe avvicinata.

 

Ma poi Vittoria riprovò ad attaccarsi - era giusto passata un’ora dall’ultimo pasto - e, quando la accontentò, Francesco ricominciò a protestare, avvicinandosi al seno scoperto - doveva aver capito come funzionava la fornitura.

 

MEEOOOW!

 

Un colpo al cuore, letteralmente, perché Ottavia si era buttata in mezzo, facendo da scudo a Vittoria, soffiando ed alzando la coda per avvertimento a Francesco.

 

“Buona Ottà, buona,” la fermò con le dita della mano destra visto che le braccia e la sinistra erano impegnate.

 

Francesco riprotestò ma si beccò un altro soffio e alla fine si fermò, battendo in ritirata verso il suo collo.

 

Ottavia, soddisfatta, si piazzò accanto a Vittoria, dandole una leccatina alla nuca ed accertandosi che mangiasse in pace.

 

“Pure la guardia del corpo c’hai mo, signorina!” sorrise, cercando di gestire il piccoletto ed i suoi bacini, mentre Calogiuri venne a darle manforte per accertarsi che Ottavia non avesse scatti di nessun tipo.

 

“Ne prenderei almeno uno ma… vogliono solo te mi sa…”

 

“Non c’ho abbastanza braccia qua, Calogiù!”

 

“Eh… Mancini non avrebbe avuto problemi, ma la figlia l’hai fatta con me, quindi…”

 

“In che senso?”

 

“Che poteva reggerne anche otto, con tutti quei tentacoli…”

 

Le venne da ridere: certe cose non cambiavano mai.


“Eppure io preferisco il mio umanissimo capitano e le sue due belle braccia forti. Pure se magari Vittò sarebbe uscita schizzinosa, che beveva solo il latte selezionatissimo millesimato, ed avrei avuto meno problemi. Ma non sarebbe stata né così bella né così ruffiana, vero Vittò?”

 

Due occhioni giganti e sì, non l’avrebbe cambiata, anzi, non li avrebbe cambiati per niente al mondo.

 

Allungò il collo per un bacio e Calogiuri obbedì, aggiungendo anche un paio di bacini a Francesco, già che c’era.

 

Era proprio un padre meraviglioso.

 

Sentirono una porta chiudersi, forse il bagno. Modesto, fedele al suo nome, spariva come loro si avvicinavano ed era l’anima della discrezione e dell’imbarazzo.


Stava per reclamare un altro bacio, quando squillò un telefono.

 

“Il mio?”

 

Calogiuri era giustamente sorpreso: il loro numero ce l’avevano in pochissimi.

 

“Un numero sconosciuto ma di Roma. Che faccio?”


“Rispondi, al peggio butti giù. Se non lo fanno prima loro, se questi ricominciano con il concerto.”

 

Lo vide premere lo schermo, portarsi il telefono all’orecchio, scambiare qualche parola e spalancare gli occhi più di Vittò, se possibile.

 

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“Il capitano Calogiuri?”


“Chi parla?”

 

“La segreteria del generale…”

 

Un cognome che non capì ma non gli suonò familiare. Il battito che accelerò immediatamente, temendo guai.

 

“Calogiuri?”

 

Una voce femminile, diversa dalla precedente, più autoritaria di Imma, Irene e suor Elisabetta messe insieme.

 

“Sì, chi parla?”

 

“Il generale De Angelis.”


“Ai comandi!”

 

Un attimo di silenzio e si preoccupò ancora di più.

 

“Generale? Pronto?”

 

“Ci sono, Calogiuri. Mi stupivo del suo mancato stupore.”


“Per la telefonata?”

 

Una risata piena, il panico che montò pensando che stava facendo la figura dell’imbecille.

 

“No. Che sono generale e sono una donna. Non mi ha nemmeno chiesto quando le passo il generale o, peggio, se chiamarmi signor generale o signora generale o generalessa o generala.”

 

“Scusate, non pensavo fosse un problema e-”


“E infatti non lo è, Calogiuri. Ma dovevo immaginarlo, vista la fama della dottoressa Tataranni. Se è sopravvissuto finora, vuol dire che è molto più sveglio della media dei suoi colleghi.”

 

“Si scrivono tante cose sui giornali ma la dottoressa non è come la dipingono e-”

 

“Va bene, va bene, Calogiuri. Voleva essere un complimento a lei, non un demerito alla dottoressa. Le voci sul suo di conto, invece, almeno interne all’Arma, sono più che fondate, mi pare.”

 

“Non so cosa vi abbiano detto ma sto attendendo un trasferimento a Torino. Mi avevano garantito che la procedura disciplinare nei miei confronti si fosse chiusa, che-”

 

“Calogiuri. Mi fa parlare?”


“Scusatemi. Ai comandi,” si affrettò ad abbozzare, dandosi di nuovo del cretino.

 

“Se l’ho chiamata è per farle le congratulazioni di persona. Non solo perché ho saputo che da poco si è aggiunta una piccola componente alla grande famiglia dell’Arma-”

 

Neanche avesse sentito che si parlava di lei, Vittoria si staccò in quel momento dal seno di Imma, lanciando un paio di vagiti presumibilmente in direzione di Ottavia, che le faceva le fusa.

 

“Scusatemi, la piccola componente, appunto.”

 

“Vi mette sull’attenti. A riposo forse meno?”

 

“Molto meno,” confermò: il generale o la generalessa, o quello che era, aveva il senso dell’umorismo.

 

Rarissimo tra i carabinieri, se non in quanto obiettivi delle barzellette altrui.

 

“Dicevo che chiamo non solo per farvi le congratulazioni per la nuova nata ma perché, in seguito a svariate segnalazioni a noi pervenute, le comunico ufficialmente che l’Arma ha deciso di farle avere una promozione per meriti speciali. Per il suo contributo ai maxiprocessi di Roma e di Milano e per la sua brillante gestione del sequestro della dottoressa.”

 

Tanto era lo stupore che quasi non notò la punta di imbarazzo nel ricordargli quanto era successo ad Imma.

 

“Vi ringrazio ma… ho appena ricevuto la promozione, ora sono capitano-”

 

“Maggiore.”

 

“Come?”

 

“La promozione a capitano l’ha avuta superando brillantemente il corso. Ora è stato promosso a maggiore, per meriti speciali. In questi casi non è necessario attendere gli anni canonici per l’avanzamento di grado. Già a breve potrà fregiarsi del nuovo titolo. Le arriverà una comunicazione ufficiale per iscritto ma volevo anticiparglielo di persona, considerato anche la vostra particolare situazione logistica. Ci sarà una cerimonia di premiazione entro la data prevista per il suo trasferimento. Presumibilmente a gennaio, sa, coi tempi tecnici…”

 

Non ci poteva credere, non ci poteva credere. Guardò Imma, preoccupata quanto oberata, e non riusciva a pensare ad altro che a quanta fortuna gli avesse portato. Non vedeva l’ora di chiudere la chiamata per godersi la sua espressione alla notizia.

 

“Non… non so che dire… non me lo sarei mai aspettato. Anzi, posso fare ancora una domanda?”

 

“Dipende dalla domanda, Calogiuri.”

“Si può sapere chi ha fatto queste segnalazioni?”

 

“Sono arrivate da diverse procure e da un buon numero di persone a vari gradi dell’Arma. Anche da alcuni generali ed operativi dei reparti speciali. Gode della stima di molti colleghi e sono certa sarà un ottimo leader anche a Torino e nei suoi futuri incarichi.”

 

“Vi… vi ringrazio…”


Fece mente locale di chi poteva essere stato.

 

Avrebbe voluto ringraziarli, ma prima doveva ringraziare colei a cui doveva tutto, ma proprio tutto.

 

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“Calogiù, ci sono problemi? Che hai visto un fantasma?”

 

La telefonata era finita ma stava lì col cellulare in mano, imbambolato peggio di Modesto con Vittoria.

 

Intenta a succhiare come se ci fosse la carestia dietro l’angolo, sorvegliata da Ottavia. Il piccoletto si era assestato tra i suoi ricci, manco fossero un cespuglio.

 

Forse lo erano: avrebbe proprio avuto bisogno di utilizzare quel buono dal parrucchiere!

 

“Allora, Calogiù? Ti sei incantato?”

 

“No, no…”

 

“Calogiù? Era l’Arma, giusto? Che succede?”

 

“Sarò… sarò maggiore!” proclamò, con una fiducia nelle sue possibilità che la commosse.

 

“E certo! Prima o poi, anzi, non vedo l’ora!”

 

“E non ci vorrà molto a vederla l’ora perché… cioè non so se posso dire di essere già maggiore proprio mo, ma sono stato promosso per meriti speciali. Ci sarà pure una premiazione, ma mi ci vedi?”

 

Non avesse avuto tre carichi da novanta spiaccicati addosso, gli sarebbe saltata in braccio, nonostante le gambe malferme.

 

“E me lo chiedi?! Vieni qua! Mo! Subito!”

 

Calogiuri rise ma si abbassò e lei gli si buttò sulle labbra, ignorando le proteste di Francesco, che infine riuscirono a mettere sul divano, per darsi un bacio come si doveva.

 

“Maggiore Calogiuri! Era destino… mo però devi tenere alto il titolo, pure quando sarò in condizioni di-”

 

Non fece in tempo a finire perché fu zittita con un altro bacio.

 

“Sapevo che lo avresti detto…” le sospirò sulle labbra, quando si staccarono, dopo troppo poco.

 

Ma non potevano fare altro, con l’albero di natale di pupi e animali che aveva addosso.

 

Manco l’avesse richiamata, il vagito scassatimpani di Vittoria.

 

“E invece tu, minore Calogiuri? Che c’è mo? Non vuoi festeggiare a papà?”

 

Vittoria fece un sorrisone e si lasciò sollevare dal maggiore, che se la spupazzò come si doveva.

 

Francesco, forse per imitazione, forse perché qualcosa aveva capito, fece segno a Calogiuri di prenderlo in braccio.

 

E lui, fedele nei secoli e buono come il pane, non si negò, giostrando il peso dei due piccoletti molto meglio di lei.

 

Fu in quel momento che Ottavia decise di saltargli in testa, completando il quadro.

 

“Mi sa che vi lascio a festeggiare e me ne vado un attimo in bagno, finché posso…”

 

Tirarsi giù la maglia fu la seconda grande soddisfazione della giornata, dopo la promozione, insieme al sorriso più che comprensivo del festeggiato. Il modo in cui Modesto si affrettò a ricomparire per aiutarla un po’ meno, ma altrimenti non sarebbe stato un Calogiuri.

 

Testa dura tutti quanti, maggiori, minori o cognati che fossero, mannaggia a loro!

 

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“Ma sei sicuro?”

 

“Abbiamo già rinviato tante volte. La situazione con Imma, il capitano e Francesco sembra essersi assestata. Già che vengono per l’immacolata… almeno magari il natale lo passiamo tranquilli.”


“O magari glielo rovini invece. Mancano solo due settimane. E se tua moglie si mette di traverso?”

 

“Ex moglie. Quando ti entrerà in testa?”


“Sarà pure ex nel titolo ma il problema è cosa potrà combinare all’atto pratico. E non voglio che Bianca ci finisca in mezzo, lo sai.”

 

“Una cosa alla volta… prima dico a loro di noi e poi… e poi se Nicoletta prova a fare sceneggiate… comunque dove abiti non lo sa e non sa neanche di Bianca. E ai ragazzi di lei voglio dirlo solo quando saranno pronti a conoscersi. Stai tranquilla.”

 

“Se citassi Imma, dicendo che quando mi dicono di stare tranquilla mi hanno fregato già tre volte, ti preoccuperesti?”

 

Ranieri rise. Un punto per lui. Le donne forti non gli avevano mai fatto paura.

 

Il problema erano quelle che rasentavano il patologico, tipo la sua ex consorte.

 

“Va bene… ma Bianca rimane fuori fino a che non è tutto più tranquillo. E se ce l’avessero con me… non mi aspetto di conoscerli subito, lo sai. Non sono nemmeno contraria ma… non devi pensare che dobbiamo fare la famigliola allargata già per natale, se non sono pronti. Lo so che ci vorrà tempo e non so se temere di più il piccoletto o i due più grandi. Specie il maggiore: a quell’età si vede tutto bianco o nero.”

 

“Beh… qua più che bianco non potrà vedere, quindi-”

 

Lo colpì sul braccio anche se le scappò da ridere.

 

Touché.

 

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“Perché non mi hai detto niente?”

 

Aveva appena fatto in tempo ad aprire la porta con le chiavi che gli aveva lasciato e che conservava gelosamente, insieme a quelle della casa al mare, quando era stato letteralmente assalito da una delle domande più temute dagli uomini in coppia.

 

Insieme a mi trovi ingrassata? e quanti anni mi dai?

 

Ma Mariani non lo avrebbe mai fatto, anche perché la sua età la sapeva fin troppo bene - per fortuna e purtroppo - e non si preoccupava particolarmente del suo aspetto, pur essendo bellissima. Forse proprio perché era stata fortunata di genetica e si allenava per lavoro.

 

Cercò di fare mente locale su cosa potesse aver combinato ed il monolocale non aiutava a prendere spazio per rifletterci.

 

Temeva di offenderla, sia se non avesse capito a cosa si riferiva, sia se avesse pensato male.

 

Non sapeva che pesci prendere - stavolta il sushi non basta!

 

Irene. Il suo grillo parlante.

 

“A cosa ti riferisci?” chiese, decidendo che sarebbe stato peggio fare ipotesi errate.

 

“Ah. Quindi c’è più di una cosa che mi nascondi?”

 

“Eh? No, no,” andò in panico, “ma non mi viene in mente niente. Lo sai che ti dico tutto. Salvo alcune cose di lavoro, ma perché è lavoro e-”

 

“E anche Calogiuri è lavoro?”

 

“Come?”

 

“La promozione di Calogiuri. Davvero diventa maggiore?”

 

La certezza non ce l’aveva, ma nemmeno era sorpreso della notizia. Mariani ovviamente lo notò subito.

 

“Ecco! Perché non me lo hai detto? L’ho dovuto sapere da Carminati che faceva battute su come in realtà non fosse maggiore, anzi, capisci in che senso. Che poi manco è vero, ma non potevo rispondergli, se no non finivamo pi-”

 

“E tu come fai a saperlo?”

 

“Me l’ha detto Carminati. Ma mi ascolti?”


“No, cioè sì ma… come fai a sapere che… non è vero che non è maggiore in quel senso.”

 

Mariani, per tutta risposta, scoppiò a ridere.

 

“Ma sei geloso?”

 

“Del fatto che conosci questo particolare del futuro maggiore? Va bene che siete amici, ma-”

 

“Ma abbiamo fatto il corso insieme e siamo stati anche in piscina, ti ricordo. E negli spogliatoi a volte.”

 

Gli prese una tosse che per poco non soffocava, alla sola immagine.

 

“Perché, tu non sei mai stato in uno spogliatoio misto con tutto il triathlon che fai?”


“Ma che c’entra e poi… e poi…”

 

“Non mi chiedere chi è il più… maggiore… o ti rispedisco a casa tua.”

 

La tosse peggiorò ed avvampò come un ragazzino. Gli ci volle un po’ per rendersi conto che Mariani si stava semplicemente divertendo a sfotterlo. Lui ed il suo imbarazzo vecchio stampo a parlare di certi argomenti.

 

Forse sarebbe sopravvissuto.

 

“Allora, perché non mi hai detto niente della promozione?”

 

O forse no. Su quello Mariani non scherzava, anzi, era veramente offesa.

 

“Perché non ne ero sicuro. E non lo sono ancora. Non so da chi l’abbia saputo Carminati, ma-”

 

Un peso addosso che per poco non cascò di schiena ed un bacio che gli levò tutto il fiato.

 

Mariani aveva le gambe allacciate alla sua vita e non sembrava intenzionata a scendere - non se ne lamentava, anzi, ma non ci capiva più niente.

 

“Lo hai segnalato tu per la promozione, vero?”

 

Un sorriso talmente bello che avrebbe segnalato Calogiuri pure per fare il papa, se bastava a renderla così felice.

 

A Mariani non sfuggiva proprio niente.

 

“Sì, non credo di essere stato l’unico, ma sì.”

 

“Ranieri? De Luca?”


“Può essere…”

 

“Vitali?”


“Può essere…”

 

“Il generale che era venuto in procura?”

 

“Può essere…”

 

“Sei peggio di un avvocato!” sbuffò Mariani, facendo per scendere ma ne approfittò per buttarla sul divano.

 

Per certe cose le piccole dimensioni del monolocale potevano essere molto utili.


“Te lo faccio vedere io l’avvocato!”

 

“Lo chiami così adesso?”

 

Gli andò di nuovo la saliva di traverso, giusto in tempo per trovarsi sbilanciato e letteralmente al tappeto, Mariani sopra di lui che rideva in quel modo che lo avrebbe sempre fatto impazzire.

 

La sopravvivenza non era garantita. La felicità sì.

 

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Aprì gli occhi, il cuore in gola, la sensazione di cadere, senza fermarsi mai.

 

Forse avrebbe dovuto parlarne con la psicologa perché le succedeva sempre più spesso dopo-

 

No, non voleva pensare a lui, non se lo sarebbe permesso e non glielo avrebbe permesso.

 

Un peso al petto, sopra al battito a mille, ma non era il panico, no.

 

Francesco…

 

Si era attaccato a lei durante il sonno, i pugnetti stretti stretti nella sua camicia da notte.

 

Non si era svegliato, almeno lui.

 

Lanciò un’occhiata verso Calogiuri, sperando di non averlo disturbato, con tutto il sonno arretrato che aveva. Inghiottì un’esclamazione di meraviglia, in tutti i sensi.

 

Era sdraiato a pancia in su ma non da solo: Vittoria dormiva spalmata sul cuscino, accanto a lui, guancia a guancia, i piedini vicino al collo, le manine tra i capelli di papà.

 

Erano bellissimi, un quadro e rimase a fissarli incantata, ringraziando chiunque fosse in ascolto di avergli potuto dare quella piccoletta: nessuno si meritava di fare il padre più di lui e glielo dimostrava ogni giorno, non solo con Vittoria ma anche con Francesco. Era ancora meglio di ogni fantasia.

 

Ed erano solo all’inizio.

 

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“Allora, vi piace Roma?”

 

“Ci vuole poco a esser meglio di Bari.”

 

Angelo, il più grande. L’adolescenza proseguiva e con essa il rifiuto delle radici.

 

“Dai che Bari è bella!”


“Se è tanto bella perché sei venuto a vivere qui?”

 

I terribili diciassette anni.

 

“A me piacciono le luci e il babbo natale. L’albero è un po’ brutto però.”

 

Per fortuna c’era il piccoletto a salvarlo. Nicolino. Avendo esaurito i nomi dei nonni, Nicoletta aveva insistito per chiamarlo come lei e come il santo patrono.

 

“Ma quando ci torni a Bari?”

 

Giovanni, il mediano.

 

“Natale lo fate con mamma, Santo Stefano con me, no?”

 

“No, voglio dire, quando ci torni davvero?”

 

Le previsioni di Irene erano state errate. Giò era quello più sensibile e che aveva patito di più il tira e molla con la madre. E poi i tredici anni e le scuole medie erano forse ancora peggio delle superiori: non essere più bambini ma nemmeno grandi abbastanza.

 

“Per un po’ di anni sono in servizio qua, ve l’ho detto, no? Ma ci vediamo i fine settimana e, se volete, scendo più spesso.”

 

“Lo so, ma è che… se ti voglio venire a trovare non posso più.”

 

“In realtà non si poteva neanche prima, lo sai che-”

 

“Che mamma si preoccupava, sì, ma… mamma si preoccupa sempre di tutto.”

 

Il modo in cui lo aveva detto non gli piacque.

 

“Giò… vostra madre vi ha detto ancora cose su di me?”

 

“Dice… dice che sei andato via perché di noi non ti importa.”

 

Sospirò, tra la rabbia e un nodo in gola.

 

“Ma voi lo sapete che non è vero, che mamma ce l’ha con me. Il problema è tra me e vostra madre, non con voi.”

 

“Almeno ora c’è una persona che urla a casa invece di due…”

 

Lo riportò dritto dritto a quando aveva annunciato la separazione. Sì, Giovanni era proprio il più sensibile, da sempre.

 

“Però dovete dirmele le cose. Speravo che l’atteggiamento di vostra madre piano piano migliorasse.”


“Con me non lo fa mica, che lo sa che le rispondo, ma con Giò e Nick… e poi ci gode a fare la vittima per mezza Bari.”

 

“Ma io lo so che tu mi vuoi bene, papà!” esclamò Nicolino, che per certi versi era il più forte di tutti, forse anche grazie alla psicologa che lo seguiva dalla separazione, “ma… ma è vero che… che…”


“Che?”

 

“Che hai fatto le corna a mamma?”

 

Per poco non si sentì male: aveva fatto tanto di gesto con la mano. Ma chi-?

 

“Mamma. Già tanto che non lo ha postato sui social ma lo dice a tutti,” chiarì Angelo, “che sono anni che le metti le corna e ti aveva perdonato per il bene nostro ma alla fine l’hai lasciata per metterti con quest’altra.”

 

Sospirò: era stato stupido a non prevederlo.

 

“Noi le diciamo che non è vero, ma mamma dice che sta qua a Roma. Ci ha fatto pure vedere chi è, su un giornale,” si inserì Giovanni, l’aria di chi non ci credeva del tutto ma il dubbio l’aveva.

 

“Le ho detto che, se davvero te l’eri fatta, era tanta roba come upgrade, ma figurati se una così sta dietro a uno col tuo stipendio!”

 

“Angelo!”

 

“Che c’è? Lo dici sempre pure tu che guadagni poco e di non fare il carabiniere.”

 

“Ma chi ti ha insegnato a parlare così delle donne? Perché io no di sicuro!”

 

“Va beh, papà… ha un sacco di soldi, è pure bona, chi glielo fa fare? A parte che pure a te, se sta sempre incazzata come nelle foto. Dopo mamma una un po’ scialla.”

 

“Le foto saranno state dei processi ed Irene non giudica le persone in base ai soldi o a quanto sono… boni e speravo nemmeno voi.”

 

“Irene?”

 

Giovanni. Oltre che il più sensibile anche il più sveglio.

 

“Giò…”

 

“Ma che è vero?”

 

Angelo, che da un lato avrebbe strozzato, dall’altro aveva una fitta di senso di colpa che non finiva più.


“Papà?” il colpo di grazia degli occhioni confusi di Nicò.

 

“Non… non è come ve l’ha raccontata vostra madre ma sì, stiamo insieme da qualche mese. Ho aspettato a dirvelo perché… forse perché temevo la reazione di vostra madre e… non volevo creare casini ad Irene che ha una situazione complicata. E poi volevo starmene un po’ in pace.”

 

“Senza di noi?”

 

“Ma no, Giovanni, ma che dici? Non in quel senso. Volevo evitarmi altre guerre con vostra madre, almeno i primi tempi.”

 

“Auguri!”

 

Angelo. Doveva approfondire le sue amicizie perché non andava bene. Era diventato troppo strafottente, anche se aveva ragione.

 

“Ma scusa, ma se state insieme da pochi mesi… mamma mi ha fatto vedere una foto di quando ero piccolo e c’eri pure tu. A Milano.”

 

Sì, Giovanni era decisamente il più sveglio.

 

“Perché ci siamo conosciuti ai tempi di Milano e… con vostra madre eravamo già in crisi, non so se Angelo se lo ricorda.”

 

“E come no! Che te ne sei pure andato di casa per un po’! Poi non so perché sei stato così scemo da tornare. Anzi, sì, per Nick, vero?”

 

Angelo i conti se li era fatti bene.

 

“Sì. In quel periodo… le cose con vostra madre non andavano e… mi sono innamorato di Irene. Lo dissi a vostra madre e… siamo stati insieme per un po’.”

 

“Ma allora è vero che hai fatto le corna a mamma?!”

 

Gli sguardi di tradimento di Angelo e Giò lo fecero sentire uno schifo.

 

“A Milano, sì, ma dopo poco l’avevo lasciata, proprio perché non era giusto né per me, né per vostra madre, né per Irene. Avevo anche chiesto la separazione ma-”

 

“Ma mamma era incinta…”


“Sì.”

 

“E quindi sei stato con lei di nascosto per tutti questi anni, mentre-”

 

“Ma no, Angelo, no. L’ho lasciata, sono tornato con vostra madre e siamo tornati giù come voleva. Lo so che forse non mi potete credere ma…  eravamo così lontani ed ero praticamente sempre a Bari, lo sapete pure voi. E poi Irene non mi voleva più vedere né sentire ed è stato così per molti anni.”

 

“E te credo!”

 

Angelo, di nuovo. Ma da che parte stava?

 

“Solo che… ci siamo rivisti per lavoro, con vostra madre ormai eravamo separati, quasi al divorzio e… e che vi devo dire… dopo il divorzio mi sono rifatto avanti, perché… perché…”

 

“Sì, perché una così quando ti ricapita!”

 

“Angelo!”

 

“Sarà pure bona e ricca ma è proprio scema se non t’ha sfanculato!”

 

“Angelo!”

 

“Guarda che lo so da solo come mi chiamo! E mo capisco perché mamma sta ancora più fuori del solito. Che ti aspettavi? Che me le ricordo ancora le sue sclerate ai tempi di Milano… ma allora era la casa di sta Irene che mamma stalkerava?”

 

“Come?”

 

“M’ha portato un paio di volte sotto casa di una, urlava. Una volta per poco non si scannavano. Cioè più mamma, che lo sai com’è fatta, però-”

 

“Ma perché non me lo hai detto?”

 

“Perché non le volevo prendere! Mica so’ scemo io!”

 

“No, mi sa che qua l’unico scemo sono io…”

 

L’unica amara, possibile conclusione. Ma come aveva fatto a non rendersi conto di quanto assorbivano pure da bambini?

 

“Non ho capito. Mi spiegate? Papà sta con la signora bella ma che fa paura?”

 

“Avrà lei paura di mamma. E col cavolo che ci torni a Bari. Non finché stai con lei.”

 

“Ma quindi la signora non vuole vederci?”

 

“Ma certo che vi vuole vedere! Ma voleva che vi parlassi prima io e che… insomma mi ha detto che dovevate essere voi a decidere se volevate conoscerla o no. Non sa proprio tutto tutto ma… sa che la situazione con vostra madre è complicata e… temeva che ce l’aveste con lei.”

 

“Allora è comunque meno scema di te.”

 

“Angelo!”

 

“Va beh, che c’è? Almeno non è una di quelle che vogliono fare le mammine a tutti i costi, come quella che sta col papà di Giulio. Ma per me non ha tutta sta voglia di averci tra i piedi.”

 

“No, non è vero, anzi.”


“E allora faccela conoscere! Voglio vedere!”

 

Angelo, le braccia incrociate in gesto di sfida. Pure Giovanni lo imitò, come faceva spesso.

 

“Anche io!”

 

“Qualcuno mi spiega? Siete cattivi che non mi fate mai capire!”

 

“La signora bella ma che ti fa paura? Sta con papà e quindi la vogliamo conoscere. Se tu non vuoi-”

 

“Se la conoscete voi la voglio conoscere anche io! Però se mi fa paura andiamo via?”

 

“Se ti fa paura sarà peggio per lei!”

 

“Angelo!”

 

“Un’altra pazza sgravata come mamma non la vogliamo!”

 

Sì, era stato proprio scemo. E non avrebbe mai potuto farsi perdonare o rimediare ai danni che aveva provocato.

 

Solo che mo… a fare l’agguato a Irene… rischiava di farne altri.

 

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Una scampanellata come da codice.

 

La scorta.

 

“Sì?” domandò, aspettando ad aprire la porta, sia per sicurezza, sia perché aveva in braccio Vittoria. Imma stava cercando di aiutare Francesco a socializzare con Melita. Modesto era in cucina.

 

“C’è la dottoressa Ferrari.”

 

Appoggiò meglio la testa di Vittoria alla spalla ed aprì la porta.

 

“Irene?”

 

Era spaventata come l’aveva vista solo quando era sparita Bianca. Pensò agli scenari peggiori.

 

Un agguato, Bianca che stava male, un-

 

“Mi fai entrare?”

 

Il tempo di farla passare e di chiudere la porta e Irene annunciò, come se fosse la fine del mondo, “i figli di Ranieri mi vogliono conoscere!”

 

“Eh?”

 

Gli scappò da ridere, perché si aspettava di tutto ma non quello.

 

“C’è poco da ridere, non so come fare e-”

 

“Devi essere proprio disperata per chiedere a noi.”

 

Imma che era riuscita ad alzarsi dal tappeto da sola e si stava avvicinando, con Francesco che le gattonava appresso, non mollando un colpo, seguito da Melita.

 

“E a chi devo chiedere? A Giorgio?”

 

“Dubito che sushi e champagne siano adatti a dei bambini…”

 

“Calogiuri!”

 

Ma anche Imma era scoppiata a ridere.

 

“Che poi bambini… uno c’ha diciassette anni.”

 

“Magari con quello il sushi e lo champagne potrebbero pure funzionare. Anzi, no, che poi pensa che ci stai a provare!”

 

“Ah! E allora lo ammetti che si capiva che Mancini ci stava provando!”

 

“C’avevo il dubbio, Calogiuri, mica ero scema, per-”

 

“OOOOO!”

 

Si bloccarono, voltandosi verso Irene, che urlava in un modo che non era proprio da lei.

 

“Mi ascoltate o no?!”

 

Di sicuro Francesco e Vittò sì. Stavano muti, rapiti. Cominciarono lui a ridere e ad avvicinarsi ancora di più, lei ad agitare le braccia verso Irene.

 

“Come vedi qua basta usare i decibel ma dubito funzioni coi figli di Ranieri.”

 

“No, anzi: già c’è il più piccolo che dice che gli faccio paura perché sembro sempre arrabbiata.”

 

La risata di Imma e lo scoramento di Irene.

 

“Mica scemo il piccoletto! Allora prova a sorridere!”

 

“Che detto da te…”

 

“Appunto! Non è meglio che chiedi consiglio a Maria? Se cerchi il metodo Montessori, qua non lo trovi.”

 

“No, ma… ma tu piaci ai bambini.”

 

Lo stupore di Imma all’ammissione di Irene, e le lanciò un te l’avevo detto! non verbale. Perché si sottovalutava sempre?

 

“Poi quelli grandi dicono che non vogliono una che fa la mamma o troppo amichevole, ma neanche una che non li vuole tra i piedi. Ranieri mi dice che ci vorrà poco ad essere meglio di loro madre, ma quella è loro madre, appunto, e ogni madre è bella a scarrafone suo, anche se è da TSO, e-”


“Respira, respira, che mi pari Diana o- Valentì!” esclamò Imma, come quando aveva un’intuizione delle sue, “puoi parlare con Valentì. Soprattutto per i due adolescenti. Noi qua avevamo altri problemi in famiglia da ragazzi, per carità, ma non questo.”

 

“Ma se non mi sopporta e avrà di meglio da fare!”

 

“E proprio per questo, conoscendola, non si perderebbe questo momento per niente al mondo. Fammela chiamare… Calogiù, riesci a dare tu una mano a Melita?”

 

“Posso aiutarlo anch’io, ho quasi finito qui!”

 

Modesto, che comparve dall’angolo cucina, con addosso il grembiule leopardato di Imma.

 

“Dai, vieni!”

 

Imma per poco non trascinò Irene verso la loro stanza da letto.

 

Sì, doveva proprio aver bisogno di un pit stop dai piccoletti per essere così entusiasta di aiutarla.

 

Non mi perderei questo momento per niente al mondo manco io, che non lo sai, Calogiù?

 

Lo sapeva, lo sapeva.

 

*********************************************************************************************************

 

“Non mi sembra una buona idea…”

 

“Hai bisogno di rilassarti, è un ordine.”

 

“Eh, rilassarmi, Calogiù, mica è facile, sapendo di quei due a casa da soli.”

 

“Ma infatti non sono soli, dottoressa. Ci sono Modesto e Melita, mezza scorta e, se serve, Rosa mi ha detto che va a dare una mano.”

 

“Sì, con Noemi appresso. Tre tornadi invece di due. Quattro, se contiamo Ottavia.”


“E dai, dottoressa. Se la caveranno per qualche ora, no? E mo tu non ci devi pensare, devi concentrarti solo su di te, che in questi mesi non lo hai potuto fare mai e non è giusto.”

 

“Calogiù…”

 

Quando si era immaginata la vita genitoriale con Calogiuri, non si sarebbe mai aspettata di trovarsi ad essere più apprensiva di lui o ad essere quella che si sarebbe sentita più in colpa a smollare i pargoli.

 

Sì, erano passate poche settimane dal parto. Ma non era quello.

 

Non era Vittoria a preoccuparla: la piccoletta aveva preso da papà suo, piaceva alla gente e la gente le piaceva. Le bastava avere il latte e con Modesto o Melita stava felice come un pascià, almeno per un po’.

 

Era tosta la loro piccoletta.

 

Francesco invece… non aveva mai avuto qualcuno così legato a lei. Ogni volta che si staccavano per lui era un po’ un trauma. Lo sapeva che le cose dovevano migliorare, specie in vista del ritorno al lavoro, ma si sentiva lo stesso una traditrice. Già si sforzava di dividere equamente le attenzioni con Vittò, perché l’essere più forte non significava non avere bisogno di affetto e di presenza, anzi, c’era il rischio a lungo andare di arrivare a sentirsi da meno, lo sapeva.

 

“Se la caveranno benissimo, vedrai. Mo tu stacchi la testa-”

 

“Te la stacco io la testa, Calogiù,” ironizzò, trovandosi trascinata in un mezzo abbraccio e dovendo cedere le armi, “e va bene, e va bene, mi arrendo. Ma solo per questa volta!”

 

“Naturalmente…”

 

Entrarono del tutto nel centro benessere dove delle signorine fin troppo sorridenti - specie con il futuro maggiore - li accolsero manco fossero dei vip.

 

Quanto aveva speso Calogiuri?

 

“Venite, prego…”

 

Li portarono in uno spogliatoio e ad Imma venne un altro moto d’ansia, pensando alla storia dei nei di Calogiuri e a quando erano finiti a indagare nelle spa. Ma ormai la mappatura dei nei era pubblica e non c’era il rischio del bis.

 

Provò comunque un poco di disagio a spogliarsi per mettersi il costume. Calogiuri l’aveva vista in tutte le salse, per carità, ma si sentiva ancora gonfia e fuori forma dopo il parto.

 

“Sei bellissima…”

 

Le leggeva sempre nella mente il disgraziato! Difficile scegliere cosa fosse più convincente tra lo sguardo ed il modo in cui lo aveva detto, ma il riuscire a farla sentire la donna più bella e desiderata del mondo non era cambiato di una virgola.

 

E per fortuna, anche se l’aveva temuto, dopo la carestia imposta da lui ancora più che dai medici.

 

Si infilò accappatoio e ciabattine, chiudendo poi meglio quello di Calogiuri - un po’ troppo corto per i suoi gusti!

 

All’uscita ritrovarono la stessa addetta che fece loro strada.

 

“Questa è la vasca che mi aveva chiesto. La temperatura non è troppo alta e non c’è l’idromassaggio. Nessuna controindicazione per una puerpera.”

 

Si passò una mano sulla fronte, alzando gli occhi al soffitto pieno di lucine soffuse, anche se l’utilizzo del termine puerpera la stupì di più delle cautele di Calogiuri. Come minimo si era fatto tutto uno studio prima, conoscendolo.

 

Ecco, lui non era tanto apprensivo sui piccoletti ma quando si trattava di lei sì, moltissimo. Questo da un lato la commuoveva, dall’altro la esasperava.

 

“Calogiù…”

 

“Tu di te stessa non ti preoccupi mai, quindi lo faccio io. Degli altri ci preoccupiamo già almeno in due.”

 

Mannaggia a lui! E che poteva dirgli?

 

Niente, se non sentirsi fortunata e seguirlo in acqua, dopo essere rimasta in costume, una volta soli.

 

No, non c’era proprio più abituata.

 

La pace ed il silenzio le sembrarono quasi surreali. Quando si lasciò affondare, galleggiando a pancia in su, si sentì in paradiso, anzi, di rinascere come Venere dalle acque.

 

Una venere quasi cinquantenne, coi capelli di colori improbabili ed il cloro nelle narici al posto del sale, ma dettagli.

 

Fece per mettersi seduta, per cercare Calogiuri, ma lui sussurrò, “ma no, rimani così, rilassati, non pensare a niente.”

 

Dalla voce era un paio di bracciate avanti a lei. Sempre ad occhi chiusi, scivolò sull’acqua verso quella direzione, sorridendo quando con la cima del capo toccò il suo petto.

 

“Im-”


Non gli diede il tempo di dire altro perché sollevò le braccia, gli afferrò la nuca, alla cieca, e gli abbassò il viso fino a incastrare le labbra nelle sue.

 

Se lo baciò con calma, in quella posizione assurda, finché le bastò l’aria. Poi si trovò stretta a lui, che l’abbracciava da dietro e le baciava il collo in un modo che avrebbe dovuto essere illegale, specie in pubblico. Non per la buoncostume, ma perché il non poter fare altro per settimane era una tortura.

 

“Calogiù… altro che rilassamento, mannaggia a te!”

 

“Hai cominciato tu, dottoressa.”

 

La voce sorniona nell’orecchio. Altro che maggiore! Oltre a darle il tormento, le stava regalando uno dei momenti più sensuali della sua vita.

 

“Eh, e mo non possiamo nemmeno finire!”

 

“Imma!”

 

Rise, perché il tentativo di riprendere il controllo - e la ragione - aveva funzionato.

 

Almeno fino a quando fu schiacciata al bordo della vasca, l’impunito che passò presto dal solletico ad altre carezze e baci da ergastolo.

 

Ci provò a voltarsi, ad allacciargli le gambe alla vita ma il “quaranta giorni, dottoressa, quaranta giorni…” la riportò alla realtà.

 

“Quanti ne mancano ancora?” sospirò, poggiandogli la fronte sul collo per cercare di calmarsi.

 

“Ventidue. Non prima del nuovo anno.”

 

Nonostante tutto, si fece scappare un sorriso, tanto mica poteva vederla.

 

Altro che i fuochi d’artificio avrebbero fatto! Degni di quelli di Napoli, tipo la bomba di Maradona.

 

Solo perché non avevano ancora sentito parlare di Imma Tataranni o la prossima avrebbe portato il suo nome, ma come minimo!


Nota dell’autrice: Ed eccoci arrivati alla fine di questo capitolo. Voglio rassicurarvi che i prossimi avranno un tasso di pargoli, bimbi, figli in genere di gran lunga minore ma ci sono alcune cose da affrontare e chiudere. Insomma, questi ultimi capitoli non saranno una succursale del nido. Sta arrivando il natale, nella storia come nella realtà, il trasferimento, la nuova vita, un po’ di giallo e per concludere qualcosa di attesissimo. E poi l’epilogo. Non saprei quantificare il numero di capitoli ma ci stiamo avvicinando alle battute finali. Spero che la narrazione si mantenga piacevole e interessante da leggere. In ogni caso ogni vostro parere, positivo o negativo, mi è preziosissimo per tarare la scrittura e non annoiare.

Vi ringrazio fin da ora per le vostre recensioni e ringrazio chi ha messo questa storia nei preferiti e nei seguiti.

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare domenica 17 dicembre, in tempo per le feste. In caso di ritardi, vi avviserò come sempre sulla pagina autore.

Grazie! 

 
   
 
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